Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023. Ha una pagina youtube: https://www.youtube.com/channel/UC4keWMPfcFgyMAe3ke72HOw
Fulvio Scaglione è un inviato di guerra e un esperto di geopolitica cattolico e direttore di Inside Over. Nel suo libro “Il patto con il diavolo” del 2016, ricorda tra le altre cose la voce dei cristiani del Medio Oriente.
Riporto solo alcuni dati che dimostrano come le guerre Usa-Israele
1 non siano affatto contro il fondamentalismo islamico
2 abbiano favorito il fondamentalismo islamico
3 abbiano quasi distrutto la presenza cristiana in Medio Oriente
Infatti l’Iraq di Saddam era un regime laico, in cui vi erano 1,5 milioni di cristiani. Dopo le guerre in Iraq volute dai neocon americani e israeliani, i cristiani sono mezzo milione e la nuova costituzione, quella dopo la “liberazione”, prevede che l’Islam sia la “religione ufficiale di stato”.
In Siria, dove Usa, Israele e Turchia, hanno portato l’Isis al potere, i cristiani erano 3 milioni prima del 2011, oggi sono molto meno di un terzo.
Conosciamo bene, dicono i vescovi del Medio Oriente intervistati da Scaglione, gli ambigui rapporti tra Usa/Israele a l’Isis, come la stretta alleanza tra l’Occidente e l’Arabia Saudita e il Qatar, principali sostenitori dell’estremismo e del jihadismo.
La guerra in Israele genera, come quella in Ucraina, molte reazioni di pancia. Qualcuno giudica i fatti ricordando le inenarrabili violenze subite dagli ebrei durante la persecuzione nazista; qualcuno è guidato, invece, da una antipatia per gli ebrei in quanto tali, addossando magari all’intero popolo le colpe personali di alcuni; altri invece ragionano più o meno così: “se ci sono gli islamici di mezzo, con le loro guerre sante, il terrorismo, il loro disprezzo della donna ecc., è inevitabile stare con l’esercito israeliano!”.
Molti ricordano in questi giorni la famosa fialetta di antrace agitata da Colin Powell per giustificare la guerra in Iraq del 2003.
Andrebbe ricordato che la mistificazione andò ben oltre:
1) Saddam stava lavorando all’atomica
2) Saddam voleva distruggere Israele
3) Saddam aveva le armi chimiche
4) Saddam faceva uccidere i bambini facendoli togliere dalle incubatrici
5) Saddam aveva legami con Al Quaeda (poi smentiti dallo stesso senato americano).
L’effetto di una guerra per il controllo del petrolio, per sostituirsi al controllo russo nella zona, per stabilizzare la regione a favore di Isreale… è stato di circa 1 milione di morti innocenti, la distruzione di quasi tutta la comunità cattolica irakena, l’instabilità diffusa, l’emigrazione…
Protagonisti di questa menzognera narrazione furono i neocon, con la collaborazione di Benjamin Netanyahu e dei suoi alleati repubblicani americani
Il movimento radicale islamico di Hamas nasce nel 1987.
Lo ha ricordato per anni Samīr Khalīl Samīr, cattolico egiziano, pro rettore del Pontificio Istituto Orientale di Roma, noto per i suoi scritti polemici contro l’Islam, consulente di Benedetto XVI per il Medio Oriente.
Perchè Samir ricordava questa data?
Per spiegare che la questione palestinese non data a questi ultimi anni, tantomeno, si potrebbe dire, al famoso 7 ottobre, ma molto prima. Tutto origina, ricorda Samir, dall’occupazione di terre dei palestinesi ad opera dei sionisti, con l’appoggio dell’Occidente (ad eccezione dell’Italia democristiana).
Quello è il peccato originale, da cui sgorgano da 70 anni violenza su violenza, da entrambe le parti. Per capire perchè Hamas abbia prosperato, bisogna allora tener presente almeno 3 cose:
-i milioni di profughi palestinesi post 1948;
-la condizione di Gaza pre 1987;
Soffermiamoci un attimo su questo con un articolo del 1986 (vedi foto in alto): Gaza, la colonia formicaio Un rapporto sul piccolo territorio occupato da Israele
Gaza, la colonia formicaio Duemila persone per chilometro quadrato, operai sottopagati, strutture sanitarie inesistenti
TEL AVIV — Un rapporto del professor Meron Benvenisti (già vicesindaco di Gerusalemme, studioso del Medio Oriente e autore di un’importante opera sui Crociati) sulle condizioni geopolitiche della regione di Gaza, indica che in questo territorio — di cui si parla molto meno che della West Bank perché la colonizzazione ebraica è più limitata e su di esso non gravano le pretese storiche del Grande Israele — la realtà sociale è complessa e esplosiva Anzitutto, la densità della’ popolazione, una delle più alte del mondo: 2100 persone per chilometro quadrato rispetto alle 186 di Israele e alle 140 della Cisgiordanla. Qui risiede il 40 per cento di tutti i palestinesi dei territori occupati: 525 mila persone che vivono per la maggior parte in otto campi profughi, il loro numero si raddoppia a ogni generazione. Quarantacinquemila dei lavoratori della fascia di Gaza, il 50 per cento della forza operaia, lavorano In Israele. Secondo il rapporto Benvenisti, essi ricevono salari del 40 per cento più bassi di quelli degli israeliani e, oltre alle tasse locali, devono pagare l’imposta sul reddito e l’assicurazione nazionale. In tal modo, conclude il relatore, si può dire che tutta la fascia di Gaza stia diventando un vasto campo di lavoro a uso di Israele e che non esiste più un’economia indipendente in questa regione. La disoccupazione cresce anche per la diminuita richiesta di lavoratori nel Golfo Persico a causa della guerra irano-irachena e del ribasso dei prezzi del petrolio. Nel 1973 le somme guadagnate dagli arabi di Gaza in Israele rappresentavano il 31% del totale delle entrate dell’area: oggi sfiorano la metà, a conferma della crescente dipendenza di questa regione dallo Stato di Israele. Al tempo stesso il prodotto nazionale lordo pro capite della regione è un quinto di quello israeliano. A questa crescerne dipendenza economica fa riscontro un indebolimento di quelle che erano le risorse tradizionali della regione: gli agrumi e la pesca. La produzione delle arance che ammontava a 243 mila tonnellate nel 1975 è scesa a 164 mila nel 1984. La pesca è scesa da 3000 tonnellate nel 1968 a 420 nei primi 8 mesi del 1985. E questo soprattutto perché le autorità militari hanno stabilito per la pesca un limite di dodici chilometri dalla costa e l’Egitto ha rifiutalo ai gazani di pescare nella laguna di Bardwill. nel nord del Sinai. Il settore industriale di Gaza, stagnante per mancanza di investimenti arabi e israeliani, è caratterizzato da piccoli chalets che danno lavoro a un numero limitato di persone e funzionano oramai come subappaltatori Il rapporto Benvenisti afferma che le condizioni sanitarie della regione sono catastrofiche- e che dodici su quindici città, villaggi e campi sono privi di impianti di fognatura o di altre misure igieniche si che spesso le acque di scolo straripano (ci sono stati casi di colera). La mortalità infantile è quattro volte superiore a quella di Israele e gli ospedali hanno mezzi inadeguati e personale insufficiente. Le scuole sono sovrappopolate e fatiscenti. Nonostante il grande aumento della popolazione il numero dei diplomati nelle scuole superiori è diminuito perché un crescente numero di studenti si ritira prima della maturità per cercar lavoro in Israele e ci sono limitatissime possibilità per chi ha titoli di studio. Giorgio Romano La Stampa, 31/5/1986.
Vediamo anche qualche altro documento:
La Stampa, 10/2/1983
La Stampa, dicembre 1987
-la marginalizzazione dell’OLP, su cui invece puntavano i fautori dei due stati e della pace, tra cui la Santa Sede, da parte dei nazionalisti ebrei; si parla spesso del rifiuto di Hamas a riconoscere Israele, ma bisognerebbe ricordare anche il rifiuto di Israele, in mille occasioni, a dialogare con l’OLP (sino all’accusa alla Chiesa e a Giovanni Paolo II di essere antisemita, quando provava ad intessere trattative con Arafat), rifiuto che non ha fatto altro che favorire l’esplosione di Hamas (molti sostengono che Netanyahu abbia cercato proprio questo obiettivo, in nome del divide et impera)
Continuo a leggere che Degasperi avrebbe detto che il suo era un “centro che guarda a sinistra”.
Ho spiegato più volte che la frase estrapolata dal contesto non ha senso alcuno; lo ha spiegato anche Maria Romana Degasperi nella sua celebre autobiografia.
Anch’io ho dunque creduto a lungo, avendo letto da cento parti, che quella frase fosse stata pronunciata, ma solo per dire che la Dc aveva attenzione alle questioni operaie, senza per questo voler avere nulla a che fare con la sinistra politica.
Mi sono poi messo a cercare nell’archivio con tutti i discorsi e i comizi e gli articoli di Degasperi: la frase semplicemente non esiste. Degasperi non la ha mai nè detta nè pronunciata.
Ho poi scoperto che qualcuno ci era già arrivato.
Così Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera del 31 luglio 2024:
"Alcide De Gasperi non disse mai quella frase in pubblico, e non ci sono prove che l’abbia detta in privato. L’unica fonte diretta è il diario di un uomo di Chiesa, che sostiene di averla sentita. Giulio Andreotti era convinto che non fosse mai stata pronunciata. Resta un dato oggettivo: De Gasperi tenne centinaia di comizi e di discorsi pubblici; se avesse voluto dire questa cosa, l’avrebbe detta; e non l’ha fatto. Al di là della questione linguistica, Alcide De Gasperi non guardava a sinistra, ma avanti. E non era un uomo di centrosinistra. Governò con i comunisti, per necessità; ma li estromesse nella primavera del 1947, e li batté nettamente alle elezioni, dopo aver ricevuto insulti infamanti (in particolare lo faceva soffrire l’accusa di aver gioito per l’esecuzione di Cesare Battisti, con cui era stato insieme nelle galere austriache per aver chiesto un’università in lingua italiana). Gli anni di De Gasperi sono gli anni del centrismo, della guerra fredda, della linea dura di Scelba, con i socialisti ancora legati ai comunisti. Il centrosinistra nasce dieci anni dopo l’addio di De Gasperi al governo e nove anni dopo la sua morte. In qualsiasi altro Paese al mondo, De Gasperi sarebbe considerato per quello che fu: un uomo di centrodestra".
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