Nessun Dio ha dato agli Americani il compito di salvare il mondo.

La guerra in Iraq non solo è stata una terribile ingiustizia, una guerra mossa con moventi fasulli e bugiardi, ma anche una colossale sciocchezza strategica. Il Segretario di Stato Vaticano Angelo Sodano lo aveva detto subito: fate l’elenco di una fila di paesi da attaccare, e pensate di diminuire il terrorismo? Lo aumenterete dovunque. La conferma è arrivata da tutte le agenzie di intelligence americane, legate al National Intelligence Council (che coordina 16 agenzie di spionaggio): per tutte la guerra in Iraq ha funzionato da catalizzatore, ha inasprito gli animi, ha spinto molti ad arruolarsi in Al Quaeda…tanto che molti dei terroristi sono volontari che hanno combattuto in Iraq e che poi tornano nei paesi di origine e formano nuovi gruppi di estremisti (Corriere della sera, 25 settembre 2006). Detto questo ci si potrebbe anche chiedere: se in un paese ci sono terroristi bombardo indiscriminatamente il paese? Al tempo delle Brigate rosse qualcuno avrebbe dovuto bombardare l’Italia? E nella storia i bombardamenti a casaccio si sono mai rivelati utili? E gli embarghi, come quello all’Iraq per dieci anni, cosa servono? Nel 1936 l’embargo all’Italia la spinse tra le braccia di Hitler; l’embargo a Cuba ha rafforzato la dittatura di Castro…Un’ultima considerazione: i paladini americani della libertà, a quale titolo parlano? Non hanno forse compiuto il primo genocidio della storia, i calvinisti predestinati da Dio, i mitici cow boys che eliminarono pressochè tutti gli indigeni d’America, i cosiddetti pellerossa, e che rinchiusero gli altri nelle riserve? Non sono stati poi i più grandi commercianti di schiavi, avendo importato per secoli i neri africani nelle loro piantagioni? Non hanno impedito sino a pochi anni fa addirittura di sedersi sui loro autobus ai neri discendenti degli schiavi? (Pagano ora con i ghetti neri e le violenze…perché alla fine gli errori si pagano sempre). Non hanno fornito al nazismo per molti anni i maggiori esponenti del pensiero eugentico? Non hanno fatto colpi di Stato continui nei paesi del Sud America per controllarlo meglio? Non hanno forse sterilizzato migliaia e migliaia di donne brasiliane, ai tempi in cui Bush sr. lavorava alla Cia? Non hanno utilizzato l’atomica sul Giappone, quando non era necessario? Non hanno utilizzato le armi chimiche in molti degli ultimi conflitti, o l’uranio impoverito nel conflitto in Kossovo? Si potrebbe andare avanti per ore, non contro un popolo, che tendenzialmente non si farebbe coinvolgere in conflitti lontano da casa, ma contro dei governi…che si ritengono al di sopra di ogni giudizio e di ogni legge, in nome di una “libertà” che è un idolo di sangue…Questo senza nulla togliere al problema islamico, che rimane, ma che non può essere risolto….aumentandolo…

Sussidarietà, la strada verso il bipolarismo mite

All’indomani del convegno promosso dalla Compagnia delle Opere del Trentino Alto Adige (di cui riferisco nell’articolo precedente), mi sembra interessante proporre la lettura del testo che segue, sintetizzato nell’intervento del consigliere provinciale di Forza Italia Walter Viola (nella foto). Si tratta del programma di legislatura dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, al quale aderiscono deputati e senatori di varie forze politiche sia del centrodestra che del centrosinistra (da Maurizio Lupi di Forza Italia ad Antonio Polito dell’Ulivo, da Gianni Alemanno di Alleanza nazionale ad Ermete Realacci della Margherita), accomunati dalla volontà di cercare insieme, partendo appunto dal principio di sussidiarietà, alcune soluzioni ai grandi problemi del Paese. Il che non significa censurare le differenze, ma credere nella possibilità di un dialogo costruttivo che scaturisca dall’identità specifica di ciascuno. 

«Veniamo da un importante appuntamento elettorale e i primi mesi di questa legislatura, così come la precedente, confermano, ancora una volta, le difficoltà del nostro bipolarismo. Una difficile eredità storica ha contribuito a creare una contrapposizione tra i Poli che troppo spesso ha condotto ad un clima di scontro pregiudiziale, facendo dimenticare che le riforme più importanti hanno bisogno, almeno in via preliminare, di uno spirito di condivisione.

Ripartire dall’Italia che cresce.

L’Italia, la nostra economia e l’intera società attraversano un momento difficile. La crisi non si supera solo perché vince uno schieramento piuttosto che un altro; occorre aver a cuore il bene del Paese più che la propria parte. La classe politica ha dimostrato più volte di esserne capace. Occorre ridare fiducia al Paese ripartendo dai suoi punti di forza che possono essere sintetizzati in due parole: identità e qualità. Noi crediamo che occorra partire da una visione positiva, da quel che di buono è presente nel nostro Paese. Sussidiarietà è una delle parole chiave per intraprendere questo cammino. Ciò significa mettere chi non è in grado di operare in condizione di riuscire e chi opera in condizione di fare meglio, perfezionando il rapporto pubblico-privato in modo tale che tra Stato, società e mercato ci sia reciproca valorizzazione e non prevaricazione. Non tutto ciò che è pubblico deve necessariamente essere statale: pubblico è tutto quel che contribuisce al bene comune.

L’Intergruppo, per costruire un bipolarismo mite.

Questo è stato lo spirito con cui, in questi anni, si è mosso l’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà. Un luogo che è stato innanzitutto uno spazio di discussione e di lavoro sui problemi concreti del Paese, al di là e forse anche al di sopra della dialettica politica che divide maggioranza e opposizione. Crediamo che il bipolarismo, in termini di efficacia e trasparenza del sistema sia una conquista irrinunciabile; ma che la strada da percorrere sia quella di un bipolarismo mite, stemperato di ogni forma di antagonismo di tipo ideologico, basato sul rispetto reciproco e su una unità di intenti che è un requisito indispensabile per affrontare le riforme necessarie al bene del Paese. Capace di cercare e sviluppare, ognuno nel rispetto del proprio ruolo, politiche ampiamente condivise. Dialogare, infatti, non significa annullare la propria identità perché, senza identità, non può esserci dialogo.

La sfida che ci attende.

Il compito è tutt’altro che semplice. È a noi che spetta la responsabilità di ridurre le distanze tra la politica e i bisogni dei cittadini, se non vogliamo che vinca la politica intesa come personalizzazione del confronto, demonizzazione dell’avversario, estremismo. Riprendendo il lavoro fatto in questi anni, riteniamo utile partire da una piattaforma di punti condivisi che possa essere di aiuto per un confronto tra le parti e servire da fondamento per un’agenda delle nostre priorità.

Un’agenda condivisa per il futuro del Paese

?  Una politica al servizio della persona. Ciò che può salvare l’Italia da un possibile declino è un’inversione di tendenza rispetto al passato, che ponga l’investimento in capitale umano al centro della vita economica, sociale e politica. Tutto ciò passa per una scommessa sulla conoscenza, sulla ricerca, sull’innovazione, sulla qualità; passa per la valorizzazione del capitale sociale e del lavoro. Nessuna risorsa deve essere dispersa. Per questo, ad esempio, lavoreremo per l’approvazione di una legge sui “Piccoli comuni”, volta a difendere e valorizzare le straordinarie risorse dei nostri territori e delle comunità per una grande scommessa sul futuro, per una modernità a misura d’uomo. Investire in capitale umano non significa solo valorizzarne gli aspetti economici. Occorre ridare centralità alla famiglia, nucleo fondamentale della società, promuovendola come risorsa essenziale per l’educazione e lo sviluppo. Dobbiamo dare vita ad un sistema che metta le persone e le comunità al centro dei processi di creazione di valore, facendone attori e protagonisti della vita delle istituzioni, delle aziende, della società. Per questo bisogna assicurare spazi di libertà all’educazione favorendo la massima inclusione dei cittadini all’interno del sistema scolastico e innalzando così il livello della nostra cultura e della nostra formazione. Dobbiamo realizzare un sistema scolastico in grado di promuovere il merito e di valorizzare le eccellenze e ripensare la formazione come un obiettivo costante lungo il cammino professionale della persona.

?  Più società fa bene allo Stato.

I processi di decentramento dei poteri, con lo spostamento dei meccanismi decisionali e la valorizzazione dell’eccellenza e del merito, con la complementarietà tra strutture pubbliche e private che erogano i servizi, hanno un minimo comun denominatore: un maggiore protagonismo della società e una riduzione progressiva della centralizzazione delle competenze. Una corretta attuazione della sussidiarietà verticale permetterà di evitare la realizzazione di un nuovo centralismo della Regioni e rafforzerà, invece, il comune senso di responsabilità, promuoverà forme associative intercomunali, amplierà gli ambiti di autonomia finanziaria degli enti locali, realizzerà strumenti di governance capaci di coinvolgere i privati e le loro aggregazioni nei processi decisionali locali. In tal senso, fra le due grandi sfide che ci attendono in questa legislatura vi sono sicuramente la piena attuazione del federalismo fiscale e l’approvazione di una legge sulla impresa sociale e sul non profit. Non va dimenticata l’importanza di una piena attuazione della sussidiarietà fiscale, con l’obiettivo di riconoscere al contribuente la possibilità di concorrere alle spese pubbliche destinando direttamente una parte dell’imposta a soggetti non profit ritenuti meritori, attraverso una forma di contribuzione «più etica» e tagliando dal basso la spesa sociale inefficiente (ne è esempio la legge cosiddetta «+ Dai –Versi» approvata nella scorsa legislatura grazie al lavoro dell’Intergruppo e l’introduzione del 5 per mille nella Finanziaria 2006). La sussidiarietà fiscale è anche la leva che permetterà di incentivare e far crescere l’economia reale, che creerà una finanza trasparente al servizio della produzione, dell’impresa e del lavoro e non della rendita di posizione. È attraverso la sussidiarietà fiscale che si potrà sostenere in modo concreto chi investe nello sviluppo.

?  Liberalizzare bene, liberalizzare tutto: la strada per combattere il «partito della rendita».

I prossimi decenni saranno determinati dalla capacità di innovare. Chi sarà in grado di farlo sarà competitivo, chi non lo farà non troverà rimedio neanche delocalizzando, tentando di contenere i costi o cercando di allargare la propria rete commerciale. Occorre un nuovo modo di intendere non solo l’innovazione, ma tutto il sistema imprenditoriale: non uno statalismo statico ed inefficiente, né un liberismo astratto che, riproponendo schemi ottocenteschi, dimentica l’uomo quale primo fattore di sviluppo, ma politiche che favoriscano per le PMI la possibilità di creare sinergie, di fare sistema, di «con-correre, per competere». Occorrono politiche in grado di favorire lo sviluppo di un circolo virtuoso tra imprese, sistema della ricerca, sistema finanziario e politiche di sostegno. Questa è la strada per la competitività. Una strada che chiede in primo luogo di:

. Combattere il «partito della rendita» a tutti i livelli e in tutte le forme: lo statalismo inefficiente, l’appropriazione delle risorse pubbliche, la limitazione della concorrenza, il privilegio, il parassitismo. Difendere lo status quo non è lavorare per il bene comune.

. Riequilibrare il sistema verso un’economia reale che metta una finanza trasparente al servizio della produzione, dell’impresa e del lavoro.

. Incoraggiare chi intraprende con quadri normativi appropriati e con meccanismi (detrazioni e deduzioni, crediti di imposta, finanziamenti connessi ai risultati) che valorizzino il merito e stimolino il protagonismo, la partecipazione, l’assunzione di responsabilità, la cooperazione, la mutualità e le libere scelte nei percorsi di vita, lavoro e impresa.

In questo quadro il sistema dei distretti è tuttora irrinunciabile per l’Italia perché è un sistema misto tra economico e sociale che ha permesso lo sviluppo storico del Paese e che ha saputo finora – sia pure in modo problematico ma che proprio per questo avrebbe meritato più attenzione da parte della classe politica – essere fonte di risposta continua alle istanze della globalizzazione, compresa quella che si manifesta sotto forma di innovazione incrementale. Il distretto «vecchia maniera», però, non regge più. Bisogna allora pensare a modifiche all’interno del sistema distretto che lo rendano più dinamico e che accrescano la sua capacità di innovazione e di integrazione».

Maurizio Lupi, Lorenzo Cesa, Nicola Rossi, Gabriele Albonetti, Alfredo Mantovano, Maurizio Sacconi, Gianni Alemanno, Nicodemo Oliverio, Stefano Saglia, Angelino Alfano, Antonio Polito, Ugo Sposetti, Luigi Bobba, Andrea Ranieri, Tiziano Treu, Giampiero Cantoni, Umberto Ranieri, Luca Volontà, Luigi Casero, Ermete Realacci

Segreteria Organizzativa Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà – Camera dei Deputati Palazzo Marini Via Poli, 13 00187 Roma – Tel. 06 67608812 Fax 06 67605043 – e-mail: sussidiarieta@camera.it

Soldi ai separati. Il danno degli aiuti provinciali

Quello che segue è il testo integrale del comunicato stampa appena diffuso (oggi, alle 17.00) dalla Giunta provinciale. Subito dopo, il mio commento. «Crescono le separazioni, e crescono di pari passo i problemi legati al mantenimento dei figli nati nel corso delle unioni.

Le statistiche realizzate in alcune regioni italiane dicono che una percentuale anche del 35-40% dei genitori che hanno l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento del minore all’altro genitore (quello affidatario) non lo fa.

Quasi sempre è l’uomo a non ottemperare a questo obbligo, vuoi per difficoltà oggettive, vuoi per altre ragioni. Il peso economico del mantenimento del minore viene quindi a gravare interamente sulla donna, soggetto già di per sé più debole sul mercato del lavoro.

Per ovviare a questo problema la Giunta provinciale ha dato oggi il via libera ad un disegno di legge presentato dall’assessore alle pari opportunità Iva Berasi e dall’assessore alle politiche sociali Marta Dalmaso.

La proposta disciplina l’erogazione anticipata , al genitore, o ad altro soggetto affidatario, dell’assegno di mantenimento del minore, qualora esso non sia corrisposto dal genitore obbligato nei termini e alle condizioni stabilite dall’autorità giudiziaria.

L’impegno previsto è di 250.000 euro all’anno circa. Il minore deve risiedere nella provincia di Trento e la condizione economico-patrimoniale del nucleo familiare a cui appartiene (assieme dunque al genitore affidatario) non può superare i parametri fissati dalla Provincia. Non può inoltre richiedere l’assegno il genitore affidatario che continui a convivere con l’altro genitore obbligato al mantenimento.

Le famiglie monogenitoriali in Trentino erano nel 2003 il 14,9% del totale dei nuclei familiari. Nell’85% dei casi sono costituite da donne sole con figli. Il trend, com’è noto, è in crescita».

COMMENTO

Le cifre sono davvero impressionanti. Del resto chiunque abbia figli a scuola sa quanto numerose siano oggi anche in Trentino le famiglie spaccate da divorzi e separazioni. E sa anche sa quale dramma umano e di rapporti interpersonali si nasconda dietro queste esperienze laceranti.

Lo dico perché separazioni e divorzi sono presentati dai mass media e da molti politici come una prassi normale  e sostanzialmente indolore, le cui possibili conseguenze negative si possono neutralizzare e superare.

Al contrario, per chi le vive queste ferite sono talmente profonde che difficilmente si rimarginano.

Ma quel che è peggio è che soprattutto nei figli, nei bambini e nei ragazzi che dei matrimoni falliti, specie se malamente, sono le vittime principali, si insinua l’idea che da grandi non si uniranno mai stabilmente con qualcuno dell’altro sesso. Non tanto perché lo teorizzino, ma perché questa tragedia è entrata a far parte della loro identità individuale, ed erode come un tarlo interiore anche solo il pensiero di sposarsi, o che nella loro vita, in caso di matrimonio, sarà possibile rimanere insieme più di tanto.

Credo che provvedimenti come quello proposto dalle “assessore” della Giunta provinciale per sopperire alla cialtroneria di certi separati, siano molto più dannosi che utili. Dannosi perché per risolvere alcuni problemi ne creano altri, forse meno visibili ma sicuramente più gravi.

Non so infatti quanto positivo sia per le vittime (donne) ma soprattutto per i colpevoli (gli ex mariti), sentirsi rassicurati dal fatto che "mamma Provincia" rimedierà al mancato pagamento degli alimenti.

Chi garantisce che l’intervento pubblico, giustificato dall’esigenza di aiutare la parte debole (donne e bambini), non abbia anche il sapore di un alibi, se non addirittura di un incentivo per il coniuge inadempiente?

E chi ci dice, soprattutto, che per lenire gli effetti di separazioni e divorzi non si incoraggi un fenomeno come questo, giù fin troppo diffuso e devastante? Non si favorisca, cioè, la progressiva dissoluzione del cuore stesso dell’umana convivenza, da cui dipende l’equilibrio affettivo di ciascuno e al tempo stesso il futuro della società, vale a dire della famiglia fondata sul matrimonio, civile o religioso che sia? Ultimo interrogativo: perché il governo provinciale non investe invece questi 250.000 euro per sostenere le associazioni che operano a favore dell’unità delle famiglie e per salvare i matrimoni in crisi?

Gian Burrasca

La laicità del papa e il laicismo di Rusconi

una riflessione in margine all’intervento che Benedetto XVI ha proposto giovedì a Verona, credo contribuisca a spiegare perché il pensiero del papa sia politicamente “laico” e quanto sia invece “laicista” l’approccio offerto su l’Adige alla questione del rapporto fra Stato e Chiesa dal professor Gian Enrico Rusconi, ordinario di scienze politiche all’Università di Torino.

 

 

In sostanza il papa ha detto che alla Chiesa e ai cattolici in Italia, diversamente da quanto sostiene Rusconi, non interessa difendere o affermare non solo culturalmente ma anche politicamente e attraverso le leggi dello Stato “verità” legate alla fede inadatte da imporre con delle norme perché difficilmente condivisibili da non credenti o da diversamente credenti. 

Alla Chiesa e ai cattolici preme piuttosto che le scelte politiche e legislative non contraddicano, come ha sottolineato il papa a Verona, «fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano». Valori e principi come la ragione, la scienza, l’educazione, la carità (o se si preferisce la solidarietà), la vita in tutte le sue fasi (dal concepimento alla morte naturale), la famiglia fondata sul matrimonio, che appartengono non alla comunità dei fedeli o ai credenti, ma agli uomini in quanto tali, e sono quindi patrimonio di tutti.

Senza di essi, cioè, la società non rispetterebbe le esigenze strutturali di bene, di giustizia, di compimento della persona – di ogni persona – e non potrebbe conseguentemente essere veramente “umana”. Mettere in discussione o negare questo patrimonio di “beni comuni”, ha ricordato in sostanza il papa a Verona, equivale a destabilizzare la società a partire da quella condizione primaria della convivenza che è la famiglia, e prima ancora la tutela della vita.

 

La Chiesa che difende e ribadisce pubblicamente questi valori in larga misura coincidenti con quelli racchiusi nella Costituzione italiana, evidenzia dunque una posizione profondamente “laica”, cioè rispettosa del bene comune e desiderosa di contribuire ad esso, e non confessionale o clericale.

Tant’è vero che è proprio su questo terreno che il pensiero del papa, della Chiesa e di una parte importante del mondo cattolico in Italia si ritrova oggi in sintonia con le preoccupazioni di alcuni intellettuali laici non credenti o non praticanti come Ferrara, Pera, Oriana Fallaci e altri. Il professor Rusconi, invece, pretendendo che i cattolici non si pronuncino a questo livello, non considerino cioè politicamente irrinunciabili (“non negoziabili”) questi valori, esprime un approccio non laico ma “laicista” alla questione dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato.

Laicista – ecco il punto – nel senso che nega la possibilità di quell’amicizia tra la fede cristiana e la ragione, tra la fede e l’intelligenza umana, e quindi anche tra la fede e la giustizia e la comunità politica, affermata da Benedetto XVI.

 

Antonio Girardi

 

 

 

Perché oggi la democrazia è malata di autoritarismo

E’ interessante, perché induce a riflettere anche sulla situazione dell’Italia e delle stesse istituzioni del Trentino, l’allarme per l’indebolimento della democrazia lanciato dal politologo Ralph Dahrendorf (nella foto), fra i massimi studiosi della materia. A suo avviso i cittadini contano sempre meno nelle decisioni più importanti, prese da centri di potere prevalentemente esterni ed estranei ai parlamenti eletti dal popolo. Quella in cui viviamo è insomma una democrazia malata.

«Benché l’affluenza alle urne sia ancora alta in Europa rispetto agli Stati Uniti, nondimeno gli osservatori riscontrano una diffusa apatia, se non un vero e proprio cinismo, nei riguardi della politica.

La gente – scrive Dahrendorf – non è interessata e, pur non avendo alcuna fiducia in chi è al potere, non si preoccupa di reagire.

E’ così che emerge la sindrome autoritaria. Diversamente dal totalitarismo, l’autoritarismo non è fondato sulla mobilitazione permanente di tutti i soggetti, ma sul loro disinteresse.…..

Rafforzare il parlamento è diventato un compito arduo. Democrazia vuol dire tre cose: realizzare i cambiamenti senza l’uso della violenza; rispettare equilibri e controlli nell’esercizio del potere; dare peso all’opinione pubblica.

La democrazia parlamentare o rappresentativa coniuga questi elementi mediante l’elezione di rappresentanti che nel parlamento, e grazie a esso, possono cambiare gli indirizzi politici e, se necessario, i governi, come pure monitorare e controllare l’esercizio del potere. Tali istituzioni si sono sviluppate storicamente durante la formazione degli stati nazionali”.

Senonché, per il politologo, oggi “lo spazio tradizionale delle istituzioni democratiche, almeno dal un punto di vista europeo, sta perdendo rapidamente terreno rispetto alle decisioni importanti: è la Banca Centrale Europea a decidere i tassi di interesse; è la Nato a pianificare gli attacchi aerei; è il Fondo monetario internazionale a decidere chi debba o meno ricevere ulteriore aiuto da parte della comunità internazionale. In questi casi, almeno, ci si confronta con delle istituzioni.

Ma ci sono decisioni altrettanto importanti che vengono prese da organismi meno definiti. Come quando, ad esempio, una società giapponese decide di investire in Gallese piuttosto che in Normandia, o quando uno speculatore americano coglie l’occasione più propizia per mandare in tilt il Sistema Monetario Europeo e, così facendo, incassa miliardi di dollari. A volte sembra che a dettare legge siano “mercati” interamente anonimi.

E’ importante ricordare, all’inizio del XXI secolo, che lo Stato nazionale è ancora lo spazio politico più importante. Può aver perduto parte della sua forza, ma resta comunque la comunità inclusiva più importante per la maggior parte della gente. Per chi è da poco sfuggito alla dominazione imperialistica, come gli stati ex comunisti dell’Europa centrale e orientale, lo Stato nazionale non incarna solo la sovranità, ma anche la libertà.

Bisogna poi stare attenti alla falsa democrazia – conclude il politologo – i cui rappresentati non danno ascolto alla voce della gente». Perché vi sia vera democrazia, insomma, non bastano le regole della democrazia. Occorrono anche e soprattutto uomini «democratici: persone coscienti dei propri diritti, che prendono sul serio la responsabilità di difenderli attivamente”.

Gian Burrasca

Viaggi e miraggi dei nostri politici

Leggendo qua e la ho trovato questo articolo del Saltaro delle Giudicarie, uno spasso, ve lo assicuro……

"Ritorno alle mie solite cose anche perché quando esco dalle solite minuzie, a qualcuno viene l’orticaria e mi riempie di contumelie e minacce, ma io che resisto impavido da secoli, seguo il detto cinese mai sconfessato da alcuno: "Quando infuria la bufera fai come la canna dello stagno, abbassati che appena passa ti potrai rialzare più gagliarda che mai…" Forse approfitto della bontà dei miei editori e me ne scuso, ma come faccio a limitare questa mia linguaccia che mi mette sempre nei guai ? "Tagliala !" qualcuno mi ha suggerito. Eh no, già sono mezzo cieco, ed anche un po’ sordo, dovessi diventare anche muto mi schiererei per l’eutanasia e me ne andrei all’altro mondo, prometto comunque che cercherò di limitare le mie insolenze che debbono sempre però essere prese per quel che sono, semplici ironie, qualche sarcasmo, nulla di più e senza cattiveria, un po’ per ridere delle cose di questo mondo, un po’ per contribuire, sorridendo, a miglioralo. E mi rituffo nella politica spicciola di casa nostra. Occuparmi dei viaggi altrui non mi è mai piaciuto anche perché sono portato alla facile ortica, più per invidia che per altro, però non posso non accennare alla strana voglia dei nostri politici di girare il mondo magari anche (o solo?) a spese nostre. Fece scalpore, appena eletto, il viaggio dell’on. Bezzi in Cina, con un seguito quasi pari a quello che ha accompagnato Prodi in Asia in questi giorni, ancora a Canton e nelle altre città cinesi si respira l’ansia di quell’evento, un Bezzi in Cina non è cosa da poco, su due miliardi di cinesi di certo un miliardo si ricorda ancora della venuta messianica del nostro conterraneo, tanto da rendere quasi superflua la stessa visita di Prodi da quelle parti, dove passa Bezzi non cresce più neanche un filo d’erba …è quello che dicono in Val di Sole, ma a Trento, fra gli addetti ai lavori, ancora ci si chiede cosa sia andato a fare il nostro in Cina… ai posteri la soluzione del mistero! La Iva Berasi sembra abbia trasferito la sua dimora su di un aereo, quando la si cerca lei è in viaggio, sembra anzi che si sia fatto costruire uno speciale aereo a pale eoliche con pannelli fotovoltaici incorporati per evitare l’inquinamento, non si sa ancora quali benefici i suoi viaggi portino al Trentino, cominciano a delinearsi invece i danni, vuoi vedere che la spesa è più della presa? come si diceva una volta, ma una volta quando una cosa non portava profitto la si smetteva in fretta. chi ha orecchie per intendere intenda! La Margherita Cogo è anch’essa reduce dalla Cina dove sembra ormai di casa, dato che è la seconda volta che ci va a spese nostre; il primo viaggio lo criticai dal mio trono, se ve lo ricordate, non mi convincevano le motivazioni, un viaggio in Cina non lo si fa per andare a spasso, ci vogliono motivi seri ed importanti, allora non c’erano, o nessuno li ha ancora capiti.. .più chiaro l’argomento di quest’ ultimo raid cinese. La Margherita nostra c’ è andata con motivazioni serie e condivisibili, e per condividerle con voi ho saputo che ha portato in Cina il nostro museo itinerante allestito dal MART, comprese alcune opere di autori trentini e che ha avuto molto successo: Oddio, non è che con l’esposizione del MART in Cina, cambino di molto le nostre difficoltà commerciali con quel paese, i negozianti cinesi continueranno a fare concorrenza a somministrarci carne di cane nei loro ristoranti, e le importazioni cinesi continueranno a fare concorrenza ai nostri prodotti, contribuendo ad aumentare la categoria dei disoccupati in Italia, però qualcosa, seppur in piccolo, s’è fatto e per me anche di molto significato. Brava, senza enfasi però, che non ho ancora finito; mira fatto invece arrabbiare la nostra Vicepresidente per le sciocchezze da lei dette in occasione della vittoria di una nostra conterranea al titolo di Miss Italia, anche se poi il giorno dopo s’è pentita (strano!) portando un mazzo di fiori alla famiglia della Miss. Se mi ha fatto piacere il ravvedimento, mi preoccupa invece lo stato confusionale che da tempo caratterizza i comportamenti della Margherita Cogo. In Giunta vota le leggi e poi le contesta in Consiglio, sulla questione della Rendeva è per l’ambito giudicariese quando parla a Tione (ci mancherebbe!), mentre è a favore della Rendeva quando parla a Spiazzo, sparla di cori e bande e poi smentisce (e nessuno le crede!), ed infine l’uscita infelice sulla Miss perginese e sui concorsi di tal genere, con il pentimento del giorno dopo. Ormai è palesemente inaffidabile, e tutto sommato non interesserebbe niente a nessuno se non fosse la Vice Presidente della Giunta, allora sono in gioco anche i nostri interessi, gli interessi della comunità, quali garanzie di saper governare con sobrietà ed equilibrio? Probabilmente i frequenti viaggi hanno contribuito a rendere sfasata (politicamente s’intende!) la signora (talvolta capita!), e per fortuna che da un po’ di tempo non tira in ballo le quote rosa, forse se n’è dimenticata….comunque il mio amico Abele che sarà sordo e un po’anche strabico, ma che non è per niente stupido, m’ha citato due illustri esponenti della cultura e della politica che sulle due questioni, quella riguardante la nostra Miss Italia e l’altra, ormai stantia, delle quote rosa, hanno risposto a dovere alla nostra conterranea Margherita. Dice il professor Silvio Goglio in proposito: " Leggo che l’assessore Cogo afferma che i concorsi per miss Italia sono una tristezza. Probabilmente ha ragione, ma neanche certi concorsi per divenire deputati alla camera sono sempre molto allegri. Almeno per miss Italia le primarie si fanno seriamente." Bravo per bacco, una volta tanto che un professore universitario dice qualcosa di saggio! Ancora più lapidaria e tagliente la risposta data da Manuela Palmeti, senatrice di Rifondazione Comunista, alla domanda: Cosa ne pensa delle quote rosa?" ha così risposto: "Le quote rosa sono una gran balla! Servono solo a mantenere il potere delle donne che lo hanno già." Che si riferisse alla Cogo…? Alla prossima che se no mi vien da piangere. "

Caro sindaco Pacher, e il boulevard?

Solo una domanda all’amministrazione comunale di Trento e al sindaco Pacher in particolare: che ne è del progetto di interramento della ferrovia del Brennero nel tratto di attraversamento della città, finalizzato a permettere, in superficie, la realizzazione del grande boulevard, vialone alberato in perfetto stile euro-metropolitano, grazie al quale il capoluogo della  provincia, finalmente libero dall’infrastruttura su rotaia, verrebbe “ricucito” con il suo storico quartiere di Piedicastello? 

Di questo grandioso ridisegno urbano, al quale ogni altro sarebbe subordinato e collegato, per produrre e presentare il quale era stato ingaggiato e lautamente ricompensato un architetto catalano di chiara fama come Bousquet, il primo cittadino di Trento, la sua giunta e maggioranza politica avevano fatto la loro bandiera e il loro manifesto sia in campagna elettorale sia dopo.

Ora, a distanza ormai di qualche anno dagli entusiastici annunci iniziali, non se ne sente più parlare né dentro né fuori Palazzo Thun.

Non si sa perché. Forse mancano le risorse. O forse qualcuno, nella giunta comunale, si è reso conto che in realtà di una simile opera la città di Trento non ha bisogno. E che le priorità vere sono altre. O forse ancora è stato tutto rinviato al 2045 (tanto per dire una data).

Ma quale che sia la ragione del black out della comunicazione municipale intorno a questo argomento per il quale avevamo visto scorrere fiumi di soldi, di programmi politici, di ipotesi di fattibilità tecnica, di parole altisonanti, i cittadini hanno oggi il sacrosanto diritto di sapere se si è trattato di un colossale (e geniale) scherzo, oppure dovremmo ancora crederci.

Ma in questo secondo caso, per convincere qualcuno, il sindaco e la sua amministrazione dovrebbero essere un tantino più precisi ed indicare cifre e tempi. Oppure ammettere onestamente di aver preso un abbaglio e che non se ne farà più niente.

Poi saranno gli elettori a giudicare, quando si tratterà di votare alle prossime comunali.

Gian Burrasca

Vallagarina sì, Valsugana no

L’assessore alle opere pubbliche Silvano Grisenti ha presentato ai Sindaci della Vallagarina il progetto di interramento dell’autostrada nel tratto compreso fra Volano e Mori stazione, che permetterebbe di ridurre la pressione del traffico in superficie nei pressi dei centri abitati. Grisenti ha inoltre assicurato che le risorse ci sono e, con il consenso dei Comuni interessati – i quali avranno tempo un anno per dare l’ok definitivo – la realizzazione dell’opera potrebbe iniziare già nel 2008.

Benissimo. Sarebbe però importante ottenere dall’assessore e dalla Giunta provinciale una risposta a questa domanda: perché la popolazione della Vallagarina avrebbe improvvisamente diritto all’A22 in galleria, mentre quella della Valsugana dovrebbe scordarsi il completamento dell’A31 (Valdastico) invocato e atteso da decenni per liberare la statale e i paesi dal traffico, dai problemi di sicurezza e dall’inquinamento già oggi oggettivamente insopportabili?

In ogni caso i primi cittadini di Rovereto e Vallagarina dovrebbero ascoltare un consiglio: prima di rallegrarsi si preoccupino di accertare se il progetto è condiviso anche dalle componenti diessine (soprattutto Pinter e Cogo) e verdi (Berasi e Bombarda) rappresentate nel governo provinciale. Perché se così non fosse, visti i trascorsi meglio sarebbe per loro chiudere subito il sogno nel cassetto.

Gian Burrasca

Miss Italia, Cogo, la Berasi e le pari opportunità

Dopo aver tempestivamente sparlato di Miss Italia proprio all’indomani dell’incoronazione di Claudia Andreatti, prima trentina a vincere il più nazionalpopolare dei concorsi televisivi (dopo Sanremo), l’assessore alla cultura nonché vicepresidente della Giunta provinciale Margherita Cogo, si è recata a Pergine per omaggiare la mamma della reginetta con un bel mazzo di fiori e chiarire il suo pensiero.

Un comunicato stampa ufficiale della Giunta provinciale ha infatti riferito che l’assessora si è complimentata per la bellezza e l’intelligenza di Claudia, mentre ha ribadito il suo disprezzo per il concorso di Miss Italia.

Motivo? L’annuale manifestazione di Salsomaggiore dimostrerebbe quanto l’obiettivo della parità uomo-donna sia ancora lontano dall’essere raggiunto nel nostro Paese. Il nesso è evidente a tutti. O no?

Di certo il presidente della Provincia Dellai sarà stato preavvisato dell’iniziativa della sua vice e ne avrà apprezzato la rilevanza per l’immagine e le politiche di sviluppo del Trentino.

Non si sa, invece, se anche l’assessora competente in materia di pari opportunità Iva Berasi abbia condiviso l’esternazione della collega di Giunta. O non abbia magari sollevato problemi sia di parità che di opportunità.

Gian Burrasca

Sanità: è tempo di bilanci

E’ormai tempo di bilancio anche per il sistema sanitario trentino che manifesta una crisi palese e di tipo strutturale.
A nulla servono i maldestri tentativi di difesa, vuoi del Direttore Generale, vuoi dell’assessore competente, per nascondere una situazione che se non risolta immediatamente prefigura elementi di difficoltà innegabile. E alcuni prese di posizione degli ultimi tempi lo testimoniano. Il presidente dell’Ordine dei medici della Provincia afferma che nel servizio sanitario provinciale “è palpabile la presenza di un clima difficile”. Ed anche il primario Eccher ha denunciato la difficile situazione dell’ospedale principale della provincia, il Santa Chiara di Trento, oggetto di una ristrutturazione costosa ed inutile con gravi carenze di organico che minano la capacità operativa dei reparti e con una qualità della degenza che è rimasta ferma a vent’anni fa. E poi la Borgonovo Re che censura la lettera di richiamo del direttore dell’Azienda alla dott.ssa Giannelli.
Tutto questo con un costo pro capite della sanità a carico del bilancio provinciale che è superiore alla media delle altre regioni italiane. A questo livello ricordo l’affermazione dell’allora Ministro della Sanità Rosi Bindi che in un convegno a Trento di qualche anno fa disse che sicuramente la qualità del sistema sanitario provinciale era discreta, ma per le risorse pubbliche investite sarebbe dovuto essere ottimo.
Ma andiamo con ordine.
Penso di interpretare lo stato d’animo della maggioranza dei nostri cittadini, sentimenti misti a sconcerto, delusione e talvolta anche di rabbia, quando recentemente è stata data notizia che a fronte dell’ennesima incapacità dimostrata dal nostro sistema sanitario di rendere più accettabili i tempi di attesa per effettuare visite specialistiche, il Direttore Generale è stato penalizzato con una riduzione del suo premio annuale. Poche centinaia in euro in meno, peraltro non sullo stipendio (che ricordo è sempre il più alto non solo tra i manager pubblici della nostra provincia), bensì su una voce aggiuntiva, appunto un premio.
E proprio tempi di attesa e mobilità passiva, ovvero la necessità per i nostri cittadini di doversi recare fuori regione per trovare una risposta di cura ai loro bisogni, rappresentano, a mio avviso, due elementi che risultano inaccettabili per la nostra comunità che destina al sistema sanitario una quantità di risorse economiche tra le maggiori nel contesto regionale nazionale.
Ricordo che l’abbattimento dei tempi di attesa per l’effettuazione di prestazioni specialistiche è un obiettivo che l’Assessorato da ben 6 anni assegna all’Azienda sanitaria. E cosa è stato fatto in tutto questo tempo. Ricordo ancora che diverse volte abbiamo assistito a proclami celebrativi dell’Azienda e dell’assessorato, che esultavano dicendo che avevano finalmente trovato la chiave di volta per abbattere questi tempi di attesa; si sono celebrati persino dei convegni in proposito. Ma allora mi chiedo. Ci ha impiegato tutti questi anni il sig Assessore per accorgersi che era tutta una bufala e che il problema giace irrisolto come e più di prima?
Debbo riconoscere che su tale aspetto alcune componenti sindacali, e solo recentemente, lo stesso ordine dei medici, hanno vigilato con attenzione e più volte hanno richiamato l’opinione pubblica che le cose in sanità non sono poi tutte rose e fiori.
Mobilità passiva. E’ questo forse l’aspetto più rilevante. Basti pensare che oltre al disagio per i trentini di doversi recare fuori provincia, tale situazione costa al bilancio provinciale circa 85 milioni di Euro all’anno e che solo a titolo di esempio all’ospedale di Negrar in pochi anni gli interventi ed esami per residenti in Provincia di Trento sono passati da 700 a 5000 all’anno. La mobilità passiva è la somma di ben tre negatività. L’incapacità di un sistema sanitario di offrire tempestive risposte ai bisogni di cura, la conseguente necessità che il paziente trovi queste risposte al di fuori del proprio contesto provinciale di appartenenza, ed infine l’obbligo da parte della nostra Provincia di rimborsare ad altre regioni le spese sanitarie che queste hanno sostenuto per curare i nostri trentini.
E se tutto questo non bastasse ancora, vi possiamo aggiungere altri rilevanti elementi negativi. Se i trentini vanno fuori provincia per farsi curare, sempre meno sono i pazienti di altre regioni che vengono da noi per ricevere cure. Il nostro sistema ha perso di attrattività, si è impoverito sul piano della capacità di offerta professionale, sul piano della qualità. I trentini vanno fuori provincia non solo per ottenere prestazioni che qui non hanno, ma anche, cosa assai grave, per avere prestazioni che qui vengono erogate. E’ questo un sintomo di grande allarme. Significa che siamo di fronte ad un crollo di fiducia, di mancanza di stima generale.
E infatti in questi anni sono mancati interventi significativi volti a valorizzare le diverse componenti del sistema, a partire dai medici e infermieri professionali, non si è pensato di attivare un accordo sinergico con l’ordine dei medici finalizzato a realizzare investimenti seri sul piano della professionalità medica. La comunicazione istituzionale è stata gestita al ribasso e non ha inciso in maniera oggettiva su comportamenti e abitudini. Una comunicazione troppo autoreferenziale e spesso gestita in rimessa.
Enormi investimenti, con un costo sociale impressionante, invece sul piano dell’edilizia sanitaria per avere un ospedale a Trento in perenne ristrutturazione e un nuovo ospedale forse tra dodici anni, a fronte di una non chiara politica sugli ospedali periferici. Una sottolineatura forte al riguardo va fatta sul caso dell’Ospedale San Lorenzo di Borgo. Il punto nascite funzionante all’interno dell’Ospedale S. Lorenzo di Borgo Valsugana dal giorno 7 agosto 2006 ha cessato l’attività e ciò in ossequio alla deliberazione della Giunta Provinciale n.1496 del 21 luglio 2006 punto 3 del dispositivo.
E’ stato detto che non c’erano i numeri per tenere in vita il punto nascite, è stato anche detto che non erano presenti le figure professionali previste dalla normativa vigente per garantire la massima sicurezza alle partorienti ed ai neonati ed è stato soprattutto detto che questo stato di cose non poteva essere cambiato.
Sono ragionamenti che danno da pensare su come chi ci governa intende assicurare alla popolazione i servizi di cui essa ha bisogno; perché è certo, malgrado quello che stabilisce la Giunta Provinciale, che in Valsugana, e non solo, si continuerà a concepire e a nascere e quindi un punto nascite ben organizzato dovrebbe esistere per soddisfare i bisogni connessi al concepimento ed alla nascita.
Facendo qualche conto si vede che la popolazione della Valsugana, Alta e Bassa, è di circa 85000 (ottantacinquemila) abitanti, considerando che la natalità è di circa l’uno e mezzo per cento della popolazione, tra Alta e Bassa si dovrebbero raggiungere sicuramente, se ci fosse un punto nascite organizzato e ben strutturato 500 nascite all’anno.
E invece cosa è successo? Agli atti non vi è neppure un tentativo non solo di costituire un punto nascite, ma neppure di potenziare ed adeguare quello esistente; si dice per mancanza di figure professionali adeguate, ma quali azioni sono state intraprese per reperire queste figure? Che tipo di programmazione a medio termine è stata fatta per rendere appetibile il punto nascite di Borgo Valsug
ana per i professionisti del settore?
Sembra proprio che il reale disegno di questa Giunta Provinciale sia la riduzione degli Ospedali periferici a poliambulatori. E’ stato in tempi non lontani fatto con l’ospedale di Levico Terme potrà benissimo accadere anche ad altri.
Ho citato il caso di Borgo Valsugana perché lo ritengo esemplare della considerazione che questa Giunta e questa Azienda sanitaria hanno nei confronti del ruolo degli ospedali periferici, ciò a dispetto dei tanti proclami di valorizzazione della famosa periferia.
A fronte di questa situazione credo che divenga irrinunciabile imporre al nostro sistema sanitario una inversione di rotta drastica e immediata. Un’inversione di rotta che parta dalla valorizzazione piena delle componenti professionali in gioco, attraverso un loro coinvolgimento responsabile, un’inversione che sappia riconsegnare gradualmente fiducia al sistema nel suo complesso anche attraverso una riorganizzazione profonda e coraggiosa dei servizi offerti. In merito evidenzio solo un’altra partita persa: la definizione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) che poteva rappresentare un’occasione per avviare un confronto eccezionale con i nostri cittadini per la definizione dell’appropriatezza dell’assistenza specialistica e di quella ospedaliera. Anche in questo caso è mancata programmazione politica, capacità manageriale e comunicazione alla collettività che poteva almeno essere condotta con il coinvolgimento delle associazioni rappresentative dei cittadini.