
La sofferenza vista dal pittore russo ebreo chassidico, naturalizzato francese, dopo la visita al Ghetto di Varsavia. Per le sue sofferenze, patite in Russia insieme al suo popolo, si considerava un nato morto.
Viktor Frankl e la sofferenza umana
Viktor Frankl considerava la sofferenza umana come una parte inevitabile della vita. Può, questa parte, essere causata da vari fattori come una malattia, la perdita di una persona cara, la disoccupazione, la povertà, la solitudine. Tuttavia, credeva che la sofferenza non dovesse essere vista per forza come un ostacolo
insormontabile, ma piuttosto come un’opportunità per crescere e svilupparsi come individui. Egli sosteneva che, anche nelle situazioni più difficili, gli esseri umani hanno la capacità di elevarsi al di là di ogni sofferenza per mezzo dell’auto-distanziamento. Capacità, questa, solo ed esclusivamente umana, affermava.
In sintesi, Frankl considerava la sofferenza umana come una parte inevitabile della vita, ma credeva che gli esseri umani avessero la capacità di trovare un senso e uno scopo anche nelle situazioni più difficili, riuscendo ad attivare la capacità, esclusivamente umana, di “auto trascendenza” e “auto distanziamento”.
Può accadere di leggere in articoli, o di ascoltare in video reperibili in internet, che Frankl avrebbe ideato la logoterapia e psicoterapia esistenziale durante la propria permanenza nei lager, trovandosi a confronto con quelle situazioni di dolore estremo. Non fu così. Basta anche solo guardare la cronologia della vita. Come scrivevamo all’inizio, nel 1926 Frankl aveva già ideato il suo percorso psicoterapeutico con chiari fondamenti umanistici legati al senso, al logos, come egli diceva e scriveva. Prova ne sono non solo gli scritti, ma anche il fatto che, già a Vienna, comprendendo come la nevrosi del secolo fosse la nevrosi noogena, o assenza di motivazioni alla vita, essa diveniva spesso causa di depressioni nei giovani con tendenza al suicidio. Così decise di aprire, e aprì, centri di ascolto per la cura e la prevenzione a favore dei giovani, individuando nella logoterapia anche una forma di educazione della persona.
Subito, iniziò ad accompagnare molti giovani in questi percorsi addirittura gratuiti. Potremmo dire che Frankl individuò fin dagli inizi nella logoterapia una propria missione, un senso della sua vita.
Lo stesso Frankl, più volte, nei suoi scritti ha affermato: «Ho trovato il senso della mia vita nell’aiutare gli altri a trovare nella loro vita un senso»1.
Anche in questo, egli si dimostrò molto distante da Freud e Addler, che legavano il successo dell’analisi anche alla relazione economica, ritenuta capace di contribuire nel regolare i rapporti tra terapeuta e cliente e, quindi, di garantire continuità e successo al trattamento.
Naturalmente, per lui il lager costituì sia un banco di prova personale che l’occasione di avere riscontri numerosi di come diversamente l’uomo affrontasse quello strazio indicibile, a seconda che fosse, o meno, motivato dal senso che con fatica scopriva, o che già lo animava prima di giungere nei lager. Queste persone riuscivano a sopravvivere e in seguito a vivere2.
Sofferenze non necessarie
Secondo Viktor Frankl, le sofferenze non necessarie non vanno scelte perché ciò costituirebbe una scelta masochista. La sofferenza va accolta solo se necessario.
È chiaro che, per lo psicologo cattolico, certe sofferenze abbracciate dai santi, dalle persone di fede, potrebbero a prima vista sembrare non necessarie e, sul piano umano, non lo sono. Nello stesso cammino spirituale, l’ascetica ha sempre insegnato ai direttori di spirito di non permettere penitenze particolari se non in casi in cui si trattasse non tanto di libera personale scelta, quanto di una divina elezione da discernere con scienza, prudenza, cautela in dialogo con il proprio Padre Spirituale. Ma ordinariamente il cristiano è disposto ad assumere sacrifici altrui per il bene dei fratelli sottoponendosi a non poche sofferenze cui non sarebbe di per sé obbligato, ma che vede come logiche nel suo percorso di amore ai fratelli. Ciò si vede anche nelle relazioni naturali.
Quale mamma è obbligata a stare tutta notte accanto al figlio malato, vegliandolo? Eppure, lo fa rinunciando anche al riposo necessario. Oppure, nella straordinarietà, che dire si San Massimiliano Kolbe, che si offre alla decimazione per la salvezza di un altro prigioniero che nemmeno conosceva, sottoponendosi non solo alla morte sicura per fame e sete, ma anche a tutte le sofferenze che la precedettero per giorni e giorni, lui che già era seriamente sofferente?
La sofferenza umana nell’economia della Salvezza
Nell’economia della Salvezza, nella quale Cristo si fece carico di tutte le sofferenze di tutti i tempi e uomini, la sofferenza ha senso come nei notissimi esempi di San Francesco d’Assisi, San Pio da Pietralcina, Santa Rita da Cascia o degli anonimi Santi della porta accanto, come li chiama il Santo Padre. Essi non solo accolsero le sofferenze capitate loro come divina permissione, ma anche furono disponibili e desiderarono perfino affrontare ulteriori sofferenze per essere pienamente partecipi dell’opera di corredenzione del Cristo e ciò non è considerabile un atto masochista.
Ovviamente, va visto caso per caso e riconosciuta anche in questa situazione una scelta di senso per quanto possa dipendere dall’uomo.
Il credente, come chiunque abbia eletto un senso per lui positivo, vedrà nell’ inevitabile sofferenza -anche quella liberamente eletta con la benedizione di Dio- una inevitabile sofferenza che ha un senso e attraverso la quale realizzerà la propria esistenza. È chiaro che questa posizione non è di Frankl e non possiamo attribuirgliela, è invece propria della visione cristiana e cattolica, come vediamo nella Lettera Apostolica Salvifici doloris di San Giovanni Paolo II, benché non sempre condivisa da taluni teologi contemporanei3, ma che ci sembra coerente con il pensiero di Frankl.
Evitare la sofferenza?
Per Frankl, come per il cattolico e il cristiano in genere, è significativo quel detto di Gesù, che disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà». (Mt 16 21,27). In termini di senso, della logoterapia, l’andare liberamente dietro a Gesù equivale ad individuare il senso. Rinnegare sé stesso non è negare la propria natura umana e le proprie aspirazioni, ma l’adesione ad una libertà per, la realizzazione di una prestazione per un compimento. Viceversa, nel caso della scelta valoriale evangelica, “salvare la propria vita” equivarrebbe ad escludere la salvezza per gli altri dal proprio fine, dal senso e porterebbe alla perdita della Vita vera, quella del Regno. La sofferenza evitata, ma comunque presente, dunque, non gioverebbe a nulla. Essa andrà affrontata dal paziente cercando di mutare la situazione, se possibile, ma, in seconda battuta, non potendo modificarla se da lui non dipendente, imparerà a guardarla in modo diverso, assumendo uno degli atteggiamenti valoriali grazie ai quali l’uomo può trovare un significato della vita. Il primo consiste in ciò che egli fa, nell’opera che crea, e quindi nel lavoro. Frankl parla, in proposito, di ‘valori di creazione’. Il secondo è costituito da ciò che la persona sperimenta e vive, amando, pertanto, qualcosa o qualcuno: sono i ‘valori di esperienza’. Ma ci si può anche trovare confrontati con situazioni che non si possono cambiare. Però, resta ancora la possibilità di trasformare il proprio atteggiamento verso di esse, ossia il proprio atteggiamento e sé stessi. Si tratta dei ‘valori di atteggiamento’. Nessuna situazione della vita è realmente priva di significato. È il caso della tragica triade dell’esistenza umana, formata dal dolore, dalla colpa e dalla morte: “Il dolore si può trasformare in prestazione, la colpa in elevazione, la transitorietà dell’esistenza umana in stimolo per un agire responsabile“4.
Tipico l’esempio proposto da Frankl nel colloquio con il teologo ebreo Lapide:
«Per prima cosa, allora, devo cercare di cambiare la situazione che mi fa soffrire, eliminando la causa della sofferenza. È questo che ha priorità. Tuttavia, se non si può fare altrimenti, se il cancro si rivela inoperabile, se sono prigioniero in un lager e non posso fuggire, e così via, allora è al cambio di atteggiamento che viene riconosciuta la priorità»5.
Mentre Freud ha trascurato il “Tu” e il fatto che l’uomo sia animale sociale, per Frankl è proprio attraverso il “Tu” che il paziente diviene “Io”.
Fondamentale sarà il “vero” dialogo nel quale non si fa un monologo a due, ma si discute di qualcosa, cosa assai simile, questa, all’amore.
«In breve, potremmo dire che coloro che si amano davvero non si limitano a guardarsi l’un l’altro negli occhi per ore, ma entrambi rivolgono lo sguardo parallelo all’infinito, pregano insieme»6.
Per Il Piccolo Principe, che Frankl cita, due che si amano non si perdono l’uno nello sguardo dell’altro, ma guardano entrambi nella stessa direzione. A nostro avviso, tutte e due le cose possono essere vere. Io contemplo la miseria e la bellezza dell’altro, come Dio in Cristo contempla la miseria e la bellezza del suo figlio e se lo porta al cuore, mentre questi ricambia la contemplazione delle perfezioni divine nell’amore soprannaturale e mistico a tutti, di per sé potenzialmente possibile, e al contempo guardo verso la stessa direzione in cui l’altro guarda in nome del senso ritrovato.
Allo stesso tempo, Dio ha creato un uomo capace di fare il Bene come di distruggere ogni suo simile e di credere ciò giusto. Ma egli è creato a Sua immagine, Legato alla terra, ma anelante al Cielo7. Come dice Pascal, l’uomo va infinitamente oltre i confini dell’umano.
Solo l’amore ha bisogno di avere dinanzi a sé chi è diverso, oppure, simile. Diversi da Dio, lo rappresentiamo essendo creati a Sua immagine e somiglianza. Se Dio crea il mondo per amore, il senso della realtà è rintracciabile nel prossimo e, nel dialogo con il “Tu”, l’Io matura.
Nella relazione non dirò all’altro: – Ama. Io per primo amerò e l’altro inizierà ad amare.
All’interno della fede cattolica non possiamo non ricordare che sono relazione personale anche la relazione con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito Santo. Sacramentalmente, la Persona divina del Figlio viene incontrata nella celebrazione e nell’adorazione, sia comunitarie che individuali.
Non di meno, il Padre è pure incontrato nell’orazione individuale nel segreto della propria camera (cf Mt 6, 6), come è vero che il Figlio, che ne è immagine, mai è separabile dal Padre ed è imprescindibile per accedere al Padre, come pure lo Spirito, poiché non possiamo dire Abbà, Padre, se non nello Spirito (cf Rm 8, 15). Sicché, nell’orazione comunitaria, o individuale, e sempre in relazione a tutto il Corpo mistico di Cristo, il credente cresce nella relazione e tale fattore è causa di cambiamento interiore e, talvolta, di guarigione.
- Frankl, Viktor, La vita come compito. Appunti autobiografici, Torino, SEI, 1997, 93, [orig. (1995), Wasnicht in meinen Büchernsteht, München, Quintessenz MMV Medizin-Verlag]. ↩︎
- Si vedano, in particolare, Frankl, Viktor, Fizzotti Eugenio, a cura di, Lettere di un sopravvissuto. Ciò che mi ha salvato dai lager, 1945-1949, Rubbettino, Soveria Mannelli-CZ 2008. Frankl, Viktor, Uno psicologo nei lager, Collana Semi. Per coltivare le conoscenze, Franco Angeli, 2023. ↩︎
- Vedi Padre Arrigoni, Gianmarco – Giuliano, Marcello a cura di, Mio Signore e mio Dio (Gv 20, 28). La forza del dolore salvifico. Percorsi nella santità e nell’arte, Mimep Docete, Pessano con Bornago (MI). ↩︎
- Frankl, Viktor, Eugenio Fizzotti, a cura di, Dio nell’inconscio. Psicoterapia e religione, Morcelliana, Collana Scienze Umane, Brescia 2000, p. 128. ↩︎
- Frankl, Viktor, Fizzotti, Eugenio, a cura di, Ricerca di Dio e domanda di senso. Dialogo tra un teologo e uno psicologo, Claudiana, Torino 2005-20062, 20165, 59. 62. ↩︎
- Frankl, Viktor, Ricerca di Dio e domanda di senso …, op. cit., 63. ↩︎
- Frankl, Viktor, Fizzotti, Eugenio, a cura di, Ricerca di Dio e domanda di senso …, op. cit. 64. ↩︎
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