La straordinaria ascesi del “pirata” Rupert Murdoch

A scorrere la vita di Rupert Murdoch si rimane senza parole di fronte all’ascesi economica davvero inarrestabile di un uomo che, da figlio di un piccolo editore della città australiana di Adelaide, si ritrova oggi tra gli uomini più ricchi del pianeta, gestendo un patrimonio di 8,3 miliardi di dollari (dati Forbes 2008).

Tutto inizia nel 1952 quando il ventunenne Rupert, alla morte del padre, eredita l’Adelaide News e l’Adelaide Sunday Mail. Nel 1964 arriva l’acquisto del suo primo quotidiano a tiratura nazionale, The Australian, divenendo uno dei maggiori editori del suo Paese. E’ nel 1969, però, che il rampante Rupert fa il “grande salto” sbarcando in Europa, direttamente alla City londinese: qui infatti rileva i quotidiani The Sun e News of the World.

Sarà sotto la sua guida che The Sun inaugurerà quella linea editoriale tra lo scandalistico e l’informazione tout court (ben visibile nella Prima pagina) che lo farà diventare il quotidiano inglese più diffuso nel mondo con 3.200.000 copie al giorno; la Seconda pagina invece ospita l’editoriale ed esprime la tendenza laburista del giornale, mentre sarà la Terza pagina ad ottenere un certo eco nel mondo per l’abitudine di sostituire lo spazio solitamente dedicato alla Cultura con l’immagine di belle ragazze il più delle volte senza veli.

Nel 1976 l’attività editoriale di Murdoch si espande negli Usa, acquisendo il New York Post (che oggi vende più di 704mila copie giornaliere). Per gestire la mole di lavoro è ormai necessario fondare una holding: nel 1980 nasce la News Corporation con sede nella sua Adelaide. Il 1981 rappresenta un anno di svolta, non tanto perché ritorna a Londra per acquistare sia il Times che il Sunday Times, ma in quanto decide di espandersi nel settore cinematografico, prelevando il 50% della 20th Century Fox (ne otterrà il totale controllo tre anni dopo). A questo punto diviene allucinante elencare tutte le sue acquisizioni, per cui ci limiteremo a riportare quelle più significative: nel 1985 diviene padrone di 7 stazioni televisive del gruppo Metromedia e questo gli permise di lanciare l’anno dopo la rete televisiva americana Fox Broadcasting Company dalla quale negli anni sono uscite fortunatissime serie televisive come i Simpson, X Files, Beverly Hills 90210.

Nel 1989 lancia la televisione satellitare Sky television che diviene BSkyB, dopo la fusione con la British Sky. Nel 1996 iniziarono le trasmissioni di Fox News Channel, un canale via cavo dedicato totalmente alla trasmissione di notizie. L’anno seguente ha avuto la fortuna/bravura di essere il produttore del film Titanic, che ha sbancato i botteghini con il più alto incasso della storia del cinema con i suoi 1.850.300.000 dollari.

La sua forza sta nei metodi, che molti definiscono “da pirata”. Questo è evidentissimo per quanto riguarda lo sport: acquista i diritti delle partite di calcio e fa esplodere le tariffe; trasmette per un po’ in perdita (rovinando la concorrenza col dumping) e poi passa all’incasso quando resta solo, in regime di monopolio. Nel 2004, come tutte le grandi multinazionali che si rispettino, Murdoch decide di spostare la sede legale della News Corporation da Adelaide a New York.

Il 31 luglio 2007 si conclude invece l’acquisizione più imponente della sua carriera: per 5,6 miliardi di dollari ottiene la Dow Jones & Company, per cui anche gli indici azionari Dow Jones e il giornale The Wall Street Journal.

Ma perché ci occupiamo del magnate australiano? Per invidia? Assolutamente no. Addentrarci nel Murdoch-pensiero è molto importante se è vero, come è vero, che egli è inserito tra i nove padroni dell’informazione mondiale. Attraverso i suoi 175 quotidiani sparsi in tutto il mondo (anche nella Papua Nuova Guinea e nelle Fiji…), di cui ne sceglie personalmente i direttori, la televisione, internet (MySpace), le riviste che trattano i più svariati argomenti, dalla moda (di sua proprietà sono per esempio GQ e Vogue) allo sport e alla religione, egli ha modo di comunicare con tutti, ma proprio tutti, basti pensare che il suo gruppo editoriale raggiunge circa 4,7 miliardi di persone (3/4 della popolazione mondiale).

Il futuro dell’informazione on line

Murdoch ha dichiarato apertamente che l’informazione può continuare ad avere un futuro solo se si deciderà di chiudere con l’informazione digitale gratuita, cioè dando la possibilità di accedere alle notizie solo a pagamento. Infatti il modello attuale non funziona, dato che il ricavo pubblicitario non è sufficiente per saldare i bilanci in rosso delle testate on line. La politica Rupert Murdoch si è segnalato per essere stato tra i più convinti sostenitori della politica estera del governo Bush: le sue reti, soprattutto Fox News, hanno bombardato la testa degli americani sull’imminente scontro di civiltà, sul ritrovamento (mai avvenuto) delle armi di distruzioni di massa in Iraq, sul legame di quest’ultimo con Al Qaeda, il tutto per cercare di creare un’opinione pubblica favorevole alla guerra.

Gli oppositori alla guerra non furono trattati molto bene e nulla valse l’essere ministri: fece scalpore la prima pagina del Sun che riportava la foto del “verme Chirac”, colpevole di opporsi al conflitto. Colpisce anche la particolare attenzione che il magnate australiano ha per la causa israeliana, presentando una visione arbitraria e manichea del conflitto medio-orientale: da una parte gli israeliani, sempre e solo buoni e difensori delle libertà, dall’altra sempre e solo spietati assassini impregnati di odio religioso che mirano a distruggere “l’ultima democrazia del Medio Oriente”…

Non si pensi però che gli uomini come Murdoch abbiano il coraggio di essere palesemente “contro” il potere: infatti la vittoria di Obama ha cambiato tutto: oggi la Fox è scesa compatta in difesa del neo presidente. Si pensi al trattamento ricevuto in una trasmissione da Ralph Nader, difensore dei diritti dei consumatori contro le grandi industrie, dopo che ha “osato” mettere in guardia il pubblico da Obama, poiché con il suo modo di fare giovanile e seducente, tenta di occultare il fatto che anche lui non è lo “zio Sam” ma lo “zio Tom”, alludendo al servo negro del romanzo, cioè avvertendo gli americani che anche l’osannato Presidente in realtà lavorerà in favore delle corporation.

Salvati cielo! Il conduttore ha risposto testualmente a Nader: “La sua carriera è finita e lei non metterà più piede in uno studio televisivo”.

Murdoch e Berlusconi

In questi giorni sui giornali si è parlato molto dell’attrito Berlusconi-Murdoch, dopo la decisione del governo di aumentare dal 10 al 20% l’Iva sulla pay tv di Sky Italia. Il Cavaliere ha attribuito proprio a questo provvedimento l’inizio dell’offensiva scandalistica di questi mesi ai suoi danni, con una serie di attacchi che non conoscono sosta sulle reti gestite dall’australiano. Il premier non ha nascosto la sua considerazione dell’uomo-Murdoch: davanti è un amicone, in realtà è molto più subdolo.

E pensare che a fine anni ’90 i due furono sul punto di accordarsi: New Corp avrebbe comprato Mediaset in cambio di un pacchetto azionario che avrebbe fatto della famiglia Berlusconi il secondo azionista di maggioranza. Furono Marina e Piersilvio Berlusconi ad opporsi. Il primo attrito ci fu quando Berlusconi lanciò Mediaset premium, con sport e cinema a prezzi concorrenziali a Sky.

Il secondo attrito fu quando Sky si prestò per ospitare il faccia a faccia Berlusconi-Veltroni alle ultime elezioni politiche: il primo, essendo in netto vantaggio, non volle alcun dibattito. A quel punto Sky pubblicò una pagina pubblicitaria non particolarmente piacevole: fondo grigio, in nove riquadri i vari duelli politici del mondo, con la scritta finale “Da questo confronto escono perdenti gli italiani. Il duello Walter-Silvio è peggio di quello Merkel-Schroeder, non riuscirai nemmeno a vederlo in tv”.

Cultura e religione

Non è più un mistero l’avversione di Rupert Murdoch per la religione cattolica. Basta dare un’occhiata alla rete History Channel per avere un’idea della linea culturale del proprietario: un’intera serie dedicata alla vita di Gesù Cristo, dove esimi professori, i cui volti dimostrano l’assoluta attendibilità (sembrano santoni o sosia di Rasputin) delle affermazioni che fanno, ci spiegano che “storicamente” o “secondo gli ultimi studi” (quali??) Gesù era un rivoluzionario protetto da dodici guardie del corpo (gli apostoli!), ci illuminano sulla vita di Gesù, non figlio unico ma avente molti di fratelli, ironizzando sulla verginità di Maria e chi ne ha più ne metta.

Se da un lato cascano le braccia, dall’altro abbiamo la soddisfazione di aver trovato le fonti da cui Augias attinge per i suoi libri… Non ho potuto trattenere le risate anche davanti alla puntata dedicata alla Massoneria, nella quale questa veniva presentata come una “simpatica confraternita di gentiluomini”, dedita al filantropismo, alla pace e alla promozione della donna.

Il che è come sentire il diavolo fare l’elogio delle buone azioni o come vedere Dracula fare il testimonial per l’Avis. Tuttavia, risate a parte, è preoccupante la totale mancanza di “oggettività” di un canale che si propone di raccontare la Storia; ancor più allarmante pensare al fatto che molti possano “bere” queste affermazioni non avendo un’adeguata preparazione perché, inutile nasconderlo, tra un’ora di tv e un’ora sopra un libro, risulta più praticata la prima soluzione. E si sa, chi controlla la storia, controlla il futuro.

A proposito di massoneria, riporto un fatto inquietante: la presenza di Rupert Murdoch, con figlio, alla cena segreta organizzata a Roma dall’ex Gran Maestro Giuliano di Bernardo, alla vigilia della proiezione di “Angeli e demoni”. Incredibile come il magnate australiano possa accettare l’invito di una persona pittoresca come il Di Bernardo, portandoci addirittura il figlio. Segno forse che certi vecchi poteri non sono poi tanto vecchi?…

Dal momento che Murdoch è colui che lanciò, attraverso la National Geographic Society, anche il famoso Vangelo di Giuda, è opportuno che riporti un commento anche su di esso.

Il “vangelo di Giuda”: pieno di falsi

Ricordate il vangelo di Giuda? Quel testo copto che la National Geographic Society ha preteso di aver scoperto, che ha diffuso con spese enormi ed enorme grancassa pubblicitaria, ripresa dai “grandi media” come la verità ultima e nascosta su Gesù? In questo testo, ci dicevano, Giuda appare nella sua vera luce: non è il traditore ma il vero salvatore, avendo compiuto la volontà di Cristo fino in fondo.

Adesso uno studioso serio, April D. DeConick, docente di Studi Biblici alla Rice University, ha esaminato a fondo il testo e ci ha scritto un volume per smentire la grancassa mediatica.

The Thirteenth Apostle: What the Gospel of Judas Really Says“.

Rivelando false traduzioni ed altri trucchi usati dai banditori della “nuova verità”.

Lo studioso ha scritto anche un fondo per il New York Times (1). Eccolo:

Con molta pubblicità, l’anno scorso, il National Geographic ha annunciato che era stato trovato un testo perduto del terzo secolo, il Vangelo di Giuda Iscariota. Fatto impressionante: Giuda non aveva tradito Gesù. Anzi Gesù aveva chiesto a Giuda, il suo più fido e amato discepolo, di consegnarlo per farlo uccidere. Il premio per Giuda: l’ascensione al cielo e la sua esaltazione al disopra degli altri discepoli. Una grande storia. Peccato che, dopo aver ri-tradotto la trascrizione del testo copto presentata dalla National Geographic Society, io ho trovato che il significato reale del testo è molto diverso.

La traduzione del National Geographic sosteneva l’interpretazione provocatoria di Giuda come eroe; una lettura più attenta chiarisce che Giuda non solo non è un eroe, ma (per il testo) un demone. La traduzione della Società e dei suoi esperti si distacca in più punti dal senso e dai metodi comunemente accettati nel nostro campo di studi. Per esempio, la trascrizione della National Society, nel punto in cui Giuda è chiamato un ‘daimon’, traduce la parola con ‘spirito’. Di fatto, il termine universalmente accettato per ‘spirito’ è ‘pneuma’; nella letteratura gnostica, ‘daimon’ è sempre usato nel senso di ‘demonio’.

Altro punto: Giuda non è preservato ‘per’ la santa generazione, come dicono i traduttori del National Geographic, ma separato ‘da’ essa. Egli non riceve i misteri del regno perché ‘è possibile per lui entrarci’. Li riceve perché Gesù sostiene che egli non potrà entrare, e Gesù non vuole che Giuda lo tradisca per ignoranza: vuole che sia informato, in modo che il demonico Giuda soffra tutto quanto merita.

Ma il più grosso errore che ho trovato è stato forse una alterazione del testo originale copto.

Secondo la tradizione del National Geographic, l’ascensione di Giuda alla santa generazione sarebbe stata maledetta. Invece è chiaro dalla trascrizione che gli esperti del National hanno alterato l’originale copto, eliminando una particella negativa dalla frase originale.

Devo dire che la Società ha riconosciuto questo errore, ma veramente molto tardi per cambiare la sbagliata concezione del pubblico.

Cosa dice dunque in realtà il vangelo di Giuda?

Dice che Giuda è un demonio specifico, chiamato ‘il Tredicesimo’.

In certi testi gnostici, questo è il nome per il re dei demoni, una entità nota come ‘laldabaoth’ che vive nel tredicesimo piano sopra la terra. Giuda è l’alter ego umano di questo demone, il suo agente infiltrato nel mondo. Questi gnostici identificavano ‘laldabaoth’ con l’ebraico Yahweh, che accusavano d’essere una divinità gelosa e vendicativa, avversa al Dio supremo che Gesù era venuto sulla terra a rivelare. Chi ha scritto il vangelo di Giuda era un aspro critico del cristianesimo dominante e dei suoi riti. Siccome Giuda è un demone che lavora per ‘laldabaoth’, così sostiene l’autore, quando Giuda sacrifica Gesù, lo sacrifica ai demoni, non al Dio supremo.
Con ciò, vuol prendersi gioco della fede cristiana nel valore salvifico della morte di Gesù e dell’efficacia della Eucarestia
“.

Com’è possibile che siano stati fatti errori così gravi [dal National Geographic]?

Sono stati proprio errori, o qualcosa di consapevolmente deliberato? Questa è la domanda che si pone, e non ho una risposta soddisfacente. D’accordo, la Società aveva un compito difficile, restaurare un vecchio vangelo che stava da secoli in una cassa ridotto in briciole. Era stato trafugato da una tomba egizia negli anni ’70 e ha languito per decenni nel mercato antiquario clandestino, e ha persino passato del tempo nel freezer di qualcuno. Per cui è davvero incredibile che la Società ne abbia recuperato anche solo una parte, anzi è riuscita a ricomporlo all’85%.

Detto questo, il problema grosso è che la Società voleva un’esclusiva. Per questo ha voluto che i suoi traduttori esperti firmassero un impegno al segreto, e a non discutere il testo con altri competenti prima della pubblicazione. Il miglior lavoro scientifico si riesce a fare quando, di un nuovo manoscritto, vengono pubblicate foto di ogni pagina in grandezza naturale ‘prima’ di fornire una traduzione, in modo che i competenti del ramo, in tutto il mondo, possano scambiarsi le informazioni mentre lavorano indipendentemente sul testo“.

Un’altra difficoltà è che quando il National Geographic ha pubblicato la trascrizione, il fac-simile del manoscritto originale che ha reso pubblico era ridotto in dimensioni del 56%, ciò che lo rende inutilizzabile per un lavoro scientifico. Senza copie in grandezza naturale, siamo come il cieco che conduce altri ciechi. La situazione mi ricorda molto il blocco che tenne lontano gli studiosi dai Rotoli del Mar Morto decenni orsono. Quando i manoscritti sono accaparrati dai pochi, ne nascono errori e un ‘monopolio dell’interpretazione’ che è molto difficile rovesciare, anche quando l’interpretazione è dimostrata falsa“.

Per evitare questo tipo di situazioni la Society of Biblical Literature ha varato nel 1991 una risoluzione per cui, se l’accesso ad un manoscritto è riservato a pochi a causa delle condizioni del manoscritto stesso, allora è obbligatorio diffondere prima di tutto una copia fotografica di esso. E’ una vergogna che il National Geographic, e il suo gruppo di esperti, non abbiano obbedito a questa molto sensata disposizione. Mi domando perché tanti esperti del mestiere e tanti scrittori abbiano tratto ispirazione dalla versione del vangelo di Giuda fatta dal National Geographic. Magari ciò deriva da un comprensibile desiderio di cambiare la relazione tra ebrei e cristiani. Giuda è un personaggio spaventoso: per i cristiani, è colui che aveva avuto tutto il bene e ha tradito Dio per una manciata di monete. Per gli ebrei, egli è il personaggio la cui vicenda è stata usata dai cristiani per perseguitarli nei secoli. Sono d’accordo sul fatto che dobbiamo continuare verso la riconciliazione di questo antico scisma; ma fare di Giuda un eroe non mi pare la soluzione giusta“.

Così termina DeConick, lo studioso di copto e di vangeli gnostici.

Possiamo fare una scommessa: benchè la sua autorevole asserzione sia apparsa sull’autorevolissimo New York Times, essa non sarà ripresa da nessuno dei “grandi” media, specialmente non da quelli italioti. E già che ci siamo, vi diamo un’altra notizia a sfondo religioso che sarà sicuramente censurata.

Questa, che è stata diramata dal Catholic News Service: “Un libro rilegato con la pelle di un gesuita sta per essere messo all’asta in Inghilterra(2).

Avete capito bene. Il gesuita trasformato in rilegatura si chiamava padre Henry Garnet, ed era forse il generale dell’ordine nell’Inghilterra del 1605, all’epoca del “Complotto delle Polveri”, lo storico e falso attentato alla vita del re Giacomo I di cui i protestanti approfittarono per massacrare i “papisti”: almeno 70 mila cattolici furono sterminati. L’accusa era di aver cercato di far saltare in Parlamento britannico con 36 barili di polvere da sparo, scoperta in tempo, per vendetta contro Giacomo I che aveva promesso di porre fine alla persecuzione dei cattolici e non aveva mantenuto la promessa. Secondo la versione oggi ammessa, Giacomo meditava lui stesso di tornare, e far tornare la Corona , sotto la Chiesa , e ne fu impedito dalla “scoperta dell’attentato” contro di lui (un altro antecedente dell’11 settembre).

Fatto sta che padre Garnet, che era confessore di alcuni dei congiurati ma negò la sua partecipazione al complotto, fu condannato ad essere impiccato, “tratto” (ossia trascinato da cavalli) e “squartato” (due tiri di cavalli avrebbero dovuto smembrarne il corpo, tirando da una parte e dall’altra).

L’esecuzione del martire ebbe luogo il 3 maggio 1606 davanti alla cattedrale di San Paolo a Londra. Dalla folla, diverse persone impedirono al boia di squartarlo da vivo; alcuni si appesero alle sue gambe per affrettarne la morte da impiccagione, onde preservarlo dagli orrori dello squartamento. Forse erano cripto-cattolici che si fecero coraggio, in quella che fu una delle pagine peggiori, quasi staliniane, della storia inglese. La sua pelle fu conciata e servì a rilegare il libro oggi messo all’asta dalla Casa d’Aste Wilkinson nel Doncaster.

Stampato da Robert Barker, lo stampatore reale, il libro racconta il processo e l’esecuzione del gesuita, come spiega il titolo: “A True and Perfect Relation of the Whole Proceedings Against the Late Most Barbarous Traitors, Garnet a Jesuit and His Confederates“.

Sid Wilkinson, il banditore della casa d’aste, ha spiegato come appare il volume: “La copertina è un po’ sinistra, perché la pelle vi appare con molte pieghe e macchie, e si capisce che viene da una testa barbuta“. Ha aggiunto che era frequente, all’epoca, rilegare gli atti dei processi con la pelle dei condannati liquidati. “Cose del genere si trovano nei musei“.

Cominciava la civiltà occidentale sotto egemonia anglosassone.

Ma i media non ve ne parleranno.

Parleranno invece dei crimini dell’Inquisizione. (Maurizio Blondet)

Note
1) April DeConick, “Gospel’s Truth“, New York Times, 1 dicembre 2007.

2) Simon Caldwell, “Book bound in skin of executed Jesuit to be auctioned in England“, Catholic News Service, 28 novembre 2007.

Compagni d’Italia, l’Unità s’è desta

17 marzo 1961. Si celebra il 100? anniversario dell’Unità politica dell’Italia. L’Unità non riserva all’evento neanche una riga in prima pagina, ma solo due articoli in terza pagina: 17 marzo 1861: Centenario del regno – Vittorio Emanuele II “assumeva” il titolo di Re d’Italia (non trapela un grande entusiasmo da questo titolo) e Due concezioni dello stato. Due articoli di analisi storica piuttosto neutrali, tutto sommato. Un altro articolo – Il centenario dell’unità (u minuscola nel testo originale) di Palmiro Togliatti – attinente all’evento verrà pubblicato domenica 26 marzo in occasione delle celebrazioni ufficiali, svoltesi all’epoca in giorno festivo, 9 giorni dopo la “data fatidica”.
17 marzo 2011. 150? anniversario. La cifra non è altrettanto solenne e “tonda” come quella di cinquant’anni prima, ma l’atteggiamento è ben diverso: dall’8 marzo nella prima pagina dell’Unità campeggia un tricolore con il “conto alla rovescia” per il giorno del 17 marzo. L’edizione del 17 marzo poi ha in prima di copertina una rappresentazione artistica dei “Mille” e vi troviamo scritto a caratteri cubitali I NUOVI MILLE con sottotitolo Gli italiani che fanno l’Italia, seguito da tre articoli sul tema dell’unità d’Italia. La seconda e terza di copertina hanno stampato sopra il tricolore italiano, chissà mai che possa servire per esternare il proprio patriottismo. A pagina 12 l’articolo di Bersani “Italia unita – alle radici della nostra democrazia. A pagina 16 un articolo che la occupa quasi completamente, forse l’articolo più “rivelatore”, che ha come bersaglio la “antipatriottica” Lega Nord. Infine, da pagina 17 a pagina 25 tutte le pagine sono dedicate all’unità d’Italia, ed in particolare alla ricerca dei “nuovi Mille” del “secondo Risorgimento”, quasi una nuova “Resistenza” (altro mito fondante da sempre caro al PCI/PDS/DS/PD).
Del resto, la svolta “patriottica” dell’ex(?)-PCI appare evidente nel confronto tra i simboli: in quello “classico”, utilizzato fino alla caduta dell’impero sovietico, una bandiera simile a quella dell’URSS si sovrappone e nasconde quasi del tutto quella italiana. Il simbolo del PD invece presenta in sé gli abbinamenti cromatici presenti nel tricolore italiano.
Per il resto, l’Unità, ora come allora, è un condensato di odio verso il “nemico del popolo” di turno (un tempo la DC, ora Berlusconi) e di lamentele su come vada male l’Italia dal momento che non è governata da loro. In questo purtroppo, nessun cambiamento in 50 anni.
Mi tornano alla memoria le parole di Samuel Johnson: “Un uomo a volte comincia come patriota solo seminando scontento, diffondendo resoconti di influenze occulte, di consigli pericolosi, di diritti violati, e di usurpazioni che avanzano. Questa pratica non è di certo un segno di patriottismo. Fomentare nella popolazione rabbia oltre l’esasperazione significa sospendere la pubblica felicità, se non distruggerla. Non è un amante del suo paese colui che senza necessità ne disturba la pace. Pochi errori, e poche colpe del governo possono giustificare l’appello alla folla…”. Sembra di leggere la cronaca italiana degli ultimi anni….
Non a caso lo stesso Johnson affermò più incisivamente che “Il patriottismo è l’ultimo rifugio di un mascalzone”.

Vignetta di Alfio Krancic, per gentile concessione dell’autore.

Genetica medica e diritto alla vita

Segnaliamo un’importante giornata congressuale dal tema: “Genetica medica e diritto alla vita” che si terrà a Trento il 18 marzo 2011 presso la Sala Rosa del Palazzo della Regione Trentino Alto Adige – Sudtirol, via Gazzoletti 2, a cura dall’Associazione Magi.

Il programma dettagliato è il seguente:

Ore 9.00-10.00

  • Saluto delle Autorità
  • Premiazione dei nuovi soci onorari
  • Targhe di merito alla carriera
  • Targhe di premio per la solidarietà

Ore 11.00-13.00

  • Lettura Magistrale
  • Perché io credo in colui che ha fatto il mondo (Prof. Antonino Zichichi – Presidente della World Federation of Scientists)

Ore 14.00-17.00

  • Il feto come paziente: approcci invasivi e non invasivi (Prof. Giuseppe Noia – Responsabile del Centro di Diagnosi e Terapia Fetale, Università Cattolica Sacro Cuore – Roma)
  • Approcci terapeutici innovativi in ambito Prenatale (Prof.ssa Gloria Pelizzo – Dipartimento di Scienze Pediatriche, Università degli Studi di Pavia – Direttore S.C. Chirurgia Pediatrica Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia)
  • La Genetica medica presso l’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza (Prof. Leopoldo Zelante – Direttore Dipartimento Genetica Medica – Casa Sollievo della Sofferenza San Giovanni Rotondo)
  • L’uomo è geneticamente e neurologicamente determinato? (Prof. Massimo Gandolfini – Direttore Istituto Neuroscienze Fondazione Poliambulanza, Brescia)
  • Etica dell’individuo: dal concepimento alla nascita e presentazione dei centri di aiuto alla vita del Trentino (Prof. Francesco Agnoli – Presidente dell’Associazione Libertà e Persona & Avv. Maristella Paiar – Presidente Federvita del Trentino Alto Adige)
  • Le conseguenze psichiche dell’aborto (Dott. Cinzia Baccaglini – Presidente del Movimento per la Vita di Ravenna)

Chi volesse partecipare è pregato di registrarsi all’indirizzo: http://www.assomagi.org/contenuto.aspx?cat=Congresso+2011

“Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona…” o no?

? istruttivo rileggere il rapporto di Enrico Berlinguer al XIV Congresso del PCI. L’intervento occupa ben sei pagine dell’Unità del 19 marzo 1975, e ne riporterò i passi a mio avviso più significativi.
Relativamente alla situazione economica, il giudizio sul declino dei paesi capitalistici è netto:
Il fatto saliente, a partire dall’autunno scorso, è costituito da una caduta o ristagno delle attività produttive che si è ormai estesa in tutta l’area dei paesi capitalistici sviluppati, mentre persistono forti spinte inflazionistiche e si accresce il disordine e si accresce il disordine nel campo monetario e nei mercati finanziari, caratterizzati da cronica instabilità e da sfrenate e incontrollate attività speculative. Particolarmente grave è la recessione in atto negli Stati Uniti (…) Anche nel Giappone si è avuta, nel 1974, una caduta sensibile delle attività produttive (con punte fino al 13%) e dell’occupazione. Nell’Europa Occidentale, anche la Repubblica Federale Tedesca – e cioè il paese la cui economia sembrava la più solida e quella meno esposta alla crisi registra nel dicembre 1974 una diminuzione dell’indice di produzione industriale del 9,5% (…) Se si prendono i sette principali paesi capitalistici (USA, Giappone, Germania Federale, Francia, Gran Bretagna, Italia e Canada) si constata che il loro complessivo prodotto nazionale lordo è diminuito tra il 1973 e il 1974 dello 0,5%. (…) Nell’ambito dei paesi della Comunità economica europea vi è stato tra il gennaio del 1974 e il gennaio del 1975 un aumento di oltre 1 milione di disoccupati.
E fin qui si potrebbe anche condividere: sono note infatti le difficoltà economiche delle liberal-democrazie occidentali negli anni ’70, in particolare dopo la crisi del petrolio del 1973 (i più maturi ricorderanno in Italia l’austerity e le domeniche a targhe alterne).
Ma come vanno le cose nei paesi oltrecortina? ecco quanto riferisce Berlinguer:
Ben diverso, e anzi del tutto opposto, è il quadro che presentano oggi i paesi dell’area socialista (…) Il dato fondamentale è che in tutti i paesi socialisti si è registrato anche nel 1974 e si prevede anche per il futuro un forte sviluppo produttivo. Dal rapporto annuale da poco reso noto sull’andamento economico nei paesi del Comecon risulta che nel complesso di questi paesi la produzione industriale nel 1974 è aumentata dell’8,5% rispetto al 1973. Inoltre, mentre i lavoratori dei paesi capitalistici sono duramente colpiti dall’aumento della disoccupazione e del carovita, nei paesi socialisti si registrano ulteriori miglioramenti nel tenore di vita dei popoli e nel loro sviluppo civile e culturale. ? un fatto dunque: nel mondo capitalistico c’è la crisi, nel mondo socialista no. Al di là dei modi e delle istituzioni politiche in cui la costruzione del socialismo si è realizzata finora e che per molti aspetti, anche essenziali, non possono essere quelli in cui si realizzerà in altri paesi e regioni del mondo, si dimostra così che il socialismo, attraverso una pianificazione e un’effettiva direzione dell’economia nazionale nell’interesse della collettività, è in grado di garantire la continuità dello sviluppo produttivo e la crescita progressiva del benessere sociale.
E qui viene davvero da mettersi le mani nei capelli. Chiunque andasse in Unione Sovietica o in un paese del Patto di Varsavia, poteva rendersi conto della diffusa povertà che toccava l’intera popolazione (salvo la élite comunista al potere, s’intende). Berlinguer aveva visitato l’Unione Sovietica diverse volte: non si era accorto di niente?

Non è finita, perché Berlinguer prosegue dicendo che:

? inoltre ormai quasi universalmente riconosciuto che in quei paesi esiste un clima morale superiore, mentre le società capitalistiche sono sempre più colpite da un decadimento di idealità e valori etici e da processi sempre più ampi di corruzione e disgregazione.
Quasi universalmente riconosciuto? ? risaputo come in Unione Sovietica vi fosse una diffusione endemica della piaga dell’alcolismo. L’annullamento della libera iniziativa in ogni campo aveva spento le speranze, le menti, le ‘vite’ di tanti uomini e donne, che riuscivano a “sfuggire” a quell’inferno in terra solo con l’alcool (o con il suicidio). Un importante fattore di dissoluzione delle persone e del tessuto sociale fu sicuramente lo sfascio della famiglia, conseguenza della estrema facilità con cui era stato reso possibile divorziare (bastava inizialmente che anche uno solo dei coniugi ne facesse richiesta). Gli orfanotrofi-gulag si riempirono di bambini abbandonati o i cui genitori erano stati inghiottiti da qualche purga. La delinquenza minorile dilagava. L’aborto poi, che era stato legalizzato nel 1920, era diventato più frequente delle nascite. Nel 1975 vi furono in Russia poco più di due milioni di nascite a fronte di quattro milioni e mezzo di aborti! Statisticamente, una donna russa abortiva in media due-tre volte nel corso della sua vita. Come non pensare che gli aborti fossero così numerosi perché, in aggiunta alla legalizzazione dell’aborto, anche la vita disumana, che pure le donne dovevano soffrire, facesse loro pensare che nei confronti di un figlio fosse più caritatevole ucciderlo nel grembo che farlo nascere in un simile incubo? Solo a partire dagli anni ’90, dopo la caduta del comunismo, il numero di aborti ha cominciato lentamente a scendere, e solo dal 2007 in poi il numero di aborti, pur ancora notevole, è stato superato dal numero di nascite. Ma su vita e famiglia, il PCI perseguì in Italia la stessa politica portata avanti “con successo” dai propri compagni del PCUS, ed ancor oggi, infatti, la persegue, anche se il nome del partito (ma solo quello) è cambiato.
Non parliamo poi di altri fattori “secondari” di cui Berlinguer non fa parola, ovvero la cancellazione della libertà d’espressione, la vita in uno stato-canaglia pronto a carpire un minimo sospiro reazionario, controrivoluzionario per poi farti fuori o metterti in un gulag quale vrag naroda, nemico del popolo. Come riferisce chi ha visitato l’URSS in quegli anni senza paraocchi, quando un russo voleva interloquire liberamente con un occidentale, badava di andare in luoghi aperti, lontani da occhi ed orecchie indiscrete. Si veda ad esempio il film Le vite degli altri.

La distanza dalla realtà non diminuisce quando Berlinguer parla di politica estera:

Molti dei fatti accaduti negli ultimi mesi dimostrano che una parte dei gruppi dominanti dei paesi capitalistici tende a muoversi proprio in direzione di tentativi antidemocratici o minaccia avventure bellicistiche.
…e via a descrivere la ripresa delle forze di destra e di gruppi apertamente reazionari (parola che ricorre spesso, ora come allora, nella propaganda comunista, insieme a fascista) nella Germania Ovest, le minacce americane alla pace in Medio Oriente attraverso il tentativo di dividere i paesi arabi, e inoltre:
Assai allarmante è anche, negli USA, la pressione per un più massiccio intervento delle forze armate americane in Cambogia, e ciò si unisce al sostegno che continua ad essere dato nel Sud Vietnam alla cricca corrotta e sanguinaria di Van Thieu e alla sua azione di sistematica e vergognosa violazione degli accordi di Parigi.
Per carità, non si può dire che la politica estera degli USA sia sempre stata disinteressata, ma che dire di quella dell’URSS? Ecco che cosa pensava al riguardo Berlinguer:
La giusta considerazione di questi pericoli non deve però oscurare la constatazione delle difficoltà e resistenze con le quali deve fare i conti ogni passo verso avventure di tipo bellico. Intanto, nel mondo di oggi, vi è la grande realtà rappresentata dall’Unione Sovietica, dagli altri paesi socialisti e dalla loro ferma e tenace azione a difesa della pace.

Bisogna dire che il concetto che i comunisti hanno della pace è ben singolare, se Giorgio Napolitano poté affermare nel 1956 che “l’intervento sovietico in Ungheria… oltre che ad impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo”
Ma andiamo avanti, e passiamo alla situazione dell’Indocina:

Non si lasciano certo intimorire il popolo della Cambogia e i combattenti del Vietnam del Sud. (…)
Nell’Estremo Oriente, è ora che gli Stati Uniti cessino di dare appoggio ai regimi marci di Van Thieu e di Lon Nol, affinché siano pienamente attuati gli accordi di Parigi sul Vietnam e affinché il popolo cambogiano possa sovranamente decidere del proprio futuro. Mandiamo da questo nostro Congresso il saluto più fraterno e l’impegno di operante solidarietà dei comunisti italiani agli eroici combattenti del Vietnam e della Cambogia.
Questo dunque il giudizio berlingueriano (e del PCI) sulla situazione in Indocina. Ben altra era la realtà, come ben la descriveva Eugenio Corti nel maggio di quello stesso anno:
Nel 1954, in seguito alla pace di Ginevra, che segnò l’abbandono dell’Indocina da parte dei francesi, il territorio del Viet Nam fu provvisoriamente diviso in due al diciassettesimo parallelo: erano previste per il giugno ’56 “elezioni generali libere e democratiche” aventi come scopo la riunificazione del paese. Frattanto erano consentiti spostamenti di popolazioni tra il Nord (in mano comunista) e il Sud (in mano ai non comunisti) e viceversa. Fu appunto questo che consenti nel ’54-55 il grande esodo di un milione e centomila non comunisti (in maggioranza cattolici) dal Nord verso il Sud. L’esodo sarebbe stato di proporzioni maggiori, se le forze armate comuniste non fossero intervenute a troncarlo con la forza. Spostamenti di popolazioni verso il Nord non se ne verificarono.
Nel 1956 le elezioni non vennero tenute, in quanto il Nord tra l’altro più popoloso aveva nel frattempo “scelto il socialismo”, e nello stesso Sud per dichiarazione dei suoi governanti di allora – c’erano in molti luoghi formazioni armate comuniste che le avrebbero influenzate. (…) Nel Sud Viet Nam i vietcong non erano totalmente padroni della situazione (…), ma le testimonianze concordano nel dire che, a quel tempo, essi, dove potevano giungere, uccidevano implacabilmente i capi villaggio, i maestri elementari, e insomma ogni pur piccolo funzionario fedele al governo; è da allora che le popolazioni cominciarono a essere raccolte nei cosiddetti ‘villaggi fortificati’. Non essendosi tenute le elezioni, la lotta armata riprese.
Perché i civili da anni e tanto più ultimamente abbandonano case, campi e ogni loro povero avere, e fuggono in massa verso le ultime zone difese dall’esercito del Sud, anziché attendere l’arrivo dei comunisti? (…)
Pietro Gheddo, direttore di una rivista missionaria milanese (è il maggior studioso italiano del mondo vietnamita, sul quale ha scritto anche dei libri molto letti nello stesso Viet Nam), riferisce: “Nel viaggio che ho fatto nel dicembre ’73 ho potuto visitare numerosi campi di profughi e ovunque ho sentito la stessa storia: gente che era scappata da villaggi e città della zona vietcong dopo uno, due, tre anni di vita sotto quel regime; tutti ripetevano che la vita era durissima, il controllo politico soffocante, l’eliminazione degli avversari politici sicura, la libertà religiosa quasi inesistente”. Anche tra i militari nordvietnamiti e vietcong prigionieri, quando Thieu, in base agli accordi di Parigi “voleva consegnarli ai vietcong, molti non volevano assolutamente acconsentire“. Ancora: “Un padre di sette figli fuggito dopo alcuni anni di esperienza comunista, mi diceva: ‘La vita è impossibile: controlli continui, lavoro gratuito per l’esercito nordvietnamita, tutto è proprietà dello stato, una serie di divieti che soffocano, lunghe serate di riunioni politiche in cui bisogna fare l’autocritica e accusare gli altri… Si instaura un clima di terrore, quelli che osano protestare, o anche solo fare domande indiscrete, scompaiono senza lasciare traccia. Dopo qualche mese la gente non pensa che a scappare a qualunque costo‘”. ? il noto quadro del comunismo staliniano.
Sempre nel dicembre 73 Gheddo ha visitato Hué, dove un sacerdote cattolico (di cui tacciamo il nome, perché ora la città è nuovamente in mano comunista) gli ha detto: “Prima del 1968 la città di Hué era la più contraria a Thieu e la più favorevole a un dialogo col F.L.N. Poi siamo rimasti una ventina di giorni ‘liberati’ dai vietcong e dai nordvietnamiti durante l’offensiva del Tet del febbraio-marzo 1968. In quell’occasione i comunisti fecero di tutto per alienarsi le simpatie della gente, fino a compiere massacri di civili 3.000 cadaveri scoperti nelle fosse comuni mai visti in precedenza. Dopo di allora, anche i capi dei movimenti studenteschi dell’università, che si erano pronunziati in favore d’un regime socialista, dichiararono che preferivano una dittatura nazionalista a una dittatura comunista“.
Sempre a Hué un altro religioso, il gesuita padre Urrutia, direttore del centro studentesco cattolico, gli riferì che in seguito a quell’esperienza del 68, quando nel 72 i comunisti, durante una nuova offensiva, giunsero a circa quaranta chilometri dalla città “Hué si svuotò quasi completamente dei suoi abitanti: fuggirono tutti verso il Sud, verso Danang, e tornarono solo mesi dopo, quando ogni pericolo era scomparso. In città non era rimasto che il 10% dei suoi trecentomila abitanti… All’ospedale su trenta medici ne rimasero tre, tutti stranieri. L’università si svuotò completamente, gli uffici e le fabbriche erano deserti, di bonzi non c’era più traccia. Siamo rimasti, con l’Arcivescovo, una ventina di sacerdoti su più di cento. Sembrava una città di morti… Poi” – concluse padre Urrutia – “mesi dopo, quando tornai in Europa, lessi su riviste cattoliche che in quel tempo la popolazione di Hué aspettava con ansia l’arrivo dei liberatori…
In realtà sta qui, a giudizio di chi scrive, la più grande vittoria comunista: nel fatto che gli uomini liberi d’Europa e d’America siano sempre meno disposti ad agire in difesa della libertà, e che molti di loro, per tranquillizzarsi, accettino ad occhi chiusi la propaganda comunista.
Ecco dunque le gesta degli “eroici combattenti del Vietnam e della Cambogia”: in Vietnam il regime comunista ha causato più di un milione e mezzo di morti (fino ad ora) e l’esodo dei “boat people” (stimato attorno al milione di persone); in Cambogia – il cui tragico destino è ben descritto nel film Le urla del silenzio – una volta caduta Phnom Penh nelle mani dei Khmer Rossi (evento salutato dall’Unità come la sua “liberazione”) in soli tre anni il regime comunista sterminò un numero di persone stimato dai due ai tre milioni (su una popolazione di circa otto milioni!)

La domanda che ci si pone è: Berlinguer sapeva e mentiva o non sapeva perché non voleva sapere (i mezzi per sapere li aveva) ? Credo che la risposta sia nota solo a Dio.
Possiamo però chiederci: Enrico Berlinguer è stato, oggettivamente, un servitore della giustizia e della verità? A questa domanda l’unica risposta che possiamo darci è un secco ‘no’. ? una risposta che non piacerà a quanti ritengono che, comunque, come cantava Gaber, “Berlinguer era una brava persona”, ma è l’unica risposta onesta che si può dare se non si vuole offendere la memoria dei milioni di uomini e donne vessati ed uccisi in nome del sol dell’avvenire.

Enrico Berlinguer con il leader Vietcong Ho Chi Minh
Immagini di memoriali delle vittime del regime comunista cambogiano

Roma, sabato 19, ore 10.30 – Presentazione del libro EXTRATERRESTRI. LE RADICI OCCULTE DI UN MITO MODERNO

Sabato 19 Febbraio, ore 10.30,

Palazzo Valentini, via IV Novembre 119/a (dietro Piazza Venezia), Sala della Pace;

presentazione del libro:

 EXTRATERRESTRI.

LE RADICI OCCULTE DI UN MITO MODERNO

(Ed. Rubbettino)

Intervengono gli autori: Enzo PENNETTA e Gianluca MARLETTA

Presenta il libro il Prof. Mario POLIA, antropologo

Link iniziativa: http://www.extraterrestri.org/Immagini/Provincia.jpg

 

Scheda del libro:

·        Una vicenda che nessuno vi ha mai narrato prima…

·        Un libro controcorrente che, per la prima volta, mette in luce le radici occultiste di un mito che ha conquistato l’immaginario dei nostri contemporanei;

·        Una pseudo-religione a cavallo tra scientismo ed esoterismo;

·        Dallo spiritismo al contattismo, dall’archeologia “spaziale” all’ipotesi “parafisica” del fenomeno UFO;

Link: http://www.rubbettino.it/rubbettinohttps://www.libertaepersona.org/public/dettaglioLibro_re.jsp?ID=5064

“Il mito degli extraterrestri e l’attesa “messianica” che si addensa intorno alla figura dell’Alieno fanno ormai stabilmente parte dell’immaginario dell’uomo contemporaneo. Pochissimi, tuttavia, sospettano quali legami vi siano fra questo mito –apparentemente connotato in chiave scientifica e tecnologica- e le correnti più ambigue e nebulose dell’occultismo moderno. In questo saggio, per la prima volta, i due autori ricostruiscono le radici “occulte” e ignorate del mito extraterrestre, attraverso i suoi legami con lo spiritismo ottocentesco, la nascita del contattismo, la mediazione di singolari personaggi a cavallo tra scienza e magia, il ruolo del cinema, l’affermazione dell’“archeologia spaziale” e dell’”interpretazione extraterrestre” dei Libri Sacri; con sullo sfondo la realtà, tanto ambigua quanto evanescente, dei cosiddetti “fenomeni UFO”. Tutti elementi, questi, caratterizzanti un mito che è anche una delle più incredibili quanto riuscite parodie moderne della religione”.

Struttura, capitoli e approfondimenti (in aggiornamento) su: www.extraterrestri.org

Il lupo comunista perde il pelo….

Scriveva Eugenio Corti nel 1975:
«… Stalin si rese conto di come una semplice parola possa diventare un’arma tremenda, se la si carica d’ogni possibile ignominia mediante tutti i mezzi di cui dispone la propaganda moderna. Coniò allora, e per vent’anni si servì sistematicamente, del termine “nemico del popolo” (in russo “vrag naroda”), che gli consentì di paralizzare, tagliandolo letteralmente fuori dall’umano consorzio, chiunque non gli andasse a genio: nel Rapporto Crusciov al XX Congresso viene denunciato il terrore che anche i massimi dirigenti del partito avevano di tale qualifica. Dopo la guerra i comunisti esportarono la loro mirabile scoperta in Italia e in Occidente, dove il vocabolo prescelto fu “fascista”. Con questa accusa, scrive Del Noce, “si crea quel mito del fascismo in cui viene proposto un avversario mortale che nulla ha a che vedere col fascismo storico. Attraverso la trasfigurazione mitica, il concetto di fascismo si è estremamente dilatato, così che chiunque può venirne accusato: e giudice in ultima istanza di chi e di che cosa debba essere considerato fascista, dovrebbe restare il partito comunista”. Di quest’arma paralizzante i comunisti si servirono durante decenni in Italia non per uccidere e sterminare come in Russia, bensì per ricattare chiunque — persona o istituto — potesse esser loro d’ostacolo. Con la permanente minaccia di tale ricatto, essi imbavagliarono in innumerevoli occasioni la stampa, la radio, i canali televisivi, e asservirono ai fini della loro politica un elevato numero di intellettuali.»

Ma oggi il comunismo non c’è più, non è vero?
Tanto che non esiste dirigente del PCI/PD che, dopo la caduta del Muro di Berlino e l’implosione dell’URSS, si sia più proclamato comunista o che non abbia dichiarato di non essere – o addirittura di non essere mai stato – comunista. Avendo presenti le considerazioni di Corti, l’esame di alcune prime pagine dell’Unità dell’anno appena trascorso fornisce una misura precisa di quanto l’attuale PD sia ideologicamente distante dal “vecchio” (e mai realmente scomparso) PCI.

Il “pelo” (i simboli e le parole attinenti ad uno scomodo e vergognoso passato) è stato cambiato, ma il lupo comunista non ha perso il vecchio “vizio”. Affatto. Del resto, com’è facilmente intuibile, non basta togliere falce e martello dal simbolo e la parola “comunista” dal nome per modificare una forma mentis strutturatasi nei decenni e mai sinceramente rinnegata.

Anche Eco copia e incolla…

Dopo Galimberti ed Augias, anche Umberto Eco, della premiata ditta Repubblica (ribattezzata Ripubblica), viene preso con le mani della marmellata: nel suo ultimo romanzo ha copiato senza citare. Stessa accusa era stata già fatta per "Il nome della rosa".

Leggiamo cosa scrive Silvia Guidi:

Non possono essere definiti licenze poetiche, o vezzi stilistici, modalità espressive bizzarre ma legittime, perché non lo sono. Meglio chiamare le cose con il loro nome, ripetono a più riprese Howard Mittelmark e Sandra Newman, gli autori di Come non scrivere un romanzo (Milano, Corbaccio, 2010, pagine 224, euro 18,60); se c’è qualcosa che rallenta il ritmo di un racconto, rende scialbo un personaggio, rende stonato un incipit o una conclusione, toglie gusto e mordente alle pagine, questo qualcosa si chiama «errore narrativo». Spesso solo oscuramente percepito come tale da chi scrive, ma immediatamente registrato come tale da chi legge, chiosano con sottile perfidia Mittelmark e Newman nell’introduzione.

Davvero utili e divertenti gli esempi di scrittura infelice e di cose da non fare mai se si vuole evitare di essere cestinati (regola che dovrebbe valere per gli esordienti come per gli scrittori affermati, ma purtroppo anche nella repubblica delle lettere spesso ci sono cittadini «più uguali degli altri»): da chi, non sapendo descrivere una scena, si limita a un elenco del telefono di azioni, a chi si crede Proust o Gadda, a chi plagia inconsapevolmente film o libri più o meno famosi.
Tra i 200 esempi di errori da matita rossa e blu elencati con un pizzico di sadismo dai due editor non c’è il «copiaincolla» non dichiarato, perché troppo ovvio per meritare una menzione; nonostante questo, la lettura di Come non scrivere un romanzo può comunque fornire spunti interessanti alla recente riflessione sul plagio (o sulla «difficile arte della copiatura», che dir si voglia) nata dalla lettera a «La Stampa» di una lettrice, la signora Pina Pagano, che ha individuato tra le pagine de Il cimitero di Praga di Umberto Eco brani tratti dal romanzo Da Quarto al Volturno di Giuseppe Cesare Abba.

L’errore grave, da evitare sempre e comunque, senza se e senza ma — si ripete più volte nel libro di Howard Mittelmark e Sandra Newman — è sottovalutare il lettore, dare implicitamente per scontato che sia meno attrezzato culturalmente, meno perspicace, in una parola, meno «intelligente» di noi.
«Il personaggio si chiama Giuseppe Cesare Abba e dice quello che ha scritto» ha risposto Eco alle accuse. Chi ribatte che le cose non stanno esattamente così («a pagina 153 non è certo Abba a parlare, ma il protagonista del romanzo, cioè Simonini» insiste la signora Pagano) rischia di fare la figura del pedante; la passione dell’autore per il centone, il florilegio e il pastiche più o meno mascherato non è una novità, come l’assunto che tutto è falsificabile e i «segni» stessi della semiotica servono per mentire.

Lo stesso celeberrimo Il nome della rosa ne è un esempio; già negli anni Novanta, all’università di Firenze un docente di filosofia medievale era solito assegnare agli studenti (come può testimoniare chi scrive) il compito a casa di rintracciare le fonti del libro, un centone di testi medievali riassemblati sotto forma di bestseller, innescando un’appassionante (e didatticamente efficacissima) caccia all’autore copiato, tradotto, parafrasato, parodiato.
Probabilmente è per questo che il professor Eco ha evitato di citare le sue fonti (anche in carattere 8 in una nota sperduta a piè di pagina, o in una post fazione relegata dopo l’indice) ne Il cimitero di Praga. L’apparente trascuratezza nasconde una preoccupazione didattica: non vuole privare i colleghi docenti universitari di un utile strumento di lavoro e gli studenti del gusto di scoprire da soli le tessere del mosaico del principe dei falsari Simonini.

Silvia Guidi, Osservatore romano, 23 dicembre 2010

 

 

 

PIÙ CHE PRAGA QUARTO E IL VOLTURNO…
Lettera di Pina Pagano a "La Stampa" del 18 dicembre 2010

 

 

 

 

Sto leggendo «Il cimitero di Praga». Premetto che ho sentito l’autore affermare, in alcune interviste, di aver attinto a varie fonti e documenti, di aver operato dei «copia e incolla», ma quello che ho letto a pagina 153 mi ha lasciata piuttosto perplessa: in pratica, l’episodio riportato lo si ritrova pari pari e, a tratti, parola per parola, nel romanzo «Da Quarto al Volturno» di Giuseppe Cesare Abba (cap. 22 maggio. Ancora a Parco).

 

 

Per me è stato facile riconoscere il brano perché l’ho proposto spesso ai miei alunni insieme alla novella «Libertà» di Verga, ma mi chiedo come sia possibile che nessuno se ne sia accorto. È pur vero che sono un’insegnante di letteratura italiana del buon tempo antico laureatasi con lode con uno dei più grandi dantisti italiani, ma… Ma forse Eco, con la sua ironica facondia, saprà trovare una spiegazione.

 

 

 

 

 

 Per i copia e incolla di Augias e Galimberti:

https://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=1275

https://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=907

 

 

 

Corrado Augias: un abile venditore di patacche

Corrado Augias è un giornalista che da tempo scrive di filologia evangelica, religione, scienza… Sempre propone tesi peregrine, ideologiche, non suffragate dai fatti. Con lo stesso nemico, ogni volta: la Chiesa e Cristo.

Recentemente Augias si è cimentato in uno spettacolo su Giordano Bruno, eterno mito del mondo massonico, ateo e anticristiano, che ha cercato di fare di questo oscuro e inquietante mago del XVI secolo, autore del De magia, del De vinculis (sugli incantamenti) e di altri trattati esoterici, il simbolo del pensiero razionale represso dalla Chiesa.

Lo spettacolo, intitolato retoricamente “Le fiamme e la ragione”, è tratto dal libro omonimo in cui Corrado Augias, così scrive una rivista che presenta lo spettacolo, “propone una delle pagine più tragiche del pensiero scientifico e culturale del nostro paese, l’assassinio mediante condanna al rogo di Giordano Bruno, uno dei massimi geni della storia della cultura occidentale.

Togliendo la vita all’ uomo la Chiesa di Roma sacrifica anche un intero mondo scientifico. Ad oltre quattrocento anni dalla sua morte, ascoltare il pensiero di Giordano Bruno attraverso le parole di un fuoriclasse della cultura italiana (sic), e il commento introduttivo di Gustavo Zagrebelsky, è un momento di riflessione imprescindibile per atei, agnostici e cattolici sui rispettivi compiti da assolvere in uno stato laico e civile”.

Ebbene, per chi volesse conoscere i fatti, secondo la lettura dei testi bruniani, e l’interpretazione di studiosi serissimi e specializzati, come F. Yates, Paolo Rossi e Matteo d’Amico, può farlo qui:

https://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=129

e qui:

https://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=1605

 

Per chi avesse meno tempo, basti questa citazione, tratta dal celeberrimo studioso di storia delle religioni (non un dilettante allo sbaraglio come Augias) Mircea Eliade: “Se Giordano Bruno accolse con tanto entusiasmo le scoperte di Copernico, fu anche perché riteneva che l’eliocentrismo avesse un profondo significato religioso e magico; quando si trovava in Inghilterra Bruno profetizzò il ritorno imminente della religione magica degli antichi Egizi quale veniva descritta nell’Asclepius.

In effetti Giordano Bruno si sente superiore a Copernico dato che, mentre quest’ultimo non intendeva la sua stessa teoria se non in senso matematico, dal canto suo Bruno poteva interpretare lo schema copernicano come il geroglifico dei misteri divini” (Mircea Eliade, "Storia delle credenze e delle idee religiose", Bur, vol.III, p. 279).

 In altre parole, lungi dall’essere razionale e scientifico, lungi dall’essere un “genio”, Giordano Bruno era uno dei tanti maghi del Cinquecento che credeva nell’oroscopo e nel determinismo delle stelle, e che vide nell’eliocentrismo non una dottrina scientifica, un fatto astronomico, ma la conferma della sua visione magica, astrologica, che contemplava una eliolatria animista di stampo egizio.

Bruno disprezzava Copernico ritenendo che  non avesse capito proprio nulla della sua "scoperta (allora non ancora dimostrata), non traendo da essa alcuna conclusione religiosa, nè di segno contrario alla sua (Copernico era un canonico cattolico), nè in favore del panteismo eliolatrico egizio!

In sintesi: per Eliade,Yates, Rossi, d’Amico… e per Bruno stesso, che si riteneva destinato dalle stelle a “rinnovare il mondo”, e che credeva nelle formule magiche e negli incantamenti, come dichiara in alcune sue opere, Giordano Bruno era un mago. Per Augias, invece, Bruno era uno scienziato e un pensatore razionale, addirittura un genio della scienza!  

Nasce “la bussola”

Dall’8 dicembre un prezioso strumento informativo per tutti. Ogni giorno su Internet uno sguardo sulla realtà senza paraocchi Per conoscere da vicino il nuovo quotidiano on line abbiamo sentito il suo direttore, il vaticanista Andrea Tornielli.

Ma anche illustri collaboratori come Messori, Introvigne e Cammilleri. I giornalisti cattolici “fedeli al Papa” si mobilitano… Quando qualcuno ha smarrito il senso dell’orientamento e non sa più dov’è e dove vuole andare, oppure quando non mantiene più il controllo dei suoi nervi e sbotta irato, senza alcun freno o rispetto delle regole della buona educazione, si dice che «ha perso la bussola».

Si tratta di un modo figurato molto efficace per descrivere uno smarrimento reale, o anche solo psicologico e spirituale. Perché la bussola, si sa, è quello strumento per l’individuazione dei punti cardinali, prezioso e indispensabile per capire dove uno si trova. Inventata dai cinesi (o dai vichinghi) poco dopo l’anno 1000, la bussola è fondamentale in mare aperto, o in vasti spazi come il deserto, dove non ci sono o scarseggiano i punti di riferimento.

 Ebbene, oggi non sarebbe del tutto esatta l’espressione «aver perso la bussola», dal momento che in tanti, soprattutto tra i più giovani, la bussola non l’hanno neppure mai avuta. Cioè, nella loro vita sono totalmente privi di punti di riferimento cui ancorarsi, e procedono al buio, a tentoni. Ci riferiamo a punti di riferimento solidi, reali, ovviamente, cioè a una guida sicura nei travagli e nelle difficoltà della vita, non certo ai sogni banali e inconsistenti dei vari reality show, frutto di una società preda del relativismo, ormai quasi totalmente senza valori e drammaticamente alla deriva.

Una «guida» alla lettura dei fatti

 Per chi ha smarrito la bussola, o per chi non l’ha mai avuta, l’8 dicembre (giorno scelto non a caso, è la festa dell’Immacolata Concezione) può rappresentare l’inizio di una possibilità concreta di aiuto, di «guida» nella lettura corretta dei fatti che accadono e nel discernimento delle notizie. L’8 dicembre, infatti, è la data di avvio di una innovativa, coraggiosa avventura editoriale. Che si chiama proprio, e non a caso, La Bussola quotidiana.

E si affaccia nel complesso, variegato e difficile mondo dell’informazione sotto la direzione di Andrea Tornielli, vaticanista de Il Giornale e collaboratore de il Timone. «La Bussola è un giornale on-line, cioè disponibile su Internet, che sarà visibile a tutti su un sito Web», spiega Tornielli. «Basterà cliccare per aver accesso facilmente a tutti i suoi contenuti. Sarà un quotidiano che cerca di proporre a 360° uno sguardo cattolico sulle notizie del giorno. E dunque si occuperà di tutto,con aggiornamenti in tempo reale».

 La ragione al servizio della fede

 «Sono all’antica, sono rimasto attaccato alla carta stampata, che a mio avviso continuerà a rivestire ancora a lungo un ruolo importante, ma non ho dubbi che questo nuovo “quotidiano elettronico” possa costituire un efficace mezzo di testimonianza a difesa della fede», afferma convinto il popolare scrittore Vittorio Messori, che della Bussola non è solo uno degli ispiratori, ma rivestirà il ruolo di direttore editoriale, una sorta di «padre nobile».

E aggiunge: «Quella che viviamo oggi, soprattutto tra i cattolici, è una crisi che va compresa bene. Il problema vero non sono le scelte politiche e sociali, o il rispetto della morale. Il problema vero è la fede, è in crisi la fede. Rischiamo di non credere più. Per questo occorrono strumenti che aiutino con intelligenza la fede, che mettano la ragione al servizio della fede. La Bussola può svolgere proprio questo compito». Come? «Intervenendo ogni giorno sui fatti, con chiarezza e precisione, anche per ribattere colpo su colpo a tutte le accuse e a tutti gli attacchi rivolti alla Chiesa e alla fede».

 Messori alimenterà il nuovo giornale on line con idee, spunti ed editoriali.

Non è soltanto una «voce» in più

Uno tra i collaboratori più noti della Bussola sarà il sociologo Massimo Introvigne, attento osservatore della modernità, che si mostra entusiasta della nuova iniziativa. «Per me è un evento storico», dice, «perché forse per la prima volta quello che io chiamo “il mondo cattolico fedele al Papa” potrà avere a disposizione un mezzo, gestito da professionisti esperti e competenti, in grado di dare un giudizio sugli eventi con rapidità. Oggi è fondamentale essere informati subito, perché nel pubblico l’opinione si forma nelle 12 ore successive all’evento, dopo è troppo tardi».

Lo scrittore Rino Cammilleri, anch’egli “arruolato” tra i collaboratori della Bussola, conferma: «Il giornale che vede la luce l’8 dicembre non è da vedere soltanto come un arricchimento, una voce in più nell’affollato panorama dei mass media cattolici, che vanta già numerose testate cartacee e on line, ma intende essere una voce diversa, capace di informare un vasto target di utenti in modo veloce ed efficace». Una «squadra di professionisti

Oltre al direttore Andrea Tornielli, per la confezione giornaliera della Bussola completano lo staff il caporedattore Riccardo Cascioli e i redattori Marco Respinti e Antonio Giuliano. Nella schiera di collaboratori, che si preannuncia folta, oltre a Messori, Introvigne e Cammilleri, ci sono Robi Ronza, Mons. Luigi Negri, Saverio Gaeta, Francesco Agnoli, Giorgio Torelli, Gianfranco Fabi, Paolo Rodari, Gianni Valente, Giovanni De Marchi, Bernardo Cervellera, Piero Gheddo, Carlo Bellieni, Vincenzo Sansonetti, Mario Palmaro, Gianpaolo Barra, Jacopo Guerriero, Liana Marabini, Giacomo Samek Lodovici… e tanti altri.

«Molti di questi», precisa Tornielli, «sono già anche collaboratori del mensile il Timone – che comunque continuerà ad avere vita propria, con le sue peculiari caratteristiche informative e formative – altri sono “firme” nuove, che offriranno un contributo legato alle loro competenze e ai loro interessi».

Quanto agli obiettivi, «La Bussola nasce per essere presenti nel panorama dell’informazione con un giornale agile, dall’identità precisa, dichiaratamente cattolico», sostiene Tornielli, «un giornale che sia in grado di confrontarsi con tutti sul filo delle notizie. Tuttavia l’ambizione è quella di parlare non solo ai cattolici, ma a un pubblico più vasto, interessato a conoscere il nostro punto di vista, il nostro “sguardo” sulla realtà». Dove sono state reperite le risorse necessarie? Dietro La Bussola c’è soltanto un gruppo di giornalisti, che hanno creato questo nuovo strumento, ritenendolo utile e in linea con il futuro dell’informazione, e lo vogliono far vivere e prosperare. La Bussola è un’opera finanziata da amici e sostenitori che credono nel progetto. Non ci sono, in questo senso, “proprietari” o “editori” di tipo tradizionale». È nata però un’associazione, chiamata appunto “Sostenitori de La Bussola”, che raduna imprenditori, liberi professionisti, industriali che hanno preso a cuore il compito di far vivere questo quotidiano cattolico on line. Che spera di contare, però, anche sull’aiuto concreto di tantissimi lettori. Naturalmente la redazione de il Timone, e tutti i suoi lettori, augurando a La Bussola un proficuo lavoro, esprimono al nuovo quotidiano on line la loro amicizia e stima più sincera.

Per leggere La Bussola: www.labussolaquotidiana.it

 

La vera “P3” che comanda l’Italia

Ci scrive un lettore:

In una puntata di Omnibus, sulla radical chic “La7”, un editorialista di Libero, Franco Bechis, tempo addietro enucleò il vero problema che spesso non rende un granché credibili gli iscritti a quell’Agape di Premi Pulitzer che, in generale, è l’informazione italiana, tanto da far dire al D’Alema (altro che dichiarazioni in merito del Cav), che lasciare i giornali nelle edicole costituisce un encomiabile atto di civiltà.

Esso problema consiste nel fatto che, a differenza, ad esempio, che negli States, nel Belpaese i nostrani Premi Pulitzer, quelli che lamentano leggi bavaglio alla loro libertà di informare acconciamente l’italico popolobue su come stanno veramente le cose della politica, raramente si preoccupano di verificare la veridicità delle loro fonti, mentre negli States, se alcuno pubblica notizie false che distruggono la rispettabilità di chicchessia, udite, udite, finisce in galera, tant’è che i Premi Pulitzer d’oltreoceano, per carità, pallidi emulatori dei nostri, ben si guardano dal pubblicare testimonianze di chicchessia che non siano verificate e magari giurate, di modo che, nel caso esse siano mendaci, coloro che si reputano da esse danneggiati, si rivolgano direttamente  alle fonti delle informazioni.

Questa premessa per dire che nel caso qualcuno si ritenesse danneggiato per quanto sotto enunciato, è pregato di rivolgersi direttamente, per proteste e/o precisazioni e/o smentite, alle sottocitate fonti, sulle dichiarazioni delle quali è costruito questo articolo, risultato di una personale investigazione: né al sottoscritto né all’eventuale  testata giornalistica  che lo pubblicasse, sono imputabili eventuali inesattezze.

Le fonti sono due.

La prima fonte è l’eurodeputato Mario Borghezio, trucibaldo leghista che poi si è scoperto esser persona di raffinata cultura e per di più fan sfegatato di Totò.

La seconda è l’esperto in economia e finanze Oscar Giannino, famoso per l’acutezza delle sue analisi e dedito nel tempo libero, da quello che si spettegola sul suo conto, a prestar assistenza ai malati terminali di cancro.

Veniamo ora al dunque.

Le orecchie mi si drizzarono quando agli inizi del giugno 2009 lessi una dichiarazione di Borghezio a proposito di quelle “scosse”, peraltro anticipate dal D’Alema in veste di Pizia Delfica, che il quotidiano di proprietà di Carlo De Benedetti  aveva cominciato a somministrare a Silvio Berlusconi nel liberale intento di annichilirlo tramite sputtanamento personale.

Del resto, come si sa: “In guerra e a letto, nessun rispetto”.

Durante il convegno di quell’anno della Lega Nord a Pontida, infatti, Borghezio,  aveva rilasciato la seguente dichiarazione:

"Un mese prima della campagna elettorale (per le Amministrative, ndr) si è riunita a porte chiuse la Trilateral Commission, una sorta di sinedrio internazionale di alto livello finanziario e di molta influenza, presenti, come ha segnalato la stampa francese, Romano Prodi e Mario Draghi. E’ un dato che questo governo non sia servo dei poteri forti. Mi domando se la regia di questa ben orchestrata campagna contro Berlusconi non sia di un livello ben più alto della redazione romana di Repubblica. Per queste persone, organizzare un attacco del genere è facile come per me organizzare una ronda".

 Vibrisse e coda mi cominciarono, appunto, a vibrare e, intrigato, al contrario di tanti nostri distratti Premi Pulitzer, da tale dichiarazione, chiesi, miagolando, lumi a Oscar Giannino (conclamato gattofilo) circa la  “Spectre”  citata da Borghezio e della quale mai avevo sentito parlare

Sicuramente lui, esperto conoscitore del mondo finanziario nazionale ed internazionale, avrebbe saputo illuminarmi.

Infatti  il 16 giungo 2009, puntualmente, quell’eccentrico, superelegante  dandy mi rispose (testo integrale, anche nelle sviste di battitura):

"Carissimo, è un forum globalista nato nel 1973, fu Rockfeller insieme a Kisisnger a farsene promotore, accomuna "claee sidigente" Usa, Ue e Giappone, soprattutto manager, accademici, banchieri, membri di autorità di regolazione, ex politici di nome internazionale. le sue riunioni si attengono alla regola di Chatham House, dunque nessuno sa niente e zero stampa, di conseguenza la cosa alimenta miti e misteri di ogni genere. ha avuto una grande importanza per far uscire gli usa dal Vietnam tramite triangolazioni riservate formente volute dal grande capitale bancario che temeva una crisi di sostenibilità del debito usa – infatti avemmo l’esplosione dell’inflazione prima e del petrolio poi – poi è stato un canale aperto tra est e Ovest negli anni di Reagan e Thatcher, quando il grand epotere economico preferiva, come Andreotti, che non di disturbasse troppo l’impero rosso. da allora, ha perso parecchio del suo smalto. Oggi, è uno dei luoghi in cui i grandi banchieri ai quali dobbiamo il bel capolavoro di questa crisi si leccano le ferite, dando la colpa ai politici che vogliono frenare la globalizzazione. Sono circa 350 membri, da quel che so, e per l’Italia c’è gente come Enrico Letta, Alessandro Profumo, Mario Monti e un paio di altri prof della Bocconi… inutile che le dica che non c’è uno solo di centrodestra…. europeisti tecnocratici, il milieu di sempre di ipotesi terzaforziste elitarie sostenute da Paolo Mieli per 15 anni sino a ieri, da D’Alema oggi… il sogno di chi considera il suffragio universale un lusso di cui in Italia fare volentieri a meno, sostituendolo con il CSM e la benedizione di due direttori di gioirnale di centrosinistra, Repubblica e Corriere in questo nsono assai più simili che diversi un inchino sempre grato, sperando di esserle stato utile OG"

Feci circolare le dichiarazioni di Borghezio e la risposta di Giannino in diverse redazioni, fidando nel fatto che qualcuna delle Vestali della nostra Libera, Pubblica Informazione, innanzitutto di quelle dedite a sbecerare su distorsioni e vizi della politica italiana (soprattutto di quella berlusconiana), avrebbe giudicato le dichiarazioni di Borghezio e di Giannino degne di approfondimento.

Ma mi sbagliavo.

Evidentemente, citando la poesia “Sant’Ambrogio”, di Giuseppe Giusti, anche per loro valgono quei versi che dicono: “Che fa il nesci, Eccellenza? o non l’ha letto?/Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi,/in tutt’altre faccende affaccendato,/a questa roba è morto e sotterrato.”

Ma un’altra sorpresa, per la quale, un anno dopo dal suo inizio, ho considerato definitivamente conclusa la mia casareccia investigazione a proposito di chi, alla faccia della “Volontà del Popolo Sovrano”, comanda veramente in Italia, mi è venuta da una illuminante lettera del per diciassette anni inquisito (e poi assolto), Rino Formica, pubblicata in data 22 giugno c.a. da “Il Foglio”, nella quale l’illustre politico socialista informa che tramite gli articoli 134 e 137 del Titolo VI (Garanzie costituzionali) dell’italica Costituzione, la politica italiana è da sempre sotto tutela del Potere Giudiziario.

Riporta testualmente Formica <  seduta del 25 ottobre 1946, furono vincolati dall’odg Bozzi/Togliatti ad includere nell’articolato della Costituzione: “Disposizioni concrete di carattere normativo e istituzionale anche nel campo economico e sociale”. Inutilmente Calamandrei avvertì i costituenti che il vincolo dell’odg Bozzi/Togliatti avrebbe assegnato uno straordinario potere politico ai giudici ordinari e alla Corte costituzionale.>>

 

Nel celebre film “Ufficiale e Gentiluomo”, protagonista Richard Gere, un truce, negro e macho sergente addetto all’istruzione militare delle reclute, chiede ad un giovane:

“Tu da dove vieni, ragazzo?”

Dall’Oklahoma, signore”

“L’Oklahoma é famoso per i tori e per le checche: e non vedo corna sulla tua testa”. 

 

Come  a dire……"il cerchio si stringe"

Aldo Reggiani