Tipi umani 1: Il sovversivo studente di Sociologia

Il sovversivo studente di Sociologia si sente nato con quarant’anni di ritardo. Il Sessantotto però è come se l’avesse vissuto in prima persona, perché il suo papà “gli racconta sempre”. Manifestazioni, fumogeni, occupazioni, scontri con i poliziotti, coretti di “via, via, la polizia” affollano il suo universo onirico. Il sovversivo studente di Sociologia è convinto che le giovani generazioni del Duemila abbiano smarrito la carica ideale degli anni Sessanta e Settanta, adagiandosi passivamente nell’opulenza colpevole dei paesi capitalisti. Specie in Italia, le passate conquiste civili sono insidiate da molti pericoli. Di certo non ci sarà speranza finché al signor Silvio Berlusconi, noto capitalista e possessore di ben tre reti televisive, sarà permesso di fare politica e di circolare a piede libero sul territorio nazionale. Prima che si abbia il tempo di osservarlo bene o di chiedergli come si chiama, il sovversivo studente di Sociologia ha già esposto ex abrupto e con tono declamatorio queste sue convinzioni fondamentali, rimandando per un approfondimento all’Opera omnia rispettivamente di Carlo Marx e di Marco Travaglio*.
*[Il libro preferito del sovversivo studente di Sociologia è però L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse, di cui possiede una copia dell’edizione “Nuovo Politecnico” Einaudi del 1967 che la leggenda familiare vuole essere appartenuta al mitico Renato Curcio: entrando in clandestinità nel 1969, Curcio l’avrebbe abbandonata nel suo appartamento di Mattarello, confusa tra alcune stoviglie di Margherita Cagol, e il padre del sovversivo studente di Sociologia ne sarebbe entrato in possesso perché amico del proprietario dell’appartamento, il quale dal canto suo desiderava solo liberare il locale. Questa vicenda è confermata dal fatto che il volume è visibilmente annotato e sottolineato con una biro rossa. Ndr].
A questo punto possiamo inquadrare con calma il sovversivo studente di Sociologia, che si sta arrotolando in disparte una “sigaretta” (così dice, ndr). Il sovversivo studente di Sociologia veste sul marron-verde-giallo (possiede infatti tre vestiti, ndr), piuttosto ampio e cascante specie didietro, e si orna con vari oggetti penduli imitanti antiche e rispettabili iconografie tribali. Porta i capelli rasta, lavandosi di conseguenza molto poco; c’è anzi tra i suoi conoscenti chi mormora che i rasta siano solo un pretesto per lavarsi il meno possibile. Dall’età di quindici anni ha sempre incrementato il numero dei suoi piercing, fino al giorno in cui il cane di un suo amico punkabbestia ha addentato l’osso finto che portava sul labbro inferiore, facendogli molto male e asportando con uno strattone i suddetti osso finto e labbro inferiore (di quest’ultimo fortunatamente solo una parte, ndr). Il sovversivo studente di Sociologia frequenta quotidianamente il C.S.A. Bruno, dove è riguardato come l’intellettuale della compa a causa dei suoi frequenti riferimenti alla filmografia di Eisenstein e a Salò di Pasolini, in particolare l’episodio dei chiodi nascosti nella polenta. La sua canzone preferita dopo Bella ciao è Rigurgito antifascista dei 99 Posse, il cui ritornello recita:

C’ho un rigurgito antifascista,
se vedo un punto nero ci sparo a vista!
C’ho un rigurgito antifascista,
se vedo un punto nero ci sparo a vista!

L’episodio di cui il sovversivo studente di Sociologia andrà fiero fino alla fine dei suoi giorni si riferisce a una manifestazione contro le scuole private avvenuta qualche anno fa, al tempo delle superiori: il corteo sostava davanti alla cancellata dell’Istituto Arcivescovile, quando all’improvviso, nella confusione, il megafono gli capitò insperatamente tra le mani. Il sovversivo futuro studente di Sociologia urlò con tutto il fiato che aveva in corpo “CLORO AL CLERO! CLORO AL CLERO!”, riscuotendo un’ovazione tra i compagni. Da brivido quella volta!
Il sovversivo studente di Sociologia ha anche letto molti romanzi di Hermann Hesse (non sa perché) e gli pare di aver visto un film di Bergman di cui però non ricorda il titolo.
Con l’università è un po’ fermo.

Assaggi 24: Vita del bel tempo che fu in un brano manzoniano

“C’era infatti quel brulichio, quel ronzio che si sente in un villaggio, sulla sera, e che, dopo pochi momenti, dà luogo alla quiete solenne della notte. Le donne venivan dal campo, portandosi in collo i bambini, e tenendo per la mano i ragazzi più grandini, ai quali facevan dire le divozioni della sera; venivan gli uomini, con le vanghe, e con le zappe sulle spalle. All’aprirsi degli usci, si vedevan luccicare qua e là i fuochi accesi per le povere cene: si sentiva nella strada barattare i saluti, e qualche parola, sulla scarsità della raccolta, e sulla miseria dell’annata; e più delle parole, si sentivano i tocchi misurati e sonori della campana, che annunziava”. Dal capitolo VII dei Promessi Sposi.

Assaggi n. 23: Poesiole del giovine Marx

Invocazione di un disperato: “Voglio vendicarmi di colui che regna al di sopra di noi / Voglio costruirmi un trono nelle alture / la sua sommità sarà glaciale e gigantesca / avrà per baluardo un terrore superstizioso / per maresciallo la più tetra agonia”.

Oulanem: “Guarda questa spada: il Principe delle tenebre me l’ha venduta… Mentre per noi due si apre l’abisso / spalancato nelle tenebre / Tu scomparirai nei suoi più profondi recessi / dove io ti seguirò ridendo / sussurrandoti all’orecchio / “scendi amico mio, vieni con me”…”.

La fanciulla pallida: “Così ho perduto il cielo / lo so benissimo / la mia anima una volta fedele a Dio / è stata segnata per l’inferno”.

da http://piccolozaccheo.splinder.com/post/14551452/diavolo+d%27un+Marx

Assaggi n. 22: La “cultura del niente”

“..Io penso che l?Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l?atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa cultura del niente (sorretta dall?edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all?assalto ideologico dell?Islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell?avvenimento cristiano come unica salvezza per l?uomo – e quindi solo una decisa risurrezione dell?antica anima dell?Europa – potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto…”. (S.E. Card. Giacomo Biffi, Nota pastorale settembre 2000)

Assaggi 21: Del perché la punizione (pena di morte compresa) sia un bisogno dell’anima umana (Simone Weil)

? stata recentemente approvata la famosa moratoria ONU sulla pena di morte. Grande giubilo delle forze sinistrorse e/o anticristiane. I Radicali, dopo aver perseguito per decenni la condanna a morte degli innocenti (aborto, eutanasia, eccetera), ottengono finalmente l’assoluzione per i colpevoli. Nel mondo alla rovescia che costoro vogliono inaugurare, un provvedimento simile non fa una piega. Ma i cristiani? La soddisfazione di molte organizzazioni cattoliche e di uomini di Chiesa per l’abolizione della pena di morte è incomprensibile. Da Socrate a Tommaso d’Aquino ad Antonio Rosmini, la grande filosofia occidentale approva la pena di morte, considerata come una vera e propria esigenza di giustizia e di carità al contempo. La Tradizione della Chiesa, concorde in questo con il comune sentire di tutte le culture religiose e tradizionali dell’umanità, non ha mai avuto nulla da eccepire (così come moltissimi Santi). Riporto qui un brano di Simone Weil sulla punizione come bisogno (e quasi diritto) dell’anima umana, datato 1949, che può aiutarci a ragionare al di là del sentimentalismo e dell’emotività.

La punizione è un bisogno vitale dell’anima umana. ? di due tipi: disciplinare e penale. Le punizioni del primo tipo offrono una sicurezza contro quelle mancanze nei confronti delle quali la lotta sarebbe troppo estenuante se fosse priva di un sostegno esteriore. Ma la punizione più indispensabile all’anima è la punizione del delitto. Col delitto l’uomo si pone da sé al di fuori di quella rete di obblighi eterni che uniscono ogni essere umano a tutti gli altri. Egli può esservi reintegrato soltanto con la punizione; interamente, se v’è consenso da parte sua, e parzialmente se non ve n’è.
Come il solo modo di testimoniare rispetto a chi soffra la fame è dargli da mangiare, così l’unico modo di testimoniare rispetto a chi si è posto fuori della legge è reintegrarlo nella legge sottoponendolo alla punizione che essa prescrive.
Il bisogno di punizione non è soddisfatto quando il codice penale, come avviene di solito, sia solo una procedura di costrizione mediante il terrore.
La soddisfazione di questo bisogno esige anzitutto che quanto riguarda il diritto penale abbia un carattere solenne e sacro; che la maestà della legge si comunichi al tribunale, alla polizia, all’accusato, al condannato, e che questo avvenga persino nei casi poco importanti, purché comportino privazione di libertà. Occorre che la punizione sia un onore, che non solo cancelli la vergogna del delitto, ma venga considerata un’educazione supplementare a essere maggiormente devoti al pubblico bene. Occorre anche che la gravità della pena risponda al carattere degli obblighi violati e non all’interesse della sicurezza sociale.
La sconsideratezza della polizia, la leggerezza dei magistrati, il regime delle prigioni, il declassamento definitivo dei pregiudicati, la scala delle pene che prevede una punizione assai più crudele per dieci furti insignificanti che per uno stupro o per certi assassinii, e che inoltre prevede punizioni per il semplice incidente, tutto ciò impedisce che esista fra noi qualunque cosa meriti il nome di punizione.
Per gli errori come per i delitti, il grado di impunità deve aumentare non quando si sale ma quando si scende la scala sociale. Altrimenti le sofferenze imposte sono sentite come costrizioni o persino come abuso di potere, e non costituiscono punizioni. La punizione esiste solo se, in un qualche momento, foss’anche quando tutto fosse finito e quindi nel ricordo, la sofferenza si associa alla coscienza della giustizia. Come il musicista desta con i suoni il sentimento della bellezza, così il sistema penale deve destare nel delinquente il sentimento della giustizia mediante il dolore, o persino, se occorre, mediante la morte. Come dell’apprendista che si è ferito diciamo che il mestiere gli è entrato in corpo, così la punizione è un metodo per far entrare la giustizia nell’animo del delinquente mediante la sofferenza nella carne.
Il problema della procedura migliore per impedire che si stabilisca nelle alte sfere una cospirazione volta a ottenere l’impunità è uno dei problemi politici più difficili da risolvere. Può essere risolto soltanto se uno o più uomini hanno l’incarico di impedire tale cospirazione e si trovano in una situazione tale da non essere tentati di farne parte”.
(da Simone Weil, La prima radice. Preludio ad una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano)

Assaggi n. 20: “Svelare al cosmo stesso la sua magnificenza”. Liturgia e bellezza secondo Ratzinger ’85

“? divenuto sempre più percepibile il pauroso impoverimento che si manifesta dove si scaccia la bellezza e ci si assoggetta solo all’utile. L’esperienza ha mostrato come il ripiegamento sull’unica categoria del “comprensibile a tutti” non ha reso le liturgie davvero più comprensibili, più aperte, ma solo più povere. Liturgia “semplice” non significa misera o a buon mercato: c’è la semplicità che viene dal banale e quella che deriva dalla ricchezza spirituale, culturale, storica”.
(…)
“Una Chiesa che si riduca solo a fare della musica “corrente” cade nell’inetto e diviene essa stessa inetta. La Chiesa ha il dovere di essere anche “città della gloria”, luogo dove sono raccolte e portate all’orecchio di Dio le voci più profonde dell’umanità. La Chiesa non può appagarsi del solo ordinario, del solo usuale: deve ridestare la voce del Cosmo, glorificando il Creatore e svelando al Cosmo stesso la sua magnificenza, rendendolo bello, abitabile, umano” (Card. Joseph Ratzinger, Rapporto sulla fede, 1985).

Assaggi n. 19: Il Natale di Rino Cammilleri

da rinocammilleri.it: Natale. La festa più bella diventata la più odiosa. Scervellarsi per scegliere i regali, pigiarsi con la gente nei negozi, rimetterci la tredicesima. Riempirsi la casa e riempire l’altrui di cose inutili. Chi non ha famiglia o ha contrasti all’interno di essa odia questa festa vieppiù. Il politically correct ha raggiunto il capolavoro del ridicolo sfrattando Cristo dal di Lui compleanno, così che si festeggia e si sta in ferie senza motivo.

Luci e neon e palline colorate e finta allegria fino alle 20,00 del 24 sera, poi di colpo il silenzio. Poi due giorni di negozi chiusi e città fantasma. Natale coi film di Pieraccioni e De Sica e Boldi. Qualcuno si spara. Qualcun altro spara ai parenti.

Natale, che comincia a novembre e finisce il 7 gennaio. Nessuno era riuscito ad abolire il Natale cristiano, neanche Hitler.

C’è riuscita la stupidità umana. Meglio ricordarsi che l’8 dicembre si è aperto l’anno giubilare di Lourdes e che si può lucrare l’indulgenza plenaria per sé, per le anime del Purgatorio o per chi si vuole.

Se proprio non avete per chi chiederla, chiedetela per me, che non vedo l’ora, ogni anno, che passino i due mesi natalizi.

Auguri a tutti voi, cari lettori, soprattutto a quelli per cui il Natale non sarà affatto felice.

Barzellette …di Natale.

Un frate bussa alla porta del paradiso: Per favore aprite! Chi è? Un cappuccino. Nessuno lo ha ordinato!

 Il catechsita: cosa ha detto Lazzaro appena risuscitato? Pierino: sono vivo per miracolo!

Il padre alla figlia: Ma come, sei fidanzata con il fornaio ed esci col salumiere? La Figlia: non si vive di solo pane…!

Pio Xi un giorno ricevette una gigantesca signora inglese. Figlia mia, cosa vi porta in Vaticano? La fede, Santità? Terminata l’udienza il papa disseal suo segretario: E’ proprio vero che la fede sposta le montagne!

Signora, domanda un doganiera ad una donna che sta rientrando dalla Francia, cosa c’è in questa bottiglia? Acqua di Lourdes. Davvero? A me sembra cognac! Oh, miracolo, miracolo!

Due frati si incontrano. Uno dice: san Francesco è malato. O poveretto, dice l’altro, cosa ha? L’aviaria! Glielo avevo detto di non parlare agli uccelli!

 

Il Padre Eterno chiama a rapporto san Pietro: Perchè hai castigato quell’angelo? Perchè spiava gli uomini dal buco dell’ozono!

Pierino vede le candele davanti alla statua di Sant’Antonio ed esclama: Mamma, compie gli anni quello lì?

Giovanna D’Arco: il primo esempio… di gioventù bruciata…

Natale: giorno in cui il frigorifero batte la televisione.

Assaggi n. 18: Un fantasma si aggira per l’Europa

Oggi si può ben dire, parafrasando tutt’altre affermazioni, che un formidabile ” fantasma ” percorre le strade dell’Europa tecnologica. Dovunque appaia, suscita speranze, provoca reazioni, scatena forze represse, inespresse, insospettate. Ha tutte le caratteristiche naturali delle eruzioni vulcaniche: è come se risorgesse dal profondo delle coscienze e risvegliasse gli spiriti immersi nel sonno beota dell’opulenza, e scuotesse da un troppo prolungato letargo gli uomini imbarbariti dal bisogno, atomizzati dall’incertezza, dilaniati dalla relatività.
? un ” fantasma ” che si riteneva esorcizzato e definitivamente sepolto nella polvere del tempo. Ma eccolo invece risorgere dalle sue stesse ceneri come l’Araba fenice, più vivo che mai, e corrusco, e vitale, e invincibile, proteso come un arco verso le mete del Terzo Millennio della civiltà umana. Quelle stesse mete che parevano seriamente ipotecate dal sincretismo religioso, dal materialismo storico, dal velleitarismo utopistico dei ” nuovi barbari “, figli tutti di una medesima concezione riduttiva della persona umana. Grazie a quel ” fantasma “, che sembra scaturito dalla cultura stessa dell’Occidente come Minerva dal cervello di Giove, hanno riacquistato voce i silenziosi, unitarietà gli sbandati, vessilli i crociati, certezze i titubanti, potenza i deboli. Ma anche i valori ed i princìpi da tutti costoro difesi, sono stati riesumati, rilanciati ed esaltati davanti agli occhi di un mondo stupefatto e incredulo. Quel ” fantasma ” si chiama Tradizione. (Emilio Cavaterra)

Assaggi nn. 10-15: Non c’è comunità senza una metafisica comune. La posizione di alcuni pensatori e del Papa

“In ogni società superiore, viva, il corpo sociale appare dominato, vivificato, da una realtà suprema, oggetto comune e punto di convergenza degli spiriti e delle volontà. La fede in questa realtà è la sua anima e il vincolo che unisce gli associati. Soltanto grazie alla fede il corpo sociale continua ad esistere e si sviluppa, nella misura in cui tutti comunicano in essa, in cui ciascuno le sottomette la propria logica, il proprio egoismo, il proprio immediato benessere” (Augustin Cochin, Meccanica della Rivoluzione).

“Tutti i vostri sostegni sono troppo fragili se il vostro Stato conserva la tendenza verso la terra, ma legatelo alle altezze del cielo con un anelito più elevato, dategli un collegamento con l’universo ed avrete in lui una molla che non stanca mai e vedrete i vostri sforzi abbondantemente ricompensati” (Novalis, Cristianità o Europa).

“Il principio dell’unità della società umana risiede al di sopra di questa” (Gustave Thibon, Ritorno al reale).

“Il concetto di cultura si attua solo allorchè l’ideale che ne determina l’indirizzo è più elevato degli interessi rivendicati dalla comunità stessa. La cultura deve avere un indirizzo metafisico, altrimenti non esiste” (Johan Huizinga, La crisi della civiltà).

“Anche le strutture migliori funzionano soltanto se in una comunità sono vive delle convinzioni che siano in grado di motivare gli uomini ad una libera adesione all’ordinamento comunitario. La libertà necessita di una convinzione; una convinzione non esiste da sé, ma deve essere sempre di nuovo riconquistata comunitariamente” (Benedetto XVI, enciclica Spe salvi, 30 novembre 2007).

“Gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del ‘da dove’ e del ‘verso dove’, gli interrogativi della religione e dell’ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla “scienza” intesa in questo modo e devono essere spostati nell’ambito del soggettivo (…) in questo modo (…) l’ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità” (Joseph Ratzinger, “Discorso di Ratisbona” del 12 settembre 2006).