Carisma, capacità di motivazione, fiducia nel team, il ‘segreto del suo successo’. A seguire nella top ten dei leader storici, ideali manager in ufficio, Gandhi e poi Che Guevara. Al quinto posto la prima donna: Cleopatra
Le qualità del capo ideale? Carisma, capacità di motivazione, fiducia nel team. E un mix di umiltà e fermezza, unite a una certa visione del futuro. Un po’ come Gesù, insomma, che secondo un terzo degli impiegati italiani, è il modello ideale di capo anche sul lavoro. Meglio di condottieri, leader politici e militari, che, da John Fitzgerald Kennedy a Napoleone, da Giulio Cesare a Garibaldi, cedono il passo nella top ten dei leader storici. Al secondo posto il profeta della non violenza Gandhi, che batte il rivoluzionario Che Guevara.
E’ quanto emerge da un’indagine condotta da Accor Services, società che si occupa di soluzioni innovative per coniugare benessere e produttività in azienda (dai famosi Ticket Restaurant ai Compliments fino al maggiordomo in ufficio) nell’ambito di un’iniziativa chiamata ”Il segreto del successo”, che ha coinvolto oltre 20.000 dipendenti italiani, maschi e femmine, appartenenti a settori aziendali differenti, per eleggere il capo ideale.
A sorpresa, Gesù ha letteralmente sbaragliato gli avversari, raccogliendo ben il 35% delle preferenze (in pratica una su tre) e distaccando notevolmente il secondo posto di Gandhi, fermo al 22,2%, e il terzo di Che Guevara (9,1%). Insomma tre diversi tipi di rivoluzionari guidano la classifica dei leader più amati. Insomma, anche in ufficio Gesù è senza dubbio il capo ideale. Curiosamente, nella classifica stilata da Accor Services non figura nessun guru dell’economia o del mondo delle imprese, e scarseggiano anche i leader politici veri e propri. Non solo: il ruolo di capo, ancora oggi sembra essere appannaggio maschile, tanto è vero che ben 7 tra i 10 dei nomi più votati appartengono a uomini, mentre solo tre sono le donne.
Ma quali sono gli altri leader ideali? Al quarto posto di questa particolare top ten c’è Giulio Cesare, decisamente distante dai primi tre col 5,8% di preferenze, che supera di un soffio la prima donna in classifica che, guarda caso, è proprio la sua contemporanea Cleopatra (al quinto posto col 5%) di pochissimo davanti a J.F. Kennedy (4,9%) al sesto posto. Il presidente americano è il primo e unico politico a comparire tra i primi 10. Napoleone si accontenta del settimo posto (4,4%), Giovanna d’Arco, seconda donna in classifica, dell’ottavo (3,2%) e il generale Giuseppe Garibaldi del nono (3%). Sotto la soglia di sbarramento la terza donna più votata: si tratta della regina Elisabetta I (1,5%), favorita forse dalle fattezze cinematografiche di Kate Blanchett.
Milano, 3 feb. (Adnkronos)
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Assaggi n. 34: Eliot e i Magi
…Considerate
questo: ci trascinammo per tutta quella strada
per una Nascita o per una Morte? Vi fu una Nascita, certo,
ne avemmo prova e non avemmo dubbio. Avevo visto nascita e morte,
ma le avevo pensate differenti; per noi questa Nascita fu
come un’aspra ed amara sofferenza, la nostra morte.
Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri regni,
ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi,
fra un popolo straniero ch’è rimasto aggrappato ai propri idoli.
T.S. Eliot, Il viaggio dei Magi
Assaggi 31-32-33. Chiesa-mondo, la conciliazione impossibile
“Mostrerebbe di non conoscere né la Chiesa né il mondo chi pensasse che queste due realtà possono incontrarsi senza conflitto. Non sono i cristiani che si oppongono al mondo. ? il mondo che si oppone a loro quando è proclamata la verità su Dio, su Cristo, sull’uomo. Il mondo si rivolta quando il peccato e la grazia sono chiamati con il loro nome”. Card. Joseph Ratzinger
“Il solo incontro autentico e salutare della Chiesa con il mondo è quello dei confessori senza macchia, dei dottori inflessibili, delle vergini fedeli e dei martiri invincibili, ricoperti della tunica scarlatta intinta nel sangue dell’Agnello”. Roger-Thomas Calmel O.P.
“I figli delle tenebre non si conquistano sempre con i sorrisi amabili. A molta gente non possiamo offrire un principio di salvezza che a questo modo: il pugno nello stomaco”. Card. Giuseppe Siri
Tipi umani 4: Il reazionario arrabbiato
Malauguratamente è ora d’alzarsi.
Il sole già barbaglia, là fuori, sui vetrami anonimi degli atroci casermoni fatti erigere da un’amministrazione comunale rossa negli innominabili anni Sessanta.
Il reazionario arrabbiato si drizza col busto sul guanciale; si stiracchia; maledice tra sé e sé, sul filo dei pensieri, il dannato realismo socialista.
Sa da tempo che tutto ciò che è brutto, in architettura, è almeno imparentato con il dannato realismo socialista.
Il reazionario arrabbiato si stropiccia gli occhietti cisposi, percorsi in lungo e in largo da minuscole, rubicanti venuzze.
La luce, l’odiata luce – da cui Lumi, Illuminismo, Illuminati di Baviera – ha già certamente provveduto a riportare in vita gli scarabocchi, gli odiatissimi scarabocchi che vieppiù incanagliscono le già ributtanti vestigia dell’edilizia moderna.
“Graffiti”, così li designa l’odierno analfabetismo di massa, come se fossero incisi con rispettabili bulini anziché schizzati sui muri con vigliacchissime bombolette spray.
Il reazionario arrabbiato, disgustato oltre misura, rumoreggia col naso.
Fissa per qualche secondo, con sguardo svigorito, l’antico ritratto dagherrotipo di Sua Maestà Francesco di Borbone: ritratto già appartenuto ad un suo glorioso trisavolo, il Soldato semplice Vincenzo Enrico Amadeo che fu tra i difensori di Gaeta, valoroso milite elogiato personalmente dall’adolescente Regina Maria Sofia in quegli ottocenteschi giorni onusti d’onore e di tragedia.
Il reazionario arrabbiato lancia con precisione una scatarrata verdognola all’indirizzo di un’artistica sputacchiera d’ottone appoggiata al pavimento di marmo, anch’essa venerato cimelio del trisavolo Soldato semplice Vincenzo Enrico Amadeo che usava svuotarla e ripulirla ogni 1? di ottobre, giorno anniversario dell’apertura del Congresso di Vienna.
Ah, quel lontano 1814, ubertoso di aneliti alla Restaurazione Universale! Subitamente svaniti, subitamente dissolti.
Come ogni mattina, il ritratto dagherrotipo di Franceschiello comunica al reazionario arrabbiato la forza di resistere – rectius, di reagire – a un’altra giornata da trascorrere integralmente, inappellabilmente nel secolo Ventunesimo.
Secolo senza onore, né tragedia, né artistiche sputacchiere d’ottone.
Comunque la si veda, la scomparsa delle sputacchiere dai luoghi pubblici è uno dei principali segnacoli della decadenza irredimibile che da più di due secoli affligge e sfigura la Cristianità.
Decadenza di luoghi, decadenza di caratteri.
La gabbia che hanno costruito attorno all’Ara Pacis, tanto per dirne una, è un fulgido esempio di realismo socialista.
Ad ogni modo, il reazionario arrabbiato guarda al proprio decoroso appartamento come ad un’aristocratica Coblenza fuori confine, “rifugio costruito contro l’inclemenza del tempo” egli direbbe con Nicolàs Gòmez Dàvila, pensatore della contre-Révolution a pieno titolo anche se pubblicato in Italia da quell’Adelphi che tutti sanno essere casa editrice iniziatica e gnostica se mai ve ne fu una.
Gnosticismo dunque Massoneria, Massoneria dunque Rivoluzione: tout se tient, dal caso Moro alle cosiddette Twin Towers passando per i martiri vandeani.
“Cosiddette”, le Twin Towers, perché l’inglese non è che un cacofonico dialetto di barbari e va trattato come tale.
Le sole lingue propriamente dette sono le classiche e le neolatine, quest’ultime beninteso nettate da idiotismi e solecismi pedestri.
Gli antecedenti letterari hanno la loro importanza. “Viva las cadenas” gridavano i popolani madrileni all’ingresso in città di Ferdinando VII, mica “Hooray for the chains“.
Tempi di follia, codesti nostri. Follia lessicale, follia sintattica. Non si dice “invano ci siamo affaticati”, tutt’al più “indarno havvimo ad affaticarci”: ma indarno lo si farebbe presente ai nostri professori di materie letterarie, tutti ex sessantottini in servizio gramsciano permanente effettivo.
Sono ben loro i veri corruttori della gioventù – codesta inguardabile gioventù contemporanea, già corrotta di suo dalla promiscuità ineludibile dei costumi.
E dal Peccato Originale che è il principale, se non unico dogma del Cattolicismo.
Classi miste, puah; pelagianesimo, puah.
La sputacchiera è quasi colma, e mancano nove mesi al 1? di ottobre.
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Il reazionario arrabbiato finalmente si alza dal letto.
Egli ha un’unica occupazione, da quando ha abbandonato il mestiere di latifondista: scrivere aforismi.
Ama vergare motti categorici e sferzanti, perfezionandoli giorno dopo giorno in un interminabile labor limae.
Il suo modello letterario unico e indiscusso, anche se ahimè irraggiungibile, è il sunnominato Gòmez Dàvila, pensatore colombiano.
Molti degli aforismi del reazionario arrabbiato hanno come oggetto non tanto le proprie numerose opinioni e certezze, quanto la radicalità stessa delle proprie opinioni e certezze, l’imperativo stesso, quasi, di nutrire opinioni e certezze fermissime e inconcutibili.
Alcuni esempi possono aiutarci a chiarire questo aspetto:
C’è ben poco di cui essere incerti.
? escluso che chi si definisce “libero pensatore” abbia mai pensato.
Un dubbio che non riposi su una certezza è un dubbio sprecato.
Funzione propria della tautologia è suggerire sommessamente l’improponibilità delle dottrine relativiste.
Non ci si direbbe relativisti se immuni da una forma mentis semi-totalitaria.
L’accordo parziale raggiunto da punti di vista diversi è il peggiore dei disaccordi.
Compito dell’aforisma è condensare un pregiudizio.
I pregiudizi di chi ha ragione sono veri.
Degli ultimi due aforismi testé riportati il reazionario arrabbiato va particolarmente fiero.
Ma veniamo ora alle propriamente dette “opinioni e certezze” da lui condensate in inchiostro.
Eccone un piccolo florilegio:
Il buonismo è quell’eresia cristologica che non si riconosce per tale.
Chi non è debitamente riverente verso la classe dei sacerdoti è destinato ad esserlo verso la classe dei paramenti sacerdotali.
L’impiego dell’antitesi Chiesa-mondo è ciò che nella Chiesa distingue la Chiesa dal mondo.
La forma di governo più democratica è la monarchia di diritto divino. Va dato atto ai giacobini di averlo sempre pensato.
Il ruolo storico svolto dal cattolicesimo democratico è stato l’aver reso evidente a chiunque che cattolicesimo e democrazia non hanno nulla a che vedere.
Una storiografia non ecclesiocentrica non è obbiettiva, né realistica.
Un’opinione stupida è popperianamente infalsificabile. Questo è il motivo del suo enorme successo.
Il fondamentalismo è l’alternativa irreligiosa alla recita quotidiana del Santo Rosario.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II è il più grande impianto di desalinizzazione mai costruito.
Il reazionario arrabbiato ha anche le sue non disprezzabili idee sulla Sinistra e sulla Destra, sul progressismo e sul suo contrario. Eccole:
L’uomo naturaliter di Sinistra è un uomo innaturale.
Tutti sono indulgenti con il vizioso. Ma l’uomo di Destra disapprova il vizio, l’uomo di Sinistra la virtù.
Il postmoderno è lo stratagemma architettato dai progressisti per riconoscere che hanno sempre avuto torto, ma senza ammetterlo.
Che Destra e Sinistra siano categorie superate è vero. Non averlo capito è di
Sinistra.
Il futuro del progressista, al contrario del passato del reazionario, ha fatto il suo tempo da un pezzo.
Che il progressista venga regolarmente sconfitto dalla storia dopo soli trent’anni è realtà che spezza il cuore al reazionario più arrabbiato [lui, ndr].
La Destra attuale non è vera Destra. ? attuale.
Altro tema caratteristico del reazionario arrabbiato è la Fine dei Tempi, che sulla scorta delle profezie di Malachia egli reputa non troppo lontana.
Scrive infatti:
Ciò che più inquieta, nel mondo attuale, è la Seconda epistola ai Tessalonicesi.
Non è grave tanto ciò che accade, quanto il fatto che non si voglia scorgere in esso alcun indizio dell’Apocalisse imminente.
Potremmo proseguire ad abundantiam con i nostri estratti. Ma abbandoniamo qui, per non rattristarci troppo, la produzione letteraria del reazionario arrabbiato.
Il quale è tutto intento, ora, nell’atto di intingere la sua antica penna d’oca nella boccetta dell’inchiostro, e di tracciare su carta di papiro rilegata nuove e folgoranti Verità. Naturalmente in caratteri gotici.
Allontaniamoci dunque, in silenzio, dalla scrivania di larice, dalle pile di antichi libri e manoscritti, dalla penombra immota del suo studio.
Gli scricchiolii della carta sotto il pennino siano il solo rumore ch’egli sappia avvertire. “Ultimo gracile suono di vita tra tanto morire”, come scrisse Giovanni Arpino nella chiusa del suo Fratello italiano.
Il lento morire, il lento inabissarsi di questi tempi fatali.
? vero, Arpino era uno scrittore agnostico: ma diceva di credere fermamente nell’esistenza del Diavolo.
E per essere buoni cattolici tradizionalisti – rimugina assorto il reazionario arrabbiato – non è in fondo richiesto altro.
Post scriptum. Esprimo qui la mia solidale vicinanza al reazionario arrabbiato. Nonostante alcune discutibili opinioni teologiche e un’indubbia radicalità nel considerare taluni argomenti, egli rimane per me il confidente franco e l’amico leale delle molte serate trascorse insieme leggendo i controrivoluzionari francesi e sorseggiando i vini pregiati della sua ricca cantina.
Assaggi n. 30: Messori sul “pensiero debole”
“E’ drammatico che qualcuno – visto che la ragione, da sola, dopo due secoli di tentativi, non è riuscita a dare un ordine a quel puzzle che è la vita (e anche, per dirla col Manzoni, a “quel gran guazzabuglio che è il cuore umano”) – ripieghi su quell’altra ideologia che è il rifiuto di tutte le ideologie. Non è forse questo il “pensiero debole”, questa ideologia del post-moderno travestita da anti-ideologia, che predica che dobbiamo accontentarci delle “mezze verità”, del chiaroscuro, che teorizza il rifiuto programmatico del porsi domande, che demonizza ogni tentativo di risposta? Ma questa sarebbe la fine della dignità dell’uomo, la sua morte stessa: per ogni cultura, ciò che distingueva l’uomo dal bruto era proprio lo sforzo per interpretare, il pungolo continuo a porsi domande e a cercare risposte” (Vittorio Messori, “Pensare la storia”, pagina 425).
Assaggi n. 29: Papini, l’ateo ideale
Io non chiedo né pane, né gloria, né compassione. Non domando abbracci alle donne o soldi ai banchieri o elogi a’ “geniali”. Di codeste cose fo a meno o le guadagno o rubo da me. Ma chiedo e domando, umilmente, in ginocchio, con tutta la forza e la passione dell’anima mia, un po’ di certezza; una sola, una piccola fede sicura, un atomo di verità! Io vi prego e vi scongiuro, per tutto quel che avete di più caro e di più prezioso, per la vostra vita, per la vostra amata di oggi, per la vostra idea preferita, di dirmi se c’è tra voi chi abbia quel che cerco, se v’è qualcuno che sia certo, che conosca, che sappia, che viva e si mova nel vero. E se c’è, e se non sbaglia e non s’inganna, e s’è generoso quant’è fortunato, dica a me quel che conosce e quel che sa, lo riveli sotto giuramento, e mi faccia pagare, quanto vuole, come vuole, la sua verità.
Ho bisogno di un po’ di certezza – ho bisogno di qualcosa di vero. Non posso farne a meno; non so più vivere senza. Non chiedo altro, non chiedo nulla di più, ma questo che chiedo è molto, è una straordinaria cosa: lo so. Ma la voglio in tutti i modi – a tutti i costi mi dev’esser data, se pur c’è qualcuno al mondo cui preme la mia vita.
Io non ho cercato che questo. Fin da bambino non ho vissuto che per questo. Ho picchiato a tutte le porte, ho interrogato tutti gli occhi, ho domandato a tutte le bocche e ho scandagliato mille e diecimila cuori invano. E invano mi son buttato nella vita fino al punto di affogare e di vomitare, e invano, sempre invano, mi son sciupato gli occhi sui libri vecchi e sugli ultimi e mi son fatto rintronar la testa dall’urlate de’ filosofi rivali e invano, eternamente invano, ho provocato gli echi interiori e ho preparato con umiltà le vie della rivelazione. Ma niente, ma nulla è venuto e nessuno ha risposto.
Nessuno ha risposto in modo da spengere ogni voglia e bisogno di chiedere ancora; niente è venuto che abbia calmato il cuore troppo impaziente e abbia saziata quest’anima mia, sitibonda come un deserto. (…)
Scettico io? No – disgraziatamente. Neppure scettico. Lo scettico è fortunato: una fede gli rimane, la fede nella impossibilità della certezza.
Egli può essere tranquillo e, se gli accomoda, dogmatico. Ma io no. Io non credo neppure alla vanità di ogni ricerca e non son certo neppure dell’inesistenza della certezza. Fra le cose possibili v’è anche questa: che la verità si trovi e che qualcuno la possegga.
Da Giovanni Papini, Un uomo finito, 1912
Assaggi 28: L’anima di ogni apostolato
La vita esteriore è una sorta di ebbrezza che esercita su di noi un fascino irresistibile e ci impedisce di riflettere su ciò che Dio si aspetta da noi. Si ama l’azione perché ci si esonera dal vero lavoro, quello che Dio vuole operare in noi. Ci si dà da fare col pretesto di cercare la gloria di Dio, ma in realtà per vivere fuori dell’influenza di Dio. In sostanza, ci si accontenta dei successi puramente umani che hanno solo un’infarinatura di soprannaturale, e non hanno Cristo come principio e come fine. Quante realizzazioni, ammirevoli a prima vista, sono prive di ogni base soprannaturale!
Un certo numero di persone (…) arrivano a una specie di culto per l’azione che (…) li spinge ad abbandonarsi a un attivismo sfrenato. Sembra che l’Onnipotente, il quale ha creato il mondo senza il minimo sforzo, non riesca a fare a meno di loro. (…) Con uno stato d’animo del genere, la vera preghiera diventa difficile. Invece di essere la porta per entrare nella gioia del Signore, sarà un ònere ingrato che si cerca di evitare o che si sbriga alla meglio.
(…)
La vita d’unione con Dio è per l’apostolato ciò che l’anima è per il corpo. Senza la vita d’unione con Dio, l’operaio evangelico rischia di essere solo un “bronzo che risuona o un cembalo che tintinna”.
(…)
Senza orazione, tutto si riduce al fracasso del martello sull’incudine. Si fa poco più di niente, spesso niente e anche male. Chi trascura la vita interiore, e aspira ad opere clamorose, non ha nessuna intelligenza della sorgente d’acqua viva, e della fonte misteriosa che fa fruttificare tutto.
Perché le opere cattoliche, che pure sono tanto numerose, non riescono a trasformare la società? Sono piene di logica ma sfornite di santità. (…) La verità è che voi non vi mostrate come il riflesso di Dio; e pertanto, non essendolo voi, non potete formare degli adoratori in spirito e verità, come chiede il Signore.
(da Dom Chautard, L’anima di ogni apostolato)
Assaggi n. 27: Gòmez Dàvila 2
“Beati quei rivoluzionari che non sono presenti al
trionfo della rivoluzione” – Nicolàs Gòmez Dàvila, “In margine a un testo implicito”
Tipi umani 3: La speaker di Radio Capital
La speaker di Radio Capital, più che una speaker, è un’essenza metafisica. Che sia costituita di spirito de-materiato è cosa intuitiva: la speaker di Radio Capital esiste solo con la voce*. Ma il suo carattere di Idea platonica si desume da altro. La speaker di Radio Capital non ha un’età precisa. Certo è ancora abbastanza ggiovane per condividere, dei ggiovani, gusti e mentalità: eppure si avverte nei suoi lunghi soliloqui un che di nostalgico, di stanco, di distaccato. Già di lei si può dire, con malcelato compatimento, che è nubile. Il pubblico di Radio Capital, forse non così ggiovane, costituito anzi in buona parte da divorziati, tra un pezzo dei Rolling Stones e uno dei Queen si fa trasportare da quel tono nostalgico, e torna con il ricordo ai tempi del liceo: i primi trentatrè giri, le prime feste, le prime morose… La speaker di Radio Capital prosegue imperturbabile la sua routine affabulatoria. Solerti redattori, per dare spessore ai lunghi pomeriggi radiofonici, le passano le notizie più importanti e curiose da tutto il mondo: iniziative ecologiste, ricoveri di vecchie star anni Ottanta per abuso di droga, matrimoni fra attori, nuovissime applicazioni biotecnologiche, l’ultima dichiarazione di Al Gore. Radio Capital appartiene, come Radio Deejay e Radio m2o, al gruppo L’Espresso, dunque tiene molto alla cultura. Imperdibile, ogni mattina alle 7.20, Risponde Zucconi: se anche non fosse di turno, la speaker di Radio Capital metterebbe la sveglia per apprendere il senso dell’esistere dalle parole del Direttore. La speaker di Radio Capital, comunque, nutre da sempre convinzioni laiche e libertarie. Parla con assoluta nonchalance di tutto ciò che attiene al sesso, anzi esorta almeno una volta alla settimana i radioascoltatori a “farne molto” (perché “siamo fatti di carne”). La speaker di Radio Capital a Radio Capital si trova benissimo: l’unica cosa che a dire il vero un po’ la cruccia è che lo speaker notturno di Capital GrooveMaster possa mettere liberamente le rarità funk degli anni Settanta, mentre a lei tocca sorbirsi Gigi D’Alessio sette-otto volte al giorno. La speaker di Radio Capital è intimamente convinta che si tratti di un caso preclaro di discriminazione sessuale.
La speaker di Radio Capital è la personificazione del post-moderno.
Ovviamente non ha figli.
*[Per quanto riguarda il concetto di “mera esistenza vocale”, o al massimo labiale, il rimando inevitabile è alla speaker negra del film di Walter Hill I guerrieri della notte, del 1979. Ndr].
Assaggi n. 26: Gòmez Dàvila
“La religione non è nata dall’esigenza di
assicurare solidarietà sociale, come le cattedrali non sono state edificate per incentivare il turismo” – Nicolas Gomez Davila, “In margine a un testo implicito”