Questo non è più capitalismo, ma la sua tragica parodia ed è arrivato il momento di dire basta. Sì, basta a una casta, quella dei banchieri di Wall Street, che, a conti fatti, è l’unica a non pagare il prezzo del crollo dell’economia mondiale che lei stessa ha provocato. Alzi la mano chi è passato indenne da questa crisi. Il valore delle azioni è dimezzato, i prezzi delle case continuano a calare, decine di migliaia di aziende rischiano di chiudere minacciando di lasciare a casa milioni di lavoratori. Siamo arrabbiati, delusi, preoccupati. Ma loro no. A parte Madoff e pochi altri, continuano a mostrarsi sorridenti, felici, fiduciosi. Il mondo crolla e a loro non importa nulla; perché anche nell’anno del grande crash si sono arricchiti, come ha scoperto un contabile dello Stato di New York, l’italomericano Thomas DiNapoli, scrutinando le loro dichiarazioni dei redditi. Nel 2008 i manager delle banche americane hanno incassato bonus per 18,4 miliardi di dollari. Ma, vien da obbiettare, il bonus non viene accordato quando il bilancio è in utile? Ovvio che sì. E siccome gli istituti hanno triplicato le perdite, costringendo il Congresso americano, lo scorso ottobre, a stanziare 700 miliardi per scongiurare la bancarotta del sistema finanziario, loro non dovrebbero prendere nemmeno un dollaro. Venuta meno la tensione morale dettata dal confronto con l’impero sovietico, l’America ha perso progressivamente quelle virtù etiche, quella capacità di controllare eccessi e sprechi, con pesi e contrappesi, che molto spesso noi italiani abbiamo invidiato. E il potere si è trasferito anno dopo anno dai politici ai finanzieri. Ammettiamolo: sono stati bravissimi. Di più: geniali. Con la complicità di K Street, la via dei lobbisti, hanno indotto il Congresso ad approvare una legislazione che li metteva al riparo da conseguenze penali; nonostante il caso Enron e il crack di Worldcom. Nel frattempo hanno piazzato i loro uomini nel cuore del governo: il banchiere Rubin era il ministro del Tesoro di Clinton; l’ultimo di Bush, Paulson, è stato prelevato direttamente dai vertici di Goldman Sachs. Ed è iniziata la grande festa, rigorosamente bipartisan. Già, perché le leggi che hanno permesso la folle liberalizzazione dei derivati e la fine della separazione tra banca d’affari e banca commerciale, sono state approvate con il voto sia dei repubblicani sia dei democratici. Per quindici anni il mandarinato dei banchieri di Wall Street è riuscito a plasmare ampie porzioni dell’economia mondiale con un solo orizzonte: l’arricchimento speculativo. E un unico beneficario certo: loro stessi. Fino agli anni Novanta le grandi fortune venivano create nell’arco di decenni, spesso attraverso il lavoro di più generazioni. Gli industriali, i banchieri, quelli veri, rischiavano in prima persona. Se andava bene diventavano miliardari, se andava male finivano sul lastrico. E si vergognavano da morire. Negli ultimi tempi, invece, bastavano quattro-cinque anni al vertice di una banca d’affari o di una multinazionale per ottenere ricchezze esorbitanti, molto superiori a quelle dei grandi industriali di un tempo, senza mai rischiare nemmeno un centesimo in proprio, bensì sempre il capitale degli altri. Avidi e mai sazi. L’ultima rapina, da 18,4 miliardi, sublima il loro credo: arraffa, arraffa, arraffa. E solleva una questione ormai ineludibile: è giusto salvare le banche se la casta non viene smantellata? Piagnucolano, implorano aiuto, fanno valere il più odioso dei ricatti: “Liberateci dai debiti o saremo costretti a rovinarvi tutti”. Aspettano che la bufera passi, per poi ricominciare. E invece bisognerebbe cacciarli, come da tempo chiede, inascoltato, Tremonti. “A casa o in galera”, dice. Sarebbe meglio in prigione. Via tutti per lasciare spazio ai veri capitalisti, che non hanno mai smesso di credere in un valore intramontabile, quello della responsabilità personale.
Marcello Foa
Categoria: Economia
L’usura e la situazione economica oggi.
Posto questa trasmissione, trascritta dall’amico Claudio Forti, contenente un dialogo tra la storica Angela Pellicciari e il banchiere Ettore Gotti Tedeschi. Tema: l’usura.
Pellicciari – Buon giorno agli amici di Radio Maria. Questo mese parliamo di una piaga sociale immensa, che la Chiesa ha sempre ha sempre combattuto. Anche Israele lo ha fatto.. questa piaga è l’usura. Riguardo a questa piaga, Paolo, nella lettera ai Colossesi dice: “Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazioni, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile, che è idolatria. Cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono”. Allora, quella avarizia insaziabile che è idolatria. Quando noi mettiamo la nostra sicurezza nel denaro, questo è idolatria, perché la nostra sicurezza non è Dio, ma i soldi. E quella perversione dell’animo, che è l’usura, che porta a guadagnare sulle difficoltà degli altri, chiaramente è il massimo di questa perversione dell’animo. Parliamo di usura con un banchiere cattolico – come tale è veramente una perla rara – che si chiama Ettore Gotti Tedeschi, che collabora con l’Osservatore Romano e insegna alla Cattolica. Buon giorno Ettore! Allora a te la parola.
Ettore – Buon giorno! Ah, ci sarà da ridere per riuscire a soddisfare quanto chiedi nella prima domanda. Proporrei – se tu sei d’accordo – di strutturare questo tentativo di spiegare il perché c’è l’usura, come si potrebbe combatterla. Ecco, io proporrei di trattarla in tre momenti diversi. Vorrei spiegare anzitutto da un punto di vista molto pratico che cos’è l’usura, in modo tale che chiariamo e definiamo questo termine e lo confrontiamo nei suoi aspetti operativi. Poi vorrei affrontare, nella seconda parte, quello che è il problema morale dell’usura nella sua storia. Quindi giustamente soprattutto nella storia della morale cattolica e come lo ha affrontato dai primi tempi ad oggi. Nella terza parte vorrei trattare il tema che probabilmente interesserà tutti gli ascoltatori, che è, come si pone oggi il problema dell’usura? E quanti tipi di usura ci sono. Vedremo che c’è una usura passiva e un’usura attiva. Vedremo che, secondo le prospettive, anche a seguito di questa crisi economico-finanziaria, l’importanza e la necessità di anticipare i problemi di una possibile prossima usura. Vedremo ora che cos’è l’usura da un punto di vista pratico. Cercherò di essere abbastanza schematico, i modo tale che tutti possano capire di che cosa sto parlando.
Da che cosa nasce l’espressione usura? Viene dal latino usus, dal verbo utto, che significa usare. Di fatto è definita come quel compenso che viene stabilito, imposto o tolto, per l’uso del danaro. I latini lo contrapponevano a quello che è lucrum, cioè il cosiddetto profitto mercantile. Quindi il semplice uso del denaro è usus, mentre lucrum è il profitto da una attività di carattere economico. Questo è importante ricordarlo. Adesso ci stiamo domandando: “Ma l’usura, è bene o è male? Da tre mila anni il mondo sta disputando e considerando su che cosa è bene e che cosa è male dell’usura, e quando sia male. Usura intendiamo quindi l’utilizzo del prestito oneroso per l’indebitato, e quindi quel compenso che lui deve pagare. Perché il danaro si presta? Per fare cosa? Quale tipo di utilizzo? Perché il denaro deve o può avere un costo, e quindi una remunerazione per chi lo presta? Affronterò quindi un tema che in questi tempi diventa fondamentale, cioè il tema del rischio. Che cos’è il rischio? Il rischio infatti è quello che spiega il tasso di interesse che viene praticato e accettato. Normalmente uno non riesce ad ottenere un prestito perché non dà sufficienti garanzie di solvibilità. Quando la banca si trova di fronte a un tale soggetto, si pone un problema drammatico, o non gli si fa il prestito, o lo si fa un prestito che tiene conto – incorpora, come dicono i banchieri – questo rischio, permettendo così il recupero del credito. E questo recupero ha un costo. E questo costo, in caso di usura, può essere tanto alto che normalmente chi lo prende a prestito non è in grado spesso di restituire. R l’usuraio abusa di questa posizione soltanto quando ha beni in garanzia. (…) Vedete quindi che il problema per il quale nasce il problema dell’usura è, per quale ragione una persona debba accedere ad un prestito usurario verso invece quel canale più normale e più praticabile, che è la banca. (…) Come vi ho detto, il tasso di usura, che normalmente è un tasso eccessivamente alto, molto più alto di quello degli istituti di credito, può portare a minacce molto gravi. Capiremo perciò perché la Chiesa, nella sua saggezza e capacità di capire il cuore dell’uomo, oltre che il cervello, ha sempre immaginato che si potesse arrivare a questo tipo di eccesso. Oggi soprattutto, che siamo quasi all’alba di una crisi che si estenderò rapidamente presso molti strati sociali e quindi ricominceremo in questa nostra generazione a riconoscere che cos’è la sobrietà, ci renderemo conto che quando la Chiesa diffidava storicamente dell’uso del denaro, dei prestiti, della cosiddetta finanza, fin dai primi secoli, non aveva sempre tutti i torti, anche se – come vedremo – ha dimostrato di essere molto più comprensiva del fenomeno economico finanziario. Sicuramente più delle Chiese riformate o eretiche, che invece ritengono di aver capito molto meglio e prima come doveva funzionare il capitalismo.
Come diceva Angela Pellicciari, è evidente che l’usura è una piaga sociale, ma – attenzione! – lo diventa soltanto quando l’individuo che ha bisogno del prestito non ha alternative. Nei prossimi tempi noi dovremmo quindi immaginare una forma di banche che siano in grado di fare finanziamenti di emergenza ai veri bisognosi. Quindi delle banche di solidarietà, dei monti di pegno. Soprattutto perché nei prossimi tempi temo – e lo dico con consapevolezza – temo che ci saranno dei nuovi poveri che dovranno accedere a questo tipo di finanziamento, sul tipo del signor Junus, che ha avuto il premio Nobel, che è quello che ha inventato il microcredito nei paesi cosiddetti poveri e poverissimi. Bene, lui ha dimostrato con questa metodologia di affidamento e di prestiti piccoli, che quando la persona è veramente bisognosa, esprime una dignità talmente forte da cambiare quelle regole statistiche del ritorno sui prestiti. Cioè, nel mondo occidentale un x per cento di persone non paga il debito che ha. Junus ha dimostrato che nei paesi poveri l’insoluto, il debito non pagato è irrilevante. È vicino all1, 2%. Perché la volontà di dimostrare questa capacità di restituire e questa loro dignità, ha scombussolato veramente quello che è il modello tradizionale con cui noi valutiamo l’impatto del rischio. È evidente che questo è un discorso di carattere morale di cui i banchieri, i finanzieri, gli economisti non vogliono parlare, perché quello che ha probabilmente creato questa indifferenza nei confronti di questi bisogni di solidarietà è un perseguimento che c’è stato, da parte dell’economia e della finanza, di una progressiva autonomia morale. Per concludere la prima parte desidero dire che difficilmente si può pensare che uno strumento come la finanza, il prestito ad usura o non, possa avere un senso per la vita dell’uomo se la vita dell’uomo non ha un senso o non si riconosce che ha un senso! Per quello ci sono gli usurai! E qui fa un escursus storico sull’usura e su come la Chiesa si è sempre posta a difesa del povero per un corretto uso del denaro e a proposta per una via di maggior giustizia.
Riprende Gotti Tedeschi (…) Che io sappia – me ne scuso, non essendo un teologo, se dico delle cose imprecise – ma a me risulta che l’unica fonte che condanna il prestito ad interessi, si trova nel Vangelo di Luca, dove Gesù dice: «Se prestate denaro a coloro dai quali sperate di ricevere un qualche tornaconto, che merito ne avrete?». Ecco, certamente può essere riferito stretto senso al prestito, come può essere riferito evidentemente al rapporto fra le persone, più ampio, più grande. Nella parabola dei talenti però addirittura – soprattutto quella di Matteo – quando il padrone rimprovera il servo per non aver fatto fruttare il famoso talento ricevuto, dice: «Avresti almeno potuto darlo ai banchieri». Grazie ai quali avrebbe potuto ritirare il suo danaro con l’interesse. È evidente comunque che questo prestito ad interesse ha sempre rappresentato un problema pratico che ha preoccupato quel ente morale che sovrintendeva il comportamento, ispirava, suggeriva, controllava e correggeva il comportamento morale delle persone che di riferivano a questa entità. Certamente nella visione giudaica e poi cristiane, questo comandamento dell’amore per il prossimo diventava fondamentale e doveva regolare ogni azione umana molto più del mercato e dell’economia. Quindi il mercato e l’economia erano mezzi, strumenti a disposizione ell’uomo. L’uomo era centrale. L’uomo era il riferimento a cui tutto doveva condurre. Quindi l’economia, i mezzi, la finanza e tutto il resto, dovevano servire all’uomo. Ecco, questo è molto importante, perché nei 2000 anni successivi il capovolgimento è stato drammatico. Oggi è l’uomo che è al servizio della finanza, dell’economia. In gran parte, il valore di un uomo si deduce da quanto può guadagnare, quanto può produrre, quanto può consumare, quanto può risparmiare. Quindi vi è proprio un ribaltamento, legato a che cosa? Legato al fatto che sempre più la finanza, l’economia, e cioè i mezzi, si sono allontanati dalla morale religiosa. Anzi, la morale è stata tolta quasi dai piedi, soprattutto negli ultimi 500 anni, come vedremo dopo. Quindi sempre di più l’economia e la finanza hanno acquisito una autonomia morale. Se volessimo anche commentare quelle raccomandazioni che sono state fatte varie volte – sia da Giovanni Paolo II che da Benedetto – su questa inopportuna, sbagliata e drammaticamente pesante per l’uomo, autonomia morale dell’economia. Oggi ne abbiamo l’esempio nell’attuale crisi, che dopo avremo modo di commentare. Quindi, la finanza e l’economia non devono osservare una legge morale. Sono fini a se stesse! Il risultato è quello che conta. Tanto hanno perseguito dei risultati…! Così, quando un sistema, uno strumento, in questo caso l’economia e la finanza – ma potremmo parlare della medicina, della chirurgia, della biologia o della politica – quando uno strumento uno dei tanti strumenti della civiltà non funziona (la cosiddetta cultura)… noi valutiamo la dimensione di una civiltà in funzione dell’uso di questi strumenti. Però questi sono strumenti1 E uno si deve domandare: a che servono gli strumenti? Gli strumenti servono per raggiungere degli obbiettivi, dei fini. Se gli strumenti sono slegati dai fini, diventano fini a se stessi! E quindi prescindono totalmente dall’uomo. Di che cosa si occupano? Per esempio, la finanza e l’economia negli ultimi tempi hanno acquisito una autonomia morale assoluta. Che cosa hanno realizzato? Hanno distrutto il proprio risultato e la ricchezza che sembravano aver creato e hanno messo in difficoltà l’uomo. Cioè, se l’economia e la finanza prescindono da quella centralità di quello che è il senso che devono avere, che è il migliorare la vita dell’uomo, non solo distruggono se stesse, distruggono i loro risultati apparenti, ma mettono in difficoltà l’uomo. Pensiamo alla situazione in cui ci stiamo trovando adesso. Ma torniamo un attimo indietro per completare la parte di analisi storica. Abbiamo parlato dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento. Ora vorrei un attimo accennare ai primi secoli cristiani. Allora, la guerra all’usura fu sostenuta da tutti i padri della Chiesa.
Ricordo Basilio, Giovanni Crisostomo e i latini Ambrogio e Agostino. E durò tutto il Medio Evo, perché era fondato sul timore di decadenza morale, come l’avarizia, e così via. Sant Anselmo Magio per esempio proibì il prestito ad interesse. Anselmo d’Aosta considerava addirittura l’usura un furto. Due concili la condannarono: quello di Cartagine, del 345 e quello di Aix, 789. il concilio di Reims, del 1049 continuò a stabilire l’illiceità di ogni prestito ad interesse. E il famoso terzo Concilio Lateranense, nel 1179 e il secondo Concilio di Lione, lo vietarono. Addirittura dichiararono eretico chi avesse negato che fosse peccato chiedere interessi sui prestiti. Concludo col Medio Evo, perché è importante. Questa è un’altra cosa straordinariamente interessante. Perché noi quando manchiamo di conoscenza della storia della Chiesa non siamo capaci di fare apologetica, di difendere, non soltanto il nostro pensiero supposto, ma anche di spiegarlo agli altri per fare un buon apostolato intellettuale e culturale. Noi riteniamo che la Chiesa sia sempre stata piuttosto ottusa, nei confronti di quelli che sono i fatti della vita economica e sociale. Vi dò una dimostrazione di quanto questo sia falso. Nel primo Medioevo furono proprio i francescani – questi poveri per scelta, per definizione – che fecero evolvere per primi il pensiero economico riuscendo a spiegare l’utilità del danaro, l’utilità del prestito. Un francescano che si chiamava Gianni Olivi, che nasce nel 1248 e muore nel 1298, scrive addirittura un trattato che si chiama De usuris, spiegando l’utilità del prestito – ovviamente per chi ne aveva bisogno – e quindi spiegando l’accettabilità del fatto che un prestito potesse generare un valore per chi lo dava. Anche se lui allora ancora distingueva tra una destinazione produttiva, puramente consumistica del capitale, così da distinguere chi era l’imprenditore che prendeva a prestito per fare investimenti produttivi (il creare valore), e quello che prendeva a prestito soltanto per consumare. Concludo con San Bernardino da Siena che è quello che addirittura scrive dei trattati sulla liceità del prestito, che è quello che ispira poi la nascita dei primi monti di pietà, alla metà del Quattrocento Pellicciari – Di quella istituzione geniale che gli ordini religiosi hanno avuto in questo campo, ma in tutti i campi! Gotti Tedeschi – I francescani furono i primi a fondare i monti di pietà, intorno al 1400, portando poi tutta la visione della Chiesa… Io mi ricordo che Leone X definì addirittura queste prime banche di solidarietà, di emergenza, che evitavano l’oppressione di quella frangia di popolazione che era costituita dai più deboli e vulnerabili, addirittura li dichiarò meritori e leciti nelle loro attività. Pellicciari – Mi pare di ricordare che questi banchi avevano bisogno di un capitale originario da prestare. E come facevano a trovare questo capitale originario? Organizzavano in Quaresima o in Avvento delle predicazioni in cui chiamavano la popolazione cattolica a dare i soldi per costituire questo nucleo di capitale originario da poter prestare, eccetera. Una cosa meravigliosa! La storia della Chiesa è meravigliosa, come dicevi tu prima. Gotti Tedeschi – Siamo arrivati a descrivere praticamente la storia della valutazione morale del prestito a interessi, che comportava in determinate situazioni, la cosiddetta usura, quindi l’applicazione di interessi e di garanzie talmente alte da rendere irragionevole il prestito stesso. Così siamo arrivati a quella benedetta e straordinaria interpretazione di come il mondo stava cambiando, proprio dai frati francescani, che furono i primi – loro che si staccavano dal mondo – l’importanza, in determinate circostanze, del prestito e quindi a giustificare l’interesse. Creando così un salvagente per coloro che avevano difficoltà a pagare, che erano l’istituzione dei monti di pietà. Siamo intorno al 1500. Che cosa cambia dal 1500 in poi? Cambiano i comandamenti? Cambia la valutazione morale da parte della Chiesa nei confronti del prestito ad interesse? No! Cambia il mercato. Cambiano le dottrine economiche. Cambiano le circostanze con cui il danaro viene usato e i fini con cui viene usato. Nel 1500, signori, abbiamo la scoperta del Nuovo Mondo, dell’America, da parte di Colombo, nel 1492. Questo è un fatto fondamentale per la nascita della nuova economia. Perché con la scoperta del nuovo mondo nascono i nuovi commerci, si trovano nuove materie disponibili, nascono le esigenze di armare navi adatte ai traffici commerciali, e nascono quindi i grandi bisogni di capitali. Fino a quel momento il prestito era un fatto quasi privato, fra due persone. Mentre con la scoperta del Nuovo Mondo, con questo grande sviluppo, che dal punto di vista di dottrina economica si chiama mercantilismo, la nuova economia, l’esigenza del finanziamento del prestito, da personale, fra due persone, diventa istituzionale. Nascono le grandi banche e gli stati stessi si occupano a finanziare questa nuova economia. Cosicché quella mentalità un poco moralistica o collettivistica del Medioevo incomincia a crollare, a ridimensionarsi progressivamente, e nasce una mentalità molto individualistica, che percepisce la ricchezza quasi addirittura come una virtù, soprattutto nel tempo. À vero o non è vero che la Chiesa cattolica non capì questo? È esattamente il contrario! La Chiesa cattolica fu la prima a capirlo! Voi pensate, proprio a seguito della scoperta dell’America e quasi concomitantemente con la Riforma protestante nasce la famosa scuola di Salamanca.
La Scuola di Salamanca, che fu fatta dai Domenicani, i famosi scolastici, ma anche dai Francescani e i Gesuiti, di cosa si occuparono? Si occuparono a stabilire il nuovo diritto naturale delle popolazioni che si trovavano nelle “Indie”, cioè nell’America, via via scoperta dai grandi conquistadores, ma si occuparono anche di far evolvere la filosofia medivale, che era solo un po’ rigida, ad una più adeguata ai tempi. Ma soprattutto, per quello che riguarda noi, furono quelli che studiarono l’economia, le esigenze dell’economia. Se voi pensate al piccolo imprenditore, al commerciante che voleva seguire la morale cattolica, si domandava: “Ma adesso, i prezzi, chi li dà?”. I prezzi delle materie prime che importano dall’America, i prezzi dei nuovi commerci, il danaro necessario da investire o da prendere a prestito… Chi stabilisce che cose è equo o non equo? Molto prima dell’inizio di un nuovo capitalismo – nato dalla visione luterana e calvinista – molto prima, i nostri monaci domenicani, i gesuiti e i francescani, inventarono e scrissero le prime leggi dell’economia. Sui tassi di interesse, sulla domanda e sull’offerta. Bene, queste sono cose importanti dal punto di vista apologetico, ed è importante conoscerle, perché altrimenti il primo libro scritto dal primo cretino che passa ci viene a raccontare che la Chiesa cattolica non capiva niente e per fortuna c’è stata la Riforma protestante…! Quella che invece ha pregiudicato la morale e l’economia, portando l’uomo ad una forma di egoismo individualistico, con le conseguenze che poi ci sono state. Tenete conto che questi stessi ordini religiosi, come i Francescani della Scuola di Salamanca, furono quelli che al Concilio di Trento furono gli advisor (i consiglieri) del papa per stabilire che cosa fare nei confronti dell’eresia protestante. Praticamente Calvino giustificò in maniera piuttosto disinvolta tutto quello che era prestito o finanziamento. Molti ritengono che le famose banche svizzere nascono in quel momento. Nei due secoli successivi, grazie proprio a questa rottura dell’unità religiosa e la nascita di questa mentalità protestante (e la mentalità protestante si differenzia dal punto di vista economico-finanziario), e quindi specifico: nei confronti di quello che era l’atteggiamento prudente da parte della Chiesa, che poi diventa la Chiesa cattolica, dopo la riforma, si basa su un frutto fondamentale, i protestanti ritenevano – e penso lo ritengano ancora – che la natura dell’uomo, corrotta dal peccato originale, non potesse, esercitando le virtù, fare le cose fatte bene. Quindi era inutile stare li a dire: “Sarà bene o sarà male?”, con quello scrupolo tipico del cattolico, ma bisognava fare, fare, strafare. E poi, casomai, pentirsi dopo. Così il pecca, pecca fin che vuoi, interpretato come vogliamo è quello che, anche se non era voluto né da Lutero, né successivamente da Calvino in questi termini, è quello che ha provocato quella forma di disponibilità a fare le cose senza troppe valutazioni di carattere morale da parte delle persone. Che è diventata poi la mentalità anglosassone e anche americana, un po’ troppo disinvolta nei confronti di determinate decisioni da prendere. Si prendono decisioni: succeda quel che succeda, poi semmai si fa la fondazione per gli orfani e le vedove. Ecco, un cattolico, prima di prendere certi tipi di decisione ci pensa su due volte. Ecco, forse certi eccessi nel capitalismo, certi eccessi nella finanza, se fosse rimasta quella moralità cattolica, non ci sarebbero mai stati. Ecco, questo io ritengo fortissimamente! Forse avremmo avuto magari una minor accelerazione in certe aree del pianeta, di quello che è stato il capitalismo, ma sicuramente ci sarebbe stato un maggior equilibrio sociale. Il distacco progressivo della morale cattolica da quella che è stata l’evoluzione, negli ultimi 500 anni, dell’economia, ha creato sempre di più una autonomia morale dell’economia e della finanza, distaccandola sempre più dalla valutazione morale. Quindi me la sento di affermare che se questo distacco non ci fosse stato, forse – dico forse – saremmo stati meno avanzati in certe aree del pianeta, in alcuni eccessi di crescita economica, ma sicuramente ci sarebbe stato un maggior equilibrio e attenzione agli altri, e soprattutto ai più deboli. Pensate: nel 1700, il cosiddetto “movimento fisiocratico”, quello che quasi coesiste poi dopo con l’Illuminismo. (L’illuminismo dice che l’uomo è una bestia, quindi è inutile star li a pensare di soddisfarlo spiritualmente. Si soddisfi solo materialmente!). la fisiocrazia (fisiocrazia vuol dire “il governo buono della natura”). Dice: siccome di per sé la natura è buona, diamo piena fiducia all’uomo! In questo momento nasce – ed era indispensabile per la successiva rivoluzione industriale – nasce il cosiddetto “laissez faire”. «Lasciate fare all’uomo! Vedrete che l’uomo, anche per soddisfare al proprio egoismo, automaticamente i vantaggi che crea per se stesso gli estende agli altri». Ecco, la Chiesa fu sempre fu sempre un po’ prudente su questa bontà innata e naturale dell’uomo. Forse perché aveva più saggezza e conoscenza di quelle che erano le sue debolezze. (E poi, aggiunge il trascrittore, sa che l’uomo è tremendamente condizionato dal peccato originale e dalle sue concupiscenze). Pellicciari – Vorrei aggiungere una cosa. Questa deregolamentazione di tipo protestante è forse dovuta anche al fatto che – come diceva Lutero – l’uomo non ha nessuna autonomia di scelta. L’uomo è predestinato. Quindi l’angoscia…! Ne parleremo a radio Maria in un’altra puntata. L’angoscia della singola persona che non sapeva se Dio l’avesse destinata alla salvezza eterna oppure alla dannazione eterna. E qui Calvino e i calvinisti danno un segno di salvezza nel possesso di ricchezze. Quindi la ricchezza diventa per i calvinisti un segno manifesto dell’elezione divina. Che è l’esatto contrario di quello che dice Cristo: “Beati i poveri…”. I calvinisti affermano: beati i ricchi! Quindi, se beati sono i ricchi, le norme che dovrebbero limitare a fare i soldi, non valgono, in quanto vale solo la ricchezza. Gotti Tedeschi – Certo. Bene, ho ancora dieci minuti prima degli interventi degli ascoltatori. Ora vorrei dire qual è la realtà dell’usura oggi. Abbiamo visto la sua logica, abbiamo visto la sua storia negli ultimi 3000 anni, e la sua evoluzione. Vediamo adesso qual è lo stato dell’arte dell’usura. L’usura si pratica ancora, ma per fortuna è molto marginale. Si pratica in determinate circostanze, che sono a livello di criminalità. Che cos’è il concetto di usura sul quale i nostri ascoltatori possono riflettere? Secondo me ci sono due considerazioni da fare. Negli ultimi anni soprattutto, l’uomo, la famiglia, l’indivisuo, sono stati forzati ad indebitarsi. Quento non ha ancora nulla a che fare con l’usura, anzi, in certi casi indebitarsi fa bene, perché si anticipano determinate scelte, per esempio quando si vuol metter su famiglia. Allora, se io mi indebito per comperare la casa, per arredarla, e perché in previsione di avere dei figli… questo è un bellissimo modello di indebitamento. Però quello a cui mi riferisco io è l’eccesso di consumismo. Quindi io propongo due concetti. Il primo è l’eccesso di consumismo a cui è stato portato l’uomo negli ultimi 25 anni, che si contrappone a un modello precedente, che &egrav
e; un modello di risparmio. Quindi l’eccessivo consumismo ha portato la famiglia a indebitarsi. Voi pensate: soprattutto negli Stati Uniti – non mi rivolgo soltanto all’Italia – parlo principalmente del mondo occidentale. Quasi la metà del mondo occidentale parla inglese, quindi vive negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti negli ultimi 30 anni la famiglia media, da una certa attitudine al risparmio è passata ad avere un indebitamento eccessivo.
Diciamo di un anno e mezzo, forse di più, di spese future. Quindi l’americano non ha liquidità in banca. Ce l’ha trasferita nella sua casa. Ce l’ha nelle macchine, nei vestiti, nell’arredamento, e persino nelle vacanze pagate. E questo indebitamento delle famiglie rappresenta un po’ la spada di Damocle, in questo momento. Allora, sono due i temi. Il primo è il costringimento all’indebitamento per sostenere il consumismo. Questo io trovo che sia un fatto attuale che non va bene, il secondo è quello della non remunerazione del risparmio. Oggi molti di noi – e ve ne renderete conto nei prossimi mesi e nei prossimi giorni – che chi ha un risparmio liquido investitoe non vuole correre troppi rischi, non sa dove metterlo. E verrà remunerato a dei tassi più bassi del tasso di inflazione, per non dire a dei tessi vicini allo zero. Questi sono i due fenomeni che sono assimilabili al problema che abbiamo visto fino adesso. Negli ultimi 30 anni lo sviluppo economico nel mondo occidentale si è fondato sul consumismo. Cioè si è frenata quella crescita economica che era legata alla crescita della popolazione per arrivare, ferso gli anni Settanta a una progressiva crescita zero. E si sostituisce la mancanza di nascite di bambini con un maggior consumismo. Questo per mantenere la crescita del prodotto interno lordo occidentale, alta. Ma come si è fatto a produrre questa attitudine al consumismo? Con l’indebitamento! Una gran parte delle famiglie, incominciando soprattutto dal mondo anglosassone, hanno incominciato a indebitarsi, diventando vulnerabili e precarie. Perché tutte le volte che io sono indebitato o che il mio risparmio non è soddisfatto dal punto di vista economico e finanziario, io vengo privato della mia libertà. perché il risparmio che io produco è quello che serve per garantire la mia libertà personale. È quello che mi dà le garanzie che io ho autonomia. Se il mio risparmio non è remunerato oppure è addirittura ritenuto investito a rischio – come sta succedendo in questi tempi – è come privare il cittadino, la persona, della sua libertà. quindi mettere l’individuo nella condizione di essere troppo indebitato, oppure, quello che ha risparmiato, di non essere remunerato, significa correre il rischio di privarlo della sua libertà. e questo è un tema che dovremo fronteggiare, non dico nei prossimi tempi, ma che se non verranno messe in atto manovre che verranno a garantire questi due fatti descritti, la libertà di un certo numero di individui tornerebbe ad essere linitata. Certamente non limitata come 3000 anni fa – lo dicevamo facendo riferimento all’Antico Testamento, dove l’uomo dava in garanzia se stesso, la sua vita, la sua famiglia, se non fosse stato adempiente – però indubbiamente esiste questo pericolo, ed è un pericolo a cui dobbiamo essere attenti. Quindi attenzione quando ci dicono: consumate, consumate! Per altro anche investire i propri risparmi e non avere un rendimento è altrettanto problematico, perché quando oggi voi andate in banca e vi sentite dire che la vostra remunerazione è inferiore al 2%, voi sapete perfettamente che è inferiore al tasso di inflazione. E conseguentemente è come se sul vostro patrimonio, sul vostro risparmio gravasse una imposta occulta che trasferisce il rendimento a quei settori che debbono essere tenuti in piedi perché sono falliti, perché sono indebitati e debbono essere salvati, bene o male. È ovvio che è bene che vengano salvati perché se loro non vengono salvati il nostro mondo perde occupazione e conseguentemente perde le fonti di reddito.
Siamo stati portati per una scelta di sviluppo egoistico! Non finirò mai di dirlo! Sono sei volte che lo spiego sull’Osservatore Romano, e continuerò a scriverlo! La crisi attuale non è legata a problemi di carattere economico-finanziario! È legata all’incapacità dell’uomo di avere dei valori morali. E quando l’uomo decide di sacrificare lo sviluppo organico di una famiglia che faceva figli e sostituirlo con quello egoistico del consumismo, in quel momento il nostro mondo ha cominciato a crollare progressivamente. Perché ci siamo trovati di fronte a una crescita zero di popolazione, e crescita zero di popolazione vuol dire che i costi fissi aumentano: la popolazione invecchia e costa di più! Aumentano i costi sociali. Perché negli ultimi 30 anni non si è potuto mai diminuire le tasse? Le tasse non si possono diminuire se la popolazione non cresce organicamente! Non si possono inventare i trucchi per sostituire una nascita naturale di figli nelle famiglie, con delle soluzioni per tenere in alto il prodotto interno lordo. Inventandoci il prodotto interno lordo, come è successo coi mutui sub prime americani! Pellicciari – Certo hai trattato degli argomenti interessantissimi, Ettore! Questo della denatalità l’hai collegata in qualche modo all’usura?… Gotti Tedeschi – Eh beh, insomma… (sorridono entrambi). Pellicciari – Cioè all’attenzione per il denaro? Gotti Tedeschi – No, anche l’usura è cambiata. L’usura era importante quando era uno scambio tra danaro e bisogno di danaro e disponibilità di danaro fra due individui. Quella era fortissima come usura, perché l’individuo dava se stesso, la sua vita, in garanzia! Oggi l’usura è ridimensionata perché i prestiti istituzionalmente li fanno le banche. Cioè, Angela, teniamo conto di una cosa. Se c’è una banca che ti fa dei prestiti e tu sei solvibile perché tu hai un mestiere che ti permette di garantire un minimo di reddito, un minimo di patrimonio, non hai bisogno di andare dall’usuraio! Quand’è che tu vai dall’usuraio? Quando nessun altro ti finanzia. E perché non ti finanzia? Perché non dai le garanzie! Ma allora, l’usuraio, che tipo di garanzie vuole da te? Vuole delle garanzie che – facciamo attenzione! – sono proporzionate al rischio che tu rappresenti! L’alternativa all’usuraio è il non avere prestito! Dove vedo io oggi – in questo mondo – i maggiori pericoli? In quello che dicevo: un atteggiamento consumistico, che porta la famiglia a indebitarsi, e un atteggiamento che porta la famiglia, la persona o l’individuo che ha risparmio a non vederlo più remunerato. Questi sono i nuovi temi, che non hanno niente a che vedere con l’usura, ma sono i problemi finanziari dell’individuo e della famiglia di oggi! Prima era l’usura – ora lo è molto meno, se non in situazioni molto drammatiche di contesto sociale deteriorato – oppure, signori, io credo che la cosa che dobbiamo ripensare è i nuovi monti di pietà per i nuovi poveri. Pellicciari – Certamente! Gotti Tedeschi – I nuovi poveri che sono nelle nostre città! Perché noi ci occupiamo tanto di tanti altri poveri, ma in ogni città ricca, nel mondo ricco, ci sono i nuovi poveri. E sono quei “famosi” anziani, o anche persone meno fortunate che non sono riusciti a stare alle regole del gioco di un mondo che ti impone determinate scelte e determinate strutture di costi! Ma vi rendete conto, quanto costa oggi vivere al minimo in una società? Pensate soltanto all’affitto, l’ascensore, la luce, il gas el’acqua, il doversi vestire! Cioè, la soglia minima di costi che una persona deve sopportare in una società come la nostra è relativamente alta! Il miniomo che io debbo produrre di reddito per poter sostenere questi costi è relativamente alto! Così che quando una persona va in pensione e non produce quello, è già finita al momento in cui ci va! Perché non sopporta quel tipo di struttura di costi, rigida, che la nostra società gli impone. Ora, io credo che un governante che sappia affrontare questi problemi si debba domandare esattamente questo! Quanto deve fare attenzione a questo tipo di squilibrio economico-sociale di una società ricca, come diciamo noi. Fino a quando lo resteremo. Perché ho l’impressione che diventeremo tutti relativamente più poveri per molto tempo. Pellicciari – Certamente, Ettore! La mia era una provocazione. Però l’economista che tu hai citato prima, quello del microprestito e queste iniziative che la Chiesa ha preso nel corso dei secoli, e cioè, per esempio, quella dei monti di pietà, io penso che altri uomini come te, che esprimono il tuo pensiero, o religiosi, dovranno pensarci? Poiché penso anch’io che andiamo in contro a un periodo molto duro, sarebbe il caso di pensarci in tempo a trovare delle forme di aiuto alle persone affinché possano sopravvivere! Diamo la parola agli ascoltatori. Ascoltatrice – Avete detto cose molto interessanti, ma tutta quella gente che ha cercato di risparmiare e poi si trova coinvolta in questi crac finanziari, sia italiani che esteri, cosa può fare? Gotti Tedeschi – Anzitutto signora questa non è una truffa perpetrata da nessuna impresa italiana e neanche da nessuna banca italiana. Diciamo che l’Italia, tutta l’Europa, è una vittima innocente di un modello sbagliato e portato avanti in alcune decine di anni nel mondo nordamericano. Signora, incrociamo le dita anzitutto per l’impatto sull’economia reale, e quindi sul fatto che si possa continuare ad avere un dignitoso impiego non sostenuto dallo Stato con le varie casse integrazioni e salvagenti sociali. Per quanto riguarda invece l’uso del risparmio, non si faccia allettare da chi le propone dei rendimenti alti, perché ogni rendimento alto significa rischio alto! Ogni rendimento superiore all’investimento in titoli di stato a breve, significa rischio. Quindi lei valuti e si faccia spiegare sempre qual è il rischio effettivo. Oggi io suggerisco di accontentarsi fin quando non riusciremo ad uscire dalla crisi. Ascoltatore – Sono Andrea e chiamo da Genova. Io mi occupo di economia e desidero dire che dopo che c’è stato il primo venerdì di ottobre con il grande crollo dei mercati, la mia sensazione è stata che le banche dovessero fallire, ma non è successo perché in quel fine settimana i primi ministri hanno trovato un momentaneo supporto. Però la mia sensazione era che il mondo in realtà in quella settimana fosse cambiato di più che negli ultimi 40 anni, questo anche in linea con le vostre considerazioni, e cioè che questa crisi sia anche una crisi morale dell’economia nel suo insieme che è arrivata ad un collasso. Per questo chiedo, non sarebbe utile che dall’area cattolica escano degli spunti per quella che sarà l’economia del futuro? Cosa potrebbe suggerire o fare la Chiesa? Gotti Tedeschi – C’è un punto fondamentale che, come il nostro ascoltatore, fraintendono. Il mondo è cambiato negli ultimi tempi, nelle ultime settimane, dopo il venerdì nero?… No, il mondo cambia, continua a cambiare quando va contro natura o ignora la natura. Il peccato originale di questa crisi è nello sviluppo egoistico deciso forse da quegli ambienti neomalthusiani, dei limiti dello sviluppo, che dicevano che l’uomo è un elemento addirittura quasi negativo per l’equilibrio naturale. (Naturalmente gli enunciatori di questa filosofia ovviamente non si ritengono fra coloro che fanno danni… Nota del trascrittore). La
crisi di questa economia, di questa finanza, è dovuta a una crisi di valori. Per quello che può fare la Chiesa… Vedete: teniamo separati i due punti. E permettetemi di dirlo con grande forza. Distinguiamo tra fini e mezzi. Non facciamo confusione confondendo i fini con i mezzi! La finanza, l’economia e tutto il resto sono dei mezzi, la cui moralità non è in loro. Loro non sono né morali, né immorali. Chi li rende morali o immorali è l’uomo. Dipende dall’uso che ne fa l’uomo. Quindi il compito della Chiesa è quello di dare indicazioni morali (Come fa per altri campi del vivere umano. Nota del trascrittore). La Chiesa non dà indicazioni a riguardo delle leggi economiche da perseguire. La Chiesa dice soltanto che queste devono servire all’uomo, devono essere al servizio dell’uomo, della sua dignità, del suo progresso, del suo equilibrio, delle sue soddisfazioni, che non sono solo materiali. Sono spirituali. Se n’è accorto persino (scusate fores il persino è esagerato), se n’è accorto persino Tremonti. Il ministro Tremonti ha capito perfettamente questo punto. Essendo ministro dell’economia, da uomo politico ha capito che un Governo non può soddisfare l’uomo soltanto da un punto di vista materiale, perché lascia in lui un vuoto, un’attesa, una insoddisfazione che sono enormi!
Pellicciari – Certamente. Ad ogni modo, anche se io non capisco assolutamente nulla di economia, però so anche per esperienza che la storia la guida Dio. Quindi, secondo me, dietro questo cataclisma della finanza, che probabilmente avrà ripercussioni non solo sulla finanza, dietro questo cataclisma, chissà che non ci sia (il misterioso piano di) Dio. A questo proposito vorrei rifarmi a un n libretto che ho scritto – e di cui ho parlato a Radio Maria, al quale sono molto affezionata, che si chiama”Family Day” – e questo libretto credo possa essere utile per spiegare il perché i cattolici siano scesi in piazza, sia a Roma che a Madrid. I cattolici sono scesi in piazza perché il modello di sviluppo che l’elite internazionale, anche finanziaria, sta imponendo, è quel modello neomaltusiano a cui facevi riferimento. Cioè è un modello fondato sul fatto che alcuni “superintelligenti”, possono programmare quanti uomini debbono nascere e come deve essere la morale. È chiaro che questo progetto va contro il progetto di Dio, che è deliberazione di amore per l’uomo! Tutto ciò sta producendo (e ha sempre prodotto) danni inenarrabili! Chissà che questa scossa che è stata data alla finanza non sia anche una scossa provvidenziale nel senso che adesso avremo problemi più concreti da fronteggiare, quali il trovare lavoro e poter campare! Perciò non tanto al come pensare a produrre l’uomo in provetta, o… Che ti pare Ettore? Sono una fantasiosa? Gotti Tedeschi – No, questa volta sei stata tu a supportare una mia considerazione, e cioè che la natura vince sempre! Sai, noi ci riferiamo a un Dio Creatore, e questo distingue la nostra religione, la nostra fede e la nostra visione morale da tante altre che vanno più o meno di moda, incluse quelle laiche. Noi crediamo in un Dio Creatore, e se Dio è Creatore, l’avrà pur creata per qualche ragione questa Terra e questa gente? E quindi ha dato un senso alla sua creazione. Conseguentemente noi dobbiamo dare un senso a quello che facciamo. E quindi se noi andiamo controsenso, noi impediamo uno sviluppo di questa creatività di Dio che si traspone in noi. Io ricordo il discorso che ha fatto Benedetto XVI a Parigi al collegio dei Bernardin, in quel monastero cistercense, credo fondato da San Bernardo di Chiaravalle, che voglio ripetere come conclusione. Cito a memoria. Lui sostanzialmente, in un monastero, dove si pregava e si sviluppava il progresso, l’hora et labora. Lui dice: «La creazione non è finita. Dio lavora! Noi dobbiamo collaborare con Dio». Se noi impediamo questa creazione, che non è terminata, noi ci scontriamo direttamente col Creatore! Quando noi decidiamo, in pochissimi anni, di impedire alle coppie di fare figli, dicendo loro che è sbagliato, che è demenziale, addirittura paventando una forma di Medioevo futuro legato a queste famiglie numerose… troppa gente che cresce…! Oggi ci siamo resi conto, signori, di una cosa fondamentale, e cioè che la presenza di tanti figli è la ricchezza fondamentale con cui molte popolazioni, molte nazioni si stanno affermando sui mercati internazionali. E anche in economia! L’uomo è ricchezza! L’uomo è valore! L’uomo fa si che la famiglia investa e creda con fiducia nel futuro! Che cosa può essere un sistema economico fondato esclusivamente su un consumismo egoistico? Che cosa produce? Non produce nulla! E quindi va contro a quel istinto creativo con cui noi dovremmo lavorare e collaborare con il Creatore. Pellicciari – Certamente. Mi sono però ricordata che non ho chiuso il discorso prima, sulla Leeman Brothers. In questo libretto: “Family day”, citavo una notizia che aveva riportato il Corriere, lo scorso anno, riguardo a quella banca, che stava promuovendo in Asia, dove ancora l’omosessualità non è accettata, dei corsi esclusivamente riservati a omosessuali e lesbiche. Quindi, dopo averci detto che mettere al mondo figli è una cosa, in un certo senso, contro natura, che ci schiavizza e non ci rende liberi. Per contro è stata pubblicizzata in ogni modo possibile l’omosessualità. E la Leeman Brothers era al centro di questo cosiddetto sviluppo contro le caratteristiche naturali che Dio ha previsto. Ed è la prima grande banca che è fallita! Alle ore 11.50 la professoressa Pellicciari saluta cordialmente il banchiere cattolico Ettore Gotti Tedeschi, augurando Buon Natale. Gotti Tedeschi – Io, prima di tutto sono un cattolico che, oltre a fare la pappa ai bambini, faccio anche altre cose! Grazie di tutto! E si chiude tutto con una gioiosa risata.
Crisi economica: Stati Uniti e Cina, tempesta valutaria all’orizzonte
L’abissale livello del debito estero degli Usa e la svalutazione eccessiva e ingiustificata dello yuan cinese sono due elementi di forte rischio per l’economia e la stabilità mondiali. Le soluzioni trovate finora vanno bene agli organismi finanziari, ma non alle popolazioni. La nascita di una oligarchia “trasversale”, che unisce banche centrali, Partito comunista cinese, oligarchie russe, sceicchi del petrolio. Milano (AsiaNews)
– Dopo la crisi dei “sub-prime”, delle banche, delle borse, è in arrivo una nuova ondata dello stesso maremoto: forse prenderà le forme di una tempesta valutaria che toccherà non solo il dollaro e l’euro, ma anche la Cina e l’Asia, l’Est Europa ed i Paesi emergenti. Questa ipotesi contrasta con l’accordo raggiunto al G-20 di Washington tra i capi di Stato e di governo dei Paesi che rappresentano quasi il 90 % del Prodotto interno lordo (Pil) mondiale[1]. Tali Paesi si sono impegnati a non erigere nuove barriere tariffarie: la globalizzazione – essi dicono – non deve arrestarsi, non si deve ricadere nel protezionismo, commettendo lo stesso errore in cui si è caduti dopo la crisi del ’29. Questo consenso unanime sembra però solo un accordo di facciata. In realtà la globalizzazione si è sviluppata su un modello economico squilibrato. Finora essa ha potuto reggersi proprio sul controllo dell’emissione monetaria e su un protezionismo fatto di barriere doganali non tariffarie. La tempesta valutaria che è in arrivo non è che un violento e pericoloso riequilibrio del sistema degli scambi internazionali. Per affrontare la crisi, molti Paesi – e soprattutto gli Usa – hanno invaso il mercato con nuove immissioni di moneta.
Alla radice degli attuali sconvolgimenti economici non c’è però una crisi di liquidità, ma di solvibilità. Inondare il sistema di liquidità a debito non risolve il problema, ma lo aggrava. Per salvare il sistema bancario e finanziario la Fed ed il Ministero del Tesoro americano in poco tempo e per considerevoli importi – secondo Bloomberg, per 7’740 miliardi di dollari, circa 11 volte il valore originale del piano Paulson; il 56,19% del Pil Usa del 2007[2] – stanno indebitando il contribuente americano. Non sappiamo se questo è legale, ma ci chiediamo se sia legittimo non solo verso i cittadini americani, ma anche nei confronti del resto del mondo ed in particolare dei paesi asiatici, che sono tra i maggiori detentori di ricchezza monetaria denominata in dollari. Un modello economico squilibrato La globalizzazione si regge su di un modello economico squilibrato. Finora la locomotiva della domanda mondiale è stata fornita dai consumi privati e pubblici degli Stati Uniti. I consumi americani, cioè, hanno permesso la crescita economica di altri paesi, trainata dalle esportazioni. In questo schema, l’assurdo è che chi produce è sottopagato e deve risparmiare per fare credito a chi non produce e difficilmente potrà pagare. Il lavoratore in Cina, Brasile, India viene remunerato con uno stipendio da fame, per produrre beni calibrati su gusto ed esigenze del mercato statunitense (ed occidentale)[3]. Per pagarli, il consumatore americano non è in grado di produrre risorse e valore corrispondenti. Di fatti, l’andamento del Pil Usa è negativo dal terzo trimestre del 2000, se calcolato sulla base dei criteri di valutazione dell’inflazione precedenti all’epoca Clinton[4]. Nonostante ciò, il consumatore americano è stato spinto, lusingato, finanziato oltre i propri limiti, quasi costretto a comperare ogni genere di prodotto. Da qui la crisi di solvibilità. I fattori che concorrono a questo assurdo sono due: la liquidità finanziaria emessa e l’accumulo di riserve valutarie. Da un lato le autorità monetarie statunitensi hanno consentito l’abnorme emissione di moneta finanziaria, la cosiddetta M3. L’emissione eccessiva di una moneta, anche sotto forma di titoli finanziari a medio lungo termine, ne diluisce il valore reale. Questo avrebbe dovuto produrre una svalutazione del dollaro. E invece, la massa monetaria in dollari ha mantenuto un’accettazione inalterata come strumento di pagamento soprattutto in Asia e nei Paesi emergenti. Questo è stato possibile sia per il ruolo del dollaro – consolidato dal crollo dell’Urss – quale valuta di riserva mondiale, sia per una deliberata politica della Fed e del Tesoro americano. Grazie ad una serie di strumenti di ingegneria finanziaria, resi possibili dall’abolizione della legge Glass-Steagall decisa nel 1999 – ABS, CDS, contratti a termine sui tassi d’interesse ecc. – i titoli finanziari emessi in dollari sono stati dichiarati “sicuri”. Le agenzie di valutazione del credito classificavano questi valori mobiliari come privi di rischio, la famosa “tripla A” o a basso rischio (le obbligazioni Lehman, ad esempio). In tal modo il debito di istituzioni private diventava quasi moneta a pieno valore faciale e come tale veniva iscritta all’attivo di bilancio senza accantonamento di riserve per il rischio. Dall’altro lato, si deve registrare la fortissima sottostima, in termini di parità di potere d’acquisto, del tasso di cambio della valuta di alcuni paesi emergenti, in particolare della Cina. Essa è di fatto un sussidio molto potente alle esportazioni da tali paesi, che in effetti sono decollate oltre ogni misura e considerazione – qualità, tempi di consegna, assistenza, rete di vendita ecc. Si genera perciò un rapido incremento di riserve monetarie in Cina, Brasile, India e Russia, oltre che nei paesi esportatori di petrolio, e questo va a beneficio di ristrette oligarchie locali. Proprio in questo snodo, dall’assurdo scaturisce il tragico: l’incremento dell’instabilità politica internazionale. Infatti, la gran parte della popolazione dei Paesi emergenti viene pagata in moneta locale e non ha di fatto accesso ai benefici dell’incremento di riserve valutarie. Solo in Cina questo è il caso di circa 900 milioni di persone. Le oligarchie locali hanno priorità di consumo molto diverse dal resto della popolazione: espansione dell’area d’influenza ideologica o religiosa; armamenti convenzionali e nucleari; prestigio nazionale (v. le imprese spaziali); articoli di gran lusso, e così via. Viceversa, le popolazioni dei Paesi emergenti avrebbero una maggiore propensione al consumo di prodotti alimentari che potrebbero essere forniti dalle eccedenze strutturali di produzione delle derrate di paesi irrigui e con grandi estensioni adatte a coltivazioni agricole, come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e la stessa Unione Europea. Un incremento dei consumi alimentari dei paesi emergenti potrebbe perciò riequilibrare i flussi valutari. Invece, proprio il mantenimento di tassi di cambio sottovalutati produce nei paesi emergenti ed in particolare in Cina, una forte inflazione dei beni di consumo alimentare[5]. Il malessere interno produce tensioni che le oligarchie cercano ovviamente d’incanalare all’esterno. In alcuni Paesi ed in alcune circostanze storiche l’espansione trainata dalle esportazioni può, a certe condizioni, convivere con un equilibrio di sistema se la circolazione monetaria non viene distorta, ma soprattutto se non è pregiudicata la solvibilità del sistema stesso[6].
Nelle circostanze attuali quest’ultimo rischio non è affatto basso perché sono state sfondate alcune soglie di guardia. Il debito americano Un primo parametro di instabilità è dato dal debito esterno lordo americano: è passato da 6.946 miliardi di dollari – al 31/12/2003 – a 13.427 miliardi di dollari – al 31/12/2007[7]. È il circolante monetario internazionale ed alla fine dello scorso anno era pari a circa il 100 % [8]del PIL Usa. Nonostante il raddoppio in pochi anni, l’economia Usa non ha dimensioni sufficienti per continuare a fornire debito sovrano – che valga come moneta di riserva valutaria – in misura adeguata per la crescita dell’economia mondiale. Un secondo parametro è il dato sulla velocità di crescita del totale del debito pubblico americano ed anche questo è impressionante. Fino al 31/12/2007 il debito pubblico americano era di 10.600 miliardi di dollari ed il rapporto tra debito pubblico e Pil era del 76,75%. Con il piano Paulson e dopo il salvataggio di Fannie Mae e di Freddie Mac (ma senza AIG) è del 118,02%[9]. Se sono reali i dati Bloomberg di cui sopra – 7.740 miliardi di dollari di salvataggi – arriviamo ad un totale di circa 23.300 miliardi di dollari di debito pubblico e ad un rapporto pari al 169 % circa del Pil. In poco tempo il debito pubblico Usa è quasi raddoppiato o quasi triplicato. In ogni caso è diventato eccessivo. Seppure importanti, i parametri di cui sopra non sono decisivi. Uno studio del Fondo monetario internazionale (Imf)[10] ha identificato una soglia di altissimo rischio di crisi valutaria quando il livello di debito pubblico esterno detenuto da stranieri tocca il 60% del Pil. Ben inteso, anche altre condizioni concorrono a tale rischio – e si verificano anch’esse nel caso attuale degli Stati Uniti: un forte deficit corrente del bilancio statale[11] e della bilancia commerciale. Il punto cruciale è però proprio un’elevata percentuale di debito pubblico detenuta da investitori esteri. Per molti anni, infatti, a partire dalla 2a Guerra mondiale e fino circa al 1987 gli Stati Uniti sono stati creditori netti verso il resto del mondo. Non sappiamo ancora quale sia la percentuale del debito pubblico Usa detenuta da stranieri non residenti dopo i salvataggi di questo autunno. A fine 2007, gli ultimi dati ufficiali disponibili, il rapporto tra debito esterno lordo ed attività estere nette (Net Claims of Foreigners on U.S., tabella 13-5 del preventivo contabile 2009, “2009 Fiscal Year Budget”, governo degli Stati Uniti) era del 61,82 %[12], in crescita rispetto all’anno precedente – il 54,42 %. È probabile che nel 2008 sia ulteriormente aumentata, ma supponiamo che la percentuale sia rimasta simile a quella del 2007. Anche solo sulla base del primo dato (118,02% di debito pubblico rispetto al Pil) la soglia indicata nello studio dell’Imf sopra citato è stata superata (il rapporto è il 73 % circa del Pil Usa). Occorre però una precisazione. Lo studio del Fmi fa riferimento, come è ovvio, a paesi emergenti, la cui moneta non è, cioè, come il dollaro, valuta di riserva[13]. Non è perciò possibile stabilire con certezza quale sia il livello nel caso attuale degli Stati Uniti. Possiamo però supporre con ragionevole approssimazione che ci stiamo avvicinando in fretta ad un punto di rottura, anche perché sommando il debito pubblico americano agli impegni di spesa per sanità (Medicaid e Medicare) e pensioni (Social Security) si arriva ad un totale pari al 429,37 % del Pil[14]. Da ultimo ricordiamo che nel 2007 gli investitori esteri in attività finanziarie Usa erano soprattutto asiatici, Giappone e Cina in testa.
La Cina e la svalutazione dello yuan L’altra soglia di guardia è data da quanto da anni ad AsiaNews andiamo sostenendo: la smisurata, arbitraria sottovalutazione del tasso di cambio di molti Paesi emergenti. Nel caso della Cina essa è del 55,54%. In pratica Pechino ha mantenuto costante la svalutazione stabilita dalle autorità monetarie cinesi il 1° gennaio 1994 (1dollaro Usa = 8,62 Yuan Renminbi, Rmb) con l’unificazione dei due diversi tassi di cambio allora esistenti. Mediante tale svalutazione la Cina mirava ad assicurarsi condizioni favorevoli prima di dover abbattere i propri dazi doganali per entrare nel Wto (l’Organizzazione per il Commercio Internazionale). Attualmente, grazie al cambio tuttora controllato dalla Banca centrale cinese, 1 dollaro Usa equivale a circa 6,8798 Rmb. Un semplice calcolo, sulla base dei dati 2007 della Banca Mondiale (Bm), ci può chiarire la sottovalutazione del cambio. Il Pil cinese a tassi di cambio correnti è di 3.280 miliardi di dollari. Quello espresso in termini di Parità di Potere d’Acquisto (PPP, secondo l’acronimo inglese) è di 7.055 miliardi di dollari. Ne deduciamo perciò che il tasso di cambio reale dovrebbe essere ben diverso per esprimere il medesimo potere d’acquisto Se, infatti, applichiamo lo stesso rapporto tra Pil cinese in dollari correnti (il 6,04 % del Pil mondiale) e Pil cinese a PPP (il 10,78 % del Pil a PPP mondiale) dovremmo avere un rapporto di 1 dollaro Usa per 3,821 Rmb (la sottovalutazione di cui sopra – 55,54% – è calcolata su tale rapporto). A tale livello di cambio, però, non solo le esportazioni cinesi crollerebbero, ma la gran parte delle industrie cinesi dovrebbero chiudere e licenziare con pericoli per la classe dirigente e grossi sconvolgimenti sociali. La Cina – la fabbrica del mondo, finora considerata un modello di grande successo – ha, infatti, un sistema produttivo molto inefficiente se si compara risorse umane, capitali e materie prime impiegate con l’incremento unitario del Pil. La svalutazione cinese del 1994 fu considerata una delle cause della crisi asiatica del 1998. Di essa si disse anche che fu il prezzo pagato per l’equivalente asiatico del “crollo del muro di Berlino del 1989”, cioè della transizione dal comunismo all’economia di mercato. A distanza di dieci anni la storia economica sembra ripetersi, amplificata. Oligarchie trasversali Per la transizione dal comunismo la Cina ha adottato l’aggressivo modello di sviluppo trainato dalle esportazioni. Come è già stato osservato anche in altre epoche della storia economica, anche ora constatiamo che tale modello è privo di equilibrio intrinseco: ai nostri giorni esso produce una delocalizzazione industriale scriteriata ed è concausa di una crisi finanziaria mondiale. Ulteriormente protratto, oltre una certa soglia, rischia di causare una crisi valutaria senza precedenti come raggiustamento brutale del sistema. Finora il modello ha retto perché conveniente per chi detiene il potere: sulla moneta (la Fed ed in misura minore la BCE); sulla manodopera (il Partito Comunista Cinese ad esempio); sulle materie prime (gli sceicchi del Golfo, il complesso oligarchico russo ecc). Anche le conclusioni del G-20 di Washington – porre le fondamenta di un sistema monetario mondiale pur di salvare la globalizzazione – possono essere utili ad un’oligarchia trasversale a tutti i Paesi. Il controllo degli strumenti di pagamento è la base del potere. Oggi si vuole di fatto creare, dalle ceneri del dollaro, una nuova banca centrale mondiale – e, forse una nuova moneta euro-americana, o magari solo nordamericana, l’amero, non sappiamo. Questo è forse un bene per Bm, Wto, Fmi, Fsf (Financial Stability Forum), per le varie agenzie Onu, per chi controlla la Fed, la BCE, la Banca centrale cinese e le altre banche centrali. Non è detto che ciò sia un bene anche per il resto del mondo. di Maurizio d’Orlando, Asianews
[1] Bloomberg, News, November 16, 2008 – G-20 Calls for Action on Growth, Overhaul of Financial Rules – By Michael McKee and Simon Kennedy Bloomberg.com: Worldwide [2] Nostra elaborazione, su dati della Banca Mondiale (Bm) per il Prodotto interno lordo (Pil) e per il debito – 8’500 miliardi di dollari secondo altre fonti – su dati riportati in Bloomberg, News, November 24, 2008; U.S. Pledges Top $7.7 Trillion to Ease Frozen Credit – By Mark Pittman and Bob Ivry, Bloomberg.com: News. [3] Oltre tutto il lavoratore cinese deve mantenere un elevato livello di risparmio privato data l’assenza, in pratica, di un’adeguata struttura di previdenza sociale (sistema pensionistico, indennità di disoccupazione, cassa mutua sanitaria ecc.). In un contesto in cui i bilanci delle imprese, diciamo così, non sono sempre molto veritieri il piccolo risparmiatore cinese, che ha provato la strada dell’investimento azionario, ha visto i suoi risparmi falcidiati. Prima c’è stata un’ascesa che ha beneficiato solo i “bene informati” e poi il crollo dei listini di borsa, maggiore di quello di altre piazze finanziarie (AsiaNews, 22/05/2007 , CINA La Borsa cinese e il rischio della crisi economica – Asia News). Perciò il risparmio forzoso, che per altro deprime i consumi interni cinesi, non ha trovato e non trova altro reale sbocco se non il deposito in banche statali in perenne semi bancarotta. Da queste viene o canalizzato alle imprese seguendo criteri politici o trasferito alla Banca Centrale ed investito in buoni del Tesoro ed altre attività finanziarie in dollari. [4] Vedi Shadow Government Statistics, Inflation, Money Supply, GDP, Unemployment and the Dollar – Alternate Data Series [5] Vedi AsiaNews, 09/08/2007 CINA Ha raggiunto livelli allarmanti l’inflazione dei prodotti alimentari – Asia News [6] Il precedente della Germania guglielmina non depone però a favore perché proprio il fabbisogno di materie prime conseguente al dilagare del “Made in Germany” fu una delle cause nel 1914 del conflitto mondiale. [7] Dati del tesoro americano – al 31/12/2005 l’importo era di 9’476 miliardi di dollari. Vedi http://www.treasury.gov/tic/debtad03.html http://www.treasury.gov/tic/deb2ad07.html ; http://www.treasury.gov/tic/deb2ad05.html [8] Nostra elaborazione, su dati della Banca Mondiale (Bm) e dati del tesoro americano [9] Si tratta di una stima, vedi AsiaNews.it, 30/09/2008, Quanto è profondo l’abisso del caos economico, sociale e politico . [10] Vedi IMF, World Economic Outlook, Public Debt in Emerging Markets, September 2003 IMF World Economic Outlook (WEO)– September 2003 [11] Si verifica sia nel caso di insufficiente raccolta fiscale (Argentina, India, ecc.) che di livelli eccessivi di spesa pubblica rispetto al Pil. Quest’ultimo è il caso degli Stati Uniti dopo i salvataggi finanziari. [12] 8.300 miliardi di dollari rispetto al debito esterno lordo di cui sopra, 13.427 miliardi di dollari. Vedi http://www.whitehouse.gov/omb/budget/fy2009/pdf/spec.pdf [13] A tutt’oggi non esiste un comparabile precedente di insolvenza o moratoria sul debito pubblico, esclusi i periodi bellici, di un Paese la cui moneta sia valuta di riserva. [14] Vedi la precedente nota 9.
La crisi di un modello di sviluppo
Il piano recentemente varato dall’Esecutivo statunitense — che sembra quasi un atto dovuto da parte di un Governo che si sente corresponsabile — potrà forse evitare il peggio sui mercati finanziari, ma non potrà rimuovere le cause della crisi in un mondo occidentale che, nonostante vari tentativi, non ha saputo definire un modello di sviluppo capace di garantire una ricchezza stabile.
La lezione è semplice: lo sviluppo finanziario non è sostenibile, quindi o si ritorna a uno sviluppo reale, fatto di equilibrata crescita demografica, o ci si deve preparare a vivere con sobrietà. Ma quali sono gli effetti più probabili che il piano di salvataggio statunitense avrà sul mercato, sul sistema bancario e sull’economia reale? Con questa decisione governativa sono stati risolti, negli Stati Uniti e solo indirettamente in Europa, problemi di rischio di solvibilità del sistema bancario e di mancanza di liquidità sui mercati interbancari. Le banche europee potranno essere più sicure che gli effetti della crisi — controllata dal Governo statunitense — non provocheranno danni ulteriori. I Governi riscriveranno adesso le regole del gioco riguardo al funzionamento dei mercati finanziari (speculazioni, vincoli di leva sul debito, funzionamento dei futures, patrimonializzazione delle banche). Gli effetti successivi su quel sistema bancario che si è divertito a inventare operazioni sofisticate, miranti a espandere e che invece confondevano l’economia reale, saranno pesanti. Lo saranno soprattutto sui risultati economici che sono stati troppo orientati al profitto a breve, troppo legati alla moltiplicazione delle commissioni, troppo fondati sul ricorso al debito. Sono stati, in breve, troppo rischiosi. Il sistema bancario dovrà tornare al mestiere originale di intermediazione e di raccolta attraverso depositi (come avvenuto per Morgan Stanley e Goldman Sachs), dovrà assorbire le conseguenze degli eccessi ricapitalizzandosi e dovrà probabilmente anche sottoscrivere i titoli emessi dai Governi per gestire la crisi. Conseguentemente, sarà obbligato a ridurre drasticamente i costi e dovrà essere più selettivo nel credito, con effetti immaginabili sull’economia reale. L’economia reale stessa sarà anche influenzata dalle iniziative dei Governi per combattere la crisi: sarà necessario capire quante tasse verranno imposte, quanti titoli verranno collocati sul mercato, chi li sottoscriverà e a quali tassi di interesse. Non va dimenticato che sia negli Stati Uniti che in Europa la struttura economica è fragile: c’è una grande capacità produttiva inutilizzata (si pensi al settore auto) e un forte rischio di disoccupazione. Vi è diminuzione di domanda e la minaccia di una recessione coesistente con lo spettro dell’inflazione da costi di materie prime.
Sui mercati restano poi ulteriori rischi legati a quell’enorme massa di capitali speculativi collocati in giro per il mondo e gestiti in modo spesso poco responsabile. Sono capitali che potrebbero influenzare dall’esterno le economie occidentali, al momento così vulnerabili. Come detto, l’intervento del Governo statunitense affronterà gli effetti, ma non rimuoverà le cause della crisi attuale, per la quale sono sotto accusa l’ingordigia dei manager e la mancanza di controlli. Ma, curiosamente, non ci si riferisce mai a un’indiretta responsabilità del sistema di governo politico dell’economia, che ha tentato di surrogare la mancanza di sviluppo reale con lo sviluppo finanziario. È un particolare che potrebbe spiegare l’iniziativa del Governo statunitense come un’assunzione di responsabilità, seppure parziale. Il problema, che si continua a tacere ma che continua a emergere, è che il mondo occidentale non è riuscito a correggere la mancanza di sviluppo reale conseguente al crollo demografico da esso voluto e subito. Non c’è riuscito con il progetto della new economy, non c’è riuscito accelerando la crescita asiatica con il trasferimento delle produzioni a basso costo, non c’è riuscito inventandosi la crescita del Pil attraverso modelli finanziari rischiosi, mal concepiti e mal controllati. Per sostenere questo Pil fittizio, le banche hanno finanziato ciò che non era finanziabile perché non garantito — come i mutui — creando una crescita economica a debito e pertanto rischiosissima. È stata una crescita virtuale che a sua volta ha provocato l’aumento altrettanto artificiale dei prezzi degli immobili, causando di conseguenza la riduzione delle garanzie reali e maggiori rischi di insolvenza. E a crescere sono stati solo le commissioni, gli utili delle banche e i bonus dei manager. Ma l’economia mondiale non può essere gestita empiricamente, forzando il mercato a barare. La finanza non può inventare la crescita del Pil, può solo sostenerla, se ben gestita e trasparente. Lo sviluppo reale non può invece prescindere dalla crescita demografica equilibrata. Ignorare o trascurare questa verità porterebbe solo a un surrogato di sviluppo che, come si è visto, è una costosa e rischiosa illusione. di Ettore Gotti Tedeschi, presidente del Santander consumer Bank spa
I mutui subprime, la frode della Casta delle banche
L’Fbi ha messo sotto inchiesta 14 istituzioni finanziarie per lo scandalo dei mutui subprime. Era ora. Ricapitoliamo: per uscire dalla crisi di inizio decennio provocata dal crollo del Nasdaq e dall’11 settembre, la Banca centrale americana ha abbassato i tassi ai minimi storici, sfiorando lo zero. L’economia si è ripresa, ma le grandi banche ne hanno approfittato per gonfiare artificialmente il mercato immobiliare. Come? Inducendo milioni di cittadini a comprare casa anche quando non potevano permetterselo, grazie ai mutui subprime, che coprono fino al 100% del costo, richiedono basse garanzie sul reddito e garantiscono (anzi, garantivano) inizialmente tassi molto bassi.
Ma quando i tassi hanno ripreso a salire, è arrivato il conto: molta gente non ce l’ha più fatta a sostenere rate improvvisamente stratosferiche. Normalmente in questi casi a pagarne le conseguenze sono le banche che hanno emesso il mutuo. E invece no, questi gentiluomini avevano spalmato il rischio subprime usando strumenti finanziari collaterali (obbligazioni e più in generale titoli di debito), rivolti inizialmente a società specializzate ,ma poi diffusi in tutti mercati, pe
rsino in quelli monetari, senza rivelarne il vero livello di rischio. Risultato: ancora oggi la maggior parte delle banche non sa se ha in portafogli titoli “puliti” o avariati. Insomma, le grande banche si sono arricchite con metodi poco trasparenti, cercando di far pagare surretiziamente ad altri la fattura. Da qui l’inchiesta dell’Fbi per frode. Come non definire banditesco questo comportamento? Il prezzo lo sta pagando l’economia mondiale; insomma, lo stiamo pagando tutti noi. La vicenda induce ad altre considerazioni. Perché le istituzioni incaricate dei controlli hanno lasciato fare? Dov’erano le agenzie di rating? Possibile che la lezione degli scandali Enron, Parmalat, Swissair sia già stata dimenticata? E con che faccia banche come Citigroup, Ubs, Morgan Stanley continuano ad emettere giudizi sulle società quotate in borsa? Un po’ di coerenza, per cortesia. Io dico: ben venga l’ inchiesta; che l’Fbi faccia davvero pulizia. Marcello Foa
I mutui “subprime” annunciano la più grande crisi finanziaria dopo il ’29
Secondo studiosi americani il volume di titoli privi di valore si aggira sui 20 mila miliardi di dollari. A rischio chiusura diverse banche americane ed europee. Pochi i contraccolpi sull’Asia. La curiosa notizia della nuova moneta nordamericana: l’Amero. Milano (AsiaNews) –
La vicenda della montagna di mutui fuori parametro (subprime) concessa dalle società di credito fondiario in America, di per sé è già dirompente e sta mettendo in crisi non poche banche. Negli Stati Uniti i gruppi più esposti sono giganti come Citigroup e Bank of America, a causa soprattutto delle proprie controllate specializzate in intermediazione titoli. In Europa, secondo voci di mercato, si parla di possibili difficoltà – o addirittura di crollo – per banche del calibro di Deutsche Bank, Barclays, BNP Paribas oltre a grandi finanziarie, assicurazioni (si parla di Axa) e fondi pensioni. Ma tutto ciò è solo la parte emersa del problema. Secondo Mike Whitney[1], un analista finanziario americano, il totale di titoli circolanti emessi nei mercati non regolamentati e privi di patrimonialità reale, è di 20 mila miliardi di dollari[2].
A quanto pare, finora né il grande pubblico, né i professionisti di Wall Street si erano accorti del “buco”. Questi 20 mila miliardi di dollari di titoli sono privi di mercato e quindi privi di valore. Anche se la Fed dovesse rendere molto più indulgenti le regole sulle riserve, l’attuale sistema finanziario è destinato ad affrontare la più grave crisi da 80 anni ad oggi, perché non è un problema di liquidità, ma di solvibilità. Le banche ormai hanno paura a finanziarsi a vicenda perché non conoscono i reali livelli reciproci di insolvenze. Si è arrivati al punto che sul mercato interbancario di Londra non ci si arrischia a prestare denaro oltre il termine di un giorno.
Greenspan e la finanza speculativa Il problema si è andato originando negli Usa, a partire dal 1987, quando con pressioni della lobby bancaria – mediante “elargizioni” costate 300 milioni di dollari – si è riusciti ad ottenere passo passo l’abolizione della legge Glass-Steagall, approvata dal parlamento americano dopo la crisi del ’29. La completa abolizione della legge è stata ottenuta nel 1999 grazie al presidente Bill Clinton. A suo tempo, la legge era stata approvata per evitare il conflitto d’interessi tra banche e società che sottoscrivono obbligazioni ed azioni. Principale fautore di questa liberalizzazione finanziaria è stato il precedente presidente della Fed, Alan Greenspan. Questi, divenuto governatore nel 1987, prima di tale nomina era stato membro del consiglio d’amministrazione della J.P. Morgan, la prima banca ad usufruire della liberalizzazione. Nei 18 anni di governatorato di Greenspan si è avuta la più grande espansione della finanza speculativa della storia mondiale. Adesso il problema sta emergendo lentamente, ma è come un treno che, una volta in moto, nessuno, nemmeno la Fed, può più arrestare ed è lanciato su dei binari di scadenze improrogabili. Se le cifre riportate nell’articolo di Mike Whitney sono corrette, un crollo di borsa come quello del ’29-’30 sarebbe più che imminente; forse anche di dimensioni maggiori, perchè la crisi avrebbe dimensioni planetarie. In questo ultimo periodo, i grandi gruppi finanziari e bancari americani si sono premuniti piazzando i titoli spazzatura sia in Europa che in Asia. In Asia è noto che il patrimonio delle maggiori istituzioni bancarie e finanziarie è costituito – quasi di norma – da titoli statunitensi, espressi in dollari.
Essi sono valutati AA o addirittura AAA dalle agenzie, cosiddette indipendenti, di valutazione dei valori mobiliari, come Standard & Poors, Moody’s e Fitch. Come per indiscussa convenzione di tesoreria tali titoli stimati primari sono – ma forse è meglio dire “erano” – considerati virtualmente privi di rischio. Ad essere esposte in prima linea dovrebbero esserci teoricamente i fondi pensione, le assicurazioni e le grandi fondazioni americane, come pure i maggiori gruppi finanziari e bancari statunitensi, che sono all’origine dell’emissione incontrollata di titoli atipici di questi lunghi decenni. Eppure c’è da dubitare che chi ha le chiavi del potere finanziario e monetario sia chiamato a rispondere dei propri misfatti. Alla radice del problema, infatti, ci sono le banche centrali ed in primo luogo la Fed, che da tempo aveva un chiaro quadro della situazione. Chi controlla la Fed, sa dunque che non può fornire la soluzione nell’ambito stesso della Fed. Amero, la nuova moneta del Nord America In questo scenario di imminente crisi bancaria è emersa una curiosa notizia: gli Stati Uniti si preparano, insieme a Canada e Messico, a lanciare una moneta unica, detta “Amero”. In altri termini dopo l’esplosione cruenta della bolla monetaria da tempo covata, la soluzione proposta sarebbe l’abolizione del dollaro, sostituito dalla valuta dell’Unione del Nord America, l’Amero appunto. A tale unione monetaria, oltre agli Stati Uniti, verrebbero costretti a farne parte il Messico, cui l’idea in linea di principio potrebbe non dispiacere, ed il Canada che non gradisce nemmeno un po’ l’idea di perdere la propria sovranità monetaria, ma che non vi si può sottrarre, pena la minaccia di perdere la cospicua fetta del proprio patrimonio espressa in dollari statunitensi, che diverrebbero privi di valore.
Dell’Unione del Nord America se ne era parlato a Waco nel Texas nel marzo 2005 tra Bush, il presidente messicano Fox ed il primo ministro canadese Martin. Il progetto era stato poi ripreso nel corso dello stesso anno da un rapporto del Consiglio Relazioni Estere (Council on Foreign Relations – CFR), lo stesso potente gruppo di potere da cui sono stati espressi quasi tutti i presidenti statunitensi sia democratici e che repubblicani e da un gruppo di lavoro interministeriale dei tre paesi. Su Wikipedia.com alla voce “Amero” sono già riprodotte delle foto di coniazioni, definite “prototipi”. Su “Youtube”[3] è disponibile un filmato in cui ridiscute dell’Amero alla televisione commerciale americana CNBC. Di recente il sito http://www.halturnershow.com/AmeroCoinArrives.html, ha mostrato delle foto con tali coniazioni, ma con in più una piccola “D” stampigliata nella moneta da 20 Amero. La “D” starebbe ad indicare che tale moneta proverrebbe dalla zecca di Denver. Curiosamente[4], la zecca di Denver è chiusa alle visite al pubblico per lavori di ristrutturazione fino al 28 settembre. AsiaNews non è in grado di stabilire se tutto ciò è realmente fondato. Certo è che il progetto sembrerebbe ben articolato[5]. L’Unione Nordamericana avrebbe una popolazione simile a quella dell’Unione Europea, e sarebbe la risposta adeguata all’attuale crisi bancaria destinata fatalmente a risolversi in crisi monetaria.
Di fatto, più che un’unione monetaria, questa operazione sarebbe l’inglobamento di metà del continente americano negli Stati Uniti. Per l’Asia più che gli aspetti politici – tutta l’area è da tempo il cortile di casa degli Stati Uniti – sono interessanti le conseguenze economiche. In primo luogo l’Amero sarebbe decisamente meno forte del dollaro, a causa della presenza del peso messicano, protagonista di una non lontana insolvenza. In tal modo il valore dell’Amero rispetto alle altre valute mondiali si deprezzerebbe in modo rapido, costringendo la Cina e tutta l’Asia ad una rapida rivalutazione di fatto delle proprie monete che di propria sponte non hanno mai dato mostra di aver realmente intenzione di attuare. In secondo luogo la conversione dei dollari circolanti fuori dagli Stati Uniti sarebbe sottoposta a logiche misure anti-riciclaggio e di legittimità di possesso. In Asia ed in molti altri paesi del mondo, il pagamento in contanti ed in dollari è più diffuso di quanto non si pensi. Anche in questo caso gli effetti non mancherebbero e non sarebbero di poco conto.
[1] Vedi: http://onlinejournal.com/artman/publish/article_2396.shtml . [2] Secondo informazioni che AsiaNews ha tratto dalla BRI, la Banca dei Regolamenti Internazionali, includendo i derivati ed i contratti atipici, il totale della finanza non convenzionale è molto di più, quasi cinquanta volte il Pil mondiale. [3] Vedi: http://www.youtube.com/watch?v=6hiPrsc9g98 [4] Vedi: http://www.usmint.gov/mint_tours/index.cfm?action=StartReservation [5] Vedi: http://en.wikipedia.org/wiki/Independent_Task_Force_on_North_America .(Asianews)
E’ tempo di uscire dalla torre di Babele.
In quel di Cernobbio, sul lago di Como, nel pomposo scenario di Villa d’Este, alla fine di ogni estate si celebrano i riti del Seminario Ambrosetti. Lì, i bei nomi dell’establishment internazionale si esibiscono in dissertazioni sull’«Accadrà Domani», distribuendo analisi e ricette, con propensione all’ottimismo.
Altrimenti detto: illuministicamente paladini di uno sviluppo ininterrotto; considerando i problemi che di volta in volta emergono, incidenti di percorso del capitalismo rampante. Questa volta, il Seminario è caduto in un momento sfavorevole. In Usa, subito propagandosi a macchia d’olio, è esplosa la bolla dei crediti facili e speculativi concessi al settore immobiliare, ma non solo a questo; ovunque, le Borse hanno patito, dopo un triennio di crescita spesso scomposta e speculativa, ribassi dell’ordine del 20%. Nell’occhio del ciclone (stagionale o devastante?), i titoli bancari, ancora a luglio considerati dai guru della Finanza (quelle Agenzie che distribuiscono le «pagelle di merito», ora sotto accusa), gioielli del firmamento capitalistico.
Che è successo? Dal confuso bla-bla-bla lacustre, qualche voce non allineata è uscita dal coro. L’ex ministro Giulio Tremonti ha diagnosticato senza giri di parole: «Siamo di fronte a una crisi con la "C" maiuscola». Pur non paragonandola a quella del 1929, poco c’è mancato. Edward Luttwak, politologo-economista statunitense già consigliere alla Casa Bianca, ha denunciato una dilagante «crisi di sfiducia». Paolo Panerai direttore di Milano Finanza, attento come pochi a ciò che bolle in pentola, ha spiegato ieri nell’editoriale: «Pur con tutti i sofisticati strumenti di analisi di cui dispone il mondo economico, nessuno ha la certezza di cosa sia accaduto e stia accadendo nella fornace di quel vulcano sempre in ebollizione che è il mondo della finanza e delle banche». Grave (auguriamoci non tragica), constatazione. D’altra parte, è casuale che il ministro Padoa-Schioppa abbia convocato d’urgenza il Com itato interministeriale per il credito e il risparmio? Sino a pochi giorni fa, a spegnere i focolai d’interrogativi, si era ribadito che: primo, non esistevano rischi di contagio per l’Italia; secondo, non sussisteva alcun timore di ripercussioni sull’economia reale (ovvero produzione, occupazione, consumi).
È seguita una rapida retromarcia. All’ammissione di una inevitabile frenata della crescita, dall’America all’Asia all’Europa, con l’Italia ancora più annaspante, si sono sovrapposti timori (probabilmente psicologici) attizzati dall’arrivo nelle Borse di torme di avvoltoi ribassisti. Risultato finale: le «nostre carissime Banche» hanno cessato di essere al di sopra di ogni sospetto. Stanno venendo alla luce oscure gestioni «fuori bilancio», in cui si scaricavano, a farla semplice, i crediti inesigibili o quasi. Da lì nugoli di intrecci, con passaggi di mano in mano. Traguardo finale, lo scaricare i rischi su spesso ignari risparmiatori attraverso la cosiddetta «ingegneria finanziaria». Evitiamo processi anticipati. Tuttavia, un «puzzo di bruciato» lo si percepiva. Conferma: vi sono attualmente Banche che negano alle consorelle rifinanziamenti overnight (giornalieri), per coprire le posizioni debitorie. Onde sopperirli sono dovuti intervenire con iniezioni di insulina le Banche centrali. Così a Washington, a Londra, a Tokyo. E a Francoforte, per l’Unione Europea. Sino a un anno fa, avanti di andare in pensione, Alan Greenspan, dominus della Fed (la Banca centrale statunitense), ammoniva inascoltato: «Attenti amici banchieri!, state costruendo la Torre di Babele». Grillo parlante, Cassandra, o profeta? Indisponibili al catastrofismo, ma realistici, chiediamo pertanto al sistema bancario italiano di renderci partecipi dei «veri bilanci», dell’effettiva esposizione. È l’unico modo per reinstaurare una vera fiducia fra risparmiatori e istituzioni finanziarie. Essenziale per superare un momento di pericoloso sbandamento. (G. Galli, Avvenire, 9/9/2007)
Ossigeno alle borse. E ai risparmiatori?
Giancarlo Galli
Che il Sistema finanziario internazionale si sia preso, in piena estate, non una passeggera bronchite ma una brutta polmonite, è ormai accertato. Non che il malato si trovi in pericolo di vita, ma certamente il decorso della malattia sarà lungo e tormentato. Per riprendere le forze, ritrovare lo slancio, occorreranno svariate stagioni. D’altra parte è questo, storicamente, il diabolico ritmo dei cicli dei mercati cui presiede il dio denaro: 3-5 anni di crescita, poi il capitombolo. Nessuno stupore, quindi. Semmai, c’è da restare allibiti per la banalità delle reazioni di tanti uomini politici e banchieri illustri: promettono di voler “fare chiarezza”. In che mondo vivevano sino alla passata settimana, quando si sciacquavano la bocca con annunci di crescita dell’economia, di sviluppo della produzione dei consumi? Sarebbe opportuno che tanti “signori” anziché gingillarsi sui perché del crac, spiegassero (senza perdersi in giri di parole con cui tentano di impacchettare il fumo delle loro idee), come intendano agire. Ieri alle 14,38 ora europea, con mossa tempestiva la Federal Reserve Usa ha ridotto di mezzo punto il costo del denaro. E il paziente ha reagito con un improvviso rimbalzo delle quotazioni: ulteriore indice di un pericoloso nervosismo, anche perché la Fed ha motivato la decisione come sforzo per impedire che la crisi contagiasse l’economia reale. Questo è infatti il pericolo incombente. Da qualche giorno centinaia di milioni di famiglie, sparse per il pianeta, hanno visto decurtato, almeno sulla carta, i loro patrimoni. La perdita di valore dei Fondi d’investimento, dei titoli azionari, delle obbligazioni degli immobili ci ha resi, almeno psicologicamente più poveri. Le prime contrazioni dei consumi, già si manifestano nel settore delle materie prime mentre vi è chi sta riscoprendo l’oro quale bene-rifugio. Nel contempo, l’attività finanziaria sta subendo battute d’arresto: è probabile che di fuochi d’artificio se ne vedranno pochi in futuro. Meno fusioni , meno acquisizioni. Purtroppo, c’è da temere anche meno investimenti da parte delle imprese. I pessimisti sono i primi a ritenere che se la “normalità finanziaria” non verrà ristabilita entro settembre, a fine anno avremo un azzeramento della crescita. Anticamera di una probabile recessione. Altri, meno catastrofici, ritengono che si avrà “solo” una riduzione nella dinamica del Pil attorno allo 0,5 per cento. Pressoché unanime, comunque l’opinione: moltissimo dipende dalle reazioni della massa dei risparmiatori. Troppo facile però richiedere loro di “mantenere i nervi saldi”, da parte di quanti “non potevano non sapere”. ? un problema che al di là delle analisi macro economiche, delle dissertazioni, a sfondo etico-ideologico sul capitalismo speculativo e i suoi misfatti, tocca da vicino il portafoglio delle famiglie, le pensioni integrative. E come tale va visto e giudicato. Con la recente trasformazione del Tfr; la liquidazione di fine rapporto, erano state dipinte ed esaltate le meraviglie dei Fondi alternativi, il cosiddetto “secondo pilastro” pensionistico. Quanto sta accadendo va provocando una legittima ansia nelle famiglie. Vediamo ovunque banche, compagnie di assicurazione, nell’occhio del ciclone. Sono solide, viene ribadito, e prestiamo fede; ma sono pure le stesse che in troppi casi pur di lucrare provvigioni hanno agevolato la messa in circolazione di quei “prodotti” di incerta identità e dagli oscuri risvolti, all’origine dell’attuale terremoto. Forse e senza forse, affinché alla gente comune – che costituisce la spina dorsale e morale di ogni nazione – venga restituita la meritata serenità, occorre che da questa crisi scaturisca qualcosa di veramente nuovo: un recupero della perduta trasparenza bancaria. Solo in questo modo sarà possibile risalire la china rimettendo il necessario ordine nel mondo della Finanza.(Avvenire, 18/8/207)
Mutui in Trentino: le famiglie sempre più indebitate
Nei giorni scorsi il Corriere del Trentino ha giustamente riservato grande evidenza al fenomeno dell’aumento del numero di trentini che ogni anno ricorre ad un mutuo per l’acquisto della prima casa, caratterizzato dal contemporaneo aumento degli importi e della durata dei mutui stessi. Non credo sia esagerato affermare che i dati forniti dall’Osservatorio sulle politiche abitative” del Comune di Trento sono, a dir poco, allarmanti. Cercando di non annoiare il lettore con un’eccessiva profusioni di cifre e percentuali, vorrei, però, provare, sia pure sinteticamente e per punti, ad elencare le ragioni di tale allarme.
1. In soli 6 anni sono cresciuti di circa il 30% i mutui per importo da 100 a 200 mila euro e del 13% quelli da 200 a 500 mila, a scapito dei mutui fino a 100 mila euro diminuiti del 40%.
2. Si allunga anche la durata media del mutuo, ma in questo caso la perdita di circa 20 punti percentuali sulla parte bassa (11-15 anni) non si travasa sulla fascia media (16-20 anni) che rimane invariata, bensì su quella fra i 21 e 25 anni che passa dallo 0,94% al 24,08% per utilizzo da parte dei fruitori (tutto ciò sempre in soli 6 anni).
3. Le famiglie si indebitano mediamente quasi del doppio dell’importo e per quasi il doppio di durata media del mutuo.
I dati offerti dal Comune di Trento andrebbero, però, integrati per meglio inquadrare la situazione reale. Ad esempio, non conosciamo il numero degli alloggi sfitti o comunque vuoti: erano 3.071 nel 2001 e c’è da immaginarsi che oggi siano molti di più considerato che la crisi della borsa, proprio nel 2000-2001, ha prodotto una fuga verso il mattone di quanti avevano liquidità da investire.
Sarebbe anche interessante cercare di capire quale sia la fascia sociale interessata da tale dinamica dei mutui, ma i dati disponibili non lo consentono. Penso però di non sbagliare dicendo che, ancora una volta, stiamo parlando del ceto medio, non le fasce deboli che si rivolgono piuttosto all’edilizia pubblica e non quelle abbienti che, potendo, preferiscono non indebitarsi.
Gli effetti negativi di tale situazione sono facilmente prevedibili. Le famiglie si ritrovano sempre più idebitate e ciò fino all’età della pensione, se non oltre. Ciò si ripercuote anche sui figli che, in misura molto inferiore al passato, potranno contare sul sostegno della famiglia d’origine per acquistare una loro abitazione e costituire una propria famiglia.
E c’è di più: cosa potrebbe, infatti, accadere nel caso di un’improvvisa impennata dei tassi d’interesse, eventualità sempre possibile sui mercati finanziari? Il primo effetto sarebbe il “fallimento” delle famiglie (fenomeno che già si registra negli Usa con i cosiddetti mutui sub-prime), costrette a svendere sul mercato la propria abitazione.
Come può una famiglia pagare una rata di 1.000 – 1.200 euro al mese avendo a disposizione un reddito medio di poco superiore a tale importo? Anche quando a lavorare sono entrambi i coniugi, una simile cifra constituisce un onere che pone in seria difficoltà il bilancio famigliare.
Il seguente esempio dimostra cosa può avvenire nel caso di una crescita dei tassi d’interesse sui mutui in essere. Con un mutuo di 200.000 € al tasso del 5% per una durata di 25 anni: la rata mensile è di 1.183 €. Se il tasso sale di 2 punti, al 7%, la rata raggiunge i 1.430 €. Ulteriori altri due punti di aumento del tasso d’interesse, fino al 9%, fanno lievitare la rata a 1.697 €.
Soffermarsi sulle cause di questa situazione sarebbe utile, se non altro per tentare di prospettare possibili interventi, ma sarebbe anche piuttosto complicato e lungo, vista la molteplicità di fattori che ritengo vi abbiano concorso. Penso, ad esempio, alla spinta speculativa seguita all’introduzione della moneta unica europea, alla perdita di appeal dell’investimento azionario (almeno nel 2000-2002) e alla diminuzione dei tassi d’interesse sugli investimenti.
E’ quindi tempo di porre mano ad una nuova normativa sull’edilizia agevolata e ad intervenire per contenere gli effetti del caro mattone avendo a cuore che le famiglie non “falliscano” economicamente oberate da debiti insostenibili per un bene che nel nostro Paese è considerato primario e favorendo la messa in disponibilità sul mercato delle locazioni gli innumerevoli alloggi sfitti anche verificando nuove forme contrattuali che garantiscano un equilibrio tra le esigenze dei proprietari e quelle di chi prende in affitto l’immobile, attivando anche politiche che scoraggino l’investimento in immobili a soli fini speculativi, lasciandoli di fatto sfitti (ad esempio verificando l’applicazione di una tariffa ICI progressiva (simile all’Irpef) in proporzione al numero di anni in cui l’immobile viene lasciato sfitto).
Non dico che ciò sia facile, perché il mercato segue regole e dinamiche su cui la politica non sempre può incidere. Almeno, però, bisogna provarci. E’ una questione di responsabilità.
BORSA SI O BORSA NO? Vediamoci chiaro.
Alla luce dei recenti titoli di alcuni giornali che parlavano di un vistoso crollo del mercato borsistico o comunque di una forte correzione, sull’onda lunga della perdita del mercato cinese, vorrei fare alcune considerazioni al fine di fare un po’ di chiarezza sul corretto uso del termine “crollo” per quanto riguarda il mercato azionario. Spesso infatti il risparmiatore è portato in inganno e teme per i suoi investimenti sulla base dei commenti più o meno apocalittici di taluni analisti finanziari. Definiamo innanzitutto alcune regole base per comprendere il mercato, dove per l’accezione “mercato” intendo dire mercati finanziari in generale. In primo luogo il mercato non è un luogo schizofrenico dove i prezzi salgono o scendono a seconda degli umori ma un preciso termometro dell’economia che registra con un certo anticipo i cambiamenti dell’economia reale, cioè per semplificare la crescita o meno del PIL o per dirla in altri termini la fase di espansione o recessione di un’economia. Solitamente se l’economia reale registra oggi dei forti tassi di crescita ed i giornali parlano di fase espansiva, il mercato ha anticipato nei prezzi questa crescita di circa 6-12 mesi. Ciò significa che i prezzi delle azioni e quindi i guadagni dei risparmiatori hanno iniziato la loro corsa ben prima dell’ufficialità delle notizie. Lo stesso dicasi per le fasi recessive: quando i giornali parlano apertamente di recessione, i mercati hanno perso una buona parte del loro valore. In secondo luogo quando in finanza si parla di lungo periodo, questo equivale normalmente ad un periodo almeno maggiore ai cinque anni che può arrivare sino a 10 anni. In terzo luogo è vero che l’economia è diventata globale e quindi i mutamenti che si registrano in un mercato (chiamiamolo pure Wall Street per indicare la borsa americana) si riflettono sugli altri mercati, ma è anche vero che se analizziamo gli indici dei principali paesi al mondo troveremo delle considerevoli differenze sul lungo periodo, quindi non è sempre vero che i mercati seguono pedissequamente la stessa direzione e questo è tanto meno vero quanto più ci spostiamo nel tempo. Un altro elemento da tenere presente se vogliamo valutare attentamente la situazione di un mercato finanziario è quello di considerare la sua evoluzione partendo da una rappresentazione grafica in quanto risulta difficile ricordarsi il mutare dei prezzi nel tempo e l’evoluzione che hanno seguito. Per chiarire meglio quanto voglio asserire con questo articolo, pubblico di seguito 3 grafici dell’indice MIBTEL (uno degli indici più rappresentativi del mercato azionario italiano) presi su diversi archi temporali.
Il primo grafico è di solito quello che trovate pubblicato. Mostra un arco temporale di pochi mesi e fa vedere come il mercato abbia perso parecchio terreno rispetto ai valori massimi. Il risparmiatore che considera solo questo grafico, ha una visione parziale della realtà ed il timore per di perdere il suo capitale non sarebbe suffragato dai fatti.
Il secondo grafico (clicca per accedere) che mostro invece è più difficile da trovare per i non addetti ai lavori. Mostra un arco temporale di 3-4 anni all’interno dei quali si nota come il Mibtel sia passato da circa 20.000 punti a più di 33.000 con una variazione percentuale positiva del 65% all’interno del periodo considerato. In poche parole chi avesse investito 20.000 euro all’inizio del 2004, avrebbe ottenuto un capitale di circa 33.000 ad inizio 2007. In questo contesto la “correzione” avvenuta qualche settimana fa, appare di modeste dimensioni rispetto al precedente grafico e come si può vedere non è la prima che il mercato ha fatto registrare nel corso di questi 3 anni. Sempre per semplificare al massimo, chi avesse investito i soliti 20.000 euro, dopo le recenti perdite dei mercati ne otterrebbe 31.000, diciamo un minor guadagno accettabile visti i considerevoli rialzi avvenuti.
Il terzo grafico ( clicca per accedere) che posto, è raramente pubblicato dalla grande stampa, ma è il grafico che più di tutti fa cogliere i reali movimenti del mercato borsistico italiano avvenuti negli ultimi anni. E’un grafico determinante per chi vuole investire nel lungo periodo i suoi risparmi. Per fare solo due battute, emerge in modo chiaro, come la perdita dei mercati delle scorse settimane, sia cosa risibile in confronto alla corsa effettuata dal 2003 in avanti. Si evidenzia ancora come il mercato abbia già raggiunto i 35.000 punti dell’indice Mibte agli inizi del 2000 per poi iniziare un repentino mutamento di direzione, accentuato dall’11 settembre 2001, che troverà il suo culmine a cavallo fra il 2002 ed il 2003 a circa 16.000 punti dell’indice Mibtel. Questo solo per dimostrare come la piccola rettifica avuta dai mercati finanziari qualche settimana fa, altro non era che una correzione fisiologica del mercato che non può assolutamente configurarsi come crollo. Se poi a qualcuno interessa l’argomento, visto che è una mia vecchia passione, piena disponibilità nell’approfondirlo.
Luca Trainotti