Recensione a “La regina e l’imperatrice”, A. Necci, Marsilio 2022

Alessandra Necci, La regina e l’imperatrice. Maria Antonietta e Maria Teresa. Due destini tra l’assolutismo e il dramma della Rivoluzione – Marsilio Specchi, 2022, 526 pp., 22 euro.
Nella miglior tradizione dell’essai, e con la sua spiccata sensibilità, che la porta a tratteggiare spesso, nei suoi libri, coppie antitetiche di soggetti (come il Re Sole e lo Scoiattolo, 2013; o Il Diavolo zoppo e il suo compare, dedicato a Talleyrand e Fouché e alla “politica del tradimento”, 2015; o, ancora, le due donne protagoniste di una stagione irripetibile del Rinascimento italiano, Isabella e Lucrezia, le due cognate, 2017), Alessandra Necci propone con questo volume il confronto tra due vite apparentemente antitetiche, quelle di Maria Teresa d’Austria e della sua sfortunata figlia, Maria Antonietta regina di Francia, ultima sovrana del Paese prima del crollo dell’Ancien Régime.
Sulla carta, non potrebbero esistere due donne tanto diverse l’una dall’altra: tanto quanto Maria Teresa ha ancora oggi la nomea di sovrana illuminata, oculata, prudente, campionessa della diplomazia, altrettanto forte è la reputazione consolidata in senso contrario della figlia Maria Antonietta, sventata, frivola, assetata di lusso e di divertimenti, di tutto larga dispensatrice, ma soprattutto della sua reputazione. E se la prima è diventata l’emblema, per antonomasia, della governante saggia, nonché della buona madre di famiglia, anzi, della sovrana che amministra e regge il suo sterminato impero con lo stesso buonsenso e la stessa cura affettuosa con cui amministra e regge la sua vastissima famiglia (Maria Teresa ebbe dall’amatissimo consorte Francesco ben sedici figli), la seconda, a partire dagli scandalosi e sconci pamphlet che circolavano nella Parigi affamata e prerivoluzionaria, divenne l’emblema prima della principessa arrivata nel suo nuovo regno dall’Austria senza alcuna formazione o preparazione al suo ruolo di Delfina, e poi divenne, nella coscienza collettiva, la regina consorte per eccellenza, incapace di governare la sua famiglia e il suo matrimonio con mente salda e buonsenso, e quindi dalla nefasta influenza sul sovrano.
Tuttavia, ripercorrendo la vita di Maria Teresa, nella prima sezione del volume (pp. 11- 144) scopriamo che nemmeno lei ebbe un’educazione finalizzata a prepararne l’azione di governo, anzi: nei suoi verdi anni ella è una ragazza graziosa e certo intelligente, ma nessuno ne sospetta minimamente la tempra, di cui darà ampia prova quando il padre, Carlo VI, morirà improvvisamente. Infatti, depresso, preoccupato per il futuro e incapace di trovare un rimedio alle molte pressioni da cui sente costretto il suo impero e il suo trono, Carlo all’inizio di ottobre del 1740 partecipa a una battuta di caccia in Ungheria. Prende freddo e consuma un piatto di funghi, che, secondo Voltaire, proprio come il piattino preparato da Agrippina Minore al suo zio e marito Claudio, “cambia la storia”. Ma qui il veleno non ha nulla a che fare: solo, Carlo VI si sente male, e presto peggiora senza che i medici accorsi al suo capezzale possano farci nulla. Mentre agonizza, Carlo nota che al suo capezzale ardono soltanto due candele e chiede di aggiungerne almeno altre due: quattro sono più consone al suo status di imperatore (p. 60): insomma, per gli Absburgo il decoro viene prima di tutto, anche sul letto di morte. Muore il 20 ottobre1740, lasciando a succedergli la figlia, Maria Teresa, di ventitré anni. La situazione è a dir poco drammatica: il Tesoro ha in cassa soltanto 100mila fiorini, già richiesti dall’imperatrice vedova, e l’esercito conta a malapena 80mila uomini: un disastro annunciato. Maria Teresa, che si trova a regnare su domini eterogenei, spesso molto distanti fra di loro, dove vivono quattordici milioni di sudditi divisi in dodici gruppi nazionali, dai tedeschi ai croati, dagli italiani ai romeni, dai polacchi agli ucraini, dagli ungheresi agli slovacchi, ricorderà, nel suo Testamento politico, la sua ascesa al trono, affermando di essersi trovata “senza denaro, senza credito, senza un esercito, senza esperienza e conoscenza, persino senza consigli, perché tutti i ministri erano più occupati a capire da che parte tirava il vento”. Di suo, la ragazza non sa nulla, perché è stata accuratamente tenuta lontano dalle riunioni dei ministri e da ogni occasione di imparare l’arte del governo.
Maria Teresa, detta Resel - ovvero “Teresina” – è brillante, determinata, scherzosa, piena di vita e vivacità, amante dell’equitazione e del teatro – una competenza che le tornerà utilissima nei lunghi anni sul trono a trattare con diplomatici e monarchi. Trovatasi inaspettatamente sul trono, si affida a Dio. Dio, il regno, poi la famiglia, da ultimo lei stessa: questa la scala di valori della giovane sovrana, cui cercherà sempre di attenersi. Come nota sagacemente A. Necci, anticipando Sigmund Freud e la psicoanalisi (a proposito della quale Bruno Bettelheim disse che non casualmente nacque a Vienna), si potrebbe dire che nella giovane Maria Teresa, pur così graziosa e apparentemente gaia e spensierata, il Super-Io, il “dover essere”, ovvero senso del dovere e la tensione verso risultati alti e importanti prevalgono su tutto: conta assai poco l’Es, l’elemento pulsionale e il principio di piacere.
Il marito, l’adorato Francesco I di Lorena, viene nominato coreggente, anche perché soltanto lui potrà diventare imperatore: non per nulla, nonostante Maria Teresa sia nota comunemente come “imperatrice” d’Austria, fra i numerosissimi titoli (Granduchessa consorte di Toscana, Duchessa di Parma e Piacenza, Regina di Boemia, Regina di Croazia, Regina di Slavonia, Duchesaa di Milano, Regina di Galizia e Lodomiria, Signora di Trieste) quello di imperatrice tout court è il solo che non porterà mai, dato che sarà “imperatrice consorte”, pur reggendo di fatto le sorti dell’Impero.
Le figlie, ahimé, non saranno all’altezza della madre, soprattutto Maria Carolina e Maria Antonietta: ma Maria Teresa rifiuterà sempre, recisamente e direi anche ostinatamente, di pensare che questo dipenda anche da qualche pecca nella loro educazione, e che dunque possa essere, in parte, anche colpa sua. Del resto, nelle sue memoria già Madame Campan, la Première femme de chambre della sfortunata regina di Francia, demistificherà nettamente il mito di Maria Teresa grande madre e grande educatrice, ricordando tutte le manchevolezze e le assenze di cure e di attenzioni nei confronti della figlia concessa in sposa al futuro Luigi XVI. In fondo, però, deve aver sempre ragionato Maria Teresa, anche lei non era affatto preparata al compito che il destino e la storia le hanno riservato: tuttavia, il suo impegno indefesso, la capacità di sacrificio, il desiderio di imparare, la determinazione a non arrendersi, oltre che la capacità di scegliersi buoni collaboratori, hanno fatto sì che la piccola Resel vincesse quella sfida. Perché mai le figlie non avrebbero potuto – e dovuto – trovare in sé altrettanta forza? Il punto discriminante è però il valore individuale, che diventa un tratto dal valore collettivo e da ricadute a vasto raggio, quando si parla del valore di chi è assiso in posizioni tanto in vista: e questo sì che può fare e fa la differenza, giacché non omnes omnia possumus.
E veniamo così alla triste storia di Maria Antonietta, che conosciamo fin troppo bene: figlia cui la madre non dedicherà mai soverchia attenzione, sino al prestigioso matrimonio combinatole, all’inizio pare sbalzata dentro una favola, per cui, da oscura arciduchessa cresciuta nella severa corte absburgica, dove era imposto un rigore e un buongusto che potremmo definire borghese, si trova immersa in un fasto inimmaginabile, Delfina di Francia, e dunque donna più importante del regno, essendo la regina consorte Maria defunta. Ben presto, però, la favola si colora di grigio, per assumere i toni della tragedia negli ultimi anni, lo sappiamo tutti: dapprima insofferente all’etichetta in quella sorta di “Grande Fratello” ante litteram che era Versailles, la corte più fastosa e pettegola d’Europa, dove nulla è o può restare segreto, e persino l’intimità del sovrano è sorvegliata per statuto da decine di occhi, Maria Antonia, ovvero Marie Antoinette, si rifugia nelle spese pazze, nelle toilettes stupefacenti, nelle acconciature stravaganti; oppure, affoga le sue frustrazioni nel gioco d’azzardo come ben sappiamo. In particolare, resterà negli annali la partita a carte giocata a Fontainebleau, durata dal 30 ottobre al 1 novembre 1776: da Parigi vennero fatti giungere appositamente dei banchieri, per finanziare “quella sessione non stop”. Maria Antonietta e gli altri giocatori rimasero al tavolo verde per quasi due giorni, compresa la mattina del giorno di Ognissanti: e che una festa religiosa fosse stata impegnata in quei trastulli mondani non fece che accrescere l’indignazione generale. Ma la regina, giovane e graziosa, alle rimostranze del re se la cavò con una battuta di spirito, dicendo all’augusto consorte che egli aveva permesso una sola seduta, senza però stabilirne la durata, e per questo i giocatori si erano sentiti in diritto di prolungarla per trentasei ore (qui p. 269).
L’unione con Luigi Augusto di Borbone, un uomo buono, ma per nulla appassionato (e forse nemmeno tagliato per governare), la mancata consumazione del matrimonio per quasi otto anni – con tanto di visita a corte del fratello imperatore per controllare che non ci fossero impedimenti al regale amplesso –, gli infiniti pettegolezzi sulla sua vita intima, sui suoi amanti e sui rapporti con le sue favorite, infine il sogno agreste, con il ritiro al Petit Trianon e nel villaggio fatato dello Hameau, dove persino le vacche erano strigliate e pulite prima di essere munte e le uova sfregate e lucidate prima di essere raccolte dalla regale mano, tutto nocque alla reputazione di Maria Antonietta, la quale, dopo l’Affaire du collier, era ormai screditata. Paradossalmente, Maria Antonietta pagò il fio delle sue presunte colpe e delle sue molt, innegabili, leggerezze giovanili quando ormai era una donna che le amarezze e i dolori familiari (come la perdita di due figli su quattro) avevano fatta maturare, rendendola una persona profondamente diversa dall’incantevole bambola austriaca delle labbra rosate e tumide e dall’incarnato fresco, dalla giovane Delfina amabile e leggera che era stata. In fondo, quella testa finissima di Mirabeau aveva colto tale cambiamento, e questo valore della Maria Antonietta degli ultimi anni, tanto che nell’estate del 1790, dopo un abboccamento con i reali alle Tuileries, il nobiluomo scrisse in una nota: “Il re non ha che un uomo vicino a lui, ed è sua moglie (...) Mi piace pensare che a lei non interessi la vita senza corona; ma quello di cui sono sicuro è che non conserverà la sua vita senza la sua corona” (qui p. 381). Parole, come ben sappiamo, che saranno sinistramente profetiche.
La copertina dell’ultimo saggio di A. Necci (Marsilio) con i due ritratti di Maria Teresa d’Austria e della figlia Maria Antonietta, regina di Francia

Alessandra Necci, La regina e l’imperatrice

Maria Antonietta e Maria Teresa. Due destini tra l’assolutismo e il dramma della Rivoluzione – Marsilio Specchi, 2022, 526 pp., 22 euro.
Nella miglior tradizione dell’essai, e con la sua spiccata sensibilità, che la porta a tratteggiare spesso, nei suoi libri, coppie antitetiche di soggetti (come il Re Sole e lo Scoiattolo, 2013; o Il Diavolo zoppo e il suo compare, dedicato a Talleyrand e Fouché e alla “politica del tradimento”, 2015; o, ancora, le due donne protagoniste di una stagione irripetibile del Rinascimento italiano, Isabella e Lucrezia, le due cognate, 2017), Alessandra Necci propone con questo volume il confronto tra due vite apparentemente antitetiche, quelle di Maria Teresa d’Austria

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NEWS DALLA RETE. “Il Vangelo secondo Maria. Un poema in prosa”

Ci scrive l’amico Alfredo Tradigo, giornalista, scrittore, poeta …

Con questo nuovo libro, scritto nella primavera scorsa e che trovate in libreria o in rete, mi sono voluto misurare con la forma del racconto in prosa. Il libro è diviso in tre parti. La prima è affidata alla voce di un narratore che – basandosi su testi tratti dai Vangeli sia canonici che apocrifi (e in parte sugli scritti di Anna Emmerick e Maria Valtorta) – racconta la nascita, l’infanzia e l’adolescenza di Maria. Nella seconda parte è Maria stessa a narrare la sua vita fino alla resurrezione di Gesù. L’ultima parte è affidata alla voce dell’evangelista Giovanni, che descrive e accompagna Maria negli ultimi momenti della sua vita. Qui sotto vi collegate all’introduzione di Vincenzo Sansonetti.

Alfredo Tradigo

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DARWIN E L’IPOTESI EVOLUZIONISTA. Mito e scienza venati di maschilismo?

La donna scimmia

Quando alle superiori, ormai tanti anni fa, ero costretto a studiare incedibili “teorie” scientifiche, quale l’evoluzionismo, mi stupivo come si trasmettessero per solide teorie quelle che erano solo ipotesi di studio non suffragate da sufficienti prove. Ovvero, l’assunto che una ipotesi non potesse divenire teoria fino al momento in cui non si fosse potuto provarla in laboratorio con molteplici e reiterati esperimenti, veniva con facilità aggirata

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“Dimmi come preghi e ti dirò in quale Dio credi”

Fabritius, Il fariseo e il pubblicano, 1661, o/t 95 × 293 cm, Rijksmuseum di Amsterdam

Colletta

O Dio, che sempre ascolti la preghiera dell’umile,
guarda a noi come al pubblicano pentito,
e fa’ che ci apriamo con fiducia alla tua misericordia,
che da peccatori ci rende giusti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Commento artistico-spirituale al Vangelo della XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C – 23 Ottobre 2022

Di don Tarcisio Tironi, Direttore M.A.C.S. (Museo di Arte e Cultura Sacra) di Romano di Lombardia-Bg

In alto a sinistra dell’opera rappresentata, un diavolo cornuto e alato sventola la bandiera con la scritta: «qui se exaltat humiliabatur» (chiunque si esalta sarà umiliato) mentre sullo striscione mostrato dall’angelo, in alto a destra, si legge: «Qui se humiliat exaltabitur» (Chi invece si umilia sarà esaltato). L’autore dell’invenzione per comprendere la scena raffigurata è Barent Fabritius, nell’opera «Il fariseo e

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Papa Francesco ricorda il Servo di Dio Don Giussani nel centenario della sua nascita e invita Comunione e Liberazione alla missione con la Chiesa

COMUNIONE E LIBERAZIONE, UDIENZA PAPA FRANCESCO/ Diretta video: "Salvate il  carisma"

L’udienza del 15 Ottobre a Comunione e Liberazione mostra l’affetto del Santo Padre per Don Giussani, del quale in vita apprezzò l’esempio e lesse suoi libri che gli furono di ispirazione, ma è stata anche l’occasione per rinnovare l’invito al Movimento a tener vivo il carisma del fondatore e la sua missione con la Chiesa, evitando ciò che da essa allontana, evitando divisioni:

… non sono mancati seri problemi, divisioni, e certo anche un impoverimento nella presenza di un movimento ecclesiale così importante come Comunione e Liberazione, da cui la Chiesa, e io stesso, spera di più, molto di più.

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI MEMBRI DI COMUNIONE E LIBERAZIONE 

Piazza San Pietro
Sabato, 15 ottobre 2022

(Fonte www.vatican.va)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Siete venuti in tanti, dall’Italia e da vari Paesi. Il vostro movimento non perde la sua capacità di radunare e mobilitare. Vi ringrazio di aver voluto manifestare la vostra comunione con la Sede Apostolica e il vostro affetto per il Papa. Ringrazio il Presidente della Fraternità, prof. Davide Prosperi, come pure Hassina e Rose, che hanno condiviso le loro esperienze. Saluto il Cardinale Prefetto, il Cardinal Farrell e i Cardinali e Vescovi presenti.

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“La pratica legale è chiusa”

Pieter Fransz de Greber, Il giudice ingiusto e la vedova perseverante, 1628. Museo delle Belle Arti di Budapest

Commento artistico-spirituale al Vangelo della XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C – 16 Ottobre 2022

Di don Tarcisio Tironi, Direttore M.A.C.S. (Museo di Arte e Cultura Sacra) di Romano di Lombardia-Bg

Antifona

Io t’invoco, o Dio, poiché tu mi rispondi;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole.
Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi. (Sal 16,6.8)

Si è aperto un velario. La scena presenta una donna in luce e un uomo in ombra. Sembra il fermo immagine di un racconto giunto al momento decisivo, alla svolta risolutrice. L’opera realizzata da Pieter Fransz de Greber originario di Haarlem, una città dei Paesi Bassi, firmata con monogramma e datata (P.DG.AN 1628), è intitolata «Il giudice ingiusto e la vedova perseverante». L’artista ha dipinto ad olio su tavola, ora al Museo delle Belle Arti di Budapest, la conclusione della parabola narrata da Gesù e presentata dall’evangelista Luca (18,1-8) «sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai».

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“Credi e… non perdere tempo”

Frontal de La Seu d’Urgell o degli Apostoli –
Museo Nazionale d’Arte della Catalogna, Barcellona

Commento artistico-spirituale al Vangelo della XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C – 02 Ottobre 2022

Di don Tarcisio Tironi, Direttore M.A.C.S. (Museo di Arte e Cultura Sacra) di Romano di Lombardia-Bg

Antifona

Tutte le cose sono in tuo potere
e nessuno può opporsi alla tua volontà.
Tu hai fatto il cielo e la terra
e tutte le meraviglie che si trovano sotto il firmamento:
tu sei il Signore di tutte le cose. (Cf. Est. 4,17b-c)

Il «Frontal de La Seu d’Urgell o degli Apostoli» è un policromo paliotto – il rivestimento di stoffa o d’altro materiale pregiato destinato a fare da ornamento alla faccia anteriore dell’altare nelle chiese – in stile romanico d’autore anonimo, attualmente esposto al Museo Nazionale d’Arte della Catalogna, a Barcellona. L’opera risale al secondo quarto del XII secolo e proviene da una chiesa nel vescovado di La Seu d’Urgell.

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“Pronti sempre ad aiutare”

James B. Janknegt, Il ricco e Lazzaro, 2011, Brilliant Farmers Art Farm, Texas

Antifona

Signore, quanto hai fatto ricadere su di noi,
l’hai fatto con retto giudizio, poiché noi abbiamo peccato,
non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti.
Ma ora, salvaci con i tuoi prodigi; da’ gloria al tuo nome, Signore,
fa’ con noi secondo la tua clemenza,
secondo la tua grande misericordia. (Dn 3,31.29.43.42)

Commento artistico-spirituale al Vangelo della XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C – 25 Settembre 2022

Di don Tarcisio Tironi, Direttore M.A.C.S. (Museo di Arte e Cultura Sacra) di Romano di Lombardia-Bg

«Quando guardo un dipinto, è una conversazione. Sto parlando nel dipinto e il dipinto sta parlando con te».
È James B. Janknegt, nato ad Austin, in Texas, che invita a «leggere» così ogni opera, compresa «Il ricco e Lazzaro», da lui realizzata nel 2011. Che cosa dice a me questo quadro? Perché sono attratto da questo pezzo?

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“L’amministratore disonesto”

Marinus van Reymerswaele, L’amministratore disonesto, 1540,
Vienna (Kunsthistorisches Museum).
L’artista, nel cartiglio appeso sotto la finestra, esplicita quanto ha raffigurato nel dipinto

Manterrò, o Dio, i voti che ti ho fatto:
ti renderò azioni di grazie,
perché hai liberato la mia vita dalla morte,
i miei piedi dalla caduta. (Sal 55/56)

Commento artistico-spirituale al Vangelo della XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C – 17 Settembre 2022

Di don Tarcisio Tironi, Direttore M.A.C.S. (Museo di Arte e Cultura Sacra) di Romano di Lombardia-Bg

Sulla destra del dipinto «L’amministratore disonesto», Marinus van Reymerswaele, nel cartiglio appeso sotto la finestra, esplicita quanto ha raffigurato sulla tavola del 1540, ora a Vienna (Kunsthistorisches Museum), scrivendo l’abbreviazione del testo latino del Vangelo secondo Luca: «Lucas XVI. Redde rationem vilicationis tuae; iam enim non poteris vilicare» («Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare»). È il secondo versetto della parabola «L’amministratore disonesto» (16,1-13).

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