APPELLO DI SCIENZA & VITA: “NO ALLA CONDANNA A MORTE DI ELUANA ENGLARO”

“No alla prima esecuzione capitale della storia Repubblicana italiana. No alla sentenza di morte pronunciata da alcuni giudici italiani contro Eluana Englaro”. In queste ore si può consumare un terribile dramma che potrebbe restare come una macchia indelebile sulla coscienza di tutto un popolo, quello italiano, che in tante occasioni ha invece manifestato un amore senza confini per la vita umana in ogni sua fase, dal concepimento e fino alla morte naturale. Fermare la mano di chi si appresta a togliere la vita dando attuazione alla sentenza di un tribunale – peraltro sostenuta da alcuni settori minoritari dell’opinione pubblica e della medicina – è a questo punto un dovere insopprimibile per tutte le coscienze libere di questo Paese. E lo pretende il rispetto delle stesse leggi italiane che non ammettono l’eutanasia, tale essendo ciò che si sta per commettere. Per questo ci rivolgiamo a tutta l’opinione pubblica, ai mondi della cultura e della scienza, del diritto e dell’economia, dell’informazione e del sociale perché con noi, e accanto a noi, sappiano pronunciare un grande “Sì” alla vita e un “No” insuperabile alla condanna a morte di Eluana. Chiediamo di sottoscrivere questo nostro appello che contiamo possa essere recepito da quanti sono in grado, attraverso gli strumenti della giustizia e della politica, di fermare questa orribile escalation. Invitiamo inoltre la famiglia di Eluana ad accogliere l’invito di chi ha dichiarato di voler continuare ad assisterla amorevolmente: altro non è che un affidamento di amore. Al tempo stesso ci impegniamo a sostenere tutti gli sforzi per garantire la vita di Eluana.

I presidenti Maria Luisa Di Pietro Bruno Dallapiccola

Storie dalla Sierra Leone. Per un Natale di speranza

Da oggi, lunedì 3 dicembre e fino a lunedì 10 negli spazi espositivi di Palazzo Trentini, in via Manci 27 a Trento, sarà aperta al pubblico una mostra fotografica che illustra le attività di Padre Giuseppe Berton (nella foto) attraverso le immagini di persone e di opere realizzate dal missionario italiano e dall’associazione locale FHM (Family Homes Movement) in quarant’anni di presenza in Sierra Leone.

Dal 2003 l’associazione trentina EDUS collabora con padre Berton e FHM alla realizzazione di progetti volti soprattutto all’accoglienza, al recupero e alla formazione scolastica e professionale di ragazzi ex-soldato o di strada.

Le immagini esposte mostrano una realtà drammatica e di estremo bisogno, ma documentano anche come una presenza umana intelligente e caritatevole possa far rinascere la speranza e costruire luoghi di accoglienza e di educazione in grado di ridare dignità alla vita umana. La mostra è composta da 50 pannelli divisi in 6 sezioni:

1. Padre Giuseppe Berton: immagini del sacerdote nei luoghi e con le persone della Sierra Leone Nato a Marostica nel 1932 da quarant’anni è missionario saveriano in Sierra Leone.

Laureato a Glasgow in filosofia morale e logica. Dal ‘64 al ‘66 comincia la missione in Sierra Leone dove dal 1972 si stabilisce definitivamente.

2. La Sierra Leone: La Sierra Leone è uno dei paesi più poveri del mondo e la situazione si è ulteriormente aggravata in seguito alla guerra civile terminata pochi anni fa. Le donne e i bambini sono le vittime principali della povertà in cui versa il paese, come tragicamente dimostrano i tassi di mortalità, tra i più alti al mondo. Nelle periferie di Freetown i problemi ed i bisogni abbracciano praticamente tutti i settori, dall’assistenza sanitaria, alla possibilità di istruzione, al tasso di disoccupazione altissimo, al degrado sociale dei nuclei famigliari, all’alto tasso di violenza, alla pressoché totale mancanza di servizi. A questa situazione già drammatica si è aggiunta la tragedia degli ex-bambini soldato, bambini e ragazzi rapiti dai ribelli nel corso di incursioni e stragi nei villaggi di appartenenza e costretti con ogni sorta di violenza a combattere e uccidere. L’accoglienza e il recupero di questi bambini è stata per anni la necessità più urgente a cui Padre Berton ha cercato di rispondere fondando a questo scopo un’associazione, il “Movimento Case Famiglia” (Family Homes Movement)

3. Il Family Homes Movement (FHM): Il Family Homes Movement (F.H.M.) è una ONG locale voluta e fondata da Padre Berton, che si occupa dell’assistenza e dell’educazione dei ragazzi e bambini di strada nella città di Freetown in Sierra Leone, attualmente le persone che lavorano a vario titolo per FHM sono 30. Oggi, il Movimento Case Famiglia si prende cura di circa 350 ragazzi di strada sia direttamente attraverso il Centro S. Michael, sia indirettamente tramite famiglie adottive, inoltre gestisce una scuola di base e secondaria con circa 1’000 studenti.

4. Il centro di prima accoglienza S.Michael Il centro è costituto da una vecchia struttura alberghiera, donata durante la guerra dai vecchi proprietari ad F.H.M., utilizzata come punto di prima accoglienza per i giovanissimi assistiti dall’FHM. Nella fase di prima accoglienza, cura, assistenza e ricerca di famigliari e/o parenti i bambini e ragazzi di strada vengono ospitati ed accuditi presso il centro S. Michael, dove possono frequentare la scuola di base. Attualmente i bambini ospitati sono 40.

5. Le case famiglia. La convinzione che anima l’opera di F.H.M. è che il carattere e la personalità di un ragazzo può formarsi solo nel contesto di una famiglia, pertanto il reinserimento dei bambini e ragazzi di strada avviene attraverso la partecipazione fondamentale delle famiglie adottive e/o affidatarie. FHM gestisce ad oggi 52 family-homes per un totale di circa 350 ragazzi e per la maggior parte distribuite nella capitale Freetown e dintorni. Le case sono condotte da “genitori” che hanno già figli loro ma che sono disponibili ad accogliere altri bambini o ragazzi, mediamente in numero compreso fra i 4 e 6 ragazzi, l’aiuto che viene dato da FHM riguarda la casa ( data in uso gratuito ) e le spese scolastiche dei ragazzi, in alcuni casi interviene per far fronte a spese mediche. La collaborazione e l’aiuto fornito dall’associazione EDUS, dal 2003 ad oggi, ha permesso la costruzione di 12 casette date in uso alle famiglie adottive.

6. “The Holy Family Primary School”. In Sierra Leone solo il 36% dei bambini e ragazzi ha la possibilità di frequentare una scuola. Per far fronte a questa emergenza F.H.M. ha inizialmente provveduto alla realizzazione di una piccola scuola di base ma, col passare degli anni e la crescente richiesta della popolazione locale, si è resa necessaria una struttura in grado di offrire una possibilità di istruzione a un maggior quantità di studenti. Con una prima realizzazione nel 2004 e una seconda nel 2006 è sorta la scuola secondaria e di base “The Holy Family Primary School” che ad oggi ospita 1050 studenti con 45 insegnanti.

La mostra rimane aperta tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 19.00 – Ingresso libero

Le foto sono tutte di Ernesto Dominici. Nato in Uruguay ma discendente da italiani, Ernesto Dominici è arrivato in Italia poco più che ventenne alla ricerca delle sue origini. Da alcuni anni si è trasferito in Trentino. Di professione “viaggiatore”, come ama definirsi, non lascia mai a casa la macchina fotografica. Dieci anni di Africa gli hanno permesso di affinare la qualità delle sue fotografie, per quanto riguarda sia i reportages sui popoli e le loro culture, sia quelli naturalistici. I suoi ultimi lavori lo vedono impegnato a documentare le condizioni di vita dei bambini nelle zone più difficili del mondo, cercando di far conoscere queste realtà e le attività di chi lavora sul campo.

Referendum sulla scuola. Perché votare “no” è meglio dell’astensione

Due considerazioni sul referendum in programma domenica 30 settembre contro l’inserimento previsto dalla legge delle scuole paritarie nel sistema educativo e formativo del Trentino.

1. La prima è che, diversamente da quel che si dice, i promotori della consultazione non ce l’hanno affatto con le “scuole private”.

Per loro il punto inaccettabile consiste nella parificazione giuridica di alcune di queste scuole. In altri termini la Provincia non avrebbe dovuto accordare riconoscimento legislativo ad istituti sorti e gestiti da enti diversi dalla pubblica amministrazione.

Il ragionamento dei referendari è questo: i privati sono liberissimi di creare e gestire degli istituti educativi o formativi di qualsiasi tipo (non importa se cattolici, steineriani, profit, no profit o altro) così come di chiedere e di ricevere contributi da enti pubblici. Non è però tollerabile che la Provincia dedichi espressamente alcune norme della legge del settore anche a scuole come queste, delle quali non ha il totale controllo, garantendo conseguentemente ad esse il diritto di ricevere un sostegno pubblico sistematico e non puramente episodico, legato a convenzioni e accordi temporanei.

E ciò per una ragione inequivocabile: una volta che le norme hanno sancito, come è accaduto con la legge provinciale 5 del 2006, la piena partecipazione di questi istituti al sistema educativo e formativo del Trentino, attribuendo in tal senso ad essi il titolo di “paritari”, il governo provinciale, chiunque lo guidi, non può più decidere discrezionalmente, in base al proprio programma, alla propria strategia o al proprio gradimento politico, di ignorarli o di riservare ad essi un trattamento anche finanziariamente in contrasto con la legge.

Il referendum non propone, quindi, di negare alla Provincia la possibilità di concedere risorse alle scuole paritarie. Chiedendo di votare “sì” i promotori della consultazione invitano i cittadini del Trentino a lasciare completamente in balìa del potere politico, vale a dire del “colore” e degli umori dell’esecutivo e della maggioranza di turno, la scelta di aiutare più o meno generosamente, di elargire più o meno benevolmente (ma potremmo usare anche il verbo “comperare”), oppure di ignorare le scuole che non dipendono direttamente dalla Provincia.

Ciò che più ripugna nella posizione dei referendari è dunque il profilo ricattatorio del rapporto fra potere politico provinciale ed enti del privato-sociale (molto interessanti perché più popolari del “privato-privato”), al quale vorrebbero esporre queste scuole e chiunque – famiglie, ragazzi, docenti – ad esse si rivolga. Escludendole dalla legge e quindi dal Sistema educativo e formativo pubblico, sarà infatti molto più agevole, per chi occupa ruoli di governo, aprire o chiudere a piacere i “cordoni della borsa” nei confronti di questi istituti in cambio di consenso politico. Anche se le norme non eliminano del tutto il rischio, di certo lo limitano notevolmente.

2. Anche per impedire questa ulteriore e odiosa forma di soggezione della società alla politica (perché i cosiddetti “privati” altro non sono che la società, cioè noi), le scuole paritarie sono state incluse dalla Provincia nella legge 5 del 2006.

E per la stessa ragione ritengo che il referendum finalizzato a cassare queste importanti norme offra oggi ai trentini un’occasione propizia per rivendicare e riproporre con chiarezza, andando a votare “no”, il primato della società sulla politica.

Chi crede davvero nel valore irrinunciabile di questo primato, con il referendum ha l’opportunità di respingere apertamente, esprimendo nella scheda la propria contrarietà, l’attacco portato da chi vorrebbe invece cancellarlo.

Oggi più che mai occorre, a mio parere, dimostrare visibilmente come la schiacciante maggioranza dei trentini crede davvero nella responsabilità educativa della famiglia e nell’utilità sociale, cioè “pubblica”, dell’iniziativa di associazioni ed enti sociali impegnati a sostenere i genitori nel difficile compito formativo loro affidato dalla Costituzione e dalla natura.

Penso che non recandosi alle urne in seguito a una campagna che raccomandi l’astensione, non si otterrebbe lo stesso risultato. Si permetterebbe invece ai “sì” di affermarsi nettamente. E in questo caso, anche se i voti restassero molto al di sotto del 50% di affluenza degli aventi diritto, quorum necessario perché l’esito del referendum sia considerato valido, emergerebbe soprattutto un dato: la scarsa capacità non solo delle “paritarie” ma soprattutto dei tanti cittadini e delle numerose associazioni, realtà sociali e famiglie che ritengono prezioso il servizio da esse reso al bene comune, di dar ragione del pieno diritto di cittadinanza di queste scuole nella legge provinciale da cui è disciplinato il sistema dell’offerta educativa e formativa pubblica del Trentino.

In definitiva: il non-voto dei più, decreterebbe magari l’insuccesso del referendum ma regalerebbe comunque ai “sì” un certo successo politico. Se invece i “no” prevalessero sui “sì”, vincerebbero – in ogni caso e indiscutibilmente – tanto le paritarie quanto la società e, in essa, soprattutto le famiglie con la loro libertà di scelta in campo educativo e formativo. E la legge provinciale sarebbe considerata un passo irreversibile verso la piena realizzazione di questo obiettivo.

Antonio Girardi

La scimmia non ride

A proposito della mostra «La scimmia nuda» proposta dal Museo Tridentino di Scienze Naturali, diversamente da quanto l’esposizione sponsorizzata dalla Provincia vorrebbe di fatto dimostrare senza uno straccio di prova (come evidenzia Francesco Agnoli nel ricchissimo articolo prededente), l’uomo è un essere "unico" non riconducibile agli animali, scimmie incluse, anche in ragione della famiglia. E perché ride.

A spiegarlo molto bene è Francesco D’Agostino in un editoriale del quotidiano «Avvenire», di cui ripropongo uno stralcio. Eccolo.

«Quando si riflette sul serio sulla realtà della famiglia, si scoprono alla fine inevitabili convergenze su alcuni punti fermi:

– la famiglia non è una "invenzione" storico-sociale, attribuibile a una cultura e a una determinata epoca, bensì una struttura antropologica fondamentale;

– l’uomo, così come è l’unico animale che parla, l’unico animale che ride (e, purtroppo, anche l’unico animale che fa ridere), l’unico animale che seppellisce i propri morti, è l’unico animale che si sposa;

– le determinazioni giuridiche della famiglia variano nei secoli e secondo le diverse culture, ma la sua funzione antropologica – garantire l’ordine delle generazioni – resta costante; questa che chiamiamo garanzia dell’ordine delle generazioni non si appoggia ad impulsi istintuali o biologici, ma si determina a partire da una specifica volontà, quella di un uomo e una donna di essere pubblicamente riconosciuti marito e moglie;

– nelle prospettive religiose e filosofiche più profonde, questa volontà è ben compresa come specificamente etica: di qui l’esigenza che la volontà sia matura, consapevole, libera, che esprima cioè la piena intenzione di un soggetto di unirsi per tutte le dimensioni della sua vita personale al coniuge, per costruire quel luogo di comunicazione totale (secondo l’espressione del sociologo Niklas Luhmann) che è la comunità familiare».

Avvicinandosi l’ora di pranza aggiungo che gli uomini, come mi ha spiegato un giorno uno studioso formidabile e ricco di humor come Leo Moulin, si diversificano strutturalmente dagli animali anche perché sanno cucinare.

Renato Farina ha “raccontato” a Trento don Giussani

Quella proposta di seguito è una sintesi degli appunti da me presi durante l’intervento di Renato Farina (nella foto, a destra di don Giussani) che, su invito dell’associazione Libertà e Persona e della Compagnia delle Opere, ha presentato a Trento , in un incontro pubblico nella sala della Regione, il suo ultimo libro: “Don Giussani. Vita di un amico” (Piemme).

Le mie sono note da lui non riviste, che risentono di tutta l’imperfezione di chi ha semplicemente cercato di fissare i passaggi più significativi del discorso ascoltato per poterli poi rileggere. Per rileggerli li ho trascritti, preferendo così questa formula narrativa – molto meno fedele e difettosa di una registrazione meccanica – rispetto a quella più classica della cronaca giornalistica, perché mi sembra più viva e capace di restituire meglio l’intensità dell’impressione provata ascoltando questa testimonianza. Mi scuso quindi se non ho riportato alcune frasi o passaggi interessanti.

Domanda

“Perché hai scritto questo libro su don Giussani proprio in questo periodo particolarmente difficile della tua vita?”

Risposta

“Trovarmi qui tra voi a raccontare il libro che ho scritto su don Giussani è per me un modo di essere afferrato di nuovo dalla Misericordia in cui solo consiste il significato della nostra vita. E’ vero, gli ultimi dieci mesi sono stati per me molto pesanti. Ma quando hai perso tutto e gli altri ti hanno portato via tutto – non importa se ingiustamente o no, anche se io penso ingiustamente – trovi molto più di prima quello che per te veramente conta: la Misericordia come struttura della realtà. Una misericordia che ti fa respirare. Sintetizzando in modo potente un capitolo del profeta Geremia, don Giussani gli attribuiva questa frase: “ti ho amato di un amore eterno, avendo avuto pietà del tuo niente”. In un momento così mi sono chiesto ‘chi sono io’, cioè ‘cosa mi fa vivere dentro tutto questo’. La risposta non è una formula. Quando accadono queste vicende uno è posto di fronte alla domanda centrale della vita. E io cosa potevo fare se non riprendere in mano l’incontro determinante per la mia vita, quello con don Giussani?

Mi rendo conto che in tal modo c’è il rischio di sporcare la sua immagine (infatti l’Alto Adige di oggi titola: “L’ex agente Betulla presenta il libro su don Giussani” – e io mi sono chiesto: perché ex? Non sono mica morto). Io ho avuto la fortuna di vivere un rapporto di amicizia privilegiata con don Giussani: l’ho intervistato varie volte, ne ho scritto un libro (“Un caffè in compagnia”) anche se lui mi aveva chiesto di scrivere la storia di Cl, impegno che non ho potuto mantenere essendo diventato vicedirettore di Libero. Riprendere in mano oggi don Giussani mi ha dato la possibilità di raccontare di lui e di fare così memoria di chi sono io.

Questo mi ha reso ancor più consapevole che non c’è nulla che ti possa capitare di male che non abbia un termine positivo. Da don Giussani ho imparato che tutto è grazia perché c’è stata la risurrezione di Cristo, e la risurrezione di Cristo è la vita come amicizia con le persone che ti sono più care e anche con chi è lontano perché nulla più ti è estraneo. Con questo libro ho voluto dare a tutti la possibilità di ascoltare la voce di don Giussani, le cose decisive che ha da dire alla vita non dell’umanità in generale ma proprio della tua vita.

Raccontando del mio rapporto con don Giussani sapevo di correre il rischio sia di una eccessiva personalizzazione sia di un certo localismo visto che Desio, sua città natale, è la stessa in cui sono nato anch’io e ci sono anche degli intrecci sia pur molto lontani tra le nostre famiglie. Ma la cosa sorprendente che mi rende testimone del miracolo è questa. Desio, in Brianza, è considerata il luogo di maggior resistenza alla scristianizzazione e della più forte alleanza fra il popolo e gli intellettuali che erano i sacerdoti. Sin dai tempo di Ambrogio e poi di San Colombano evangelizzatore della Lombardia, Desio è stato sempre il punto di riscossa della fede. Non a casa quando nacque don Giussani c’era un papa di Desio: Pio XI. Io ho bevuto lo stesso latte e la stessa dottrina, la stessa arte cristiana di cui è ricca la chiesa di Desio, il culto della Madonna con i pellegrinaggi a Caravaggio, l’idea del lavoro.

Ma allora perché a Desio tutte queste cose senza don Giussani erano vere ma morte, e con lui sono invece diventate vive? Quando c’è un’esperienza umana vera è sempre generata dallo Spirito Santo e non è mai la semplice somma degli elementi pregressi (la tradizione cristiana, la frequentazione della chiesa, ecc.). Prima di lui c’era la stessa cultura ma non aveva impeto, non faceva ribollire il sangue. Nella vita di don Giussani si vede bene questo: c’è la libertà di Dio che dona la Grazia e la libertà dell’uomo che l’accetta o la rifiuta. Infatti nella storia notiamo da una parte il cattolicesimo concepito come una sequenza di comandamenti e di morale, dall’altra come una serie di valori più o meno progressisti o tradizionalisti. In questo modo si rischi di perdere di vista la persona di Gesù, presente qui ed ora. Per Grazia. Don Giussani ha testimoniato questo. Dio non ci fa mai mancare le persone che testimoniano questo. Che testimoniano come don Giussani che Dio vuole per noi una vita utile che sia per la felicità.

La verità è che don Giussani non ha inventato niente. Non c’è il cristianesimo di don Giussani, ma l’avvenimento cristiano preso sul serio da una persona. Lui ha imparato tutto dai suoi genitori che gli hanno dato la fede e soprattutto il metodo, l’uso della ragione, con il padre gli raccomandava di chiedersi sempre il perché delle cose. Poi in seminario ha conosciuto la poesia di Leopardi, in cui la donna rappresentava la Bellezza che non riusciva ad incarnarsi. Come mi raccontò il cardinale Giacomo Biffi, Giussani apprese dal suo insegnante di allora, Giovanni Colombo, che quella stessa Bellezza che Leopardi bramava, in Cristo non è più sopra le nuvole ma ha preso forma d’uomo. Non si tratta anche in questo caso di un’invenzione di don Giussani, ma del ‘cristocentrismo estetico’. Solo che don Giussani lo prendeva sul serio, fino a utilizzare le parole di Leopardi come una preghiera dopo la comunione.

La stessa etimologia della parola poesia che don Giussani spesso ricordava, deriva dal greco e dall’ebraico ed ha a che fare con la parola creazione. Per questo lui diceva che il più grande poeta è Dio. Queste cose negli altri restavano lì, mentre in lui diventano movimento, movimento nella vita sua e degli altri. Non fu don Giussani a creare un gruppo all’interno del seminario, Studium Christi, né Gioventù studentesca, che c’era già, né a chiamare il gruppo adulto Memores Domini, nome inventato da un suo amico, don Giuseppe Lattanzio. Tutto ciò che don Giussani riceveva prendeva vita: questo è il suo carisma.

Vi racconto ora un episodio che non troverete nel libro ma al quale tengo molto per spiegare perché sono convinto che si possa e si debba pregare don Giussani. Don Giussani è morto la notte del 22 febbraio 2005 e alle 4 di mattina io mi trovavo nella sede di Cl per rispondere, essendo del mestiere, alle telefonate dei giornalisti. Ricordo che alla domanda di un giornalista della Stampa, Mattia Feltri, che mi chiedeva se don Giussani avesse mai fatto miracoli, risposi non so perché che ne avrebbe fatto uno di lì a dieci giorni. Poco dopo un amico mi parlò di una donna affetta da una gravissima forma di tumore al cervello. Gli dissi di pregare don Giussani e lei, cristiana non particolarmente fervente e soprattutto completamente ignara di chi fosse don Giussani, mi ascoltò. Poi quella donna non è guarita, ma la sua vita è completamente cambiata. E’ diventata un centro pulsante di vita nuova, la mia vita e quella di altre persone hanno iniziato ad essere influenzate da lei che ci sollecitava a pregare sempre, dicendomi di affidare a lei, malata, le mie preoccupazioni.

In lei – che sono andato a trovare poco prima che morisse, 15 giorni fa – io ho visto che cos’ il carisma di don Giussani: che ogni istante della vita, perfino quando la stai morendo, si riempie di bellezza, diventa fino in fondo umano. E’ il cristianesimo reso vivo adesso che attraverso di lui colpisce l’esistenza di altri. E’ la possibilità per chi lo incontra di essere più umani pur restando malati o continuando a sbagliare e ad inciampare, perché sei sostenuto dalla certezza di non essere solo, dalla certezza che c’è una presenza che non ci abbandona e colma il nostro Bisogno, con la B maiuscola, di essere. Perché noi come disse a Roma durante l’incontro dei movimenti ecclesiali con il Papa nel 1998, siamo mendicanti del cuore di Cristo, cioè dell’assoluto, e nello stesso tempo Cristo è mendicante del cuore dell’uomo, anzi è colui che per primo si è fatto incontro all’uomo.

Questo suo metodo poneva al centro di tutto la ragione non intesa intellettualmente, ma come insieme delle domande decisive del nostro cuore, l’apertura alla realtà totale: desiderio intelletto e sentimento. Tutto ciò che è umano, insomma: a questo Cristo risponde e si fa incontro come un’esperienza. La vita è positiva non perché siamo ottimisti con la volontà, ma perché se anche l’uomo fa un po’ schifo, nella realtà si è impresso l’avvenimento di Cristo. Anche se siamo dispersi, soli, perseguitati o siamo rimasti in pochi, un minuscolo resto d’Israele, Dio incarnandosi e risorgendo ha vinto. Tutto questo è detto fantasticamente in “Gesù di Narareth”, il libro appena uscito di Benedetto XVI.

Scusate se questa risposta è stata lunga, ma spero con questo mio libro di far sentire la voce di don Giussani, che poi non è la voce sua ma la voce di un altro che lo muove”.

Domanda

“C’è un episodio che ti ha mostrato come don Giussani non fosse un sacerdote qualunque?”

Risposta

“Quasi subito. Vedevo l’unità di quelli che stavano con lui e che invidiavo perché pur essendo amici non erano chiusi ma aperti a tutti. Mi rendevo conto che questo era mescolato alla fede e alla preghiera ma non capivo. Mi ricordo un raduno a Pesaro nel 1971. Don Giussani non parlava a me ma teneva una lezione davanti a 3.500 persone, eppure descrisse esattamente il mio cuore, il mio groviglio di passioni, prendendo sul serio il mio desiderio in quel momento, di una donna, di bellezza, pienezza, felicità e mostrando che Gesù Cristo era la possibilità che tutto questo si avverasse.

Del resto anche il Vangelo mostra che Gesù era una personalità eccezionale, tanto che gli uomini non potevano fare a meno di sentirsi affascinati e attratti da lui anche se non capivano niente, ma sentivano che lì, in quell’uomo, c’era la risposta di cui avevano bisogno. Con questo non voglio paragonare don Giussani a Gesù Cristo ma dire che me lo rendeva presente come è presente un amico. Un amico è colui che quando sbagli ti difende, ti protegge, fa in modo che tu non ti senta solo. Non per una sorta di copertura mafiosa, ma perché quest’amicizia, questa misericordia è la grande regola del mondo di cui il cristianesimo è l’esperienza su questa terra.

La risposta al nostro bisogno non è una cosa intellettuale, ma – appunto – un caffè in compagnia, purché quest’amicizia non sia un possesso, ma rimandi al destino, a un’apertura infinita. Andrea, tornando a casa dopo aver incontrato Cristo voleva più bene alla sua donna. O l’amicizia è guidata al perché della vita, oppure è un inganno. Ecco perché l’essere amico coincide con l’essere anche educatore. Gesù lo chiamavano maestro e lui diceva “ma io vi ho chiamato amici”.

Raccontando queste cose di don Giussani non voglio dire che ora si deve vivere come nel culto di una mancanza. Lui ci spiegava che i “cieli” della preghiera del Padre nostro sono in realtà la profondità delle cose. E io penso che essendo lui ora in cielo si trovi nella profondità della nostra esistenza come una sorgente viva.

Domanda

“Don Giussani sapeva spiazzare e sorprendere chi l’ascoltava e ci augurava spesso di “non essere mai tranquilli”, non perché ci volesse nevrotici, ma perché non intendeva la fede come una specie di consolazione intimistica e di ‘pace’ in cui rifugiarsi di fronte alle difficoltà e disavventure della vita. Questo modo di proporre le cose apparteneva un po’ anche al suo temperamento e al suo carisma. Com’è possibile mantenere questa sana inquietudine ora che lui non c’è più?”

Risposta

 “La pace è l’inquietudine. La pace non è mettere le pantofole. Dio è l’eterno lavoratore. Non si può rinunciare al battito del cuore. Occorrono meno dibattiti e più battiti. La pace consiste nel seguire uno che cammina con te. E’ sbagliato dire “adesso che lui non c’è più”, perché veramente la morte non è l’ultima parola nell’esistenza di una persona. Anche don Giussani prima di morire ha lasciato le sue ‘disposizioni testamentarie’, nel senso che ci ha lasciato in Cl e in chi la guida altri per aiutarci a vivere questo metodo. Ci ha lasciato chi come don Carron umilmente si identifica con questo metodo, con il suo carisma.

Lui ripeteva sempre che al mattino di decide tutto della giornata. Al momento in cui ti alzi e fai il segno della croce: puoi ubbidire allo stato d’animo, oppure alla croce. Per questo ci invitava a dire l’Angelus, facendo memoria che Dio si è fatto carne e abita in mezzo a noi. Ma ci diceva anche che per dire questo con verità occorre la mendicanza, l’inquietudine del cuore cui accennavo prima.”

Domanda

“Leopardi era anticristiano e non è quindi giusto annetterlo al cristianesimo. Il messaggio di Cristo non è l’amicizia come dice lei, ma il comandamento dell’amore. La vera domanda è come essere cristiani nel mondo moderno amando sia lo straniero che il nemico.”

Risposta

“Don Giussani non ha mai pensato di impossessarsi di Leopardi né di ‘battezzarlo’. Ha colto e ripreso di lui il desiderio di infinito, di totalità e di bellezza che i cristiani dimenticano e a cui solo Cristo risponde. L’essenza del cristianesimo non è un comandamento ma un avvenimento, una persona. Non un’etica, ma un’ontologia che implica poi anche un’etica. L’essenza del cristianesimo non è l’amicizia ma la persona di Cristo.

A parlare per primo di età moderna fu Bodelaire. La modernità è l’età in cui l’uomo crede di poter fare a meno di Dio, convinto che gli basti la ragione intesa come calcolo, come misura e come scienza. Il presupposto della modernità era l’annullamento del dolore, del limite strutturale dell’uomo. Con Adorno si scopre però che questo dolore non si può annullare.

Oggi non siamo più nella modernità. Nel 1985 viene coniato il termine post-moderno, per indicare che la ragione così come la intendeva la modernità non risolve i problemi dell’uomo. Il postmoderno mostra che la ragione non arriva in realtà da nessuna parte: è l’età del nichilismo e del narcisismo. Il cristianesimo propone a ciascun uomo la risposta al suo bisogno di significato. Se tu togli Dio agli uomini pensando così di aiutarli, togli l’uomo a se stesso. Don Giussani ha sottolineato la centralità di Cristo.”

Antonio Girardi

Saddam e i “dimenticati”: il relativismo è nemico della pace

(Nella foto, Marco Pannella)

A proposito dell’impiccagione di Saddam Hussein, pur condividendo le considerazioni sottoriportate dell’amico Marco Luscia contro la pena di morte, concordo pienamente con la riflessione di Bernardo Cervellera, pubblicata dal sito AsiaNews.it che riporto di seguito e consiglio di leggere.

«Siamo ancora segnati dal dolore e dalla preghiera per l’esecuzione di Saddam Hussein. Ma non possiamo non denunciare tanta ipocrisia da parte dei molti campioni contro la pena di morte che l’ex dittatore irakeno è riuscito a radunare prima e dopo la sua impiccagione.

Perché questi “professionisti” dello scandalo per la pena di morte comminata contro un uomo che ammirava – e seguiva – Hitler , poco si dolgono di altre condanne a morte e di altre violenze? Quando mai un vescovo cinese scomparso e ucciso nei lager ha trovato tanta solidarietà? Quando indù, cristiani, musulmani imprigionati nelle carceri saudite o iraniane hanno goduto di tanto sdegno internazionale e sostegno personale e pubblico? Il piangere da un occhio solo da parte di personaggi o organizzazioni è segno non solo di una soffocante visione ideologica, ma di un profondo relativismo.

Il relativismo, è un pericolo alla pace alla stregua del terrorismo e della guerra. Questo atteggiamento così diffuso in occidente, che vuole scrollarsi di dosso qualunque certezza e qualunque quadro di valori, che innalza i tiranni e nasconde i perseguitati, che parla in modo ovattato di tutto perché non si interessa di nulla, è stato messo da papa Benedetto XVI fra i veri pericoli della pace nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della pace 2007. Finora avevamo sempre pensato che il militarismo, le guerre, i carri armati, le bombe atomiche e nucleari erano ciò che uccide la pace. E lo sono.

Tutti gli strumenti di offesa sono frutto di ideologie che vedono la soppressione dell’altro come condizione indispensabile alla vittoria delle proprie idee. Ma nel Messaggio di quest’anno il pontefice punta il dito su quelle concezioni relativistiche della persona che svuotano di ogni senso universale i diritti dell’uomo e il valore della persona umana.

Da anni all’Onu, al Parlamento europeo e in altre organizzazioni internazionali si suggerisce una visione di questo tipo per cui i diritti di un cinese o di un africano non sono uguali a quelli di un europeo, o un americano. Il risultato è sempre il disinteresse verso la sorte di milioni di persone uccise, torturate, soffocate nella loro espressione, mentre la vela dei propri interessi nazionali ed economici viaggia su mari tranquilli.

Alcuni mesi fa, in prossimità dei colloqui fra Cina ed Europa, Antti Kuosmanen, ambasciatore finlandese a Pechino, ha dichiarato candidamente che “i diritti umani” non sono “un punto dominante” del rapporto. Se si prende in considerazione che le stesse organizzazioni – Onu e Parlamento europeo – combattono una guerra per “la libertà” nella definizione del genere (maschio, femmina, lesbica, gay, ecc…), delle coppie di fatto, dell’aborto come “diritto riproduttivo”, della manipolazione degli embrioni, si comprende che questo relativismo non è altro che una grave forma di schizofrenia.

Lo abbiamo vista in atto anche con la morte di Saddam Hussein. Come un dottore sapiente e pietoso, Benedetto XVI traccia altre forme di questa malattia. Fra queste vi è un modo distorto di affrontare i problemi ecologici. Il papa nel suo Messaggio chiede a tutti di maturare verso “un’ecologia sociale”, che comprenda l’attenzione all’uomo e al destino dei popoli.

Per questo l’impegno contro l’inquinamento dei mari, per la salvaguardia di specie faunistiche in estinzione e per la ricerca di energie alternative non può dimenticare che al centro di tutto (e non come problema da eliminare) vi sono gli esseri umani. Le energie che si investono per la difesa delle balene, o per piangere il delfino bianco dello Yangtze devono essere ridistribuite per aiutare gli uomini a trovare la via di uno sviluppo sostenibile e dignitoso, che comprende la cura delle malattie e il diritto all’acqua potabile.

E se i diritti umani sono per tutti, bisogna che la libertà religiosa sia perseguita non solo (ed è giusto) per i musulmani in Europa, ma anche per i cristiani che vivono nel mondo islamico. Questo disinteresse per l’elemento “uomo” nel pacifismo ecologico e diplomatico mondiale pesca in una malattia ancora più radicale, che è un pessimismo sull’uomo e sul suo valore, sulla sua capacità di rispondere a compiti e doveri.

Per questo, invece di fare appello alla sua responsabilità, si scelgono le vie drastiche del potere, della guerra, dell’eliminazione, della schiavitù o la violenza dell’indifferenza. Il papa nel suo Messaggio suggerisce anche una medicina: per rimettere l’uomo al centro della pace, occorre rimettere Dio al centro della vita dell’uomo. Benedetto XVI suggerisce due piste fondamentali: affermare il diritto alla vita, come “un dono di cui il soggetto non ha la completa disponibilità”; affermare la libertà religiosa perché essa “pone l’essere umano in rapporto con un Principio trascendente che lo sottrae all’arbitrio dell’uomo”. Senza queste due direzioni il relativismo e la schizofrenia ci portano solo all’eutanasia e alla dittatura, alla guerra e alla cultura di morte.»

Vittorio Messori venerdì sera a Trento

Venerdì 12 gennaio alle 20.30, il Teatro del Collegio Arcivescovile in via Endrici a Trento ospiterà l’incontro pubblico con Vittorio Messori organizzato da "Libertà e persona". Lo scrittore-giornalista noto soprattutto per i suoi libri scritti con e sui grandi Papi del secolo scorso e anche insieme all’attuale Pontefice, parlerà di storia e cronaca alla luce della fede e presenterà i suoi ultimi volumi.

La carità, fondamento dello sviluppo. La tavola rotonda di Edus

“La carità è normalmente considerata elemosina. Ma da come ne parla il Papa si capisce che è qualcosa di più. Io credo che prima ancora di esprimere l’atto di dare qualcosa ai poveri, la carità consista in una condivisione, nella capacità di guardare l’altro negli occhi”. Lo ha detto ieri sera l’assessore alla solidarietà internazionale della Provincia, Iva Berasi, (al centro della foto) aprendo il dibattito promosso da Edus (Educazione e sviluppo) al Teatro S. Marco di Trento per invitare i relatori a confrontarsi con la frase di Benedetto XVI che dà il titolo alla Campagna Tende di quest’anno: “La carità sarà sempre necessaria, anche nella società più giusta”.

Oltre all’esponente politico del governo provinciale e davanti al folto pubblico che gremiva la sala, sono intervenuti anche il direttore dell’ufficio missionario diocesano don Carlo Speccher, il direttore generale di Avsi (rete di 25 Organizzazioni non governative impegnate nel campo della cooperazione allo sviluppo con 100 progetti in 40 Paesi del mondo) Alberto Piatti, e il presidente di Edus, co-fondatrice del Network, Carlo Fedrizzi.

Berasi ha ricordato in particolare l’impegno delle moltissime associazioni trentine attive nel settore della solidarietà internazionale, che pur operando spesso in silenzio si inseriscono nel solco della grande tradizione dei missionari trentini e dell’insegnamento della Chiesa, “da cui siamo stati tutti educati a questa sensibilità”. L’assessore ha poi sottolineato come i progetti e gli interventi realizzati dai volontari e sostenuti ogni anno con 10 milioni di euro dalla Provincia (pari allo 0,25 del bilancio) per rispondere ai bisogni concreti delle popolazioni dei Paesi più svantaggiati del mondo, siano preziosi non solo per chi riceve l’aiuto, ma anche e soprattutto per chi lo porta. “E’ infatti assolutamente vero – ha concluso Berasi – che, come evidenzia il nome della vostra associazione, dall’educazione e dalla formazione delle persone deriva il vero sviluppo dei popoli”.

Don Carlo Speccher, dopo aver richiamato l’attenzione sul fatto che i missionari laici e religiosi trentini nel mondo sono ancor’oggi il punto di confluenza di importanti iniziative sostenute anche dalla Provincia nel campo della solidarietà internazionale, ha identificato la carità con il bacio dato da S. Francesco al lebbroso. “Che bisogno c’era di baciarlo? Avrebbe potuto portarlo a casa sua e curarlo. Ma proprio questa è la carità: cioè qualcosa di più della solidarietà, perché esprime l’amore di Cristo per l’uomo”. Ci sono Paesi dell’Africa dove le scuole, gli ospedali, le banche in cui iniziare a raccogliere i risparmi non sono stati costruiti dal governo ma dalla Chiesa, dai missionari che trattano ogni povero come Gesù.

Dal canto suo Alberto Piatti, dopo aver insistito sul fatto che la carità non è un modo per mettersi a posto la coscienza ma appartiene alla nostra natura umana da cui siamo istintivamente spinti a dare una mano, ha raccontato la storia di un ragazzo, Antoine, che in Rwanda gli aveva consegnato personalmente una lettera nella quale ringraziava gli amici di Avsi per averlo aiutato a diplomarsi e a diventare geometra. Dieci anni prima, poco dopo il genocidio causato in quel Paese dagli scontri tribali, un volontario di Avsi aveva trovato il piccolo Antoine arrampicato su un albero. Su quella pianta era scampato, lui solo, alla strage, ma da lassù aveva assistito impotente all’uccisione di tutti i suoi parenti e ad una tale mattanza che aveva perso ogni speranza e non voleva più mettere piede a terra.

Al volontario sono occorsi tre giorni per convincere Antoine a scendere. “C’è riuscito perché l’ha guardato negli occhi – ha spiegato Piatti – e in questo modo gli ha restituito la fiducia nella vita. La carità – ha continuato – è il vero fondamento dello sviluppo perché significa ritrovare insieme all’altro fiducia nella vita, senza la quale non si costruisce nulla. Proprio com’è accaduto a noi con Antoine. Ma perché questo avvenga è necessario trattare la persona per il mistero che è. Un mistero che non può essere definito da noi e non è frutto di nessun progetto, ma solo della disponibilità a condividere con l’altro la tensione al senso della vita.

Costruire case, ponti, scuole, strade e anche formare ingegneri può essere facile – ha aggiunto Piatti – ma questo rapporto con la persona come mistero e questa tensione a condividere il senso della vita sono la radice più vera della solidarietà internazionale e della cooperazione allo sviluppo”. Il direttore di Avsi ha narrato, per chiarire, un’altra vicenda, questa volta più nota.

“Quando gli apostoli Pietro e Paolo si incontrarono a Roma, dove schiavi e bestie erano considerati, per legge, “cose animate” di cui disporre a piacimento, i due non diedero per protesta l’assalto al Senato ma dissero “non c’è più giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, ma tutti noi siamo uno in Cristo Gesù”.

“E’ questo amore per la persona – ha concluso Piatti –l’inizio di un vero cambiamento nel mondo. Perché come scrive il Papa: “Non c’è nessuno ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo”.

Carlo Fedrizzi ha infine invitato tutti sabato 16 dicembre alle 14.30 in piazza Lodron a Trento per partecipare all’Edus Day, iniziativa con cui l’associazione, oltre a raccogliere fondi in alcuni punti particolarmente “commerciali” della città, intende “dar ragione” di questo diverso modo di intendere e vivere la carità e la solidarietà.

Antonio Girardi

Campagna Tende: la vera carità, per l’educazione e lo sviluppo

“Nei Paesi più poveri del mondo, i bisogni delle persone non sono solo materiali, assistenziali e sanitari, ma riguardano anche la speranza di un futuro, di poter contare su una famiglia, una scuola, una formazione professionale e un lavoro. Bisogni che toccano in particolare i bambini e i ragazzi ai quali occorre andare incontro con progetti mirati per favorire l’autosviluppo. Questo spirito di condivisione si inserisce pienamente nella tradizione della gente trentina”.

Con queste parole il presidente del Consiglio provinciale, Dario Pallaoro, ha introdotto a Palazzo Trentini la presentazione della “Campagna Tende 2006-2007” promossa da Edus, associazione trentina impegnata da anni nel campo della solidarietà internazionale, per offrire, accanto a servizi sanitari, soprattutto opportunità educative, formative e di lavoro ai giovani nelle zone più svantaggiate e martoriate del pianeta.

Come ha spiegato Maurizio Pangrazzi, intervenuto in rappresentanza di Edus insieme a Cristina Erzegovesi, la Campagna Tende, intitolata “La carità non sarà sempre necessaria, anche nella società più giusta” (frase mutuata dall’enciclica Desu acritas est di Benedetto XVI), coinvolgerà i volontari di Edus in una raccolta di fondi a Trento e nelle valli della provincia, a sostegno di cinque progetti:

1. il primo riguarda l’approvvigionamento idrico per lo sviluppo dell’agricoltura in una zona cruciale per la pace nel Libano;

2. il secondo finanzierà una scuola con 1000 bambini a Betlemme;

3. il terzo darà supporto alle attività educative rivolte ai bambini e ai loro genitori (250 famiglie) in una delle periferie più degradate di Lima in Perù;

4. il quarto servirà alla formazione di giovani per realizzare una filiera agroalimentare nel Kossovo;

5. il quinto permetterà di potenziare il reparto pediatrico dell’ospedale di Kitgum in Uganda dove l’Aids miete moltissime vittime.

Tre gli appuntamenti della Campagna Tende in Trentino:

– l’incontro-dibattito pubblico previsto il 13 dicembre al teatro S. Marco di Trento cui interverranno il segretario generale della fondazione Avsi Alberto Piatti, l’assessore provinciale alla solidarietà internazionale Iva Berasi, il direttore dell’ufficio missionario diocesana don Carlo Speccher, l’imprenditore Andrea Cappelletti e il presidente di Edus Carlo Fedrizzi;

– la raccolta di fondi per i progetti avverrà invece in vari punti della città e in altri centri della provincia il 16 dicembre in occasione dell’Edus Day;

– infine a Tesero è in programma una mostra fotografica che documenta l’opera di recupero educativo e sociale degli ex bambini-soldati realizzata da padre Berton, missionario in Sierra Leone.

Colletta Alimentare 2006, un successo in Italia e in Regione. E ora manda un euro in SMS al 48583

Sabato 25 novembre durante la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, negli oltre 6.000 supermercati e ipermercati, sono state raccolte 8.350 tonnellate di prodotti alimentari, 200 tonnellate in più rispetto allo scorso anno. I primi risultati sono stati così commentati da Don Mauro Inzoli, presidente della Fondazione Banco Alimentare onlus: “La carità si fa strada nel nostro popolo anche in momenti di particolare difficoltà e di sacrifici preannunciati. La gente del popolo radicata nella cultura cristiana non resta indifferente all’attesa dei più poveri e compie un gesto concreto di carità cristiana facendo la spesa anche per loro. Finché ci saranno uomini e donne educati a vivere nella gratuità e nella condivisione c’è speranza per tutti”.

La Fondazione Banco Alimentare ringrazia di cuore i milioni di italiani che anche quest’anno, in un momento di difficoltà economica, hanno deciso di donare una parte della loro spesa per i poveri del nostro Paese.

L’entusiasmo e l’allegria, con cui gli oltre centomila volontari hanno sentito propria l’iniziativa coinvolgendo anche i rappresentanti delle istituzioni civili e religiose, sono indicatori importanti tanto quanto le tonnellate raccolte.

E’ evidente che la “Colletta Alimentare” si sta radicando come gesto popolare, atteso prima e partecipato poi, con un grande valore educativo per chi vi partecipa.

Si ringraziano l’Associazione Nazionale Alpini e la Società San Vincenzo de Paoli per il cospicuo quantitativo di volontari offerto durante la Colletta, le catene dei supermercati per la loro disponibilità nell’ospitare i volontari e per le molte promozioni legate ai prodotti di cui era consigliato l’acquisto, il Segretariato Sociale RAI per la sensibilizzazione, la Presidenza della Repubblica per aver concesso anche quest’anno l’Alto Patronato, gli sponsor nazionali Banca Intesa, Fastweb e Aurora Assicurazioni.

La Fondazione Banco Alimentare onlus rende noto che, per sostenere gli ingenti costi di logistica e trasporti per la consegna degli alimenti raccolti a 1.280.000 bisognosi attraverso più di 7.700 enti caritativi convenzionati in tutta Italia, parte ora una campagna di raccolta fondi dal titolo “La fame giustifica i mezzi”.

Chi volesse dare un aiuto può farlo, fino a giovedì 14 dicembre, inviando un SMS del valore di 1 euro al numero 48583 da cellulari TIM, Vodafone e Wind e di 2 euro da Telecom rete fissa, oppure facendo una donazione sul c/c di Banca Intesa n.1010/54 ABI 03069 CAB 09533.

Per ulteriori informazioni telefonate allo 02.67.100.410 o visitate il sito www.bancoalimentare.it

COM’E’ ANDATA IN REGIONE

Nel Trentino Alto Adige in particolare il risultato della decima edizione della Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, svoltasi sabato 25 novembre, è stato più che positivo. Sono state infatti raccolte quasi 154 tonnellate di prodotti, circa il 21% in più rispetto all’edizione precedente. Siamo stati presenti in 172 punti vendita, di cui 23 solo mezza giornata.

Gli alimenti raccolti, già stoccati presso il magazzino “Alpina Logistica e Trasporti srl” in via Innsbruck, località Spini di Gardolo (Zona Interporto), saranno gestiti dal Banco Alimentare del Trentino Alto Adige ONLUS, che ridistribuirà i prodotti ai 32 enti convenzionati per un totale di 6000 bisognosi.

Grazie al prezioso lavoro dei circa 2500 volontari nel giorno della Colletta, si potrà in parte rispondere al bisogno concreto di chi è meno fortunato di noi, testimoniando la positività della carità.

Un forte ringraziamento va innanzitutto alle persone che hanno contribuito con la loro spesa all’esito positivo dell’iniziativa, tutti i volontari (gli alpini, le diverse associazioni convenzionate, gli amici del gruppo “Misericordie” di Trento, il gruppo “Giullari di Ceniiga”, la Croce Rossa Italiana, gli Scout CN.GEI che ci hanno sostenuto ed anche i media per gli spazi concessi).

Si ringraziano, inoltre, in modo particolare il Nucleo Volontari Alpini della Protezione Civile della Regione, i Vigili del Fuoco, Fausto Mariotti e altri privati per la disponibilità dei mezzi di trasporto ed il supporto nelle operazioni di stoccaggio.

Un ringraziamento anche alle ditte Menz & Gasser s.p.a. e Trentofrutta s.p.a. per le donazioni effettuate che non vengono conteggiate nella tabella allegata, ma che rappresentano circa altre 5 tonnellate.

Grazie,infine, alle Catene di supermercati coinvolti nell’iniziativa per la disponibilità e la fattiva collaborazione dimostrate.

(Il Responsabile Regionale della Colletta Alimentare, presidente del Banco Alimentare del Trentino Alto Adige – ONLUS, Duilio Porro, tel. cell. 328-8217330; casa 0461-236148; uff. 0461.615349)