“DARE VALORE AL SILENZIO E ALLA DOLCEZZA”

Melozzo da Forlì, Il Profeta Isaia, 1477, Loreto, Santuario della Santa Casa
nelle otto vele della Sagrestia di S. Marco
 

Colletta

Dio onnipotente ed eterno,
che hai dato come modello agli uomini
il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore,
fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce,
fa’ che abbiamo sempre presente
il grande insegnamento della sua passione,
per partecipare alla gloria della risurrezione.

Commento artistico-spirituale alla Prima Lettura della DOMENICA DELLE PALME – PASSIONE DEL SIGNORE

Anno B   – 24 Marzo 2024
Di don Tarcisio Tironi, Direttore M.A.C.S. (Museo di Arte e Cultura Sacra) di Romano di Lombardia-Bg

«Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato.
Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso» (Isaia 50,4-7).

Nel brano, compreso nella seconda parte del Libro di Isaia (40-55), il profeta si rivolge a un popolo in esilio che dubita del Signore e della sua capacità di salvare. L’autore del testo sacro presenta l’identità del «discepolo», un personaggio chiamato «Servo di YHWH», la cui sofferenza ha una funzione espiatoria a favore degli altri e, nel contempo, egli che non parla per se e s’affida docilmente ai persecutori, è inviato a portare una parola di speranza ai delusi. Il servo di Dio trova grande forza dalla certezza che Dio lo assisterà sempre e dovunque e che, pertanto, riuscirà a portare a termine la sua missione di salvezza:

«Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso».

Il servo del Signore, esempio di docilità e d’ascolto della volontà divina, è quindi la mano di Dio rivolta a chi è nella povertà, nella sofferenza, nella malattia, nell’oppressione, e ci introduce nel mistero della passione di Cristo, contemplato nella settimana santa.
La nobile figura de «Il Profeta Isaia» realizzato intorno al 1477, da Melozzo da Forlì, si trova su una delle otto vele della Sagrestia di S. Marco, nel santuario della Santa Casa a Loreto. L’uomo di Dio è affrescato, seduto su un cornicione dipinto, vestito di bianco, in un atteggiamento pensieroso evidenziato dalla testa che s’appoggia alla mano sinistra. In evidenza, appena sotto, compare una lapide che riproduce in latino, il versetto 6 del brano sopra citato:

«Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Corpus meum dedi percutientibus, et genas meas vellentibus; faciem meam non averti ab increpantibus et conspuentibus in me).

Dalla poesia di Franco Arminio:

«ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.

Attenzione a chi cade, al sole che nasce

e che muore, ai ragazzi che crescono,

attenzione anche a un semplice lampione,

a un muro scrostato.

Oggi essere rivoluzionari significa togliere

più che aggiungere, rallentare più che accelerare,

significa dare valore al silenzio, alla luce,

alla fragilità, alla dolcezza».

don Tarcisio Tironi
direttore M.A.C.S.

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Autore: Libertà e Persona

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