La massoneria è sveglia.

Di seguito l’articolo di Alberto Statera su LaRepubblica del 27 novembre, intitolato Massoneria. I fratelli litigiosi costretti alla tregua.
Covent Garden, al 60 di Great Queen Street, dove sorge Freemasons?Hall, palazzo Art decò edificato negli Anni Trenta su progetto degli architetti H. V. Ashley e Winton Newman, si riunisce nei giorni scorsi la Gran Loggia Unita d?Inghilterra, la madre di tutte le massonerie mondiali che colà ha la sua sede, con i Gran Maestri più importanti d?Europa. Tra i simboli iniziatici disseminati nel palazzo, che viene utilizzato anche come set di film ed è stato calcato di recente da Sharon Stone in “Basic Insinct 2”, incedono davanti a Spencer Northampton, “Gran Maestro dei Gran Maestri”, lo spagnolo, il francese, il belga, il tedesco. E gli italiani, che sono due, di diverse “obbedienze”: il Gran Maestro del Grande Oriente d?Italia Gustavo Raffi, avvocato sessantatreenne di Ravenna, e il Gran Maestro della Gran Loggia Regolare d?Italia Fabio Venzi, sociologo romano quarantunenne. Northampton ha convocato i fratelli d?Europa per studiare le strategie da attuare allo scopo di unire le forze di tutte le massonerie in un grande afflato ideale – e non solo – in questo mondo percorso da germi dilaganti di odio e di follia nel quale la massoneria deve recuperare il suo ruolo etico. Gli italiani a Freemasons? sono la pietra dello scandalo, dilaniati come sono dalle lotte intestine e dalla conflittualità tra le massonerie regolari, inquinati da quelle irregolari, dall?indebolimento del “fondamento iniziatico”, da una crescente “profanizzazione”, tra mafie, politica, affari e inchieste giudiziarie, ultima delle quali quella della Procura di Catanzaro, appena sottratta al pm Luigi De Magistris, sul comitato d?affari trasversale con base in una loggia coperta di San Marino, dedito alla grassazione di fondi europei e all?irregolare assegnazione di appalti pubblici. Per capire che cosa veramente sta succedendo nel potere massonico italiano, che litiga persino al cospetto del Gran Maestro dei Gran Maestri londinese, come è capitato a Freemasons?Hall, e che tanta parte si dice abbia nei periclitanti assetti del capitalismo e della politica italiana, bisogna attrezzarsi per fare un viaggio lungo la bellezza di 750 pagine nella straordinaria inchiesta (“Fratelli d?Italia”, in libreria questa settimana per Rizzoli) che il giornalista Ferruccio Pinotti ha compiuto tra templi e procure, scandali e eroi del passato, tarocchi e finanzieri, compassi e furbetti del grembiulino. L?immenso tempio massonico è immerso nella penombra, al fondo della sala incombe un enorme monolite bianco sovrastato da un triangolo contenente un occhio. E? di qui che parte il viaggio esoterico di Pinotti dinanzi ai maestri massoni che entrano con movenze lente, indossando abiti da cerimonia sui quali spiccano i paramenti dei liberi muratori, alla vita il grembiulino, al collo una fascia di raso che termina con un medaglione; altri, di grado più elevato, indossano lunghi mantelli, cinture e spade. Sono professionisti, medici, intellettuali, banchieri, militari, artisti che si stringono per mano, si abbracciano, in nome della fratellanza. I politici latitano, niente fotografie in grembiulino. Siamo a Rimini per la Gran Loggia del 2007 che riunisce per tre giorni gli adepti del Grande Oriente d?Italia, la principale Comunione massonica italiana. Il Gran Maestro Gustavo Raffi apre la sua allocuzione con queste parole: “Siamo una delle più importanti agenzie produttrici di etica che abbia creato dal suo seno la storia dell?Occidente”. Non sono parole sue, ma del professor Paolo Prodi, storico, fratello del presidente del Consiglio. Esulta Raffi perché gli adepti hanno superato il massimo storico dell?era repubblicana: 18.117 fratelli, rispetto ai 12.630 di dieci anni fa, nonostante la dolorosa scissione che ha dato vita alla Gran Loggia Regolare d?Italia, l?unica riconosciuta dalla Gran Loggia Unita d?Inghilterra e che adesso Northampton ordina di riportare dentro il Grande Oriente d?Italia. Si distinguono per tasso massonico, nell?ordine, Toscana, Calabria, Piemonte, Sicilia, Lazio e Lombardia, che, da sole, contengono più del 50 per cento dei fratelli del Grande Oriente. Un tasso massonico con incrementi senza precedenti. Un?autentica corsa alla Loggia, rivela il Gran Maestro: ogni anno riceviamo 1.600 domande, età media 42 anni, ma non possiamo accoglierne più di un migliaio, almeno finchè non ci sono passaggi all? “Oriente Eterno”, che in linguaggio profano tradurremmo come passaggi al cimitero. Sì, dopo la P2, ” la massoneria è in fase di ripresa”, conferma Francesco Cossiga, di antica famiglia massonica, il quale intervistato da Pinotti, sostiene che in epoca piduista, “nelle votazioni per l?elezione del presidente della Repubblica arrivò ai massoni, deputati e senatori, una circolare di Licio Gelli perché votassero Sandro Pertini. Ma di questo – aggiunge – in Italia non si può parlare”. Lui, invece, del suo predecessore al Quirinale ormai defunto è abilitato a dire ciò che vuole. Se gode di ottima salute il Grande Oriente, sembra non vada peggio alla Gran Loggia Nazionale, detta più comunemente Loggia di Piazza del Gesù-Palazzo Vitelleschi, di cui hanno fatto parte Totò, Gino Cervi e Hugo Pratt, il creatore di Corto Maltese. Il Gran Maestro Luigi Danesin, consulente del lavoro e co-fondatore della Banca Popolare di Venezia, esibisce 8.800 aderenti, di cui il 27 per cento donne, unica obbedienza tra le grandi famiglie massoniche italiane che ammette la presenza femminile, trascurando la tradizione britannica, che concepisce invece la massoneria come un club esclusivamente maschile. Certo – spiega Alessandro Meluzzi, ex deputato di Forza Italia, massone che sta per diventare diacono della comunità di Pierino Gelmini…. – la Loggia implica un?iniziazione solare, mentre le donne rappresentano la metà lunare del cielo, le stelle d?Oriente, non d?Occidente. Non arriva a dire come Giuseppe Miraglia, libero muratore di Schiavonea, frazione di Corigliano Calabro che “le donne bisogna andarci a letto insieme e farle stare a casa”. Che bisogna “andare in Africa a sterilizzare queste africane, perché fanno figli come conigli. Sul Gran Maestro femminista Danesin, Licio Gelli, anche lui intervistato da Ferruccio Pinotti, cui consegna la presunta “notizia” di un?antica giovanile iscrizione di Carlo Azeglio Ciampi alla Loggia Hermes di Livorno, pur non condividendo i “grembiulini rosa” che non è opportuno siano presenti quando si prendono “decisioni delicate”, cala la sua ala protettiva: “Questi che le mostro sono i moduli delle domande per chi vuole entrare, li consegno io stesso al Gran Maestro Danesin”, garantisce. La terza comunione più diffusa è la Gran Loggia Regolare d?Italia, nata da una scissione guidata dall?ex Gran Maestro del Grande Oriente Giuliano Di Bernardo quando gli dichiararono guerra all?interno perché accettò di collaborare all?inchiesta del procuratore di Palmi Agostino Cordova su massoneria e malavita organizzata. Unica riconosciuta dalla massoneria inglese, la Gran Loggia Regolare, 3.000 iscritti, è guidata oggi da Fabio Venzi, che a Freemasons?Hall pare non abbia gradito affatto l?invito di Spencer Northampton a ricongiungersi con i fratelli del Grande Oriente, accapigliandosi pubblicamente con Gustavo Raffi. Giuliano Di Bernardo, nel frattempo, si è messo a capo degli Illuminati d?Italia, un consesso che si richiama agli Illuminati di Baviera fondato nel Settecento, ma anche all?Ordine americano cui apparterrebbe pure Bill Clinton. Tra i cofondatori del consesso italico troviamo Carlo Freccero, ex Fininvest e poi direttore Rai, Rubens Esposito, responsabile degli Affari legali sempre della Rai, Sergio Bindi, consigliere della Rai e antico collaboratore del segretario democristiano Flaminio Piccoli, Severino Antinori, specialista della fecondazione assistita, il filosofo Vittorio Mathieu, il generale Bartolomeo Lombardo, ex direttore del Sismi, e il giovane lobbista Piergiorgio Bassi. La Rai sembra un luogo di coltura della massoneria, se &eg
rave; vero, come testimonia il professor Aldo Mola, che al Grande Oriente giunse a un certo punto in dote una Loggia coperta, retta dal Venerabile Giorgio Ciarocca, alto funzionario del Servizio pubblico, di cui facevano parte Cesare Merzagora, Eugenio Cefis, Giuseppe Arcaini, il genero di Fanfani Stelio Valentini, il comunista Gianni Cervetti, nonché Guido Carli, Enrico Cuccia, Raffaele Ursini, Michele Sindona, il cardinale Franziskus Konig, e l?antico direttore generale della Rai Ettore Bernabei, notoriamente soprannumerario dell?Opus Dei. Massoni, ex massoni e uomini dell?Opus Dei, il diavolo e l?acquasanta, il laicismo massonico e l?eccellenza cattolica negli affari. Un occhio particolare all?economia, negli Illuminati di Di Bernardo si entra oggi con il grado di quadrato, si diventa cerchi e infine triangoli, lo strumento utilizzato dal demiurgo di Platone per creare il mondo. Chi c?è ancora tra i vostri? – chiede Pinotti al Sovrano Grande Illuminato. Lui, dopo un po? di resistenza, lascia capire che vicino agli Illuminati c?è il banchiere Vincenzo De Bustis, oggi Deutsche Bank, l?uomo, considerato amico di Massimo D?Alema, che portò al Monte dei Paschi di Siena per un prezzo considerato allora esorbitante la Banca del Salento. E accetta persino di rispondere a questa domanda: “Qual è il profilo ideale di un illuminato nel mondo della finanza? ” Il Sovrano non esita troppo e risponde: “Giovanni Bazoli, il presidente di IntesaSanpaolo”. Come se il capo degli illuminati gestisse una specie di stanza di compensazione paramassonica nella vecchia e stantia diatriba tra finanza laica e cattolica, che tuttavia la velocizzazione del grande business finanziario sembra relegare ragionevolmente nel passato, rispetto ai tempi dei grandi massoni dell?economia Alberto Beneduce e Vittorio Valletta. Mussari, Passera, Bazoli, Profumo: chi può credere veramente che questi signori, professionisti di vaglia che si confrontano ormai con un mercato globale, misurino le loro mosse di business sui binari dell?ortodossia di massonerie laiche o cattoliche? Pur con le massonerie regolari e irregolari oggi aggressive e arrembanti nel vuoto della politica. “Ai tempi di Cordova c?erano le Logge segrete, oggi tornano le Logge coperte dedite agli affari – sostiene il Grande Illuminato Di Bernardo – . Ma mentre prima nelle Logge segrete c?erano prevalentemente uomini d?affari, lobbisti privati, oggi sembrano farne parte anche rappresentanti delle istituzioni o figure a loro vicine”. Il caso Telekom Serbia, l?affaire Telecom, le inchieste delle Procure di Potenza e di Roma, la maxi-inchiesta della Procura di Catanzaro su massoneria e comitati d?affari, spunta sempre una sorta di “dominio occulto delle forze economiche e finanziarie”, come le chiama il Gran Maestro Raffi. Ma massoniche o cattoliche? O piuttosto cattolico-massoniche? “Nella vulgata di una certa finanza cattolica – divisa Raffi – chi non è dei loro, nel 99 per cento dei casi è massone. Si parla tanto di massoneria, ma sono altre le forze che stanno occupando la società italiana. Io, per esempio, andrei magari a vedere com?è organizzato in Lombardia lo strapotere di Comunione e Liberazione”. Per stare al mondo non della pura etica, ma degli affari, che sempre più spesso si confonde apparentemente con quello dell?anima, vale la pena di segnalare il terrore di Stefano Ricucci, furbetto del quartierino, quando i magistrati gli chiesero qualcosa sui furbetti del grembiulino: “Ahò, dotto? – rispose al pm – ma lei vuole che a me mi uccidono stasera qui dentro. Lei forse non si rende conto di chi sta a toccare”. Toccava la Banca Finnat di Giampiero Nattino, una delle più potenti figure della finanza vaticana, consultore della Prefettura degli affari economici della Santa Sede. E Ricucci sbottava: “Da quando ero piccolo così, lo sa tutta Italia che la massoneria… De Bustis, Caltagirone, Nattino sono tutti. la massoneria”. La massoneria poi cos?è? – sembra chiedersi Pinotti al termine dell?interminabile viaggio di 750 pagine. Una cosa che ha il cuore a sinistra e la testa a destra? Boh. Di certo “non è vero che tutti i massoni sono delinquenti, ma non ho mai conosciuto un delinquente che non fosse anche un massone”, come disse il massone Felice Cavallotti prima di essere ucciso in duello da un suo fratello massone. IL LIBRO… “Fratelli d’Italia”, libro-inchiesta di Feroccio Pinotti è in uscita domani per le edizioni Futuropassato della Bur (pp. 760, 14 euro). Racconta l’Italia silenziosa e clandestina della massoneria, determinante nella vita del nostro Paese, specialmente nel suo livello economico-finanziario. Fatti e nomi di chi è gravitato o gravita nell’orbita della massoneria, condotta attraverso interviste, documenti, atti giudiziari, testimonianze inedite.Home page © Copyright 2003 – 2007 Tutti i diritti riservati. powered by dBlog CMS ® Open Source

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Storie dalla Sierra Leone. Per un Natale di speranza

Da oggi, lunedì 3 dicembre e fino a lunedì 10 negli spazi espositivi di Palazzo Trentini, in via Manci 27 a Trento, sarà aperta al pubblico una mostra fotografica che illustra le attività di Padre Giuseppe Berton (nella foto) attraverso le immagini di persone e di opere realizzate dal missionario italiano e dall’associazione locale FHM (Family Homes Movement) in quarant’anni di presenza in Sierra Leone.

Dal 2003 l’associazione trentina EDUS collabora con padre Berton e FHM alla realizzazione di progetti volti soprattutto all’accoglienza, al recupero e alla formazione scolastica e professionale di ragazzi ex-soldato o di strada.

Le immagini esposte mostrano una realtà drammatica e di estremo bisogno, ma documentano anche come una presenza umana intelligente e caritatevole possa far rinascere la speranza e costruire luoghi di accoglienza e di educazione in grado di ridare dignità alla vita umana. La mostra è composta da 50 pannelli divisi in 6 sezioni:

1. Padre Giuseppe Berton: immagini del sacerdote nei luoghi e con le persone della Sierra Leone Nato a Marostica nel 1932 da quarant’anni è missionario saveriano in Sierra Leone.

Laureato a Glasgow in filosofia morale e logica. Dal ‘64 al ‘66 comincia la missione in Sierra Leone dove dal 1972 si stabilisce definitivamente.

2. La Sierra Leone: La Sierra Leone è uno dei paesi più poveri del mondo e la situazione si è ulteriormente aggravata in seguito alla guerra civile terminata pochi anni fa. Le donne e i bambini sono le vittime principali della povertà in cui versa il paese, come tragicamente dimostrano i tassi di mortalità, tra i più alti al mondo. Nelle periferie di Freetown i problemi ed i bisogni abbracciano praticamente tutti i settori, dall’assistenza sanitaria, alla possibilità di istruzione, al tasso di disoccupazione altissimo, al degrado sociale dei nuclei famigliari, all’alto tasso di violenza, alla pressoché totale mancanza di servizi. A questa situazione già drammatica si è aggiunta la tragedia degli ex-bambini soldato, bambini e ragazzi rapiti dai ribelli nel corso di incursioni e stragi nei villaggi di appartenenza e costretti con ogni sorta di violenza a combattere e uccidere. L’accoglienza e il recupero di questi bambini è stata per anni la necessità più urgente a cui Padre Berton ha cercato di rispondere fondando a questo scopo un’associazione, il “Movimento Case Famiglia” (Family Homes Movement)

3. Il Family Homes Movement (FHM): Il Family Homes Movement (F.H.M.) è una ONG locale voluta e fondata da Padre Berton, che si occupa dell’assistenza e dell’educazione dei ragazzi e bambini di strada nella città di Freetown in Sierra Leone, attualmente le persone che lavorano a vario titolo per FHM sono 30. Oggi, il Movimento Case Famiglia si prende cura di circa 350 ragazzi di strada sia direttamente attraverso il Centro S. Michael, sia indirettamente tramite famiglie adottive, inoltre gestisce una scuola di base e secondaria con circa 1’000 studenti.

4. Il centro di prima accoglienza S.Michael Il centro è costituto da una vecchia struttura alberghiera, donata durante la guerra dai vecchi proprietari ad F.H.M., utilizzata come punto di prima accoglienza per i giovanissimi assistiti dall’FHM. Nella fase di prima accoglienza, cura, assistenza e ricerca di famigliari e/o parenti i bambini e ragazzi di strada vengono ospitati ed accuditi presso il centro S. Michael, dove possono frequentare la scuola di base. Attualmente i bambini ospitati sono 40.

5. Le case famiglia. La convinzione che anima l’opera di F.H.M. è che il carattere e la personalità di un ragazzo può formarsi solo nel contesto di una famiglia, pertanto il reinserimento dei bambini e ragazzi di strada avviene attraverso la partecipazione fondamentale delle famiglie adottive e/o affidatarie. FHM gestisce ad oggi 52 family-homes per un totale di circa 350 ragazzi e per la maggior parte distribuite nella capitale Freetown e dintorni. Le case sono condotte da “genitori” che hanno già figli loro ma che sono disponibili ad accogliere altri bambini o ragazzi, mediamente in numero compreso fra i 4 e 6 ragazzi, l’aiuto che viene dato da FHM riguarda la casa ( data in uso gratuito ) e le spese scolastiche dei ragazzi, in alcuni casi interviene per far fronte a spese mediche. La collaborazione e l’aiuto fornito dall’associazione EDUS, dal 2003 ad oggi, ha permesso la costruzione di 12 casette date in uso alle famiglie adottive.

6. “The Holy Family Primary School”. In Sierra Leone solo il 36% dei bambini e ragazzi ha la possibilità di frequentare una scuola. Per far fronte a questa emergenza F.H.M. ha inizialmente provveduto alla realizzazione di una piccola scuola di base ma, col passare degli anni e la crescente richiesta della popolazione locale, si è resa necessaria una struttura in grado di offrire una possibilità di istruzione a un maggior quantità di studenti. Con una prima realizzazione nel 2004 e una seconda nel 2006 è sorta la scuola secondaria e di base “The Holy Family Primary School” che ad oggi ospita 1050 studenti con 45 insegnanti.

La mostra rimane aperta tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 19.00 – Ingresso libero

Le foto sono tutte di Ernesto Dominici. Nato in Uruguay ma discendente da italiani, Ernesto Dominici è arrivato in Italia poco più che ventenne alla ricerca delle sue origini. Da alcuni anni si è trasferito in Trentino. Di professione “viaggiatore”, come ama definirsi, non lascia mai a casa la macchina fotografica. Dieci anni di Africa gli hanno permesso di affinare la qualità delle sue fotografie, per quanto riguarda sia i reportages sui popoli e le loro culture, sia quelli naturalistici. I suoi ultimi lavori lo vedono impegnato a documentare le condizioni di vita dei bambini nelle zone più difficili del mondo, cercando di far conoscere queste realtà e le attività di chi lavora sul campo.

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L’ateismo assoluto : una religione totalitaria.

L’ultima enciclica del papa è centrata sulla speranza, ma la parte dedicata all’ateismo del Novecento farà senza dubbio discutere. Eppure il papa, condannando l’ateismo assoluto (non certo l’ateismo "tragico" di chi ricerca e continua a domandare), e riconducendo ad esso gran parte delle atrocità del secolo appena trascorso, non fa che esprimere una opinione che qualsiasi storico potrebbe sottoscrivere. E’ un dato di fatto che i sistemi atei abbiano prodotto la I e la II guerra mondiale, cioè le più grandi stragi della storia dell’umanità, come pure le ideologie di morte del nazismo e del comunismo (e per molti aspetti anche del fascismo).

I grandi dittatori della storia sono tutti nel Novecento, nel secolo della decadenza e dell’ateismo assoluto, e sono tutti rigorosamente materialisti: Lenin, Stalin, Hitler, Mussolini, Mao, Pol Pot, Hoha, Tito, Milosevic…. Si tratta di un dato storico inconfutabile. Machael Burleigh, docente a Oxford e in varie università degli Stati Uniti, ha appena scritto per Rizzoli un poderoso saggio, “In nome di Dio”, in cui dimostra chiaramente che “negli anni successivi alla prima guerra mondiale l’Europa, gravemente provata dal conflitto, costituì un terreno di coltura per le appassionate predicazioni di fanatici visionari e di profeti che offrivano ‘religioni politiche’ alternative a quelle ufficiali. Sorsero così e si affermarono nel continente movimenti che riuscirono a dar vita a totalitarismi con aspirazioni onnicomprensive: il comunismo, il fascismo, il nazionalsocialismo, i quali, pur con diversità rilevanti tra loro, proponevano il paradiso in terra, la giustizia sociale, la creazione di un ‘uomo nuovo’. Il Partito veniva idealizzato, il Capo quasi divinizzato, investiti entrambi di una dimensione ‘sacrale’ nel corso di adunate e grandiose manifestazioni, producendo inevitabili scontri con le Chiese ufficiali”.

Burleigh, come tanti altri storici e filosofi, nota cioè come le ideologie atee del Novecento si siano poste come ricette di salvezza umana, con lo scopo di creare il paradiso sulla terra, facendo appunto a meno di Dio, e dando vita poi, nella realtà, all’inferno. Il minimo comune denominatore delle ideologie è infatti quello di presentarsi come surrogati del senso religioso, per proporre una via alternativa a quella della Fede per il raggiungimento della Verità, del Bene e della Giustizia. E’ un fatto che il nazionalismo nasca come “religione della patria”, il nazismo come “religione della razza e del sangue” (non certo dell’anima), il comunismo come religione dell’eguaglianza sociale ed economica, e che tutte queste idee abbiano una matrice atea e materialista. Si legga, a proposito, il celeberrimo saggio di Leon Poliakov, il grande storico del razzismo, “Il mito ariano” (editori Riuniti), in cui si spiega chiaramente che l’origine del razzismo poggia interamente sulla negazione della comune figliolanza degli uomini rispetto a Dio e sulla negazione del dogma cattolico della discendenza di tutti gli uomini da Adamo ed Eva (dogma che comporta la fratellanza universale, e che viene respinto dai primi teorizzatori del razzismo, in nome dell’esistenza di razze superiori ed inferiori che avrebbero dunque origini da ceppi diversi). Poliakov ricorda anche come il razzismo e l’eugenetica siano collegati ad una visione materialistica diffusa a partire dal Settecento, da antropologi, frenologi, antropometri, e da tutti quegli pseudo-scienziati materialisti che cercavano di stabilire la superiorità e l’inferiorità delle razze in base alla misurazione del cranio e degli arti, e cioè delle parti puramente corporali, convinti che l’uomo si esaurisse, appunto, in esse (mentre invece, differendo tra loro i corpi, solo l’anima può garantire l’eguale dignità degli uomini). L’uomo, le masse ideologizzate e secolarizzate del Novecento, si caratterizzano dunque per il fatto di aver abbandonato la Speranza in Dio e nella sua azione salvifica, e per averla riposta interamente nella politica, nel Partito, nello Stato, nel Dittatore. Chiedono ad essi ciò che chiedevano, un tempo, a Dio, anzi di più: tutto, ma subito (non essendovi più l’idea di una Vita ultraterrena). La creazione del mondo perfetto, dell’ “uomo nuovo”, per le ideologie, dunque, urge, incalza, preme: necessita al più presto l’eliminazione, tramite ghigliottine, gulag, lager e polizie segrete, ovre, gestapo, ceka e kgb, di coloro che ostano, che impediscono, che non comprendono, che complottano, che conducono la “controrivoluzione”, che, secondo l’articolo 58 del codice penale sovietico, sono solo sospettati di farlo…: in una parola di quanti meritano l’inferno, anch’esso, come il paradiso, trasferito paradossalmente nell’aldiquà. E’ per questo, per fare un esempio, che la guerra, o la violenza, sempre considerata un male, per quanto talora inevitabile (guerra di difesa), diviene un bene in se stessa: il vento che spazza lo stagno, di Hegel, la guerra che porrà fine alle guerre, per alcuni interventisti italiani della I guerra, “la sola igiene del mondo” per i materialisti futuristi, una esigenza di natura, per i socialdarwinisti, uno splendido cozzare di popoli, per i nazionalisti, la fine del passato oscuro e l’inizio di una nuova era, per tutti i rivoluzionari, da Mussolini a Mao… Sempre per lo stesso motivo, ogni ideologia si afferma come un “mondo nuovo”, un “ordine nuovo”, un’era diversa, che data la sua origine non dall’evento salvifico della nascita di Cristo, ma, come avviene dalla Rivoluzione francese in poi, passando per il fascismo e il nazismo, dall’ascesa al potere, essa sì salvifica, dell’ideologia ateistica di turno. Al culmine del delirio, vi è il regime comunista di Pol Pot, in cui tutte le religioni sono vietate, e la famiglia viene scientificamente distrutta; regime che sarà causa di due milioni di morti su sette milioni di abitanti, in poco più di tre anni (1975-1979), qualcosa di mai visto nella storia, e in cui si arriverà a ordinare per legge non solo il rogo dei libri del passato, ma financo delle fotografie dei privati, affinché fosse cancellato anche il ricordo fotografico di come era il mondo prima dell’avvento del regime comunista-salvifico, “escatologico”, millenaristico, dell’Angkar.

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Socci: con la “Spe salvi” il Papa ha criticato il Concilio (e non più solo le sue cattive interpretazioni)

(di Antonio Socci) Una bomba. E’ la nuova enciclica di Benedetto XVI, “Spe salvi” dove non c’è neanche una citazione del Concilio (scelta di enorme significato), dove finalmente si torna a parlare dell’Inferno, del Paradiso e del (perfino dell’Anticristo, sia pure in una citazione di Kant), dove si chiamano gli orrori col loro nome (per esempio “comunismo”, parola che al Concilio fu proibito pronunciare e condannare), dove invece di ammiccare ai potenti di questo mondo si riporta la struggente testimonianza dei martiri cristiani, le vittime, dove si spazza via la retorica delle “religioni” affermando che uno solo è il Salvatore, dove si indica Maria come “stella di speranza” e dove si mostra che la fiducia cieca nel (solo) progresso e nella (sola) scienza porta al disastro e alla disperazione.
Benedetto XVI, del Concilio, non cita neanche la “Gaudium et spes”, che pure aveva nel titolo la parola “speranza”, ma spazza via proprio l’equivoco disastrosamente introdotto nel mondo cattolico da questa che fu la principale costituzione conciliare, “La Chiesa nel mondo contemporaneo”. Il Papa invita infatti, al n. 22, a “un’autocritica del cristianesimo moderno”. Specialmente sul concetto di “progresso”. Per dirla con Charles Péguy, “il cristianesimo non è la religione del progresso, ma della salvezza”. Non che il “progresso” sia cosa negativa, tutt’altro e moltissimo esso deve al cristianesimo come dimostrano anche libri recenti (penso a quelli di Rodney Stark, “La vittoria della Ragione” e di Thomas Woods, “Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale”). Il problema è l’ “ideologia del progresso”, la sua trasformazione in utopia.
Il guaio grave della “Gaudium et spes” e del Concilio fu quello di mutare la virtù teologale della “speranza” nella nozione mondanizzata di “ottimismo”. Due cose radicalmente antitetiche, perché, come scriveva Ratzinger, da cardinale, nel libro “Guardare Cristo”: “lo scopo dell’ottimismo è l’utopia”, mentre la speranza è “un dono che ci è già stato dato e che attendiamo da colui che solo può davvero regalare: da quel Dio che ha già costruito la sua tenda nella storia con Gesù”.
Nella Chiesa del post-Concilio l’ “ottimismo” divenne un obbligo e un nuovo superdogma. Il peggior peccato diventò quello di “pessimismo”. A dare il là fu anche l’ “ingenuo” discorso di apertura del Concilio fatto da Giovanni XXIII, il quale, nel secolo del più grande macello di cristiani della storia, vedeva rosa e se la prendeva con i cosiddetti “profeti di sventura”: “Nelle attuali condizioni della società umana” disse “essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia… A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”.
Roncalli fu ritenuto, dall’apologertica progressista, depositario di un vero “spirito profetico”, cosa che si negò – per esempio – alla Madonna di Fatima la quale invece, nel 1917, metteva in guardia da orribili sciagure, annunciando la gravità del momento e il pericolo mortale rappresentato dal comunismo in arrivo (dopo tre mesi) in Russia. Si verificò infatti un oceano di orrore e di sangue. Ma 40 anni dopo, nel 1962, allegramente – mentre il Vaticano assicurava Mosca che al Concilio non sarebbe stato condannato esplicitamente il comunismo e mentre si “condannavano” a mille vessazioni santi come padre Pio – Giovanni XXIII annunciò pubblicamente che la Chiesa del Concilio preferiva evitare “condanne” perché anche se “non mancano dottrine fallaci… ormai gli uomini da se stessi sembra siano propensi a condannarli”.
E infatti di lì a poco si ebbe il massimo dell’espansione comunista nel mondo, non solo con regimi che andavano da Trieste alla Cina e poi Cuba e l’Indocina, ma con l’esplosione del ’68 nei Paesi occidentali che per decenni furono devastati dalle ideologie dell’odio. Pochi anni dopo la fine del Concilio Paolo VI tirava il tragico bilancio, per la Chiesa, del “profetico” ottimismo roncalliano e conciliare: “Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. ? venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza…L’apertura al mondo è diventata una vera e propria invasione del pensiero secolare nella Chiesa. Siamo stati forse troppo deboli e imprudenti”, “la Chiesa è in un difficile periodo di autodemolizione”, “da qualche parte il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio”.
Per questa leale ammissione, lo stesso Paolo VI fu isolato come “pessimista” dall’establishment clericale per il quale la religione dell’ottimismo “faceva dimenticare ogni decadenza e ogni distruzione” (oltre a far dimenticare l’enormità dei pericoli che gravano sull’umanità e dogmi quali il peccato originale e l’esistenza di Satana e dell’inferno). Ratzinger, nel libro citato, ha parole di fuoco contro questa sostituzione della “speranza” con l’ “ottimismo”. Dice che “questo ottimismo metodico veniva prodotto da coloro che desideravano la distruzione della vecchia Chiesa, con il mantello di copertura della riforma”, “il pubblico ottimismo era una specie di tranquillante… allo scopo di creare il clima adatto a disfare possibilmente in pace la Chiesa e acquisire così dominio su di essa”.
Ratzinger faceva anche un esempio personale. Quando esplose il caso del suo libro intervista con Vittorio Messori, “Rapporto sulla fede”, dove si illustrava a chiare note la situazione della Chiesa e del mondo, fu accusato di aver fatto “un libro pessimistico. Da qualche parte” scriveva il cardinale “si tentò perfino di vietarne la vendita, perché un’eresia di quest’ordine di grandezza semplicemente non poteva essere tollerata. I detentori del potere d’opinione misero il libro all’indice. La nuova inquisizione fece sentire la sua forza. Venne dimostrato ancora una volta che non esiste peccato peggiore contro lo spirito dell’epoca che il diventare rei di una mancanza di ottimismo”.
Oggi Benedetto XVI, con questa enciclica dal pensiero potente (che valorizza per esempio i “francofortesi”), finalmente mette in soffitta il burroso “ottimismo” roncalliano e conciliare, quell’ideologismo facilone e conformista che ha fatto inginocchiare la Chiesa davanti al mondo e l’ha consegnata a una delle più tremende crisi della sua storia. Così la critica implicita non va più solo al post concilio, alle “cattive interpretazioni” del Concilio, ma anche ad alcune impostazioni del Concilio. Del resto già un teologo del Concilio come fu Henri De Lubac (peraltro citato nell’enciclica) scriveva a proposito della Gaudium et spes: “si parla ancora di ‘concezione cristiana’, ma ben poco di fede cristiana. Tutta una corrente, nel momento attuale, cerca di agganciare la Chiesa, per mezzo del Concilio, a una piccola mondanizzazione”. E persino Karl Rahner disse che lo “schema 13”, che sarebbe divenuto la Gaudium et spes, “riduceva la portata soprannaturale del cristianesimo”. Addirittura Rahner ! Ratzinger visse il Concilio: è l’autore del discorso con cui il cardinale Frings demolì il vecchio S. Uffizio che non pochi danni aveva fatto. E oggi il pontificato di Benedetto XVI si sta qualificando come la chiusura della stagione buia che, facendo tesoro delle cose buone del Concilio, ci ridona la bellezza bimillenaria della tradizione della Chiesa. Non a caso nell’enciclica non è citato il Concilio, ma ci sono S. Paolo e Gregorio Nazianzeno, S. Agostino e S. Ambrogio, S. Tommaso e S. Bernardo. Un’enciclica bella, bellissima. Anche poetica, che parla al cuore dell’uomo, alla sua solitudine e ai suoi desideri più profondi. E’ consigliabile leggerla e meditarla attentamente.
Antonio Socci
Da “Libero”, 1 dicembre 2007

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Dall’enciclica sulla speranza del papa.

Dall’enciclica del papa: Non sono gli elementi del cosmo, le leggi della materia che in definitiva governano il mondo e l’uomo, ma un Dio personale governa le stelle, cioè l’universo; non le leggi della materia e dell’evoluzione sono l’ultima istanza, ma ragione, volontà, amore – una Persona. E se conosciamo questa Persona e Lei conosce noi, allora veramente l’inesorabile potere degli elementi materiali non è più l’ultima istanza; allora non siamo schiavi dell’universo e delle sue leggi, allora siamo liberi. Una tale consapevolezza ha determinato nell’antichità gli spiriti schietti in ricerca. Il cielo non è vuoto. La vita non è un semplice prodotto delle leggi e della casualità della materia, ma in tutto e contemporaneamente al di sopra di tutto c’è una volontà personale, c’è uno Spirito che in Gesù si è rivelato come Amore.(ma il papa è di Libertà e persona?).

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Il linguaggio di Garibaldi.

Stasera Angela Pellicciari, ai Salesiani di Trento, alle ore 20.30, ci parlerà del vero volto di Garibaldi . Su di lui basti questa citazione: in occasione dell’Anticoncilio di Napoli, riunito in opposizione la Vaticano I, scriveva ai suoi amici di opporsi al “concistoro di lupi che avrà luogo a Roma nello stesso giorno!”

E aggiungeva: “Qui nella contaminata vecchia capitale del mondo, si disputerà sulla verginità di Maria che partorì un bel maschio sono ora 18 secoli (e ciò importa veramente molto alle affamate popolazioni); sull’eucarestia, cioè sul modo di inghiottire il reggitore dei mondi, e depositarlo poi, in un Closet qualunque. Sacrilegio che prova l’imbecillità degli uomini che non regalano d’un pugno di fango il nero, che sì sfacciatamente si beffa di loro. Finalmente sull’infallibilità di quel metro cubo di letame che si chiama Pio IX….Un’altra volta, dal balcone del palazzo della Foresteria io dicevo a codesto popolo: Il più atroce nemico dell’Italia è il Papa!”. E infine, riferendosi al sangue di san Gennaro, lo definisce “umiliante composizione chimica, che gli impostori vi spacciano per sangue di S. Gennaro…” e urla: “non sarà bene di frangere per sempre quell’ampolla contenente il veleno! E i confessionali fatti a pezzi, e resi utili a far bollire i maccheroni della povera gente…non lasciate le vostre donne e i vostri bambini contaminarsi nella bottega dei preti” (Giuseppe Garibaldi, Memorie, Rizzoli). Questo era Garibaldi, e non è inutile, oggi, rivederne la mitica figura, almeno per amore della verità storica, ma anche per capire da dove deriva questo paese così diviso, così ancora poco italiano, per il quale valgono ancora le parole di Massimo D’Azeglio, secondo le quali, fatta l’Italia, restano ancora da fare gli italiani.

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Assaggi n. 2: Libertà di educazione, i postcomunisti ripassino Gramsci

“Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa privata e ai comuni. La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente dal controllo dello Stato” (Antonio Gramsci, cit. in Giacomo Biffi, “Memorie e digressioni di un italiano cardinale”).

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Amnada, Meredith e gli altri …

Accade talora che i miei alunni mi chiedano cosa ne penso di questa o di quella vicenda di sangue o di violenza. Ogni volta, a loro che conoscono persino i dettagli, mi tocca ammettere che non ho seguito gli avvenimenti. Quando avevo vent’anni, o qualcosa meno, dopo una indigestione di romanzi gialli, decisi infatti di non leggere più di omicidi, violenze, malvagità, per non lasciarmi affascinare dal gusto per il male, dalla curiosità disordinata per tutto ciò che è brutto e malvagio. Non volevo, insomma, passare il tempo a fantasticare sulle peggiori azioni umane, come se in esse si potesse trovare un divertimento, un qualcosa di piacevole e appagante. All’uomo, spesso, infatti, piace voltolarsi nel fango, sfruculiare nel male, nelle sue pieghe più profonde, come se esso non fosse, in realtà, terribilmente banale, uguale a se stesso, ripetitivo, e soggiogante. Il sesso fine a se stesso chiede sesso, la lussuria, lussuria, l’egoismo, egoismo, in un circolo infinito.

Eppure, derogando a questa mia decisione, ho letto, in questi giorni, qualche articolo sulla vicenda della povera Meredith, la ragazza assassinata a Perugia. E mi sono reso conto che la sua storia poterebbe essere utile per capire qualcosa. E’ la storia di un piccolo pezzo di mondo, non il “mondo piccolo” di Guareschi, ma il mondo cittadino, cementificato e senza Dio di oggi. Un piccolo pezzo di mondo, dicevo, perfettamente rappresentativo di tanti altri, sparsi qua e là, nelle nostre moderne Babilonie: abitato da giovani inquieti, sradicati, multiculturali, bianchi e neri, italiani e stranieri, tutti vacuamente insieme, alla ricerca del piacere, unico collante della loro momentanea “integrazione”. Gli ingredienti della loro vita sono presto detti: canne, sesso, discoteche, musica, quella musica assordante e continua, chiamata a sostituire il pensiero, e strategie per godere al massimo ogni sensazione ed ogni esperienza. Ingredienti, qui sta la banalità del male, che sono sempre i medesimi. Nel fare il bene, nel vincere le passioni, nel dirsi di no, al contrario, c’è sempre fantasia, originalità, personalità, libertà.

Nelle notti di Amanda, Raffaele, Meredith e compagni, notti in cui si cercava forse di dare un senso al giorno, trascorso invano, c’erano invece la noia, il tedio, l’inquietudine stanca e scialba che sfociano sempre lì, nella schiavitù dei sensi. E i sensi, come dicevo, non hanno libertà né fantasia: vogliono, bramano, desiderano, sempre, ciecamente, senza prospettive, voracemente. Sono a tal punto tirannici che persino di fronte al sangue, alla morte, proseguono nel loro capriccio, ripiegati su se stessi: dopo l’omicidio di Meredith, Raffaele e Amanda hanno continuato a divertirsi, a dedicarsi alle cose più futili e alle cose più grandi, il loro presunto amore, nel modo più futile possibile, mentre Rudy, che aveva con la deceduta una relazione, ma non una simpatia, né amore, è subito andato a passare la notte in discoteca, forse per dimenticare, forse senza neppure sentire questa esigenza. Tutti insomma in movimento, mossi dall’avida voluttà, e dalla disperata noia. Una storia per la quale calzano a pennello le riflessioni di Baudelaire, quando ricordava nella prefazione ai suoi “Fiori del male”, che “nelle cose ripugnanti troviamo delle attrattive; ogni giorno, senza orrore scendiamo di un passo verso l’Inferno”… E parlando del piacere, della voluttà, “divinità pagana”, aveva scritto: “Oh! Non rallentare il tuo ardore; riscalda il mio cuore intorpidito, o voluttà, tortura delle anime. O Dea, diffusa nell’atmosfera, fiamma che arde nel nostro sotterraneo! Esaudisci un’anima assiderata, che ti consacra il suo canto di bronzo…versami il tuo sonnifero potente nel vino informe e mistico, voluttà, fantasma dalle mille forme”. Deve essersi accorto, ad un certo punto, del “sonnifero potente”, della “tortura delle anime” che è la pagana voluptas, anche Raffaele, uno dei protagonisti della squallida vicenda, se sono sincere le parole che ha scritto al padre: “L’unico pensiero di Amanda è la ricerca del piacere, in ogni momento…Ma dopo queste esperienze, credimi papà, non toccherò più una canna in vita mia. Solo ora ho capito cosa significhi passeggiare all’inferno. E prego Dio che non accada più”. Se in tanto male e in tanta tragedia, almeno Raffaele avesse capito “la selva oscura” in cui si era smarrito, la banalità del male di cui si era infatuato, potremmo sperare che sia già iniziata un’altra storia, come per Dante, quando, descritto appena il suo traviamento interiore, aggiunge: “ma per trattar del ben ch’io ritrovai…”, iniziando subito a raccontarci, così, la sua rinascita.

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Un creatore? Why not?

Nell’uovo, al momento della fecondazione, entrano il nucleo e il centriolo dello spermatozoo. Rimangono fuori tutto il citoplasma, la membrana cellulare e tutti gli organuli cellulari appartenenti allo spermatozoo. In pratica, entrano soltanto il centro organizzatore della mitosi (il centriolo, che poco dopo si duplicherà) e i cromosomi che contengono le istruzioni di origine paterna.
L’uovo deve fornire tutta la materia prima (il citoplasma), l’energia (i mitocondri) e le catene di produzione dei nuovi prodotti (ribosomi, polimerasi, enzimi) necessari alla nuova vita. I cromosomi paterni, da soli, non possono nemmeno esprimersi: sono come un libro che contiene un messaggio stupendo ma che rimane in attesa di essere aperto da qualcuno per poter “esistere”. Il citoplasma dell’uovo ha maturato sostanze che vanno a decondensare la cromatina e ad aprire i siti di inizio dei geni, per consentirne la trascrizione e poi la traduzione, ovvero la formazione delle proteine indispensabili alla nuova vita che si deve sviluppare alla perfezione. Detto in altre parole, è l’uovo, con le sue sostanze, che rende funzionali le istruzioni che erano contenute nello spermatozoo e quindi dà loro senso. E’ come se l’uovo fosse il direttore d’orchestra che decide quando deve suonare il violino e quando la tromba e quando il violoncello, che, altrimenti, rimarrebbero sì presenti in sala, ma perennemente muti.
 La domanda che tutti ci poniamo a questo punto è: “Come ha potuto l’uovo diventare direttore dell’orchestra che non ha mai conosciuto prima?”, ancora: “Come avrebbe mai potuto l’ambiente dell’uovo (per usare i termini cari ai darwiniani) costruire un sistema complesso (enzimi, energia, materia prima) in grado di interagire con l’ambiente del nucleo dello spermatozoo, che non ha mai visto prima della fecondazione e che proviene addirittura da un altro corpo?” Siamo di fronte ad un fenomeno che ha veramente dell’incredibile! L’ovocita “attende” uno spermatozoo, così come una persona va ad un appuntamento. Sono fatti l’uno per l’altro, eppure non si sono mai visti prima! Invocare, a questo punto, una risposta ragionevole come questa che dice all’incirca così: “l’uovo e lo spermatozoo sono stati progettati dall’esterno del sistema per realizzare una nuova vita individuale” significa uscire dall’ambito della Scienza (con la esse maiuscola, per carità!) e incorrere nella sanzione prevista dalla risoluzione del Parlamento europeo n° 1580 del 4 ottobre 2007, che invita “gli Stati membri e in particolare le autorità educative ad opporsi fermamente all’insegnamento del creazionismo come una disciplina scientifica”? Mi domando: sarebbe più scientifico affermare che le cellule riproduttive sono state selezionate dall’ambiente in tempi che si misurano a milioni di anni, realizzando a piccoli passi, ma in modo assolutamente fortuito e naturale, prima la meiosi, evento di loro esclusiva proprietà, che porta al dimezzamento del numero dei cromosomi attraverso due divisioni cellulari, poi la fecondazione, di cui mantengono l’esclusiva, quindi la mitosi e l’intero sviluppo embrionale, che prevede simmetrie, morfogenesi, organogenesi, sacca amniotica, mancata espulsione uterina, parto miracoloso ed immediato allattamento al seno? Perché dobbiamo abdicare all’uso della ragione proprio quando la stiamo utilizzando al massimo delle sue possibilità, cioè quando siamo alla ricerca della verità delle cose?
Come dire, esemplificando questa volta con l’aiuto dell’ingegneria: tutti vediamo il progetto del cantiere disteso sul tavolo dello studio di professionisti, ma solo la religione può nominare il suo designer; la scienza non può che analizzarne il tratto di matita segmentandolo in milioni di millimetri per cui può dire che si sono accumulati nel tempo, uno dopo l’altro, fortuitamente, selezionati dalla carta (il suo ambiente) e non dalla mano e dalla testa di chi l’ha pensato. Credo, invece, che tutte le volte che abbiamo la possibilità di “allargare la ragione”, conferendole fiducia nelle sue capacità di conoscenza e di intuizione, facciamo un profondo servizio alla nostra umanità, perennemente mendicante di verità.

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