Rom e criminalità romena…

Rom e criminalità romena, ecco a chi dobbiamo dire grazie Tra i tanti articoli apparsi in questi giorni sui giornali riguardo la tragica vicenda di Roma, mi preme segnalarvi queste notizie che mi sembrano particolarmente significative.

 1) Dal primo gennaio 2007 la Romania è diventata un Paese sicuro. I furti e gli scippi sono diminuiti del 26%, le rapine sono rarissime e sono in netto calo anche le violenze sessuali. Lo ha scritto questa mattina il Corriere della Sera, in un colonnino. La fonte è incontestabile: l’ispettore generale della polizia romena Gheorghe Papa. Insomma, tutti i malviventi e hanno lasciato il Paese. Come decine di migliaia di nomadi.

 2) E dove sono finiti i rom e i criminali romeni? La stragrande maggioranza in Italia. Lo dimostrano le statistiche, ma lo dichiara Dumitru Ilinca, responsabile per la comunità romena del Partito immigrati, in un’intervista pubblicata dal Giornale questa mattina, in cui afferma che: “Nel mondo criminale c’è un passaparola e il vostro Paese viene considerato quello dove tutto è permesso. Si sa che, anche se la polizia ti prende, poi in un modo o nell’altra riesci a uscire dal carcere. Pure l’indulto ha dato un messaggio sbagliato ai delinquenti. Come dire: “Venite, venite, tanto la farete franca”. Ecco perchè tanti delinquenti vengono qui”

3) Per l’Unione europea, come al solito, va tutto benissimo. Nel rapproto pubblicato ieri dalla Commissione si afferma “l’adesione di Bulgaria e Romania è stata positiva” e propone “di comunicare meglio al pubblico i successi dell’allargamento”. In particolare, “gli Stati membri devono prendere un ruolo in prima linea nello spiegare e difendere le politiche che hanno concordato”. A Bruxelles poco interessa che l’Italia, uno dei Paesi fondatori della Comunità europea, viva una crisi sociale senza precedenti. L’importante è che il Progetto vada avanti. 4) Fu il governo Prodi ad aprire le frontiere a bulgari e romeni, come ha spiegato l’agenzia Apcom in una ricostruzione esemplare. La decisione fu presa dal 27 dicembre 2006, dietro insistenza del ministro alle Politiche comunitarie Emma Bonino e, soprattutto, del ministro degli Interni Amato, che una settimana prima aveva firmato a Bucarest del ministro dell’Interno Amato un protocollo di collaborazione con la polizia romena. Insomma, il governo di centrosinistra rinunciò volontariamente alla moratoria per limitare la libera circolazione dei cittadini di questi due nuovi Paesi. Questi sono i fatti, difficilmente contestabili. Gli italiani sanno a chi dire grazie. AGGIORNAMENTO: tre cittadini romeni hanno scritto a “il cuore del mondo” reagendo a questo post. La loro tesi è molto chiara: non confondete i romeni con i rom. E ritengono che sia impossibile integrare i nomadi. (dal blog di Marcello Foa)

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Lo scienziato Piattelli attacca l’evoluzionismo.

Corriere della Sera – NAZIONALE – sezione: Cultura – data: 2007-11-04 num: – pag: 35 autore: di MASSIMO PIATTELLI PALMARINI categoria: REDAZIONALE Le ultime scoperte «smontano» la teoria dell’evoluzione

Darwin I seguaci più ortodossi smentiti dalla natura M eravigliose istituzioni, le grandi università americane. Ciascuna ha la sua stazione radio di musica classica, come quelle che conosco, di Harvard e dell’Arizona: amano trasmettere brani di compositori i cui nomi ignoro assolutamente, benché per tutta la vita io abbia ascoltato musica classica. Per esempio, oggi, nel giorno in cui scrivo, la seconda ha trasmesso musiche di Charles Tournemire, Johann Heinicken, Miguel Bernal e Arnold Bax. Bruttine, ammettiamolo pure. Spesso cambio sintonizzazione, ma mi sono anche sforzato di ascoltare questi minori. Non si sa mai, potrei fare qualche scoperta folgorante. Il punto è che ciò non è mai, per ora almeno, avvenuto. I compositori minori e sconosciuti lo sono, direi, per buoni motivi. Lungo secoli e decenni il gusto musicale internazionale ha selezionato opere di Beethoven, Bach, Brahms, Wagner e altri giganti, ma non quelle di Tournemire o Bax. Le ore di ascolto sono quello che sono, non tante. Le risorse materiali delle case discografiche e delle sale da concerto sono limitate, quindi esiste una lotta per la sopravvivenza anche in questo campo piuttosto etereo. Ed è inevitabile che vincano i migliori. Una selezione di tipo darwiniano o qualcosa del genere.

È una banalità dirlo, perché vale un principio generalissimo, quasi una verità di pura ragione, secondo il quale, in popolazioni di entità che si auto-riproducono nel tempo (come i batteri, le api e i ratti) o vengono riprodotte da qualcosa o qualcuno (come le sinfonie, le automobili, i jeans e la pizza), alla lunga, i portatori di caratteri che accelerano, per un motivo qualunque, il loro proprio tasso di riproduzione, si diffonderanno, a scapito di coloro che non li portano. Potranno addirittura, in certe condizioni, diventare gli unici che si riproducono. Questo principio è talmente universale e irrefutabile che i neo-darwiniani sfoderano, per così dire, il revolver non appena qualcuno si permette di criticarlo. O meglio, non di criticare questo principio in quanto tale, il che sarebbe insensato, ma la tesi neo-darwiniana che questo principio basti da solo (ripetiamolo pure, da solo) a spiegare tutte le forme viventi e le loro intricate relazioni. Si sentono, allora, investiti da un ruolo assoluto: quello di proteggere la razionalità scientifica.

Questo è successo puntualmente anche la scorsa settimana al filosofo cognitivo americano Jerry Fodor, integralmente ateo e integralmente razionalista, che ha osato pubblicare nella «London Review of Books» un articol o giudiziosamente anti-darwiniano, intitolato «Perché i porci non hanno le ali». Centinaia di lettere di insulti e tre dettagliate critiche accademiche si sono accumulate nel suo computer. Di sfuggita, Fodor annuncia un libro che lui ed io insieme stiamo progettando: ho ricevuto, di rimbalzo, già due inviti a convegni, due offerte di pubblicazione da parte di editori americani e una dozzina di lettere perplesse da parte di colleghi. Eppure, la parte che mi riprometto di svolgere in una sezione di quel libro consiste semplicemente nell’allineare e organizzare dati e considerazioni sviluppate dai più qualificati biologi e genetisti negli ultimi anni. Fodor, da filosofo dell a mente, mostra che il neo-darwinismo ortodosso è minato dall’interno, da nozioni che, per funzionare come si vorrebbe, presuppongono ciò che pretendono di spiegare. Per esempio, la nozione «selezionato per» («il cuore è stato selezionato per pompare il sangue») importata dall’ingegneria, dal progettare umano, quella corrispondenza tra organi e funzioni che la cieca opera evoluzionistica non può da sola fornire. Il principio darwiniano, generalissimo, non si lascia, infatti, calare nei dettagli: perché un dato organo o tratto (per esempio la monogamia in alcune specie, la poligamia in altre) sarebbero stati selezionati.

La forcella indesiderabile di opzioni alla quale Fodor vede costretti i neo-darwiniani è quella di scegliere tra l’attribuzione di un qualche micro- progetto, una micro-intenzione, alla natura, oppure tirare a indovinare, a lume di naso, i risultati della selezione naturale. La biologia contemporanea ha offerto una panoplia di processi evolutivi che si sommano alla classica selezione del più adatto. Quest’ultima esiste, ma è una fonte marginale delle architetture biologiche. Esistono «geni maestri», fondamentalmente gli stessi dal moscerino all’uomo, organizzati in complesse reti, che hanno sotto controllo lo sviluppo e il funzionamento di organi svariatissimi nello stesso individuo (per esempio, nei mammiferi, corteccia cerebrale, fegato, gonadi e reni, oppure cresta neurale, fegato, orecchi, occhi e colonna vertebrale). Una qualsiasi selezione per una qualsiasi di queste funzioni si trascina dietro ineluttabilmente cambiamenti in tutte le altre. Come il genetista Edoardo Boncinelli ha sottolineato, è facile credere di spiegare selettivamente un certo cambiamento nel cervello umano, quando ciò che è stato selezionato è magari il funzionamento dei reni imposto dalla stazione bipede. E una corteccia più sviluppata è venuta in sovrappiù.

Un’altra scoperta importante è stata quella del trascinamento di organi e connessioni, indotto da una mutazione che colpisce un diverso organo. Nel fringuello, per esempio (uccello tanto caro a Darwin) una mutazione che altera la forma della metà superiore del becco si trascina dietro cambiamenti congrui nelle ossa del cranio, la parte inferiore del becco, i muscoli del collo e i nervi. Un caso tra tanti, che ribadisce la coordinazione tra le diverse parti di un organismo vivente, il «dialogo tra i tessuti viventi», secondo l’espressione felice di Marc Kirschner, capo del dipartimento di biologia dei sistemi a Harvard. Tutto questo e tanto altro cospira contro la possibilità, per il gioco cieco della natura, di selezionare e affinare separatamente ogni organo, tratto, meccanismo, e per noi di spiegare la loro forma e funzione uno ad uno, attraverso trasparenti storielle di adattamento progressivo. Infine, non va trascurato il ritorno massiccio delle leggi della forma, cioè di fattori di ottimizzazione globale, comuni a specie diversissime e dovuti alla fisica più che alla biologia. Ne bastino due. La densità di connessioni nervose e la distribuzione dei gangli nervosi, dall’umilissimo verme di terra (il nematode) al macaco (e a noi) è ottimale, tra decine di milioni di possibili varianti esaminate pazientemente al computer da Christopher Cherniak all’Università del Maryland. Migliore anche della connettività pazientemente ingegnerizzata nelle migliori microchip oggi ottenibili industrialmente. Cherniak sottolinea che si tratta di processi innati di ottimizzazione, ma non specificati, in quanto tali, dai geni. La seconda straordinaria ottimizzazione naturale è quella dei circa centomila chilometri di vene, arterie e capillari che ciascuno dei nostri corpi contiene. West, Brown ed Enquist (al Santa Fe Institute) hanno dimostrato matematicamente che l’organizzazione di tutti questi vasi di trasporto, nel più piccolo mammifero come nella balena, segue la legge particolare dei cosiddetti frattali perfetti. In parole semplici la rete minimizza i costi di trasporto e ottimizza gli scambi. Queste soluzioni ottimali del mondo biologico non sono certo state selezionate darwinianamente a partire da tentativi a casaccio. Non ci sono state decine di milioni di generazioni di macachi il cui cervello ha tentato a casaccio tutte le soluzioni possibili. La selezione ha dovuto essa stessa seguire dei binari stretti, imposti dalla fisica e da principi generali di ottimizzazione.

Come ama dire Antonio Coutinho, immunologo dell’Institut Pasteur, i sassi cadono in terra per la forza di gravità, non perché la selezione naturale ha eliminato tutti quelli che tendevano ad ascendere in alto. Il titolo del libro di Fodor e mio, per ora provvisorio, potrebbe, quindi, ben essere «evoluzione senza adattamento».

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Don Benzi, apostolo delle prostitute.

«Don Elio, io muoio». Don Oreste Benzi, il prete dalla tonaca lisa che ha insegnato la condivisione vivendola, se ne è andato a 82 anni con serenità, pronunciando queste parole, che oggi suonano come una sintesi estrema del «pane quotidiano», la riflessione che aveva vergato lui stesso per la commemorazione dei defunti di ieri e dove, per la prima volta, il prete degli emarginati rifletteva sulla propria morte.

È arrivata ieri mattina, alle 2 e 22 – dopo l’ennesimo attacco di cuore che ha reso vano anche l’intervento del 118 – al primo piano della casa parrocchiale della Resurrezione, a Grotta Rossa, dove Rimini è già campagna e guarda il Montefeltro. Qui è stata allestita la camera ardente, in attesa dei funerali, che si svolgeranno lunedì mattina nel duomo di Rimini. Qui don Benzi ha vissuto per quarant’anni con don Elio Piccari, il sacerdote con cui aveva fondato nel 1968 la comunità di sacerdoti che ha dato vita all’Associazione Giovanni XXIII. «Aveva avuto un attacco cardiaco a Parigi, in occasione di una delle sue estenuanti missioni – racconta Giampiero Cofano, responsabile estero dell’Associazione e del settore antitratta internazionale – ma si ostinava a negare tutto». Invece, di malori don Benzi ne aveva avuti parecchi negli ultimi tre mesi.

Martedì era svenuto all’aeroporto di Fiumicino, dopo un incontro con rappresentanti dei ministeri della Solidarietà sociale e della Salute. È stato assistito ma ha voluto continuare il viaggio, perché in serata doveva parlare ai giovani in discoteca. Era atteso all’«Europa», un locale dell’entroterra, dove si svolgeva una festa alternativa ad Halloween, insieme al vescovo di San Marino, monsignor Luigi Negri. È arrivato puntuale e, come ha detto a un suo collaboratore, «ha dato il meglio di sé ai suoi giovani». «Sosteneva che i preti dovessero strapazzarsi per le anime» dice Enrico Masini, responsabile del servizio maternità difficili, testimone di parecchi «strapazzi». Ci mostra l’agenda di don Oreste: ben oltre il limite dell’umana sopportazione. «Quante volte ha dormito in auto, per arrivare dappertutto» ricorda una sua collaboratrice, in lacrime. Il prete delle prostitute e dei disabili non amava le ingiustizie ma neppure i rimorsi, preferiva vedere il lato ottimistico delle cose ed era, anche in questo, un vero romagnolo, pratico e gioviale. «Il suo sorriso aperto fu la prima cosa che notai – rievoca don Elio – quando lo incontrai in seminario. Veniva da una famiglia umile. Descriveva suo padre con grande amore, come uno che non voleva farsi notare. Credo che apprese in quella sua bella famiglia l’attenzione per i più poveri e il desiderio di donarsi a loro». Fino all’estremo, ma sempre con quel suo sorriso che era il riflesso di una fede stentorea. Don Benzi non parlava spesso in prima persona, perché preferiva far parlare il Signore attraverso la sua opera, sporcandosi le mani con i reietti, comprese le ragazze di strada per difendere le quali era finito nel mirino della «mala».

Come non voleva la scorta, così non amava i medici ma, moltissimo, la medicina. «Era affascinato dalle tecnologie e scherzava sulla coronarografia che avrebbe fatto l’indomani – spiega Cofano – che evidentemente aveva accettato solo perché i dolori erano diventati insostenibili». Diceva di sè: «Sono una dinamo, se mi spengo mi fermo». Aveva imparato a curare il proprio cuore con la pillola salvavita, ma lui curava gli altri con la fede. Ne parla don Elio: «come insegna San Giacomo, usava l’imposizione delle mani e la preghiera, ho visto centinaia di malati risollevati». Ne parla Oscar Baffoni, ex viveur, oggi responsabile dell’Associazione in Asia: «Avevo un tumore con metastasi, don Oreste mi ha aiutato molto». Era con lui anche giovedì sera al ristorante «Grotta rossa». Un’ultima cena con gli amici più stretti, a base di tagliolini e sangiovese, scherzando sulla malattia e sugli esami dell’indomani. «Una cena in gazzoia, cioè gioiosa, come diciamo noi in Romagna» conclude don Elio. Avvenire, 3 novembre 2007

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Il consumismo seppellisce le nozze. La prima Fiera mondiale del divorzio

“Il giorno più bello della tua vita? Quello del tuo divorzio”. Purché, premette Anton Barz, “la cosa avvenga in modo amichevole”. Aggiungiamo: professionale. A tal fine Barz, che organizza a Vienna la prima fiera mondiale del divorzio, mette a disposizione i migliori esperti sul mercato, dagli investigatori privati che spiegano perché è utile e ragionevole spiare la propria moglie o il proprio marito, agli avvocati con i loro consigli su come divorziare senza inutili conflitti; dagli psicologi che suggeriscono come rendere la cosa meno dolorosa possibile per i parenti e gli eventuali figli, al medico legale esperto in test di paternità. Infine, alla fiera ci saranno anche gli agenti patrimoniali, perché se finisce il matrimonio non finisce certo l’amore, anzi la fiera si chiama “Nuovo inizio”.
Che il divorzio fosse un formidabile business e contribuisse all’impennarsi del Pil già lo sapevamo. Ed anzi abbiamo sempre avuto il sospetto che i primi a gufare contro Pcs, Dico, Cus e simili fossero loro, quanti si arricchiscono nel dissolvere legami indissolubili. Per attirare i clienti, ci sta pure che venga fatto balenare il miraggio del “giorno più bello della tua vita”, più del matrimonio; più di quando è nato tuo figlio; più dello scudetto vinto dalla tua squadra in barba a Juve-Milan-Inter. Tutto è mercato e profitto. E i potenziali clienti sono un esercito. Nell’Unione europea avviene una separazione ogni 33 secondi e in Italica c’è un divorzio ogni 4 minuti. Quanto al signor Barz – “felicemente sposato” fa sapere: la fiera dunque non lo riguarda direttamente – non è certo il primo a provare ad arricchirsi. In Germania, da un anno l’ex agente assicurativo Bernd Dressler s’incarica, dietro lauta parcella, a informare sposi e amanti che il partner non li vuole più. “Terminator dell’amore” lo definirono i giornali. Un vero killer: nei primi due mesi di frenetica e benemerita attività, aveva recapitato ben 120 avvisi di abbandono. Mercato: Dressler ha capito quanto scomodo e imbarazzante sia dire addio al proprio partner, e quanto possa essere conveniente affidarsi a personale specializzato. Poiché è meno stressante farsi lasciare che lasciare, ma trovarsi l’amante e farsi scoprire è stressante il doppio, sempre un anno fa a Londra l’artista Bj?rn Franke ha presentato l'”Imaginary Affair Kit”, una valigetta contenente segni di morsi, tracce di rossetto, capelli, profumo… insomma tutto l’occorrente per simulare un rapporto clandestino. Quanto ai figli, è uscito anche in Italia il libro “Save the Children” scritto, almeno così vogliono farci credere, dalla piccola Libby Rees, anni 10, contenente consigli ai coetanei per sopravvivere al divorzio dei genitori. Il libro aiuta i figli, forse; di sicuro ha procurato tante soddisfazioni a chi si è goduto i diritti d’autore.
Nessuno stupore per la fiera che c’è, dunque. Semmai stupore per la fiera che non c’è. Quella che non si affretta a seppellire i matrimoni, ma cerca di tenerli in piedi. Perché si investono senza parsimonia energie per sciogliere un legame, e non si fa quasi nulla per salvarlo, superando le crisi grandi o piccole e renderlo magari più saldo? Il sospetto è che la consumerist society ci abbia colonizzato perfino nei più profondi anfratti dell’anima. Bisogna consumare, non conservare. Gettare e cambiare, non riparare. Movimentare desideri, capricci e denaro. Le lacerazioni, i rimpianti, i dolori disseminati qua e là? Danni collaterali, signori. Non si può fare una frittata senza rompere le uova. Ecco, questa immagine del rompitore d’uova è la conclusione adeguata per un articolo su Barz e la sua fiera.
(Da “Avvenire”, 28 ottobre 2007).

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I media si parlano addosso? Più libertà, più verità: parola del Papa

“La verità si scopre quando gli uomini sono liberi di cercarla”. Queste parole di un grande presidente americano, Franklin D. Roosevelt, furono dette 71 anni fa. Eppure funzionano benissimo anche oggi, per commentare il tema della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del prossimo 4 maggio: “I mass media tra protagonismo e servizio. Cercare la verità per condividerla”. Roosevelt condusse in guerra la sua nazione anche per garantire a tutti, non solo agli americani, il diritto e la libertà di cercare la verità. Come noi stiamo usando questo diritto e questa libertà dovrebbe essere oggetto di un dibattito di alto profilo e sicuro profitto (di tipo morale; l’invadenza del denaro è un problema, non la soluzione). Sperando di essere smentiti, temiamo invece che non se ne farà niente, perché nell’occasione il Papa non evoca nessuna esse fatale: né sesso, né soldi, né sangue. Quindi è assai probabile che sarà ignorato.
La verità va cercata, sapendo che abbiamo mappe incerte e strumenti inadeguati e che nessuno può dirsi geneticamente immune da pregiudizi e passioni. E va cercata non per il gusto narcisistico di possederla o per piegarla ai propri interessi, ma per condividerla, affinché tutti possano essere un poco più liberi. Un esempio – piccolo, di ieri – non guasterà. Su Radio 3, a Primapagina, la rassegna stampa del mattino, si evoca il Papa che parla di “diritto all’obiezione” per i farmacisti. Vengono citati, da Repubblica e Corriere, il commento di Michele Serra, l’intervista alla ministra Livia Turco e il parere di Umberto Veronesi. Un ascoltatore “offeso” telefona, lamentando che “il Papa non si esprima mai a livello europeo”. La conduttrice replica: “Sono d’accordo con lei”. Bella ricerca della verità e bel servizio agli ascoltatori. Opinioni tutte contrarie e una notizia falsa, perché il Papa si rivolgeva al congresso internazionale dei farmacisti, quindi a livello mondiale.
Per cercare la verità con qualche speranza di coglierne almeno qualche pezzo, bisogna tenere aperti gli occhi, le orecchie e il cuore. I mass media, oggi, svolgono spesso un cattivo servizio perché sono pigri, ascoltano solo se stessi e si parlano addosso. Quanto al cuore, quello se ne sta ben chiuso nel portafoglio. I cittadini, poi, non sono trattati da persone detentrici di diritti, tra cui quello di cercare liberamente la verità anche con il fondamentale contributo dei mass media, ma sono il gentile pubblico da lusingare, il luogo di ogni retorica. La frase “i miei lettori” non è intesa nel senso nobile dei “lettori dei quali sono a servizio”, ma nel senso utilitaristico e commerciale dei “lettori che vendo alle aziende per la pubblicità”; non cittadini, desiderosi di essere liberi di cercare la verità, ma carne da cannone nella battaglia quotidiana dell’audience.
Per questo la vera grande sfida, nella quale i cattolici si sentono in prima linea, è per la democrazia e la libertà. Chiediamo che tutti possano esprimersi, senza intimidazioni, senza elenchi degli argomenti proibiti. Chiediamo varietà e pari dignità di voci. Mark Twain, maestro in ironia, celiava: “La verità è la cosa più preziosa che abbiamo. Economizziamola”. Prendiamolo sul serio: la ricerca della verità costa? Nessun prezzo è troppo alto quando è in gioco la libertà.
(Da “Avvenire”, 31 ottobre 2007).

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Halloween e il gusto della magia.

L’uomo, in quanto animale religioso, ha bisogno di segni: di sacerdoti vestiti da sacerdoti, di chiese che sembrino luoghi sacri, e non teatri; di inginocchiatoi, e non di non sedie, per confessare i propri peccati, di giorni festivi che siano diversi da quelli feriali…

Un’esigenza, quest’ultima, testimoniata in ogni epoca, anche in quella del secolarismo: i rivoluzionari francesi aboliscono le festività sacre, ma le sostituiscono con ricorrenze naturalistiche; i positivisti alla Comte propongono di celebrare la memoria degli scienziati al posto di quella dei martiri, mentre i risorgimentali alla De Amicis vorrebbero sostituire San Pietro e san Paolo con Mazzini e Garibaldi…nessuno, insomma, vuole stare senza niente. I sistemi totalitari faranno qualcosa di analogo, essendo, in ultima analisi, surrogati dell’ esperienza religiosa. E oggi? Oggi feste antiche, come Halloween, ricorrenza celtica, prima cristianizzata e poi spogliata del suo significato originario, mobilitano all’improvviso, in pochi anni, milioni di persone, e di euro. Un tempo, in occasione di questa festa, si ricordavano i propri cari e ci si sentiva vicini a loro, con un legame di comunione spirituale. In Sicilia ci sono zone in cui i morti portano i doni ai bambini; in Romagna "tutti si alzavano di buon’ora e i letti erano lasciati per il riposo degli antenati". In altre regioni "si usava fare una questua per i poveri, raccogliendo pane e farina", mentre a Bergamo si preparavano "grandi pentole colme di una speciale minestra d’orzo che veniva caritatevolmente distribuita ai poveri". Dovunque era festa, e i defunti, tornando nella loro casa, dovevano trovare calore, cibo e ristoro (Paolo Gulisano, "La notte delle zucche", Ancora).

Tutti modi, già pagani e poi cristiani, per affermare che la morte non è l’ultima parola, che l’uomo ha una natura immortale, e che la morte è stata sconfitta: "Dove è, o Morte, la tua vittoria? Dove è, o Morte, il tuo pungiglione?". Oggi, invece, Halloween è un’altra faccenda: i morti, purtroppo, sembrano morti per sempre, e possono tornare solo come figure mostruose, come zombie, come comparse in un film d’orrore, fatto di streghe, pipistrelli, gatti neri e scheletri spaventosi. Nasce così una festa commerciale, per stressati che si divertono un po’ con giochi strani e zucche vuote, un revival di antichità pagane, una notte in cui dedicarsi ai tarocchi, o a qualche rito più o meno tenebroso. Le associazioni contro la vivisezione, infatti, si mobilitano per "evitare sacrifici di animali per riti satanici": monitorano, di notte, i canili e le colonie feline… Per fortuna non siamo ai tempi dei celti, quando i druidi, come racconta Cesare, sacrificavano gli uomini, incendiandoli dopo averli chiusi in colossali figure umane intessute di vimini. Eppure qualche mamma, in certe grandi città dell’America o dell’Inghilterra, preferisce tenere a casa i figli più piccoli per evitare sorprese. Si teme forse che i tempi pagani di Medea, o di Canidia, la strega di Orazio che sacrificava fanciulli, possano riapparire, insieme alle Baccanti, che si ubriacavano nelle orge, sbattevano indiavolate i tirsi sui tamburi, e finivano poi per uccidere animali o bambini: in fondo, certi locali notturni, e certa "musica di Satana", intessuta di messaggi subliminali, di inviti al suicidio, alla droga e al satanismo, sono forse peggio delle antiche cerimonie bacchiche.

E’ curioso come un’epoca che non crede al demonio, ami poi così tanto i suoi segni: penso alla simbologie di certi gruppi rock o metal, ad alcune riviste di magia per fanciulli, al gusto per l’occulto di tanti giovani…(Walter Salin, "Il canto di satana", Fede & Cultura). Bisogna infine ricordare che a lanciare Halloween come festa dell’horror contribuì un film del 1978, "Halloween, la notte delle streghe", in cui un pazzo indemoniato, tale Michel Myers, si scatena, nella notte del 31 ottobre, uccidendo e compiendo mostruosità di ogni genere. Nella filastrocca all’inizio del film si parla di "malocchio e gatti neri, malefici misteri/il grido di un bambino bruciato nel camino….". Quella dei sacrifici è una vecchia mania della stregoneria di ogni tempo, che troviamo anche nella recente storia, lorda di sangue, delle "bestie di Satana" di Varese. Nel diario di una affiliata, Chiara, poi sacrificata dal suo gruppo, insieme al fidanzato, si legge: "Sinuosa e bella come una pantera….luce mia, dolce strega, in un bosco circondata sei da candele, e in mano ancora stringi il cuore palpitante del bambino sacrificato alle tenebre". Siamo certi che Halloween sia solo "dolcetto-scherzetto"?

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Halloween, Guareschi e Padre Pio

Oggi è Halloween. Una festa recente. A pensarci bene, non si sa bene cosa si festeggia. Un compleanno, un’anniversario, una ricorrenza, un avvenimento del passato, una speranza per il futuro? Infelice il nostro destino quando facciamo festa senza neppure sapere perché. L’incoscienza e la distrazione sono due mali terribili perché non ci rendono così inabili e infermi da non creare danno.

E non occorre disturbare nessuno o violare la libertà dell’altro (perché c’è un cortile privato, l’unico ammesso anche dai negatori della proprietà privata, nel quale, è possibile – dicono loro – ogni cosa. Basta non superare la staccionata della privata libertà del vicino). Il male è già dentro il non senso, la sgarbata e banale prepotenza di chi vive e agisce senza alcun senso. D’altra parte, cosa pretendere quando il più acclamato cantate italiano si affanna a cercare un senso, e non trovandolo, dice: “Non c’è”. E’ così che nascono feste come funghi o giornate mondiali delle più stravaganti realtà. C’è quella del gatto, della lentezza, quella del risparmio energetico, e poi c’è quella del gioco, del libro e del diritto d’autore patrocinata dall’Unesco, il 27 settembre si festeggia quella del turismo, della danza, quella della proprietà intellettuale, il 16 ottobre quella del pane e il giorno dopo, tocca alla giornata mondiale del rifiuto alla miseria, l’otto marzo quella del rene, il 9 dicembre quella del bambino lavoratore, il 15 gennaio quella del migrante e del rifugiato e poi mille altre giornate mondiali: del donatore, del diabete, del malato, del volontariato, del vegetarianesimo, del ricordo della Shoah, della giornata senza tabacco.

Su Internet ho scoperto decine e decine di altre giornate mondiali: il 4 aprile è la giornata mondiale contro le mine, il 12 aprile dei cosmonauti, il 22 della Terra, il 3 maggio della libertà di stampa e il 23 giugno, indovinate cosa si festeggia? La giornata mondiale dell’orgoglio pedofilo, il boyloveday international. Non c’è bisogno di invadere la libertà dell’altro per compiere il male. Basta distrarsi e non accorgersi che al posto dei santi, hanno messo qualcos’altro. E’ stato sufficiente, ad esempio, occupare uno di quei cortili, spesso angusti, recintati, ma indifesi: uno di quei piccoli reticolati di date e giorni della settimana che costituiscono, nel numero di trenta o trentuno, il calendario. Se poi, ci si mette una donna nuda, altro che distrazione. La trascuratezza di veder sostituito i nomi dei santi con il nome di feste americane, festività indù, giornate cosmiche dei calvi, viene ampiamente ricompensata con una certa avvedutezza. Oggi è la festa di Halloween. Ai miei studenti ho provato a spiegare che il motivo per cui si sta a casa, è ben altro. Sono i santi, ma per loro, al massimo c’è posto per sante, quello prete, sposato, con una divorziata che aspira, magari a diventare pretessa…Al posto della festa di Tutti i Santi e la giornata di commemorazione dei defunti, subentra la festa di Halloween.

E’ un amaro scherzetto di chi pian piano, addolcettandoci la vita, ci toglie l’unica cosa che rende sensata l’esistenza. Mi è capitato di leggere, ultimamente, un libro di Guareschi, l’ultima sua opera, data alle stampe dopo la sua morte. In un momento di sconforto, don Camillo si rivolge al Crocifisso e gli pone quella domanda che, in termini diversi, è sulla bocca dei semplici, di chi cioè senza troppi giri di parole, dice: “ma dove andiamo a finire?”. Quando mi capita me la cavo con una battuta, ma appena mi allontano mi accorgo di aver detto qualche bugia di troppo o quantomeno di aver ostentato una sicurezza e una fiducia che non riscontro, sinceramente, in me. “Don Camillo, perché tanto pessimismo? Allora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione fra gli uomini sarebbe dunque fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?” “No, Signore. (…) L’uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L’unica vera ricchezza che, in migliaia di secoli, aveva accumulato. Un giorno non lontano si ritroverà esattamente come il bruto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell’uomo sarà quello del bruto delle caverne. Signore, se questo è ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?” Il Cristo sorrise. “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. “Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede a mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più; ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. “Ogni giorno di più uomini di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini d’ogni razza, d’ogni estrazione, d’ogni cultura.” Mi ha fatto bene incontrare queste righe. Quando leggo dei documenti della Chiesa o ascolto delle meravigliose prediche, non mi sento così persuaso come dopo che ho letto queste parole. Non sono Vangelo, ma per me le ha dette Cristo, sul serio. Domani festeggerò la festa di Tutti i Santi con più voglia e convinzione. E poi, anche il giorno seguente, quello in cui si ricorda la morte. Sì, la morte, non quella soltanto dei morti, ma anche quella che, mio malgrado, vorrà un giorno avvicinarsi, con più o meno intenzioni fraterne, a me. Domani mentre celebrerò la Messa dei Santi, penserò a Padre Pio. Gli vogliono rifare il processo di canonizzazione. Questa volta iscrivendolo nel registro degli inquisiti come filibustiere e millantatore. Non vorrei che stessero pensando di istituire, per il 23 settembre, una nuova giornata mondiale. Si renderebbe necessario così di scalzare il frate imbroglione e dare vita, chessò io, alla giornata mondiale degli omosessuali. Pensandoci bene, vuoi che non ci sia già. Mi auguro almeno che ne istituiscano una anche per i sacerdoti o per le suore di clausura. Sarei disposto, per una cosa così, a lasciare il via libera per il 23 ottobre, San Giovanni da Capestrano (non me ne voglia, anche a lui penserò domani). Ma a Padre Pio, onestamente, non vorrei rinunciare. Domani mi ricorderò anche dei martiri spagnoli. Sono molti per cui non mi ci metto a ricordarli uno a uno, ma mi basterà pronunciare per abbracciarli tutti, sperando di non essere sentito da qualche giovane dei centri sociali (o forse non sarebbe neppure una cattiva idea): “Viva Cristo Re”.

Mi sono riletto le parole del Santo Padre nell’angelus di domenica. “La contemporanea iscrizione nell’albo dei Beati di un così gran numero di Martiri dimostra che la suprema testimonianza del sangue non è un’eccezione riservata soltanto ad alcuni individui, ma un’eventualità realistica per l’intero Popolo cristiano. Si tratta, infatti, di uomini e donne diversi per età, vocazione e condizione sociale, che hanno pagato con la vita la loro fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. (…) Non tutti, certo, sono chiamati al martirio cruento. C’è però un "martirio" incruento, che non è meno significativo: è la testimonianza silenziosa ed eroica di tanti cristiani che vivono il Vangelo senza compromessi, compiendo il loro dovere e dedicandosi generosamente al servizio dei poveri. Questo martirio della vita ordinaria è una testimonianza quanto mai importante nelle società secolarizzate del nostro tempo. È la pacifica battaglia dell’amore che ogni cristiano, come Paolo, deve instancabilmente combattere; la corsa per diffondere il Vangelo che ci impegna sino alla morte” Anche queste parole mi hanno fatto bene, come quelle di Guareschi, anche se queste, sono solo del Papa.

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No global contro i martiri spagnoli.

Domenica 28 ottobre 2007 sarà ricordata, soprattutto in Italia ed in Spagna, per due avvenimenti straordinari, legati indissolubilmente tra loro e che hanno contribuito, una volta di più, a screditare il mondo della galassia no global di fronte all’opinione pubblica e alla storia. A Roma, nella chiesa di Sant’Eugenio è stata celebrata la cerimonia di beatificazione di 498 martiri spagnoli caduti per mano dei repubblicani rossi nel corso della guerra civile. Un numero record di beatificazioni avvenute in un solo giorno, proprio nel momento in cui il governo spagnolo presieduto da Zapatero sta discutendo sull’introduzione della «legge della memoria», che, se approvata, altro non porterà che ad una condanna aprioristica e senza appello del periodo franchista. Una ferita aperta, quindi, quella lasciata dalla guerra civile spagnola e che sembra non doversi mai chiudere, soprattutto per la volontà della frange più estreme della sinistra internazionale ed italiana in particolare. Proprio durante e al termine della solenne celebrazione religiosa di Roma, un gruppo di no global ha innalzato cartelli e striscioni in cui si leggeva, tra le altre cose, “Viva la brigata internacional”, “Chi ha ucciso, torturato e sfruttato non può essere beato”; altri manifestanti hanno innalzato cartelloni con impresso il celebre quadro di Picasso “Guernica”, diventato il simbolo della resistenza repubblicana contro il dilagare del franchismo in Spagna. Ma i gruppi di contestatori no global nostrani hanno qualche ragione valida per opporsi alla beatificazione dei 498 martiri spagnoli? Iniziamo una breve analisi dei fatti, ricordando doverosamente che la maggior parte delle vittime beatificate, spesso giovanissime, furono sacerdoti, suore, frati, che subirono, prima di essere uccise, torture paragonabili al supplizio di Gesù Cristo e i cui corpi furono quindi lasciati alla mercè della soldataglia comunista per giorni prima di essere cosparsi di benzina e bruciati. Non credo di poter essere smentito se affermo che nessun altra guerra civile ha raggiunto gli apici di violenza e di odio ideologico paragonabili a quelli scatenatisi durante la guerra civile che insanguinò la Spagna tra il 1936 ed il 1939. Guerra ideologica certamente, supportata con grande dispendio di mezzi e uomini dalle grandi potenze totalitarie dell’epoca, Germania, Italia ed Unione Sovietica. La peculiarità di questa guerra risiede però nella volontà esplicita da parte delle forze repubblicane di eliminare forzatamente e definitivamente ogni traccia della gloriosa e radicata presenza cattolica nel mondo spagnolo; per portare a termine questo disegno mefistofelico si utilizzarono modalità talmente raccapriccianti che ancora oggi appaiono quasi incredibili: dati ufficiali parlano di 6834 vittime tra i religiosi spagnoli, tra cui ben 13 vescovi e 283 suore. Per non parlare dell’immenso patrimonio artistico distrutto dalla ferocia anticristiana dei comunisti, dei socialisti e degli anarchici, sia spagnoli sia membri delle brigate internazionali. Furono profanate chiese, fucilate statue del Cristo, di Santi, della Vergine Maria, messi al rogo migliaia di libri e testi sacri o a carattere religioso. Per essere seviziato ed ucciso bastava portare addosso, al collo o in tasca un’immagine sacra: ci sono giunte testimonianze di crocifissioni messe in atto contro persone sospettate di vicinanza alla chiesa cattolica. Non ne erano più state eseguite dai tempi delle grandi persecuzioni dell’Impero Romano. Molti cadaveri non furono mai ritrovati.

Un odio cieco e spietato che non si può spiegare solo attraverso un’analisi politica dei fatti, in una lotta contro il “fascismo” come per tanti anni abbiamo sentito ripetere dalla maggior parte della storiografia italiana. Per decenni abbiamo assistito ad una divisione manichea della storia, dove tutti i buoni stavano da una parte, in questo caso i “rossi”, ai quali si perdonava tutto in quanto portatori della giusta causa; se poi si massacravano anche migliaia di religiosi inermi, si faceva finta di non sapere oppure si cercavano giustificazioni banali, indicandoli come fiancheggiatori, se non complici del franchismo. A distanza di tanti anni dalla fine della guerra, a 32 anni dalla morte del “Caudillo” Franco e , soprattutto, dopo l’implosione dei regimi comunisti dell’est, si sperava di poter discutere e valutare le terribili vicende della guerra civile spagnola con il distacco dello storico, obiettivamente e senza partigianeria di giudizio: evidentemente per buona parte dell’universo legato alla sinistra il tempo si è fermato. Mi spiace (quasi) che i no global romani non abbiano pensato di utilizzare meglio il loro tempo per studiare ed approfondire quelle vicende invece di preparare striscioni grondanti del sangue dei martiri spagnoli. Avrebbero forse scoperto che l’accusa periodicamente mossa ai religiosi spagnoli di essere una sorta di “quinta colonna” franchista e che proprio per questa ragione furono uccisi, anzi, “giustiziati”, è infondata alla radice: l’odio anticristiano delle milizie comuniste, socialiste, senza dimenticare il supporto degli ambienti repubblicani e massoni, iniziò già nel 1931, con l’approvazione di una Costituzione “laica”, ma forse si potrebbe già definire laicista; l’anno seguente si vietò l’esposizione di ogni simbolo religioso dalle scuole, l’insegnamento della religione in tutte le scuole di ogni ordine e grado e si promulgò una legge che introduceva il divorzio. Nel 1933 si introdusse una legge che sottoponeva il culto cattolico al controllo dell’autorità civile. Nel 1934 si cominciano a contare le prime esecuzioni di religiosi e di cattolici laici durante la rivolta delle Asturie. Un martirio vero e proprio legato alla devozione e non al credo politico come ancora sostengono i militanti dei centri sociali romani, fermi su posizioni ideologiche preconcette ormai superate dall’evolversi stessa della storia. Come ben ha ricordato Papa Ratzinger al termine dell’Angelus del 28 ottobre “I martiri uccisi in Spagna sono uomini e donne diversi per età, vocazione e condizione sociale, che hanno pagato con la vita la loro fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa”.

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Chiesa e massoneria: centinaia di scomuniche.

“La liberazione d’Italia -opera eminentemente massonica- fu sorretta, in ogni suo passaggio fondamentale, dalla iniziativa delle Comunioni massoniche d’oltralpe”.

Ad esprimersi così, nel 1988, è il gran maestro Armando Corona che prosegue: la massoneria “fu il vero ispiratore e motore” del risorgimento “perché sua era l’idea guida della liberazione dei popoli”. Dal momento che la massoneria è stata, per bocca dei suoi più autorevoli esponenti, protagonista del risorgimento e dal momento che la popolazione italiana è da circa due millenni cattolica, vediamo cosa la chiesa cattolica pensi della società che ha animato, insieme a quella italiana, le rivoluzioni degli ultimi secoli. La Massoneria moderna nasce a Londra nel 1717 e la prima delle centinaia di scomuniche emesse dalla chiesa nei suoi confronti è solo di qualche anno posteriore.

Il 28 aprile 1738, nella bolla In eminenti, ClementeXII condanna il segreto che caratterizza le associazioni dei Liberi-Muratori, il silenzio imposto “intorno alle cose che esse compiono segretamente” (se non operassero iniquamente, “non odierebbero tanto decisamente la luce”), il disaccordo con le leggi civili e canoniche. Clemente XII vuole scongiurare il pericolo che “questa razza di uomini non saccheggi la Casa come ladri, né come le volpi rovini la Vigna; affinché, cioè, non corrompa i cuori dei semplici né ferisca occultamente gl’innocenti”. Tredici anni dopo è la volta di Benedetto XIV che, il 18 marzo del 1751, pubblica la bolla Providas Romanorum. Nulla di nuovo, si tratta semplicemente di reiterare le condanne già espresse: il papa è costretto a farlo perché “alcuni non hanno avuto difficoltà ad affermare e diffondere pubblicamente che la detta pena di scomunica imposta dal Nostro Predecessore non è più operante perché la relativa Costituzione non è poi stata da Noi confermata, quasi che sia necessaria, perché le Apostoliche Costituzioni mantengano validità, la conferma esplicita del successore”.

Il 3 settembre 1821 è la volta di Pio VII con la bolla Ecclesiam a Jesu Christo. Il papa torna sull’argomento perché i “Carbonari pretendono, erroneamente, di non essere compresi nelle due Costituzioni di Clemente XII e di Benedetto XIV né di essere soggetti alle sentenze e alle sanzioni in esse previste”. Pio VII ammonisce di non prestare “alcun credito alle parole” dei carbonari, perché “costoro simulano un singolare rispetto e un certo straordinario zelo verso la Religione Cattolica e verso la persona e l’insegnamento di Gesù Cristo Nostro Salvatore, che talvolta osano sacrilegamente chiamare Rettore e grande Maestro della loro società. Ma questi discorsi, che sembrano ammorbiditi con l’olio, non sono altro che dardi scoccati con più sicurezza da uomini astuti, per ferire i meno cauti; quegli uomini si presentano in vesti di agnello ma nell’intimo sono lupi rapaci”. Il pontefice ricorda che i carbonari sono all’origine dei tentativi rivoluzionari di quegli anni, e ribadisce che “nel sovvertire questa Sede Apostolica sono animati da un odio particolare”.

Pio VIII rinnova il monito nel 1829 e, sempre riferendosi alla Carboneria, afferma: “Tra tutte queste sette segrete Noi abbiamo risoluto di segnalarne alla vostra attenzione una speciale formata di recente: il cui scopo è di corrompere la gioventù educata nei ginnasii e nei licei”. Non lasciatevi “sedurre da nessuna apparenza, né ingannare da veruna arte maliziosa”, raccomanda il papa. I pronunciamenti della Chiesa contro la Massoneria si rinnovano nel tempo fino ad arrivare al più recente del 26 novembre del 1983. In questa data la Congregazione per la dottrina della fede emette un provvedimento solenne firmato dal Prefetto, card. Ratzinger, in cui si sostiene: “Rimane immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche […] e perciò l’iscrizione ad esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla santa comunione”. Cosa dire di più? Una piccola citazione può mostrare l’attualità dell’argomento. La voce Massoneria di una delle più diffuse enciclopedie mondiali su dischetto (The 1995 Grolier Multimedia Encyclopedia) dopo aver ricordato che in passato l’Istituzione è stata aspramente combattuta dalla Chiesa specifica: “A papal ban on Roman Catholic membership in Masonic lodges was rescinded in 1983” (il divieto per i cattolici di far parte di logge massoniche è stato cancellato nel 1983). L’esatto contrario di quello che la chiesa ha solennemente ribadito. Niente di nuovo sotto il sole.

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