Gli dei hanno sete

1 – Un romanzo sul Terrore

Con Gli dèi hanno sete (1912) Anatole France (1844-1924, premio Nobel 1921) esplora il genere del romanzo storico, narrando i mesi convulsi e tremendi di quel periodo che va noto come Terrore, quando la Francia rivoluzionaria, perennemente sotto la minaccia degli eserciti delle potenze straniere, preoccupate dalla possibilità del dilagare della Rivoluzione, vive un momento di crisi economica, di crisi sociale, ma anche di crisi morale, con il crollo di ogni legame che vincola la compagine umana.

Il romanzo tratta un tema delicato e difficile: come può un giovane bene intenzionato, animato da vivi ideali, leale e corretto, financo ingenuo, sedotto e innamorato delle sirene rappresentate da giustizia e uguaglianza, trasformarsi in un piccolo tiranno, crudele e spietato, indifferente alle ragioni degli affetti e della famiglia, e che arriva a macchiarsi le mani del sangue dei suoi stessi amici?

La copertina dell’edizione Einaudi de Gli dei hanno sete.

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Recensione a “La regina e l’imperatrice”, A. Necci, Marsilio 2022

Alessandra Necci, La regina e l’imperatrice. Maria Antonietta e Maria Teresa. Due destini tra l’assolutismo e il dramma della Rivoluzione – Marsilio Specchi, 2022, 526 pp., 22 euro.
Nella miglior tradizione dell’essai, e con la sua spiccata sensibilità, che la porta a tratteggiare spesso, nei suoi libri, coppie antitetiche di soggetti (come il Re Sole e lo Scoiattolo, 2013; o Il Diavolo zoppo e il suo compare, dedicato a Talleyrand e Fouché e alla “politica del tradimento”, 2015; o, ancora, le due donne protagoniste di una stagione irripetibile del Rinascimento italiano, Isabella e Lucrezia, le due cognate, 2017), Alessandra Necci propone con questo volume il confronto tra due vite apparentemente antitetiche, quelle di Maria Teresa d’Austria e della sua sfortunata figlia, Maria Antonietta regina di Francia, ultima sovrana del Paese prima del crollo dell’Ancien Régime.
Sulla carta, non potrebbero esistere due donne tanto diverse l’una dall’altra: tanto quanto Maria Teresa ha ancora oggi la nomea di sovrana illuminata, oculata, prudente, campionessa della diplomazia, altrettanto forte è la reputazione consolidata in senso contrario della figlia Maria Antonietta, sventata, frivola, assetata di lusso e di divertimenti, di tutto larga dispensatrice, ma soprattutto della sua reputazione. E se la prima è diventata l’emblema, per antonomasia, della governante saggia, nonché della buona madre di famiglia, anzi, della sovrana che amministra e regge il suo sterminato impero con lo stesso buonsenso e la stessa cura affettuosa con cui amministra e regge la sua vastissima famiglia (Maria Teresa ebbe dall’amatissimo consorte Francesco ben sedici figli), la seconda, a partire dagli scandalosi e sconci pamphlet che circolavano nella Parigi affamata e prerivoluzionaria, divenne l’emblema prima della principessa arrivata nel suo nuovo regno dall’Austria senza alcuna formazione o preparazione al suo ruolo di Delfina, e poi divenne, nella coscienza collettiva, la regina consorte per eccellenza, incapace di governare la sua famiglia e il suo matrimonio con mente salda e buonsenso, e quindi dalla nefasta influenza sul sovrano.
Tuttavia, ripercorrendo la vita di Maria Teresa, nella prima sezione del volume (pp. 11- 144) scopriamo che nemmeno lei ebbe un’educazione finalizzata a prepararne l’azione di governo, anzi: nei suoi verdi anni ella è una ragazza graziosa e certo intelligente, ma nessuno ne sospetta minimamente la tempra, di cui darà ampia prova quando il padre, Carlo VI, morirà improvvisamente. Infatti, depresso, preoccupato per il futuro e incapace di trovare un rimedio alle molte pressioni da cui sente costretto il suo impero e il suo trono, Carlo all’inizio di ottobre del 1740 partecipa a una battuta di caccia in Ungheria. Prende freddo e consuma un piatto di funghi, che, secondo Voltaire, proprio come il piattino preparato da Agrippina Minore al suo zio e marito Claudio, “cambia la storia”. Ma qui il veleno non ha nulla a che fare: solo, Carlo VI si sente male, e presto peggiora senza che i medici accorsi al suo capezzale possano farci nulla. Mentre agonizza, Carlo nota che al suo capezzale ardono soltanto due candele e chiede di aggiungerne almeno altre due: quattro sono più consone al suo status di imperatore (p. 60): insomma, per gli Absburgo il decoro viene prima di tutto, anche sul letto di morte. Muore il 20 ottobre1740, lasciando a succedergli la figlia, Maria Teresa, di ventitré anni. La situazione è a dir poco drammatica: il Tesoro ha in cassa soltanto 100mila fiorini, già richiesti dall’imperatrice vedova, e l’esercito conta a malapena 80mila uomini: un disastro annunciato. Maria Teresa, che si trova a regnare su domini eterogenei, spesso molto distanti fra di loro, dove vivono quattordici milioni di sudditi divisi in dodici gruppi nazionali, dai tedeschi ai croati, dagli italiani ai romeni, dai polacchi agli ucraini, dagli ungheresi agli slovacchi, ricorderà, nel suo Testamento politico, la sua ascesa al trono, affermando di essersi trovata “senza denaro, senza credito, senza un esercito, senza esperienza e conoscenza, persino senza consigli, perché tutti i ministri erano più occupati a capire da che parte tirava il vento”. Di suo, la ragazza non sa nulla, perché è stata accuratamente tenuta lontano dalle riunioni dei ministri e da ogni occasione di imparare l’arte del governo.
Maria Teresa, detta Resel - ovvero “Teresina” – è brillante, determinata, scherzosa, piena di vita e vivacità, amante dell’equitazione e del teatro – una competenza che le tornerà utilissima nei lunghi anni sul trono a trattare con diplomatici e monarchi. Trovatasi inaspettatamente sul trono, si affida a Dio. Dio, il regno, poi la famiglia, da ultimo lei stessa: questa la scala di valori della giovane sovrana, cui cercherà sempre di attenersi. Come nota sagacemente A. Necci, anticipando Sigmund Freud e la psicoanalisi (a proposito della quale Bruno Bettelheim disse che non casualmente nacque a Vienna), si potrebbe dire che nella giovane Maria Teresa, pur così graziosa e apparentemente gaia e spensierata, il Super-Io, il “dover essere”, ovvero senso del dovere e la tensione verso risultati alti e importanti prevalgono su tutto: conta assai poco l’Es, l’elemento pulsionale e il principio di piacere.
Il marito, l’adorato Francesco I di Lorena, viene nominato coreggente, anche perché soltanto lui potrà diventare imperatore: non per nulla, nonostante Maria Teresa sia nota comunemente come “imperatrice” d’Austria, fra i numerosissimi titoli (Granduchessa consorte di Toscana, Duchessa di Parma e Piacenza, Regina di Boemia, Regina di Croazia, Regina di Slavonia, Duchesaa di Milano, Regina di Galizia e Lodomiria, Signora di Trieste) quello di imperatrice tout court è il solo che non porterà mai, dato che sarà “imperatrice consorte”, pur reggendo di fatto le sorti dell’Impero.
Le figlie, ahimé, non saranno all’altezza della madre, soprattutto Maria Carolina e Maria Antonietta: ma Maria Teresa rifiuterà sempre, recisamente e direi anche ostinatamente, di pensare che questo dipenda anche da qualche pecca nella loro educazione, e che dunque possa essere, in parte, anche colpa sua. Del resto, nelle sue memoria già Madame Campan, la Première femme de chambre della sfortunata regina di Francia, demistificherà nettamente il mito di Maria Teresa grande madre e grande educatrice, ricordando tutte le manchevolezze e le assenze di cure e di attenzioni nei confronti della figlia concessa in sposa al futuro Luigi XVI. In fondo, però, deve aver sempre ragionato Maria Teresa, anche lei non era affatto preparata al compito che il destino e la storia le hanno riservato: tuttavia, il suo impegno indefesso, la capacità di sacrificio, il desiderio di imparare, la determinazione a non arrendersi, oltre che la capacità di scegliersi buoni collaboratori, hanno fatto sì che la piccola Resel vincesse quella sfida. Perché mai le figlie non avrebbero potuto – e dovuto – trovare in sé altrettanta forza? Il punto discriminante è però il valore individuale, che diventa un tratto dal valore collettivo e da ricadute a vasto raggio, quando si parla del valore di chi è assiso in posizioni tanto in vista: e questo sì che può fare e fa la differenza, giacché non omnes omnia possumus.
E veniamo così alla triste storia di Maria Antonietta, che conosciamo fin troppo bene: figlia cui la madre non dedicherà mai soverchia attenzione, sino al prestigioso matrimonio combinatole, all’inizio pare sbalzata dentro una favola, per cui, da oscura arciduchessa cresciuta nella severa corte absburgica, dove era imposto un rigore e un buongusto che potremmo definire borghese, si trova immersa in un fasto inimmaginabile, Delfina di Francia, e dunque donna più importante del regno, essendo la regina consorte Maria defunta. Ben presto, però, la favola si colora di grigio, per assumere i toni della tragedia negli ultimi anni, lo sappiamo tutti: dapprima insofferente all’etichetta in quella sorta di “Grande Fratello” ante litteram che era Versailles, la corte più fastosa e pettegola d’Europa, dove nulla è o può restare segreto, e persino l’intimità del sovrano è sorvegliata per statuto da decine di occhi, Maria Antonia, ovvero Marie Antoinette, si rifugia nelle spese pazze, nelle toilettes stupefacenti, nelle acconciature stravaganti; oppure, affoga le sue frustrazioni nel gioco d’azzardo come ben sappiamo. In particolare, resterà negli annali la partita a carte giocata a Fontainebleau, durata dal 30 ottobre al 1 novembre 1776: da Parigi vennero fatti giungere appositamente dei banchieri, per finanziare “quella sessione non stop”. Maria Antonietta e gli altri giocatori rimasero al tavolo verde per quasi due giorni, compresa la mattina del giorno di Ognissanti: e che una festa religiosa fosse stata impegnata in quei trastulli mondani non fece che accrescere l’indignazione generale. Ma la regina, giovane e graziosa, alle rimostranze del re se la cavò con una battuta di spirito, dicendo all’augusto consorte che egli aveva permesso una sola seduta, senza però stabilirne la durata, e per questo i giocatori si erano sentiti in diritto di prolungarla per trentasei ore (qui p. 269).
L’unione con Luigi Augusto di Borbone, un uomo buono, ma per nulla appassionato (e forse nemmeno tagliato per governare), la mancata consumazione del matrimonio per quasi otto anni – con tanto di visita a corte del fratello imperatore per controllare che non ci fossero impedimenti al regale amplesso –, gli infiniti pettegolezzi sulla sua vita intima, sui suoi amanti e sui rapporti con le sue favorite, infine il sogno agreste, con il ritiro al Petit Trianon e nel villaggio fatato dello Hameau, dove persino le vacche erano strigliate e pulite prima di essere munte e le uova sfregate e lucidate prima di essere raccolte dalla regale mano, tutto nocque alla reputazione di Maria Antonietta, la quale, dopo l’Affaire du collier, era ormai screditata. Paradossalmente, Maria Antonietta pagò il fio delle sue presunte colpe e delle sue molt, innegabili, leggerezze giovanili quando ormai era una donna che le amarezze e i dolori familiari (come la perdita di due figli su quattro) avevano fatta maturare, rendendola una persona profondamente diversa dall’incantevole bambola austriaca delle labbra rosate e tumide e dall’incarnato fresco, dalla giovane Delfina amabile e leggera che era stata. In fondo, quella testa finissima di Mirabeau aveva colto tale cambiamento, e questo valore della Maria Antonietta degli ultimi anni, tanto che nell’estate del 1790, dopo un abboccamento con i reali alle Tuileries, il nobiluomo scrisse in una nota: “Il re non ha che un uomo vicino a lui, ed è sua moglie (...) Mi piace pensare che a lei non interessi la vita senza corona; ma quello di cui sono sicuro è che non conserverà la sua vita senza la sua corona” (qui p. 381). Parole, come ben sappiamo, che saranno sinistramente profetiche.
La copertina dell’ultimo saggio di A. Necci (Marsilio) con i due ritratti di Maria Teresa d’Austria e della figlia Maria Antonietta, regina di Francia

Alessandra Necci, La regina e l’imperatrice

Maria Antonietta e Maria Teresa. Due destini tra l’assolutismo e il dramma della Rivoluzione – Marsilio Specchi, 2022, 526 pp., 22 euro.
Nella miglior tradizione dell’essai, e con la sua spiccata sensibilità, che la porta a tratteggiare spesso, nei suoi libri, coppie antitetiche di soggetti (come il Re Sole e lo Scoiattolo, 2013; o Il Diavolo zoppo e il suo compare, dedicato a Talleyrand e Fouché e alla “politica del tradimento”, 2015; o, ancora, le due donne protagoniste di una stagione irripetibile del Rinascimento italiano, Isabella e Lucrezia, le due cognate, 2017), Alessandra Necci propone con questo volume il confronto tra due vite apparentemente antitetiche, quelle di Maria Teresa d’Austria

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