Chi ha ucciso Gheddafi?

I dittatori, che lo siano veramente o meno qui poco importa, sono comodissimi da vivi, meno comodi da morti.

E’ successo con Mussolini: lo hanno ammazzato, molto probabilmente con la complicità dei servizi segreti inglesi, perchè c’erano un po’ di cosine da nascondere.

Anche con Saddam è stato meglio eliminarlo, che processarlo.

Con Gheddafi, idem: si sa che è più facile distruggere il nemico morto, che durante un processo. Perchè nel processo Gheddafi avrebbe potuto, per esempio, trascinare con sè molti altri. Magari alcuni suoi ex ministri, ora ribelli e ammanicati con Francia ed inghilterra.

Oggi sul Foglio, Pio Pompa, già servizi segreti italiani, lo dice chiaramente: l’uccisione di Gheddafi, secondo fonti fededegne, era già stata decisa dall’intelligence francese e da quella inglese. Armare la mano di un presunto esaltato, ci vuole poco. L’importante è che il lavoro sporco sia fatto in fretta. Chissà quando sapremo anche questa verità. Per ora accontentiamoci di avere la Sharia in Libia.

Se la primavera diventa inverno

 di Riccardo Cascioli

I fondamentalisti musulmani hanno sempre considerato come primi nemici da abbattere, non i paesi occidentali, ma i regimi filo-occidentali e laici dei paesi islamici. “Regimi corrotti e nemici dell’islam”, hanno sempre detto.

 E anche paesi sostanzialmente integralisti, come l’Arabia Saudita, sono entrati nel mirino di qaedisti e compagni per l’alleanza politico-strategica con gli Stati Uniti, che ha avuto il suo culmine con la concessione di basi per la guerra all’Iraq. E’ sempre bene tenere a mente questo particolare, soprattutto guardando alla piega che stanno prendendo gli eventi in questa regione. Sebbene a muovere le piazze e a dare il via alle manifestazioni siano state anche, e soprattutto, folle che si ribellavano a regimi corrotti e aspiravano alla libertà e alla democrazia, appare sempre più evidente che siano ora gli islamisti a prendere il controllo della situazione: i Fratelli Musulmani appaiono di gran lunga il partito più forte in Egitto, e le elezioni di novembre lo ratificheranno; al Cairo l’aria è già cambiata e a goderne maggiormente è nei territori palestinesi il partito di Hamas (che ricordiamolo è la branca locale dei Fratelli Musulmani); in Tunisia, a scrutinio non ancora terminato, il partito islamico è in netto vantaggio.

A questo si deve aggiungere, soprattutto in chiave internazionale, l’irrigidimento della Turchia e il grosso punto interrogativo sul futuro dell’Iraq. Da ultimo la Libia, dove la dichiarazione di domenica del presidente del Consiglio nazionale di transizione, Mahmoud Jibril, sul futuro della Libia basato sulla sharia (la legge islamica) ha dato la sgradevole sensazione che la guerra scellerata voluta da Francia e Gran Bretagna abbia avuto il risultato immediato di consegnare su un vassoio d’argento un altro paese all’islam militante. Tra i vecchi regimi arabi scricchiolano poi soprattutto quello di Assad in Siria, con una repressione che continua con prezzi di vite umane sempre più insostenibili, e quello yemenita. E anche il regime saudita non gode di ottima salute. Vale a dire che si sta pericolosamente realizzando il primo punto del programma islamista, oltretutto con il sostegno o con l’implicita approvazione dei governi occidentali che pure dieci anni fa si erano mossi proprio per scongiurare questo pericolo.

Ad essere più preoccupante è la noncuranza e l’irrazionale ottimismo con cui i governi europei e americano guardano all’evolversi della situazione, come le dichiarazioni del nostro ministro degli Esteri sulla situazione libica dimostrano. Si può legittimamente sperare che ci sia una evoluzione democratica, e cercare di agevolarla, ma tale speranza non può basarsi su illusioni o ignoranza dei fenomeni in corso. Come dimostra in modo esauriente l’analisi della nostra Valentina Colombo in questa pagina, sharia e libertà religiosa sono inconciliabili. Laddove c’è la sharia là c’è la persecuzione delle minoranze religiose, cristiani in testa. Quando un governo o un partito annuncia che la legge islamica sarà il fondamento dello stato, dovrebbe scattare subito l’allarme.

E’ inutile fare gli appelli o approvare mozioni e risoluzioni per condannare la persecuzione dei cristiani quando si è fatto di tutto per mandare le forze islamiste al governo. Quando è possibile, meglio pensarci prima. da labussolaquotidiana

Geninazzi sulla fine di Gheddafi

 

“C’è un’immagine che, più di tanti giudizi, è il commento più completo alla morte di Gheddafi. Quella di Hillary Clinton che, di fronte al volto sfigurato e sanguinante del rais, sorride soddisfatta ed esclama ‘Wow’”. A osservarlo è Luigi Geninazzi, editorialista e inviato del quotidiano Avvenire, il giorno dopo la cattura e uccisione del Colonnello libico. 

Geninazzi, quel “Wow” esprime anche il cinismo con cui i governi occidentali hanno condotto la guerra mascherandola di buone intenzioni?  

Ritengo indispensabile fare una distinzione. Quando il 20 marzo la guerra è iniziata, sono convinto che l’intervento fosse giustificato. Non solo dal punto di vista giuridico, perché è stata avallato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, ma anche perché Gheddafi aveva dichiarato “andremo a Bengasi e li uccideremo come dei ratti nelle fogne”. L’obiettivo con cui è iniziato l’intervento è stato quindi quello di proteggere i civili. La premessa era giusta, quello che poi è avvenuto come al solito è stato che, come diceva Von Clausewitz, “le guerre non finiscono mai come prevedeva chi le ha iniziate”. Il famoso principio della difesa dei civili è diventato quindi una coperta troppo corta per raggiungere ben altri obiettivi. C’erano degli interessi da difendere e lo stesso Sarkozy ha dovuto ammettere che c’era un “retropensiero”.

Qualcuno ha parlato anche di bombardamenti indiscriminati …

 Se non indiscriminati quantomeno sono stati interessati, e da ultimo si sono trasformati in una vera e propria caccia all’uomo. Giovedì ne abbiamo avuto la conferma più clamorosa: perché hanno colpito il convoglio su cui Gheddafi stava fuggendo? Chi lo componeva erano persone in fuga che volevano soltanto salvare le loro vite. Il fatto di colpire le jeep non era legato alla necessità di proteggere dei civili: non si trattava infatti di carri armati che si muovevano per attaccare Sirte, eppure quelle auto sono state inquadrate nei mirini degli aerei della Nato che hanno fatto fuoco. Ma qual era la necessità di sparare? Ovviamente, l’obiettivo inconfessabile era quello di eliminare il dittatore. I comandi della Nato dovrebbero quindi spiegare che cosa può giustificare quell’ultima operazione. E’ una logica perlomeno strana e chiunque è in grado di comprenderlo.

Come commenta l’uccisione a sangue freddo di Gheddafi?

E’ un epilogo disgustoso, su Avvenire di oggi (ieri, ndr) riferendomi all’ipotesi che sia stata un’esecuzione l’ho definito “L’ultimo sospetto”. Ormai abbiamo ben più di un sospetto, anzi una certezza morale se non giuridica che Gheddafi è stato ucciso a sangue freddo. Abbiamo visto un filmato in cui il Colonnello parla e si muove e uno, poco dopo, in cui è già cadavere. Qualcuno gli ha sparato un colpo alla tempia, e l’aspetto più interessante non è scoprire chi lo ha fatto, ma chi ha dato l’ordine. Sono certo che il comando veniva dall’alto, è difficile che in questo frangente un ribelle ventenne si sia presa la responsabilità di premere il grilletto di sua spontanea iniziativa. E questo è l’aspetto peggiore della vicenda, perché soprattutto le immagini mostrano la brutalità di quell’esecuzione. Mentre ritengo che la pietà umana nel momento della morte sia dovuta a tutti, anche a Gheddafi. Peccato però che l’eliminazione di Gheddafi facesse comodo un po’ a tutti.

Secondo lei, chi è stato davvero Muammar Gheddafi?

E’ stato senza dubbio un dittatore feroce e ci sono diversi fatti che lo dimostrano, non da ultimo la repressione di febbraio contro gli insorti di Bengasi. E inizialmente gli insorti non erano armati, ma manifestavano come a Tunisi e al Cairo scendendo nelle piazze e brandendo soltanto il telefonino, Facebook e Twitter. Per non contare poi tutti gli episodi di terrorismo, a partire dalla strage di Lockerbie del 1988. Dopo gli attentati del 2001 però Gheddafi intuisce che, se non cambiava strada, avrebbe fatto la fine del regime afghano o di Saddam Hussein. Diventa quindi un alleato dell’Occidente contro l’integralismo islamico, e in questo suo contrapporsi al fondamentalismo ha avuto una sua coerenza. Inoltre, bisogna rendergli l’onore delle armi: non è scappato ed è rimasto a Sirte fino all’ultimo. D’altra parte, come spesso accade ai dittatori, circondati da gente che non osa contraddirli, aveva un po’ perso il senso della realtà ed è stata questa la sua rovina. Ma c’è da dire che Gheddafi non è stato solo un dittatore sanguinario, anzi ha gestito il Paese in modo avveduto distribuendo i proventi del petrolio e creando così un ceto a lui fedele.

Dopo la caduta di Gheddafi, quali prospettive si aprono per Libia?

Dobbiamo partire da un fatto: è un Paese che non ha nessuna tradizione di democrazia. Questo vale per tanti Paesi arabi, ma l’Egitto quantomeno ha alle spalle la grande storia del Rinascimento arabo. La Libia invece è sempre stata una scatola di sabbia gestita da varie tribù, fino a quando cento anni fa incominciò l’impresa coloniale italiana. Il Consiglio Nazionale Transitorio (Cnt) non solo è posticcio, tanto che è composto da diversi membri dell’ex regime, ma ha anche tante anime al suo interno. Bisognerà vedere se prevale la saggezza oppure se dopo la caduta del grande avversario che univa tutti, incominceranno a farsi la guerra tra di loro.

Fino a che punto chi viene dopo Gheddafi sarà meglio di lui?

Soprattutto in Libia, c’è una grande confusione sotto il cielo. Ci sono tanti fattori davvero preoccupanti, soprattutto per il fatto di vedere i ribelli militare sotto bandiere diverse e con divise diverse, obbedendo a fazioni islamiche, tribali o ex jihadiste. Ma il fatto più importante è un altro. Ora che la fase dei raid aerei dell’alleanza anglofrancese è finalmente finita, la Libia va aiutata non solo per i nostri interessi legati al petrolio, ma anche per avere sull’altra sponda del Mediterraneo un vicino in grado di garantire stabilità.

 In molti ricordano l’amicizia tra Gheddafi e Berlusconi. Ma il premier italiano è stato l’unico a riverire il dittatore?

Quella di Gheddafi a Roma è stata l’ultima grande sceneggiata. Ma non è stato solo Berlusconi che, di fronte alle insolenze del Colonnello, non ha avuto il coraggio di dire basta. Non va dimenticato che Sarkozy, il principale fautore dell’alleanza anglofrancese, permise al rais di piantare le sue tende di fronte all’Eliseo. Tutti hanno qualcosa da rimproverarsi, e anche gli Stati Uniti dopo il 2001 hanno accettato di avere questo “cane rabbioso” come loro alleato per azzannare la bestia del terrorismo.

da: ilsussidiario.it

De bello ballico

Cesare ha già scritto il De bello gallico; occorrerebbe qualcuno che raccontasse il De bello ballico.

Il suo inizio data almeno dalla II guerra del Golfo. Non mi riferisco solo alle armi di distruzione di massa inesistenti, perché quello ormai è di dominio pubblico. Mi riferisco all’atteggiamento della sinistra italica. Allora al governo v’era il Berlusca, che decise di non intervenire se non con un piccolo contingente, col fine di tenere l’ordine interno (e di proteggere i nostri piccoli interessi). Non si sparò un colpo in azioni offensive. L’Italia si coprì di bandiere arcobaleno, e ricordo bene il mio duplice fastidio: per la guerra, che ritenevo ingiusta, e per quelle bandiere, che erano state rosse, con la falce e il martello sino a pochissimi anni prima.

La stampa di sinistra raccontò una bella favola e creò un comodo mostro: Bush Jr, unico responsabile della guerra. Vogliamo dircelo, finalmente, con un po’ di anni di ritardo? Quella guerra fu voluta, senza dubbio, da Bush, ma quasi nessuno, in Italia, ci raccontò chi c’era al suo fianco. O meglio: si parlò si dei terribili neocon, però si evitava quasi sempre di dire che provenivano tutti dal partito democratico. E si cercò in tutti in modo di tacere il fatto che a sostenere la guerra vi erano anche molti uomini celebri e influenti della sinistra liberal, come ad esempio Bill Keller, che proprio lasciando in questi giorni la direzione del New York Times, ha voluto ricordare il club degli interventisti di sinistra di cui lui faceva parte.

Comprendeva almeno: Christopher Hitchens, celeberrimo ateologo e sostenitore della religione come grande male del mondo, collaboratore, in Italia, del Corriere della sera; Paul Barman, intellettuale sessantottino, spesso sulle pagine, anch’egli, del I quotidiano italiano; George Packer, Thomas Friedman, Fareed Zakaria… Dunque: Bush, più tanta, tanta sinistra. Ma da noi non si poteva dire.

Adesso vedremo cosa succederà in Libia. Per intanto Napolitano e soci, hanno incalzato Berlusconi, che ha abbandonato vergognosamente il vecchio amico. Obama, il pacifista da Nobel, è stato, da dietro, l’abile regista, che ha sostenuto e spronato soprattutto Francia e Inghilterra. Ci hanno assicurato che non è per il petrolio; ci hanno assicurato, anche, che sarebbero andati solo per difendere i ribelli, non per attaccare, dal cielo, innumerevoli volte al giorno. Intanto, in Italia, la sinistra non ha tirato fuori nessuna bandiera arcobaleno. Silenzio totale.

Ma se la guerra dovesse andare male, se la temuta somalizzazione divenisse realtà, salterebbero fuori come i funghi, i sinistri, a urlare: ecco la guerra del centro destra. Falsi, come sempre; incapaci come sempre di qualsiasi posizione coraggiosa, invece, gli altri.

La guerra di Obama.

Chi ha voluto la guerra in Libia? Senza dubbio Francia e Inghilterra, lo sanno tutti. Anche perchè Liberation ha svelato che Sarkozy aveva condizionato il suo appoggio ai ribelli libici in cambio del 35% del petrolio libico.

Una vera guerra umanitaria, nello stile delle guerre "per la libertà" giacobino-napoleoniche, sponsorizzata dall’intramontabile buffone (si dice anche "intellettuale") che scrive anche sul Corriere, B. Henry Levy.  

Ma in verità questa guerra la ha voluta anche Obama. Solo che non si può dire, perchè Obama è di sinistra, e quindi buono, pacifista, gentile, onesto. Anche se continua ad utilizzare i droni in Afganistan ed ha sostenuto, appunto, buona parte del peso della guerra in Libia.

Come svela bene Cristian Rocca, uno dei giornalisti italiani più informati sugli usa, in forza al "Sole 24 ore":

In giro c’è ancora chi crede alla favola della guerra di Libia scatenata da Sarkozy, e subìta più che da Gheddafi da Barack Obama. Qui, e sul Sole cartaceo, avete letto che dopo un’esitazione iniziale la campagna di Libia è stata americana – ideologicamente, militarmente e strategicamente americana – ma opportunisticamente con faccia francese e braccia anche inglesi e italiane, più egida Onu e bandiera Nato. L’ho scritto e riscritto, nonostante gli insulti via email da destra e da sinistra (da destra perché Obama è un pappamolle e Bernard Henry Levy un cretino, da sinistra perché Obama è troppo buono per fare queste cose cattive).

Ora Daily Beast racconta "la guerra segreta di Obama" (segreta solo a leggere i giornali per allocchi) e spiega nel dettaglio quanto la campagna libica sia americana a tutto tondo.

Il sito di Tina Brown fa il conto del supporto navale, dei primi missili che hanno azzerato la contraerea libica, dei primi bombardamenti che hanno piegato il regime, del controllo dei cieli, del controllo delle comunicazioni, delle intercettazioni libiche, del ruolo del centro di comando a Napoli, della fornitura di missili e bombe agli alleati europei (che hanno dovuto modificare i loro bombardieri), del rifornimento in volo ai caccia europei, della presenza di agenti Cia a Tripoli.

Tutte cose americane, senza le quali Francia e Gran Bretagna (e Italia) al massimo avrebbero potuto organizzare un bel convegno di studi a Parigi.
Sarkozy e Cameron e l’Onu e la Nato e anche l’Italia bipartisan sono stati molto importanti per la campagna, ma soprattutto per consentire a Obama di lead from behind, al riparo dalle critiche interne americane (http://www.camilloblog.it/).

Che sia per questo che Napolitano, Bersani e  compagnia si sono schierati per la guerra e hanno dimenticato il loro pacifismo ad intermittenza? Obama, in fondo, è dei loro, e loro sanno essere obbedienti e servili…anche più della destra… 

Foglio e Manifesto, critici sulla Libia

Ci capisco poco, di quanto sta accadendo in Libia. Vedo solo una ipocrisia immensa, sia a sinistra, dove Napolitano ha fatto da traino all’ennesima "guerra umanitaria" (versione di sinistra dell’ "esportazione della democrazia": parole diverse, significato uguale), sia a "destra", dove Berlusconi, senza che la sinistra dica, stavolta, nulla, si erge ora a paladino degli insorti, dimenticando il vecchio amico, suo e di Prodi e D’Alema, e dell’Italia: Gheddafi. In mezzo a tanto schifo, mentre si rincorrono bombardamenti poco mirati, caccia ai conti libici esteri, corsa al gas ed al petrolio libico interno, viene da pensare che forse proprio il rais era meno peggio dei suoi vincitori, sepolcri imbiancati. Staremo a vedere….

Francesco

Conforta sapere, grazie ai compagni del Manifesto, che non siamo i soli ad avere eccepito sulla spedizione di Libia anche per come ce la raccontano i maestri cantori della liberazione dal tiranno di Tripoli. L’abbiamo definita “guerra stupida”, perché senza capi né code di comete a tracciare una prospettiva nel cielo delle strategie occidentali; ovvero “guerra profumata”, perché spruzzata di conformismo umanitarista anglo-francese per coprire il fondo limaccioso degli interessi elettorali e petroliferi coltivati dai volenterosi europei (quel profumo era talmente adulterato che non ha convinto nemmeno un principe delle guerre profumate come Barack Obama). Si può parlare anche di circo mediatico-militare, come ha scritto il Foglio settimane fa, e bensì di “favolosa guerra dei media” secondo la formula usata sul Manifesto di ieri da Alessandro Dal Lago, intellettuale di una sinistra troppo avveduta per bersi “una guerra televisiva che ha ben poco a che fare con quello che succede”. Tanto per rendere l’idea, è quel Dal Lago che ha dedicato alla banalità del robertosavianismo un pamphlet pressoché definitivo.

Ora l’intellò del Manifesto denuda il ruolo anti veritativo della narrazione libica proveniente da al Jazeera e da Sky, vale a dire gli arabi miliardari del Qatar infeudati con i servizi segreti di mezzo mondo e gli australo-britannici protettori di David Cameron. Si aggiungano le prefiche dell’Eliseo sempre in assetto di guerra umanitaria (Bernard-Henri Lévy e dintorni) e si otterrà il ritratto d’una confraternita di contrabbandieri. Di che cosa? Anzitutto di un’epica immaginaria alimentata dai fotogrammi sulle finte fosse comuni d’inizio rivolta (vecchi cimiteri nemmeno disordinati), dai proclami sulle sorti di Gheddafi (morto, ferito, circondato, fuggito, spacciato, da ultimo acquattato in una buca come Saddam prima dell’epilogo) e dei suoi figli, dal censimento delle città e dei quartieri nemici conquistati dai ribelli (e spesso invece nelle mani dei lealisti). Per non dire della reale qualità ideologica e militare delle tribù insorte in Cirenaica, tanto magnificate quanto dipendenti dalla Nato e dalle forze speciali europee per unità d’intenti e consistenza bellica, o dei loro capi fratricidi dal curriculum specchiatamente gheddafiano. E in effetti questa meccanica informativa è parsa subito limpidamente speculare alla disinformazione del regime di Tripoli. Ma allora dov’è il sovrappiù morale della comunicazione democratica?

Dal Lago rafforza la sua analisi volgendo lo sguardo ai leftist inglesi del Guardian: “Se i mezzi sono sbagliati, questo alla fine influisce sul risultato”. Poi rivolge un quesito retorico al mondo che gli è consanguineo, come cioè “tutto questo sia fatto passare, anche a sinistra, per una mera lotta di liberazione o un risultato della primavera araba si spiega solo, anche da noi, con la confusione che regna in un’Europa traballante e guidata da un paio di leader ossessionati dalla rielezione (Sarkozy) o che hanno le loro gatte da pelare (Cameron)”. E non è ancora chiaro come si potrà colmare, senza prima caderci dentro, il dislivello tra la guerra percepita e lo smarrimento per gli effetti del conflitto reale. (Il Foglio)

Contro Gheddafi per difendere cosa?

Dall’esilio di Gaeta dove è costretto a vivere perché a Roma c’è una repubblica anticristiana, Pio IX ricorda i meriti senza numero che la fede cattolica ha regalato all’Italia. Non ultimo fra i privilegi derivanti alla nostra nazione dall’adesione al Vangelo, il papa ricorda l’abbandono della cupidigia imperiale dell’antica Roma, trasformato in attenzione alla giustizia, alla carità, alla misericordia.

Leggiamo le parole del papa: la sapienza cristiana ha difeso gli “Italiani da quella luce passeggera di gloria, che i lor maggiori, soprastando essi nelle armi, avevano riposto nell’incessante tumulto delle guerre, nell’oppressione degli stranieri, e nell’assoggettare a durissimo servaggio quel maggior numero di uomini che per loro si potesse” (Nostis et nobiscum, 8 dicembre 1849).

Dall’unità d’Italia fino alla seconda guerra mondiale i governi italiani, allontanatisi dal Vangelo, sono tornati a vagheggiare l’impero mettendo in atto il tentativo di “assoggettare” quanti più “uomini si potesse”. Ultimamente il nostro presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha chiesto pubblicamente perdono ai libici per le sofferenze che abbiamo loro inflitto durante l’occupazione coloniale ( “Ho chiesto perdono alla Libia per ciò che gli italiani avevano fatto verso il popolo libico“) .

Da questa posizione di verità sono derivati a Berlusconi, e a noi italiani, molti vantaggi: contratti estremamente favorevoli, soldi, lavoro, petrolio e un prezioso argine all’immigrazione proveniente dal nord Africa. Fino a qui le cose sono abbastanza chiare.

Dall’inizio del 2011, però, tutto sembra farsi oscuro e cupo. Niente è più sicuro. Di chiaro, definito e comprensibile, non c’è quasi più nulla. Tutti i paesi arabi del nord Africa più quelli del medio oriente sono scossi da rivolte “democratiche”: i presidenti di Egitto e Tunisia sono cacciati, in Siria una repressione brutale ha (fino al momento in cui scrivo, a inizio giugno) mietuto migliaia di vittime senza incontrare una seria opposizione internazionale, mentre una rivolta scoppiata in Libia a Bengasi ha visto tutto l’Occidente schierato in battaglia.

Tante sono le cose che restano inspiegate: perché contro Gheddafi si è scatenato il finimondo, mentre contro Assad no? Che senso ha bombardare per difendere i civili? Perché si è voluto ascoltare il cosiddetto “grido di dolore” dei libici (così si è espresso Napolitano, ma parlava allo stesso modo anche Vittorio Emanuele II per giustificare la brutale invasione del Regno delle Due Sicilie) e, per farlo, pur avendolo negato, si è cercato ripetutamente di uccidere Gheddafi e i suoi familiari? Perché si è dato credito alla televisione araba Al Jazeera che ha parlato, mentendo spudoratamente, di diecimila morti e perché il vescovo di Tripoli è rimasto il solo a ricordare che le bombe umanitarie uccidono in modo poco umanitario?

Prima di provare a capire le ragioni di un Occidente schizofrenico, ricordiamo qualche fatto: Gheddafi ha sempre combattuto il radicalismo islamico, che ha in Bengasi la sua capitale libica; la rivolta è stata guidata dal ministro della giustizia di Gheddafi, un personaggio che, prima di far scattare la rivoluzione, ha preso accordi col governo francese. Possiamo dar credito alla favola che questa persona sia di una pasta migliore, più democratica, più civile, più leale, di quella di Gheddafi? L’unica cosa certa in un mare tanto oscuro è che la Libia, fin qui il paese più ricco e meglio organizzato dell’Africa settentrionale, si sta trasformando in un cumulo di rovine.

Per di più sulle nostre coste sbarcano migliaia di disperati e non possiamo escludere che la primavera araba si trasformi in un inverno di radicalismo islamico. Per ora l’Egitto liberato da Mubarak è in mano ad una giunta militare e i Fratelli Musulmani, tenuti alle porte da Mubarak, occupano uno spazio sempre maggiore. Tanto per intenderci i Fratelli Musulmani sono coloro che ritengono la sharia il miglior sistema di governo per tutti, musulmani e non. E Israele? La fine del regime di Mubarak, che garantiva il confine sud-occidentale, e l’inizio di imponenti manifestazioni nelle vicinanze del Golan, favorite da una Siria in grave difficoltà, non fanno presagire nulla di buono. Chi ha soffiato sul fuoco di una simile polveriera? E’ stato scritto che l’iniziativa francese serve a contrastare la capillare penetrazione cinese nel continente africano. E’ stato anche ipotizzato che L’Arabia Saudita stia cercando di esportare nel nord Africa l’islamismo wahabita, nel tentativo di creare un nuovo califfato. Ipotesi avveniristica per ipotesi avveniristica, ricordando le disavventure in cui è incorso Benedetto XVI all’epoca del suo viaggio in Camerum, ne avanzo una terza. Sull’aereo che lo portava in Africa, il papa si è permesso di fare un’osservazione banale: la diffusione dell’aids non si ferma con l’uso del preservativo.

Apriti cielo: le anime belle di tutta Europa (Italia esclusa) hanno gridato all’attentato contro i diritti umani. Come si permette il papa di mettere in dubbio l’efficacia del preservativo? Governi e parlamenti, singoli ministri, giornali ed intellettuali, hanno strillato all’unisono pretendendo dal pontefice la rettifica e le scuse. Come mai una reazione tanto scomposta? Una reazione, per di più, contraria all’evidenza scientifica, da tutti invocata come probante? E’ azzardato ipotizzare che il papa abbia toccato un nervo scoperto e si sia inoltrato in un terreno minato in cui non doveva assolutamente mettere piede? Da decenni il mondo che conta, le istituzioni internazionali, la finanza, gli uomini di governo illuminati, combattono un’aperta battaglia contro la vita: la popolazione mondiale cresce troppo. Cresce in modo allarmante. Bisogna fermarla, pena la catastrofe. Tutti i continenti si sono uniformati a queste convinzioni.

Tutti, meno l’Africa. Gli africani, nonostante le campagne umanitarie, nonostante la propaganda contro la vita, hanno continuato imperterriti a mettere al mondo figli. Tanto per fare un esempio le previsioni delle Nazioni Unite affermano che, di qui a poco, la sola Nigeria avrà 730 milioni di abitanti! Per la vecchia e sazia Europa i dati sulla crescita esponenziale delle popolazioni africane sono un vero e proprio incubo. Chi sa che l’intervento in Libia non corrisponda, anche, al desiderio di controllare in modo ferreo i governi del nord Africa per formare una muraglia umana in difesa dei nostri interessi? Sia come sia gli apprendisti stregoni della Nato stanno giocando col fuoco.

Peccato che Berlusconi abbia ceduto alle sirene della santa alleanza occidentale; peccato si sia allontanato dalla tradizione cattolica cui pure, con la richiesta di perdono, si era indirettamente ispirato. Peccato perché, alla lunga, nonostante effimeri guadagni momentanei, la verità e la giustizia pagano sempre. Il Timone, luglio-agosto 2011

Ben ci sta!

Siamo entrati in guerra anche perchè non fossero i francesi a portarci via il petrolio. Ed ora ce la prendiamo in quel posto…

"Il Governo libico che fa capo a Muammar Gheddafi ha interrotto ogni collaborazione con il gruppo Eni. Lo annuncia il primo ministro di Tripoli. Ha spiegato che, però, lascerà la porta aperta alle compagnie petrolifere di altri Paesi, purché questi «rivedano la loro partecipazione ai raid aerei» dell’Alleanza atlantica, che stanno prendendo di mira le forza fedeli al leader libico, Muammar Gheddafi. Al-Mahmoudi ha aggiunto che all’Italia verrà impedita l’attività petrolifera perché aveva firmato un accordo di amicizia con la Libia, che vieta ogni atto di aggressione" (Corriere,  Redazione online 14 luglio 2011)

 

Volenterosi criminali di guerra

Human Rights Watch denuncia gli orrori delle forze anti Gheddafi


Prima la notizia che le fosse comuni del regime libico erano false. Poi che gli stupri di massa commessi dalle forze di Gheddafi, utilizzati per giustificare l’attacco della Nato e l’incriminazione del colonnello davanti alla corte dell’Aia, potrebbero non essere mai avvenuti. Adesso la messa sotto accusa dei ribelli libici. Ogni denuncia che arriva da quel fronte va presa con la dovuta cautela, ma le forze militari sostenute dall’occidente si sarebbero rese responsabili di incendi, saccheggi e abusi su civili in occasione della loro offensiva su Tripoli da Djebel Nafusa.

E a dirlo è la celebre ong americana Human Rights Watch, che ha affermato di essere stata “testimone diretta” di alcuni di questi atti e che nel proprio rapporto circostanzia le accuse a città, fatti, guerriglieri coinvolti. Secondo quanto riferito, tali violazioni sarebbero state compiute tra giugno e luglio, fino alla scorsa settimana. “In quattro villaggi conquistati dai ribelli, i combattenti e i loro simpatizzanti hanno saccheggiato beni, dato alle fiamme alcune abitazioni e attività commerciali, colpito alcune persone sospettate di sostenere le forze governative”, ha scritto l’organizzazione per i diritti umani, che in questo modo accusa duramente la forza alternativa al regime di Gheddafi sostenuta dall’Europa e dall’Onu.

Secondo Human Rights Watch lo stesso colonnello militare degli insorti, El Moktar Firnana, avrebbe ammesso l’entità degli abusi, spiegando di aver dovuto “fissare delle direttive” altrimenti i rivoltosi “avrebbero bruciato tutto”. Si parla anche del rapimento di 105 bambini da un villaggio. Amnesty International aveva già denunciato casi di defenestrazioni di “mercenari” da parte dei ribelli, di gente finita a colpi di machete o bruciata viva, di esecuzioni extragiudiziali, di fughe dei cittadini dalle città espugnate dai ribelli. Human Rights Watch sostiene adesso che il Consiglio nazionale libico, l’organo che rappresenta i ribelli, non abbia il pieno controllo delle sue truppe e delle loro azioni, specie della loro osservanza dei diritti umani. Se confermata, la denuncia della ong statunitense getterebbe in un pesante discredito la “coalizione dei volenterosi” che sta portando avanti (avanti?) la campagna libica.

Ancora un soldato ucciso

Un altro soldato italiano ucciso in Afghanistan. E siamo a trentanove italiani caduti per una causa che nessuno conosce e nessuno riesce a spiegare, nemmeno quelli che invocano il patriottismo sentimentale (“i nostri ragazzi al fronte”) e la democrazia, perché la patria italiana non ha nulla a che spartire con il remoto Afghanistan, e una democrazia che ha portato al governo (per di più con brogli confessi e certificati) l’ex dirigente petrolifero Karzai è peggio di una monarchia assoluta o perfino di una dittatura. Del resto ormai tutti, perfino i più accesi sostenitori della “missione”, hanno rinunciato all’ipocrisia e parlano apertamente di “fronte” e di guerra.

Peccato che la nostra Costituzione ci vieti espressamente di prendervi parte. Ma, dal momento che si è deciso di rinunciare all’ipocrisia e che della Costituzione non importa nulla a nessuno (tanto meno a quelli che giurano di coricarsi ogni sera tenendola sotto il cuscino), vogliamo essere cinici e dirci la verità fino in fondo, occupandoci di ciò che davvero interessa a tutti, l’economia, il denaro, il pil, la crisi, la ripresa, e non delle quattro lagrimucce sparse per la morte di un modesto lavoratore delle armi, importante solo, passato il primo moto di naturale compassione, per una ristretta cerchia di parenti e amici. Da questo punto di vista l’Afghanistan è peggio ancora della Libia, perché alla fine non ci sarà alcun tavolo della pace al quale le Potenze vincitrici possano sedersi per spartirsi il petrolio e gli altri benefici della vittoria. Intanto però la guerra costa in termini di denaro oltre che di vite.

Ogni giorno, ogni mese, ogni anno (quanti sono ormai gli anni di questa guerra infinita?) un bel mucchio di quegli euro che utilizzati in patria consentirebbero ad un governo che per tre anni ha spergiurato che mai e poi mai avrebbe “messo le mani nelle tasche degli italiani” di evitare una manovra economica come quella messa in campo proprio in questi giorni. Una manovra assurda e contraddittoria, che, da un lato, vuole favorire la ripresa economica riducendo la pressione fiscale sul reddito per aumentare il potere di acquisto delle famiglie, e, dall’altro, lo diminuisce con l’imposizione indiretta, il blocco delle pensioni e degli stipendi. Per bene che vada (ma non sarà così) un pareggio.

Una situazione così incredibile (ancora più incredibile perché messa in campo da un uomo dell’intelligenza e della capacità di Giulio Tremonti) che non si può evitare di chiedersi che ne è stato della sovranità del nostro paese se il governo, perfettamente consapevole che la manovra che si appresta a varare non porterà a nulla, ma gli costerà un buon quarto o forse un terzo dei voti rimastigli, nemmeno accenna a imboccare l’unica strada che gli consentirebbe di evitarla: il ritiro delle truppe impegnate in operazioni belliche in giro per il mondo. E’ impossibile che non voglia. Evidentemente non può. da: la Voce

Napolitano e la guerra in Libia

Se il Presidente della Repubblica esprime giudizi politici deve inevitabilmente accettare il dissenso pur se espresso con tutto il rispetto dovuto al suo ruolo. E giudizi politici sono sicuramente quelli da lui formulati sulla impossibilità/inopportunità di un ritiro unilaterale del nostro Paese dalla guerra di Libia o anche solo dai bombardamenti Nato, come richiesto dal ministro Maroni a Pontida e prima, e, ancor più, sulla natura positiva, umanitaria e democratica di quella guerra, voluta da un Sarkozy alla ricerca di un recupero del proprio futuro politico attraverso un gesto napoleonico.

Del resto è molto probabile che su entrambi i temi il presidente della Repubblica non sia in sintonia con la maggioranza del popolo italiano, che ancora si interroga (senza risposte) sulle ragioni di questa guerra e assiste con spavento all’arrivo di masse umane di emigranti, costretti ad abbandonare la Libia, dove avevano trovato casa e lavoro (per la quasi totalità si tratta non di libici, ma di abitanti dell’Africa nera) non dal feroce tiranno Gheddafi, ma dai bombardamenti umanitari voluti non dall’Onu, che non li ha mai autorizzati (tanto meno sulle città), ma dalla triade Obama (già pentito e, a sua volta, in ritirata), Sarkozy, Cameron.

In ogni caso, al di là delle parole del Presidente, si pone una questione di fondo, riguardanti le misteriose ragioni per le quali sull’Italia devono sempre gravare doveri di impegno, partecipazione e coerenza diversi e ben più pesanti di quelli dei suoi partners in Europa e nella Nato.

Perché mai solo l’Italia deve stare sempre sul banco dello scolaretto, tenuto a dimostrare qualcosa a se stesso, ai troppi maestri e a tutti gli altri, compagni di classe inclusi? Dei ventotto Paesi che fanno parte della Nato solo otto partecipano alla guerra e dal primo di agosto saranno soltanto sette, perché, esattamente come hanno fatto molti altri Stati inizialmente impegnati in Iraq, la Norvegia si ritira da una spedizione che alla sua iniziale inutilità ha aggiunto una troppo lunga durata.

Perché all’Italia non è consentito, una volta avvedutasi dell’errore commesso, fare quello che è invece consentito alla Norvegia? Sul Corriere della sera Franco Venturini la butta in termini di credibilità (ma anche per questa voce non spiega perché i nostri partners restino credibili anche senza partecipare alla guerra e invece a noi tocca essere presenti su tutti i fronti). Quanto poi alla Norvegia spiega che col ritiro l’Italia diventerebbe, “con tutto il rispetto”, una Norvegia e “Napolitano non lo vuole”.

Ovviamente il Presidente della Repubblica si è ben guardato dal fare confronti ai danni della Norvegia, e personalmente sono convinto che, questione libica a parte, sarebbe ben contento, come gran parte di noi, se l’Italia fosse come la Norvegia, un paese che, del resto, per decenni ci è stato indicato (in quel caso esagerando in senso opposto al Venturini), assieme ai suoi fratelli scandinavi, come un ammirevole modello di civiltà e di democrazia.

Ma il problema resta quello della posizione dell’Italia ancor prima che nel consesso delle nazioni, nel giudizio dei popoli. Nemmeno ci si accorge che se si riconosce che la Norvegia (e altri) possono fare quello che a noi non è consentito, si ammette che quei paesi sono migliori di noi, costretti invece a riguadagnarci una stima sempre a rischio un giorno sì e l’altro pure, sicché restano credibili e coerenti anche se fanno cose a noi non consentite. (La Voce)

Nella foto: Napolitano con Ceaucescu, ai tempi in cui la libertà dei popoli stava nel comunismo