L’economista Giavazzi e la famiglia

Si potrebbero sintetizzare le risposte alle critiche pompose e imprecise dell’articolo di Giavazzi sulla famiglia (vedasi Il Corriere della Sera di domenica scorsa), con una battuta. Cosa ne vuol sapere un esperto di economia, che non più di tre anni fa proponeva come fondamentale misura, per liberare il benessere e la ricchezza dei cittadini italiani, la liberalizzazione dei taxi?

Giavazzi riflette a partire da un recente libro di Alesina e Ichino sul rapporto costi benefici della famiglia in Italia. Ciò che esce dalla amplissima recensione che ne fa è l’idea che la famiglia sia un peso per l’Italia, peggiori le condizioni degli italiani invece di avvantaggiare la società e lo Stato. Non sfugge nel commento di Giavazzi una sorta di volontà manipolatrice della realtà italiana: il modello su cui si organizza la società non piace, a partire dalla prima cellula di vitalità sociale che è appunto la famiglia. Qui sta il primo vulnus al principio di sussidiarietà.

Tuttavia, tanti ne abbiamo letti di commenti, l’irrealismo dell’approccio al “fatto familiare” censura tutta la messe di ricerche e studi sul “capitale sociale familiare”, sulla “famiglia fattore di coesione sociale”, sulla “creazione di virtù civili” nella famiglia e, ultimamente, luogo del “patto generazionale”. Sarebbe bastato leggere una qualunque delle ricerche internazionali del professor Pierpaolo Donati, oppure ascoltare una delle tante e intelligenti presentazioni fatte in Italia de La povertà alimentare in Italia dal professor Giorgio Vittadini e dal prorettore della Cattolica Luigi Campiglio. Nulla, una parte della scienza economica quantitativa e non quantitativa, la larga parte degli studi sociali, non sono ricompresi nell’approccio al tema della famiglia che ci dà il promotore del “taxi libero”.

Così, Giavazzi parte alla carica del ministro Sacconi, perché riconosce il valore formidabile della famiglia per la società e la posterità civile, bolla i “difensori” della famiglia come “religiosi” e non si pone nessuna domanda, anzi scova nel libro la conferma delle proprie opinioni per nulla liberali. Invece di chiedere più libertà di scelta alle donne e alle madri, per usare il tempo elasticamente tra lavoro e cura, per alternarsi con i mariti, per veder riconosciuto il lavoro domestico, come in gran parte dei Paesi occidentali, Giavazzi confonde i piani, tra cause ed effetti. Di più, mentre tutti i governi europei hanno e continuano a investire sulla “prossimità familiare”, sulla intergenerazionalità delle famiglie (Francia e Inghilterra sul ruolo dei nonni, ad esempio), sulla stabilità familiare (Danimarca, Francia e Germania), sul sostegno alla genitorialità e al desiderio di avere figli (tutti i 47 Paesi del Consiglio di Europa ad esempio), l’Italiaetta intellettualoide continua la sua marcia verso l’assurdo. “Familismo amorale”, dice Giavazzi, perché la famiglia procura costi alla società (sic!): “scarsa mobilità geografica, precariato, difficoltà a crescere delle pmi, peso sulle spalle delle donne”. Ripetiamo, l’assoluta mancanza di libertà di scelta delle donne in Italia è causata dalla pigrizia delle imprese a uniformarsi agli standard europei (donne che lavorano flessibilmente con asili, pause pranzo, negozietti nell’impresa stessa), ma anche dalla noncuranza sufficiente con cui la politica ha abbandonato il lavoro casalingo Le donne dovrebbero lavorare di più in fabbrica? Stupisce che le opinioni di Marx, Engels e Lenin siano mutuate pari pari dall’ultra liberista Giavazzi. Imprese che non crescono?

Bene, una conferma del pregiudizio atavico di una certa scuola di economisti che non leggono i dati della statistica e della realtà e guardano alla straordinaria potenzialità del genio umano, della creatività italiana come a una zavorra invece che una esplosione di successo (spero che Giavazzi abbia modo di leggere gli atti del Seminario dell’Intergruppo per la Sussidiarietà tenutosi a Spineto lo scorso settembre). Precariato? L’accusa si commenta da sola. Se hai una famiglia stabile e solidale allora sei più propenso al precariato? Non mischiamo la resistenza a stare in famiglia dei giovani italiani (causata da un errato approccio educativo dei genitori come si dimostra nel libro La sfida educativa) con la necessità di trasformarsi in “ammortizzatore sociale” della famiglia italiana. Invece di chiedersi come mai i sostegni alle giovani coppie in Italia siano assenti o come mai la copertura pensionistica per i “temporanei” è da fame…

In ultimo, la scarsa mobilità geografica dei nostri giovani. Premesso che siamo il popolo europeo con il più alto numero di italiani all’estero, circa 60 milioni di emigranti o figli di emigranti, forse non si sono letti i numeri di molte agenzie statistiche italiane delle migrazione interna degli ultimi anni. Dunque è Sacconi che sta dalla parte della realtà, semmai non è in grado nemmeno questo Governo di valorizzare e rendere giustizia alle famiglie italiane. Vogliamo dire la verità, al di là delle cattedre ideologiche? Il modello tradizionale italiano della famiglia, seppur abbia subito preoccupanti azioni di “corruzione” da parte della politica e dei mass-media, non solo ha tenuto ma potrebbe essere sostanzialmente imitato. Semmai è l’Italia che continua ad avere un forte “menefreghismo pratico” nei confronti della equità fiscale familiare, tariffaria, dei servizi sociali. È noto infatti che il Libro Bianco di Sacconi è rimasto un sogno, per via di Tremonti e, prima di lui, di ogni altro ministro economico della storia italica da Vanoni in poi. Ma forse Giavazzi non ha famiglia, forse ne ha troppe oppure, semplicemente, fa parte di quella specie umana che, diceva Solgenitsyn, “proprio perché ha girato per tanti maniscalchi, è rimasta senza ferri”. Luca Volontè, ilsussidiario.it

L’establishment dei poteri e la politica. Ecco la mappa

“Potere e trasversalità. Le simpatie parlamentari (e non) di banchieri e manager che seggono ai posti di comando dell’economia italiana. Da Passera a Caltagirone.

l dibattito pubblico sui rapporti tra il mondo politico e l’élite italiana di origine economica è sempre più accesso. Ma come la pensa davvero l’establishment economico e finanziario? Che idee politiche ha, come si organizza nei rapporti con Silvio Berlusconi e il centro destra? Vediamo.

Partiamo dai grandi banchieri.

Corrado Passera. Il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo è sempre stato di base un uomo di centro sinistra. ? cresciuto alla scuola di Carlo De benedetti, e poi di Giovanni Bazoli. In buoni rapporti con Romano Prodi e con i ragazzi dell’asse Prodi Bazoli Andreatta a partire da Enrico Letta, è un uomo disinibito: ha flirtato in passato con Antonio Di Pietro e con i no global. Oggi ha buoni rapporti con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. E molto meno buoni con il ministro dell’economia Giulio Tremonti che lo considera un avversario. In un’intervista all’ex direttore del Sole24Ore, Ferruccio de Bortoli, Passera spiegò che oggettivamente Berlusconi si sta comportando meglio di Prodi. Non ha votato alle ultime primarie del Partito democratico.

Alessandro Profumo, invece, sì. L’amministratore delegato di Unicredit è stato prodiano e adesso continua a guardare al centrosinistra. Alcuni mesi fa ha rilasciato un’intervista in cui paventava la nascita di un nuovo partito di centro: “Ho il terrore: sono un bipolarista convinto e considero quello americano il modello più solido e da imitare”. Giovanni Bazoli. Il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo è un uomo di centrosinistra. Viene da una famiglia di esponenti del Partito popolare e della Democrazia cristiana. Legato a papa Montini, cugino politico di Romano Prodi sotto il magistero di Beniamino Andreatta, è stato uno dei fondatori dell’Ulivo e quasi candidato alla presidenza del consiglio su spinta di Andreatta.

Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca. Leader del moderatismo bancario, cresciuto nella Roma democristiana e vaticana, è il più trasversale dei banchieri con rapporti che vanno da Massimo D’Alema a Valentino Parlato, da Gianni Letta fino a Giulio Tremonti. ? in rapporti ottimi con Silvio Berlusconi, la cui figlia, Marina, siede nel consiglio di amministrazione di Mediobanca. Seppur con visioni politicamente differenti, Bazoli e Geronzi sono i contraenti del patto di stabilità su cui si regge il nostro sistema economico e finanziario: hanno gestito con una regia comune alcuni dossier delicati: da Rcs fino a Telecom.

Giuseppe Mussari. Il capo del gruppo senese Monte dei Paschi è per forza di cose vicino al Partito democratico. La fondazione che controlla la sua banca è governata dai poteri pubblici locali che a Siena sono tutti nelle mani del Pd. Massimo Ponzellini. Presidente di Impregilo e della Banca popolare di Milano. Giovanni Pons su Repubblica ha scritto che “Ponzellini non è bipartisan, ma tripartisan o quadripartisan”. Le sue amicizie vanno da Romano Prodi (il suo scopritore), a Pier Ferdinando Casini, da Salvatore Ligresti fino a Giulio Tremonti: il ministro che l’ha fortemente sostenuto nella corsa per la nomina alla presidenza Bpm.

Roberto Mazzotta. Ex presidente della Bpm. Cresciuto politicamente nella democrazia cristiana, nella corrente di Giovanni Marcora, ex ministro e leader milanese della Base. Mazzotta non è schierato con il centro destra. Ma non è antiberlusconiano. Dialoga con l’Udc, è molto legato a Bruno Tabacci.

Giuseppe Guzzetti. Formazione democristiana di sinistra, il presidente dell’associazione delle fondazioni di origine bancaria Acri e capo della fondazione Cariplo ha un buon dialogo con il ministro dell’Economia. Guzzetti, insieme ad Angelo Benessia è azionista di peso Intesa Sanpaolo.

Angelo Benessia. Avvocato, in origine vicino agli ex ds, in buoni rapporti con Luciano Violante. ? il sigillo all’intesa raggiunta tra i grandi elettori della compagnia (Chiamparino in testa) che hanno portato al ricambio nella fondazione prima azionista di Intesa Sanpaolo. Vuole più peso in Intesa, dialoga con Tremonti anche in funzione anti-Passera.

Ettore Gotti Tedeschi. ? il nuovo presidente dello Ior al posto di Angelo Caloia. Editorialista economico dell’Osservatore Romano, cattolico-liberale, formazione McKinsey, per via di questa comune militanza buona amicizia con Passera e Profumo. In ottimi rapporti con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.

Mario Draghi. Formazione metà americana (Mit) e metà romana (ha studiato all’istituto Massimiliano Massimo e fu Giulio Andreotti a scoprirlo). C’è chi vede nel governatore della Banca d’Italia il leader di un nuovo movimento centrista. Altri confidano in un governissimo da lui guidato. Per il momento la cosa sicura è che tra Draghi e Tremonti i rapporti sono freddini.

Paolo Scaroni. Il più forte manager partecipato italiano. Il capo dell’Eni dialoga con il centrodestra, ma non solo. Sono buoni i suoi rapporti con il ministro Tremonti, ottimi quelli con Gianni Letta. Amicizia anche con il presidente del Consiglio Berlusconi: tra i pochi azionisti della società calcistica Ac Milan non appartenenti alla famiglia Berlusconi, troviamo proprio Scaroni (proprietario di 10 azioni, cedutegli personalmente da Silvio Berlusconi).

Fulvio Conti. Il capo di Enel è uscito indenne dal passaggio del governo Prodi a quello Berlusconi. Uomo vicino al ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola (i due hanno un buon dialogo sulla questione nucleare). Visioni differenti con il ministro dell’Economia.

Flavio Cattaneo. L’amministratore delegato dell’energetica Terna, oggi è l’uomo di riferimento di Tremonti. C’è chi dice che potrebbe ascendere ai vertici di qualcos’altro. Forse l’Enel.

Carlo De Benedetti. Ai tempi di Veltroni avrebbe voluto la tessera numero uno del Pd. In occasione delle primarie del 2007 disse: “Alla fine del 2005 auspicai che si andasse alla costituzione del Partito democratico e indicai anche in Veltroni uno dei leader che avrebbero potuto realizzarlo”. Oggi, più freddo sul partito, ne resta l’editore di riferimento e vanta la leadership dell’antiberlusconismo.

Luca Montezemolo. Storia complessa la sua. Si conquista un ruolo pubblico nella successione al divisivo Antonio D’Amato sconfitto sulla campagna per l’articolo 18. La presidenza molto mediatica di Confindustria lo candida a un potenziale ruolo politico. Lui non è sceso in campo, ma presidia un’area con il think tank Italia futura. ? in buoni rapporti con Passera, Casini e Gianfranco Fini.

Francesco Gaetano Caltagirone. Caltagirone è uno degli imprenditori più potenti d’Italia. vanta una liquidità stimata in tre miliardi di euro. Questo ne fa un uomo molto indipendente. Ha rapporti amicali con il centrodestra (da Tremonti allo stesso Berlusconi), nel centrosinistra è in buona con D’Alema ma anche con Prodi. ? legato da un rapporto di parentela a Pier Ferdinando Casini che ha sposato sua figlia Azzurra. A Roma, dove è dominus, ha stretto una solida alleanza con il sindaco Gianni Alemanno. (Il Riformista, 23 settembre).

Una domanda: come mai quasi tutti i più grandi banchieri stanno a sinistra?

SCENARIO/ Cosa c’entra la “campagna russa” di Generali con i guai di Berlusconi?

di Mauro Bottarelli giovedì 25 giugno 2009

da Il sussidiario.net

Il Financial Times non è soltanto un quotidiano, è il bollettino dei naviganti per capire come gira il mondo. O, almeno, come dovrebbe girare per chi le decisioni le prende davvero: spesso dietro le quinte o, comunque, fuori dalle pantomime parlamentari. Il fatto che ieri la storia principale del dorso “Companies and markets” fosse dedicata al crollo della Borsa russa la dice lunga su quale sia il bersaglio attuale. I dati, in effetti, fanno spavento. Nell’ultimo mese Mosca ha perso qualcosa come il 20%, il mercato più volatile del mondo. L’indice Rts, denominato in dollari, ha perso il 21% dal suo picco del 2 giugno, mentre il Micex, denominato in rubli, il 24%. Insomma, le fluttuazioni del prezzo del petrolio – salito in maniera incontrollata e ora in fase di discesa, visto che si parla di un ritracciamento a quota 55 dollari entro poche settimane – sta mandando sulle montagne russe – scusate il gioco di parole – la Borsa moscovita e rendendo quel mercato sempre meno appetibile per gli investitori, già spaventati dal rallentamento del mercato M&A a causa delle fluttuazioni dei cambi valutari. Tanto più che l’economia russa si contrarrà per più del 7% quest’anno, a fronte di 200 miliardi di dollari di prestiti che le aziende di quel paese dovranno comunque ripagare entro la fine dell’anno, sia a livello interno che estero. Insomma, un mercato troppo rischioso.

Non per tutti, però. C’è qualcuno, infatti, che nel mercato russo ci crede eccome e ha lanciato una scommessa non da poco. Guarda caso, questo qualcuno è italiano. Parliamo di Generali, il gigante assicurativo triestino che insieme all’oligarca ceco Peter Kellner ha lanciato un attacco alla quota di controllo di Ingosstrakh, monopolista russo del mercato assicurativo, detenuta da Oleg Daripaska, oligarca caduto in disgrazia con la crisi. Novecento milioni di dollari, questa l’offerta del consorzio Kellner-Generali che già controlla il 38,5% di Ingosstrakh. In un primo tempo Daripaska aveva reagito da leone ferito, puntando la strada dell’equity issue per far scendere i rivali al 10% e blindare la situazione: ipotesi fallita. Tanto più che ora l’oligarca russo ha ingaggiato Banca Leonardo e il suo numero uno, Gerardo Braggiotti, per negoziare. Il fatto che Braggiotti sia molto vicino ad Antoine Barnheim, deus ex machina di Generali, la dice lunga su come potrebbe terminare l’operazione.

D’altronde il gruppo assicurativo russo è ben gestito e ben capitalizzato, può espandersi ulteriormente in un mercato dalle enormi potenzialità e soprattutto diverrebbe monopolista proprio mentre l’altra metà del mondo, soprattutto Usa e Gran Bretagna, stanno per conoscere una crisi del settore mai vista, una bolla pronta ad esplodere che i governi dovranno tamponare a colpi di sostegni se non vorranno scene argentine per le loro strade. Altro che Lehman Brothers. La convinzione generale è che non sarà la volontà di Deripaska a decidere le sorti dell’operazione bensì quella del Cremlino e nessuno fa mistero che Generali punti molto sull’amicizia che lega Silvio Berlusconi e Vladimir Putin per giungere a un buon esito finale. Senza dimenticare che Deripaska ha un ruolo, tutt’altro che secondario, nell’azionariato di Magna, il consorzio che punta al controllo di Opel, la branca tedesca di General Motors, altro fronte aperto del risiko italiano di espansione. Insomma, tanta carne al fuoco che si muove in modo sotterraneo ma che vede i padroni del vapore molto attenti nel monitorare quanto sta accadendo.

Letta attraverso questa lente d’ingrandimento, anche la devastante campagna mediatica contro Silvio Berlusconi appare un po’ differente: l’accordo Eni-Gazprom, che di fatto ha mandato a gambe all’aria un progetto analogo americano, è stato il classico mattone che ha rotto il vetro della pazienza di certi ambienti atlantici, l’epilogo Fiat-Opel è stato il campanello d’allarme e ora siamo allo showdown finale. Finmeccanica ha già pagato un prezzo a questa guerra fredda combattuta a colpi di veline e prostitute debitamente intruppate nella schiera del complotto. Se Silvio Berlusconi e il suo governo continueranno lungo la linea dell’indipendenza commerciale e industriale gli attacchi potrebbero diventare anche più diretti e virulenti.

Il fatto che il ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola, abbia cominciato a prendere un po’ le distanze dello stile di vita del Cavaliere la dice chiara su chi stia muovendo i fili di questa commedia di pessimo gusto e su quale sia la reale entità degli avvenimenti in incubazione: attenti a non farvi abbindolare dal gossip da parrucchiere, leggete il Financial Times e non Repubblica se volete capire come vanno le cose. Il momento è delicato, molto delicato: la posta in gioco si chiama sovranità, qualcosa di molto simile al 1992.

FINANZA/ Volete capire meglio i mercati? Ecco come usare i cds

di Mauro Bottarelli

da ilsussidiario.net

In tempi di crisi è importante tenere alto il morale delle truppe, quindi accomodatevi e fatevi una grassa e salutare risata leggendo quanto segue. «Alcuni derivati, come i Credit Default Swaps, dovrebbero essere messi al bando perché sono mezzi di distruzione». Lo ha detto il finanziere George Soros in un editoriale per il Financial Times dal titolo: “Le mie tre proposte per riformare il sistema finanziario”.

Secondo Soros, con i cds, strumenti che assicurano contro il rischio di insolvenza degli emittenti di obbligazioni, «è come comprare una polizza assicurativa sulla vita di un altro con la licenza di ucciderlo». Infatti, spiega il finanziere di origine ungherese, «in alcuni casi gli investitori che hanno nel proprio paniere i Cds hanno più interesse a veder fallire una società perché possono guadagnare più soldi rispetto ad una eventuale ristrutturazione della stessa».

Le altre due proposte di Soros prevedono l’intervento da parte delle autorità quando ci si rende conto che le bolle speculative stanno crescendo troppo e un controllo sulla disponibilità del credito. Infatti, scrive Soros, per controllare le bolle «non basta il controllo dell’offerta di moneta, ma bisogna tenere sotto controllo anche la disponibilità del credito». Meraviglioso, Dracula che fa il testimone dell’Avis.

Quindi, per l’ex devastatore di economia mondiale tramutatosi in filantropo – in effetti, al netto dell’attività criminale, anche Jack lo Squartatore era uno stimato chirurgo – il problema non sono le aziende sovradimensionate e sopravvalutate che truccano i bilanci o le banche che operano con leva di 1 a 60 e nascondono i titoli tossici negli assets o ancora gli Stati che continuano a creare debito e a indicizzare le proprie obbligazioni con tassi d’inflazione taroccata come fa l’Argentina: no, il problema sono gli investitori che, consci di questa colossale messa in scena, si difendono attraverso i cds e fanno soldi.

Esattamente come li ha fatti, massacrando lira e sterlina, l’ex speculatore Soros: che, come gli ex fumatori, una volta abbandonato il vizio diventano insopportabili peggio di quando speculavano. Va beh, almeno abbiamo fatto due risate. Meno da ridere è il tentativo di Obama di riformare i mercati, un azzardo che rischia di devastare i mercati in un momento di enorme crisi che – al di là dei falsi green shots di metà maggio – deve ancora farci vedere il peggio.

Basta dare un’occhiata alla tabella tendenziale dei cds europei, dell’Europa dell’Est e di alcuni paesi mediorientali. Dubai è al collasso, l’Ucraina anche e questo significa tracollo del Baltico, la Svezia segue a ruota essendo esposta per 75 miliardi di euro nel mercato lettone: Soros vorrebbe mettere fuorilegge i cds, ovvero eliminare le analisi del sangue dei paesi, le cartine di tornasole di come stanno davvero le cose al di là delle idiozie ottimistiche di qualcuno (prontamente smentite dai fatti pochi giorni fa), al di là e al di qua dell’Atlantico. Nella tabella è espresso il valore in punti base del rischio di default sul debito di alcuni paesi europei. La legenda base è quella dell’ordine decrescente, dal più a rischio fino a scendere ai più stabili.

I dati macro parlano chiaro: il mercato immobiliare non riparte, la disoccupazione cresce in maniera incontrollata, le aziende falliscono perché nonostante tutto le banche non concedono credito, la produzione industriale è a zero, l’export un incubo. C’è da sperare che la Cina continui nel suo intento suicida di politica protezionistica verso l’Occidente: il “buy chinese” sarà la chiave per devastare quell’economia, incapace di crescere ai livelli a cui è cresciuta finora senza essere totalmente esposta all’enorme mercato del debito mondiale (Usa in primo luogo). I quali, però, temono che venga scaricato il loro debito, ovvero le obbligazioni del Treasury assicurate dalle riserve cinesi e russe: è chiaro, però, che se Mosca e Pechino proseguiranno su questa strada, magari con l’aggravante di credere davvero alla nascita di una nuova moneta per indicizzare i commerci mondiali ed eliminare il dollaro, la loro fine sarà questione di mesi.

Ripeto, il fatto che uno come Soros proponga di eliminare i cds deve farci paura, davvero paura: significa che questa è la politica dell’amministrazione Obama per intorbidire le acque in attesa che il Tarp, in qualche modo, faccia pulizia tra i debiti accumulati. Le banche statunitensi sono tutte potenzialmente insolventi, la grande industria langue, Wall Street campa solo di speculazione sulle commodities: quando il grido diviene “regolare, regolare, regolare” significa che gli Stati vogliono controllare il mercato e soprattutto le notizie che da esso provengono.

Togliere i cds sarebbe come invocare la censura sui mercati, un atto dittatoriale e antidemocratico tipico dei personaggi alla Soros, divenuti ora i valorosi cavalieri bianchi della rivoluzione populista e pro-lobbies di Obama, più che un presidente una vera e propria disgrazia per l’economia e la finanza mondiale.

Guardate quei grafici, guardate quelle cifre: settimana prossima ne pubblicheremo altri, per confrontarli e vedere come davvero vanno le cose nel mondo. Non fatevi abbindolare dai facili affabulatori dell’ottimismo di parte, la situazione è seria: mercoledì sul Financial Times, proprio sotto il delirante articolo di George Soros, Martin Wolf spiegava con chirurgica spietatezza come la crisi attuale stia evolvendo in maniera anche peggiore della Grande Depressione, dati e grafici alla mano. Vogliono farvi tacere e mantenervi nell’ignoranza: non permettetelo, imparate a leggere i grafici e l’andamento dei cds. Non servono a speculare ma a provare la febbre: meglio prevenire che curare. Nella tabella è espresso il valore in punti base del rischio di default sul debito di alcuni paesi dell’Europa dell’Est/del Medio Oriente. La legenda base è quella dell’ordine decrescente, dal più a rischio fino a scendere ai più stabili.

A questo link i grafici di cui sopra e l’articolo.

http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=26804

Lo speculatore Soros e Lord Brown.

I democratici che piacciono a Tremonti, contro Soros e Brown…

È con grande preoccupazione che noi, leader dei movimenti politici associati all’economista e leader democratico Lyndon LaRouche, lanciamo il presente appello ai governi del G20, ed in particolare al Presidente americano Barack Obama. A meno di 20 giorni dal vertice G20 a Londra, che doveva far procedere i fatti ai principii adottati al primo vertice del G20 che si tenne il 15 novembre 2008, a che punto siamo? I capi di stato si sono impegnati ad andare oltre le misure prese per “sostenere l’economia globale e stabilizzare i mercati finanziari” gettando “le basi di una riforma che faccia sì che una crisi globale, come quella attuale, non si ripeta”. Il comunicato finale dell’incontro dei ministri delle Finanze del G20 che si è tenuto a Horsham il 1 marzo, in preparazione del vertice di Londra, non affronta tuttavia il compito urgente di dar via ad una procedura di riorganizzazione fallimentare nei confronti dei trilioni e quadrilioni di titoli tossici, procedura senza la quale l’economia non potrà mai riprendersi.

Non si fa alcuna menzione di quel nuovo sistema finanziario, quella Nuova Bretton Woods, che dovrebbe sostituire quello ormai fallito; invece il comunicato ribadisce l’impegno al tipo di politica disastrosa che terrà in piedi il sistema che ha causato la crisi, rifinanziandolo e aumentando le risorse al Fondo Monetario Internazionale, e i pacchetti di stimolo verranno attuati con un’espansione monetaria iperinflazionistica. Tuttavia, quello che scredita il vertice e va visto come un tentativo di sabotare qualsiasi sforzo di sostituire l’attuale sistema speculativo in bancarotta con un nuovo ordine economico più giusto è la decisione di incaricare Lord Mark Malloch-Brown, ministro britannico per il Commonwealth, dell’organizzazione del vertice G20. I sottoscritti, i cui moniti sull’imminente crollo del sistema ed a favore di una Nuova Bretton Woods nella tradizione di Franklin Delano Roosevelt risalgono ai primi anni Novanta, prima che ne parlasse chiunque altro, dichiarano che affidare tale compito a Malloch-Brown, che deve tutta la sua carriera al megaspeculatore George Soros, è un insulto a tutti i membri del G20.

Portavoce dei principali interessi della City di Londra e di Wall Street, Soros è l’emblema di tutto ciò che c’è di sbagliato in questo sistema finanziario. Nel 1992 e 1993 fu lui a condurre l’attacco speculativo contro la sterlina, il franco e la lira che mandò in rovina il Sistema Monetario Europeo. Nel 1997 provocò la crisi finanziaria asiatica speculando contro il baht e il ringgit. Soros è inoltre a capo della campagna internazionale per legalizzare la droga nello stesso momento in cui, come ha denunciato recentemente Antonio Maria Costa, direttore dell’Ufficio ONU contro la Droga e la Criminalità, i finanzieri in crisi cominciano a usufruire dei proventi della droga per sopravvivere. Inoltre, è tristemente famoso per aver organizzato campagne di “cambiamento di regime” in paesi che non erano sotto il dominio dell’oligarchia della City di Londra e Wall Street, tra cui alcuni membri del G20.

Mark Malloch-Brown e George Soros collaborano strettamente dai primi anni Novanta. Quando viveva a New York in qualità di vicepresidente della Banca Mondiale, Soros fece affittare per Brown una villa vicina alla sua. Nel 2004, entrambi coordinarono gli aiuti alla rivoluzione delle rose di Saakashvili in Georgia. Nel maggio 2007, Malloch-Brown è stato nominato vicepresidente del Quantum Fund di Soros e del suo Open Society Institute, il vero centro delle Fondazioni Soros che operano in 60 paesi! Benché Lord Malloch-Brown si sia dimesso da questi incarichi con Soros quando è entrato a far parte del governo britannico nel 2007, non è accettabile affidare la riforma di un sistema la cui bancarotta minaccia la vita di miliardi di persone, al vicepresidente di un fondo che ha sede nelle Antille olandesi, i cui profitti speculativi sono aumentati del 4.200% dal 1973 al 1980, o a chiunque abbia un profilo simile al suo. Esigiamo dunque che, per dar prova della loro buona fede, il governo britannico ed altri funzionari del G20 gli tolgano questo incarico e lo affidino a qualcun altro. Nel 1933 Franklin Delano Roosevelt, che si batteva contro i disastri di una depressione provocata da quello che correttamente percepiva come il capitale finanziario di stile britannico, boicottò la conferenza mondiale a Londra, dove i finanzieri della City di Londra contavano sui dollari americani per rifinanziare le loro banche. I leader del G20 decisi a procedere con una vera riforma del sistema farebbero meglio ad andare “a pesca”, come fece Roosevelt, o preferibilmente ad organizzare un altro vertice in cui possa essere varata tale riforma reale.

 

p.s Da un altro articolo dei Lyndoniani:

Un altro fronte nell’assalto è stato aperto da ambienti del Partito Democratico legati al megaspeculatore George Soros, che continua a spendere cifre da capogiro nella campagna per la legalizzazione della droga negli Stati Uniti e per fermare la “guerra” ai cartelli della droga dichiarata dal ministro della Giustizia Holder. L’offensiva guidata da Soros è stata appoggiata in pieno dal settimanale londinese Economist, che gli dedica la copertina del numero del 7-13 marzo, chiedendo la legalizzazione della droga come la “la politica del male minore”.

La crisi e la cultura italiana.

La crisi economica c’è, ed è forte: spira da quel mondo capitalista che ha eretto il denaro a idolo e Wall Street a tempio sacro della modernità. Ma in Italia, sembra si possa reggere un po’ meglio che altrove, per alcuni motivi che sono da ricondurre alla nostra tradizione culturale e religiosa:

1 abbiamo il più alto tasso di proprietari di case al mondo (da noi l’80% circa possiede una casa, mentre altrove succede che ad essere proprietari non siano più del 20%). Questo fatto è legato, ovviamente, all’importanza che nella nostra cultura riveste la famiglia.

2 siamo forse il popolo che ha più risparmio privato al mondo: il consumismo occidentale c’è, ma più limitato rispetto agli altri paesi ricchi;

3 abbiamo una struttura familiare in disfacimento progressivo, ma ancora meno che altrove: i nuclei familiari sono il più importante ammortizzatore sociale immaginabile. Laddove c’è la famiglia, se possibile la famiglia allargata, dinanzi alle difficoltà ci si sorregge a vicenda, e si riescono a superare i periodi più duri.

La rapina dei banchieri americani

Questo non è più capitalismo, ma la sua tragica parodia ed è arrivato il momento di dire basta. Sì, basta a una casta, quella dei banchieri di Wall Street, che, a conti fatti, è l’unica a non pagare il prezzo del crollo dell’economia mondiale che lei stessa ha provocato. Alzi la mano chi è passato indenne da questa crisi. Il valore delle azioni è dimezzato, i prezzi delle case continuano a calare, decine di migliaia di aziende rischiano di chiudere minacciando di lasciare a casa milioni di lavoratori. Siamo arrabbiati, delusi, preoccupati. Ma loro no. A parte Madoff e pochi altri, continuano a mostrarsi sorridenti, felici, fiduciosi. Il mondo crolla e a loro non importa nulla; perché anche nell’anno del grande crash si sono arricchiti, come ha scoperto un contabile dello Stato di New York, l’italomericano Thomas DiNapoli, scrutinando le loro dichiarazioni dei redditi. Nel 2008 i manager delle banche americane hanno incassato bonus per 18,4 miliardi di dollari. Ma, vien da obbiettare, il bonus non viene accordato quando il bilancio è in utile? Ovvio che sì. E siccome gli istituti hanno triplicato le perdite, costringendo il Congresso americano, lo scorso ottobre, a stanziare 700 miliardi per scongiurare la bancarotta del sistema finanziario, loro non dovrebbero prendere nemmeno un dollaro. Venuta meno la tensione morale dettata dal confronto con l’impero sovietico, l’America ha perso progressivamente quelle virtù etiche, quella capacità di controllare eccessi e sprechi, con pesi e contrappesi, che molto spesso noi italiani abbiamo invidiato. E il potere si è trasferito anno dopo anno dai politici ai finanzieri. Ammettiamolo: sono stati bravissimi. Di più: geniali. Con la complicità di K Street, la via dei lobbisti, hanno indotto il Congresso ad approvare una legislazione che li metteva al riparo da conseguenze penali; nonostante il caso Enron e il crack di Worldcom. Nel frattempo hanno piazzato i loro uomini nel cuore del governo: il banchiere Rubin era il ministro del Tesoro di Clinton; l’ultimo di Bush, Paulson, è stato prelevato direttamente dai vertici di Goldman Sachs. Ed è iniziata la grande festa, rigorosamente bipartisan. Già, perché le leggi che hanno permesso la folle liberalizzazione dei derivati e la fine della separazione tra banca d’affari e banca commerciale, sono state approvate con il voto sia dei repubblicani sia dei democratici. Per quindici anni il mandarinato dei banchieri di Wall Street è riuscito a plasmare ampie porzioni dell’economia mondiale con un solo orizzonte: l’arricchimento speculativo. E un unico beneficario certo: loro stessi. Fino agli anni Novanta le grandi fortune venivano create nell’arco di decenni, spesso attraverso il lavoro di più generazioni. Gli industriali, i banchieri, quelli veri, rischiavano in prima persona. Se andava bene diventavano miliardari, se andava male finivano sul lastrico. E si vergognavano da morire. Negli ultimi tempi, invece, bastavano quattro-cinque anni al vertice di una banca d’affari o di una multinazionale per ottenere ricchezze esorbitanti, molto superiori a quelle dei grandi industriali di un tempo, senza mai rischiare nemmeno un centesimo in proprio, bensì sempre il capitale degli altri. Avidi e mai sazi. L’ultima rapina, da 18,4 miliardi, sublima il loro credo: arraffa, arraffa, arraffa. E solleva una questione ormai ineludibile: è giusto salvare le banche se la casta non viene smantellata? Piagnucolano, implorano aiuto, fanno valere il più odioso dei ricatti: “Liberateci dai debiti o saremo costretti a rovinarvi tutti”. Aspettano che la bufera passi, per poi ricominciare. E invece bisognerebbe cacciarli, come da tempo chiede, inascoltato, Tremonti. “A casa o in galera”, dice. Sarebbe meglio in prigione. Via tutti per lasciare spazio ai veri capitalisti, che non hanno mai smesso di credere in un valore intramontabile, quello della responsabilità personale.
Marcello Foa

L’usura e la situazione economica oggi.

Posto questa trasmissione, trascritta dall’amico Claudio Forti, contenente un dialogo tra la storica Angela Pellicciari e il banchiere Ettore Gotti Tedeschi. Tema: l’usura.

Pellicciari – Buon giorno agli amici di Radio Maria. Questo mese parliamo di una piaga sociale immensa, che la Chiesa ha sempre ha sempre combattuto. Anche Israele lo ha fatto.. questa piaga è l’usura. Riguardo a questa piaga, Paolo, nella lettera ai Colossesi dice: “Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazioni, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile, che è idolatria. Cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono”. Allora, quella avarizia insaziabile che è idolatria. Quando noi mettiamo la nostra sicurezza nel denaro, questo è idolatria, perché la nostra sicurezza non è Dio, ma i soldi. E quella perversione dell’animo, che è l’usura, che porta a guadagnare sulle difficoltà degli altri, chiaramente è il massimo di questa perversione dell’animo. Parliamo di usura con un banchiere cattolico – come tale è veramente una perla rara – che si chiama Ettore Gotti Tedeschi, che collabora con l’Osservatore Romano e insegna alla Cattolica. Buon giorno Ettore! Allora a te la parola.

Ettore – Buon giorno! Ah, ci sarà da ridere per riuscire a soddisfare quanto chiedi nella prima domanda. Proporrei – se tu sei d’accordo – di strutturare questo tentativo di spiegare il perché c’è l’usura, come si potrebbe combatterla. Ecco, io proporrei di trattarla in tre momenti diversi. Vorrei spiegare anzitutto da un punto di vista molto pratico che cos’è l’usura, in modo tale che chiariamo e definiamo questo termine e lo confrontiamo nei suoi aspetti operativi. Poi vorrei affrontare, nella seconda parte, quello che è il problema morale dell’usura nella sua storia. Quindi giustamente soprattutto nella storia della morale cattolica e come lo ha affrontato dai primi tempi ad oggi. Nella terza parte vorrei trattare il tema che probabilmente interesserà tutti gli ascoltatori, che è, come si pone oggi il problema dell’usura? E quanti tipi di usura ci sono. Vedremo che c’è una usura passiva e un’usura attiva. Vedremo che, secondo le prospettive, anche a seguito di questa crisi economico-finanziaria, l’importanza e la necessità di anticipare i problemi di una possibile prossima usura. Vedremo ora che cos’è l’usura da un punto di vista pratico. Cercherò di essere abbastanza schematico, i modo tale che tutti possano capire di che cosa sto parlando.

Da che cosa nasce l’espressione usura? Viene dal latino usus, dal verbo utto, che significa usare. Di fatto è definita come quel compenso che viene stabilito, imposto o tolto, per l’uso del danaro. I latini lo contrapponevano a quello che è lucrum, cioè il cosiddetto profitto mercantile. Quindi il semplice uso del denaro è usus, mentre lucrum è il profitto da una attività di carattere economico. Questo è importante ricordarlo. Adesso ci stiamo domandando: “Ma l’usura, è bene o è male? Da tre mila anni il mondo sta disputando e considerando su che cosa è bene e che cosa è male dell’usura, e quando sia male. Usura intendiamo quindi l’utilizzo del prestito oneroso per l’indebitato, e quindi quel compenso che lui deve pagare. Perché il danaro si presta? Per fare cosa? Quale tipo di utilizzo? Perché il denaro deve o può avere un costo, e quindi una remunerazione per chi lo presta? Affronterò quindi un tema che in questi tempi diventa fondamentale, cioè il tema del rischio. Che cos’è il rischio? Il rischio infatti è quello che spiega il tasso di interesse che viene praticato e accettato. Normalmente uno non riesce ad ottenere un prestito perché non dà sufficienti garanzie di solvibilità. Quando la banca si trova di fronte a un tale soggetto, si pone un problema drammatico, o non gli si fa il prestito, o lo si fa un prestito che tiene conto – incorpora, come dicono i banchieri – questo rischio, permettendo così il recupero del credito. E questo recupero ha un costo. E questo costo, in caso di usura, può essere tanto alto che normalmente chi lo prende a prestito non è in grado spesso di restituire. R l’usuraio abusa di questa posizione soltanto quando ha beni in garanzia. (…) Vedete quindi che il problema per il quale nasce il problema dell’usura è, per quale ragione una persona debba accedere ad un prestito usurario verso invece quel canale più normale e più praticabile, che è la banca. (…) Come vi ho detto, il tasso di usura, che normalmente è un tasso eccessivamente alto, molto più alto di quello degli istituti di credito, può portare a minacce molto gravi. Capiremo perciò perché la Chiesa, nella sua saggezza e capacità di capire il cuore dell’uomo, oltre che il cervello, ha sempre immaginato che si potesse arrivare a questo tipo di eccesso. Oggi soprattutto, che siamo quasi all’alba di una crisi che si estenderò rapidamente presso molti strati sociali e quindi ricominceremo in questa nostra generazione a riconoscere che cos’è la sobrietà, ci renderemo conto che quando la Chiesa diffidava storicamente dell’uso del denaro, dei prestiti, della cosiddetta finanza, fin dai primi secoli, non aveva sempre tutti i torti, anche se – come vedremo – ha dimostrato di essere molto più comprensiva del fenomeno economico finanziario. Sicuramente più delle Chiese riformate o eretiche, che invece ritengono di aver capito molto meglio e prima come doveva funzionare il capitalismo.

Come diceva Angela Pellicciari, è evidente che l’usura è una piaga sociale, ma – attenzione! – lo diventa soltanto quando l’individuo che ha bisogno del prestito non ha alternative. Nei prossimi tempi noi dovremmo quindi immaginare una forma di banche che siano in grado di fare finanziamenti di emergenza ai veri bisognosi. Quindi delle banche di solidarietà, dei monti di pegno. Soprattutto perché nei prossimi tempi temo – e lo dico con consapevolezza – temo che ci saranno dei nuovi poveri che dovranno accedere a questo tipo di finanziamento, sul tipo del signor Junus, che ha avuto il premio Nobel, che è quello che ha inventato il microcredito nei paesi cosiddetti poveri e poverissimi. Bene, lui ha dimostrato con questa metodologia di affidamento e di prestiti piccoli, che quando la persona è veramente bisognosa, esprime una dignità talmente forte da cambiare quelle regole statistiche del ritorno sui prestiti. Cioè, nel mondo occidentale un x per cento di persone non paga il debito che ha. Junus ha dimostrato che nei paesi poveri l’insoluto, il debito non pagato è irrilevante. È vicino all1, 2%. Perché la volontà di dimostrare questa capacità di restituire e questa loro dignità, ha scombussolato veramente quello che è il modello tradizionale con cui noi valutiamo l’impatto del rischio. È evidente che questo è un discorso di carattere morale di cui i banchieri, i finanzieri, gli economisti non vogliono parlare, perché quello che ha probabilmente creato questa indifferenza nei confronti di questi bisogni di solidarietà è un perseguimento che c’è stato, da parte dell’economia e della finanza, di una progressiva autonomia morale. Per concludere la prima parte desidero dire che difficilmente si può pensare che uno strumento come la finanza, il prestito ad usura o non, possa avere un senso per la vita dell’uomo se la vita dell’uomo non ha un senso o non si riconosce che ha un senso! Per quello ci sono gli usurai! E qui fa un escursus storico sull’usura e su come la Chiesa si è sempre posta a difesa del povero per un corretto uso del denaro e a proposta per una via di maggior giustizia.

Riprende Gotti Tedeschi (…) Che io sappia – me ne scuso, non essendo un teologo, se dico delle cose imprecise – ma a me risulta che l’unica fonte che condanna il prestito ad interessi, si trova nel Vangelo di Luca, dove Gesù dice: «Se prestate denaro a coloro dai quali sperate di ricevere un qualche tornaconto, che merito ne avrete?». Ecco, certamente può essere riferito stretto senso al prestito, come può essere riferito evidentemente al rapporto fra le persone, più ampio, più grande. Nella parabola dei talenti però addirittura – soprattutto quella di Matteo – quando il padrone rimprovera il servo per non aver fatto fruttare il famoso talento ricevuto, dice: «Avresti almeno potuto darlo ai banchieri». Grazie ai quali avrebbe potuto ritirare il suo danaro con l’interesse. È evidente comunque che questo prestito ad interesse ha sempre rappresentato un problema pratico che ha preoccupato quel ente morale che sovrintendeva il comportamento, ispirava, suggeriva, controllava e correggeva il comportamento morale delle persone che di riferivano a questa entità. Certamente nella visione giudaica e poi cristiane, questo comandamento dell’amore per il prossimo diventava fondamentale e doveva regolare ogni azione umana molto più del mercato e dell’economia. Quindi il mercato e l’economia erano mezzi, strumenti a disposizione ell’uomo. L’uomo era centrale. L’uomo era il riferimento a cui tutto doveva condurre. Quindi l’economia, i mezzi, la finanza e tutto il resto, dovevano servire all’uomo. Ecco, questo è molto importante, perché nei 2000 anni successivi il capovolgimento è stato drammatico. Oggi è l’uomo che è al servizio della finanza, dell’economia. In gran parte, il valore di un uomo si deduce da quanto può guadagnare, quanto può produrre, quanto può consumare, quanto può risparmiare. Quindi vi è proprio un ribaltamento, legato a che cosa? Legato al fatto che sempre più la finanza, l’economia, e cioè i mezzi, si sono allontanati dalla morale religiosa. Anzi, la morale è stata tolta quasi dai piedi, soprattutto negli ultimi 500 anni, come vedremo dopo. Quindi sempre di più l’economia e la finanza hanno acquisito una autonomia morale. Se volessimo anche commentare quelle raccomandazioni che sono state fatte varie volte – sia da Giovanni Paolo II che da Benedetto – su questa inopportuna, sbagliata e drammaticamente pesante per l’uomo, autonomia morale dell’economia. Oggi ne abbiamo l’esempio nell’attuale crisi, che dopo avremo modo di commentare. Quindi, la finanza e l’economia non devono osservare una legge morale. Sono fini a se stesse! Il risultato è quello che conta. Tanto hanno perseguito dei risultati…! Così, quando un sistema, uno strumento, in questo caso l’economia e la finanza – ma potremmo parlare della medicina, della chirurgia, della biologia o della politica – quando uno strumento uno dei tanti strumenti della civiltà non funziona (la cosiddetta cultura)… noi valutiamo la dimensione di una civiltà in funzione dell’uso di questi strumenti. Però questi sono strumenti1 E uno si deve domandare: a che servono gli strumenti? Gli strumenti servono per raggiungere degli obbiettivi, dei fini. Se gli strumenti sono slegati dai fini, diventano fini a se stessi! E quindi prescindono totalmente dall’uomo. Di che cosa si occupano? Per esempio, la finanza e l’economia negli ultimi tempi hanno acquisito una autonomia morale assoluta. Che cosa hanno realizzato? Hanno distrutto il proprio risultato e la ricchezza che sembravano aver creato e hanno messo in difficoltà l’uomo. Cioè, se l’economia e la finanza prescindono da quella centralità di quello che è il senso che devono avere, che è il migliorare la vita dell’uomo, non solo distruggono se stesse, distruggono i loro risultati apparenti, ma mettono in difficoltà l’uomo. Pensiamo alla situazione in cui ci stiamo trovando adesso. Ma torniamo un attimo indietro per completare la parte di analisi storica. Abbiamo parlato dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento. Ora vorrei un attimo accennare ai primi secoli cristiani. Allora, la guerra all’usura fu sostenuta da tutti i padri della Chiesa.

 Ricordo Basilio, Giovanni Crisostomo e i latini Ambrogio e Agostino. E durò tutto il Medio Evo, perché era fondato sul timore di decadenza morale, come l’avarizia, e così via. Sant Anselmo Magio per esempio proibì il prestito ad interesse. Anselmo d’Aosta considerava addirittura l’usura un furto. Due concili la condannarono: quello di Cartagine, del 345 e quello di Aix, 789. il concilio di Reims, del 1049 continuò a stabilire l’illiceità di ogni prestito ad interesse. E il famoso terzo Concilio Lateranense, nel 1179 e il secondo Concilio di Lione, lo vietarono. Addirittura dichiararono eretico chi avesse negato che fosse peccato chiedere interessi sui prestiti. Concludo col Medio Evo, perché è importante. Questa è un’altra cosa straordinariamente interessante. Perché noi quando manchiamo di conoscenza della storia della Chiesa non siamo capaci di fare apologetica, di difendere, non soltanto il nostro pensiero supposto, ma anche di spiegarlo agli altri per fare un buon apostolato intellettuale e culturale. Noi riteniamo che la Chiesa sia sempre stata piuttosto ottusa, nei confronti di quelli che sono i fatti della vita economica e sociale. Vi dò una dimostrazione di quanto questo sia falso. Nel primo Medioevo furono proprio i francescani – questi poveri per scelta, per definizione – che fecero evolvere per primi il pensiero economico riuscendo a spiegare l’utilità del danaro, l’utilità del prestito. Un francescano che si chiamava Gianni Olivi, che nasce nel 1248 e muore nel 1298, scrive addirittura un trattato che si chiama De usuris, spiegando l’utilità del prestito – ovviamente per chi ne aveva bisogno – e quindi spiegando l’accettabilità del fatto che un prestito potesse generare un valore per chi lo dava. Anche se lui allora ancora distingueva tra una destinazione produttiva, puramente consumistica del capitale, così da distinguere chi era l’imprenditore che prendeva a prestito per fare investimenti produttivi (il creare valore), e quello che prendeva a prestito soltanto per consumare. Concludo con San Bernardino da Siena che è quello che addirittura scrive dei trattati sulla liceità del prestito, che è quello che ispira poi la nascita dei primi monti di pietà, alla metà del Quattrocento Pellicciari – Di quella istituzione geniale che gli ordini religiosi hanno avuto in questo campo, ma in tutti i campi! Gotti Tedeschi – I francescani furono i primi a fondare i monti di pietà, intorno al 1400, portando poi tutta la visione della Chiesa… Io mi ricordo che Leone X definì addirittura queste prime banche di solidarietà, di emergenza, che evitavano l’oppressione di quella frangia di popolazione che era costituita dai più deboli e vulnerabili, addirittura li dichiarò meritori e leciti nelle loro attività. Pellicciari – Mi pare di ricordare che questi banchi avevano bisogno di un capitale originario da prestare. E come facevano a trovare questo capitale originario? Organizzavano in Quaresima o in Avvento delle predicazioni in cui chiamavano la popolazione cattolica a dare i soldi per costituire questo nucleo di capitale originario da poter prestare, eccetera. Una cosa meravigliosa! La storia della Chiesa è meravigliosa, come dicevi tu prima. Gotti Tedeschi – Siamo arrivati a descrivere praticamente la storia della valutazione morale del prestito a interessi, che comportava in determinate situazioni, la cosiddetta usura, quindi l’applicazione di interessi e di garanzie talmente alte da rendere irragionevole il prestito stesso. Così siamo arrivati a quella benedetta e straordinaria interpretazione di come il mondo stava cambiando, proprio dai frati francescani, che furono i primi – loro che si staccavano dal mondo – l’importanza, in determinate circostanze, del prestito e quindi a giustificare l’interesse. Creando così un salvagente per coloro che avevano difficoltà a pagare, che erano l’istituzione dei monti di pietà. Siamo intorno al 1500. Che cosa cambia dal 1500 in poi? Cambiano i comandamenti? Cambia la valutazione morale da parte della Chiesa nei confronti del prestito ad interesse? No! Cambia il mercato. Cambiano le dottrine economiche. Cambiano le circostanze con cui il danaro viene usato e i fini con cui viene usato. Nel 1500, signori, abbiamo la scoperta del Nuovo Mondo, dell’America, da parte di Colombo, nel 1492. Questo è un fatto fondamentale per la nascita della nuova economia. Perché con la scoperta del nuovo mondo nascono i nuovi commerci, si trovano nuove materie disponibili, nascono le esigenze di armare navi adatte ai traffici commerciali, e nascono quindi i grandi bisogni di capitali. Fino a quel momento il prestito era un fatto quasi privato, fra due persone. Mentre con la scoperta del Nuovo Mondo, con questo grande sviluppo, che dal punto di vista di dottrina economica si chiama mercantilismo, la nuova economia, l’esigenza del finanziamento del prestito, da personale, fra due persone, diventa istituzionale. Nascono le grandi banche e gli stati stessi si occupano a finanziare questa nuova economia. Cosicché quella mentalità un poco moralistica o collettivistica del Medioevo incomincia a crollare, a ridimensionarsi progressivamente, e nasce una mentalità molto individualistica, che percepisce la ricchezza quasi addirittura come una virtù, soprattutto nel tempo. À vero o non è vero che la Chiesa cattolica non capì questo? È esattamente il contrario! La Chiesa cattolica fu la prima a capirlo! Voi pensate, proprio a seguito della scoperta dell’America e quasi concomitantemente con la Riforma protestante nasce la famosa scuola di Salamanca.

La Scuola di Salamanca, che fu fatta dai Domenicani, i famosi scolastici, ma anche dai Francescani e i Gesuiti, di cosa si occuparono? Si occuparono a stabilire il nuovo diritto naturale delle popolazioni che si trovavano nelle “Indie”, cioè nell’America, via via scoperta dai grandi conquistadores, ma si occuparono anche di far evolvere la filosofia medivale, che era solo un po’ rigida, ad una più adeguata ai tempi. Ma soprattutto, per quello che riguarda noi, furono quelli che studiarono l’economia, le esigenze dell’economia. Se voi pensate al piccolo imprenditore, al commerciante che voleva seguire la morale cattolica, si domandava: “Ma adesso, i prezzi, chi li dà?”. I prezzi delle materie prime che importano dall’America, i prezzi dei nuovi commerci, il danaro necessario da investire o da prendere a prestito… Chi stabilisce che cose è equo o non equo? Molto prima dell’inizio di un nuovo capitalismo – nato dalla visione luterana e calvinista – molto prima, i nostri monaci domenicani, i gesuiti e i francescani, inventarono e scrissero le prime leggi dell’economia. Sui tassi di interesse, sulla domanda e sull’offerta. Bene, queste sono cose importanti dal punto di vista apologetico, ed è importante conoscerle, perché altrimenti il primo libro scritto dal primo cretino che passa ci viene a raccontare che la Chiesa cattolica non capiva niente e per fortuna c’è stata la Riforma protestante…! Quella che invece ha pregiudicato la morale e l’economia, portando l’uomo ad una forma di egoismo individualistico, con le conseguenze che poi ci sono state. Tenete conto che questi stessi ordini religiosi, come i Francescani della Scuola di Salamanca, furono quelli che al Concilio di Trento furono gli advisor (i consiglieri) del papa per stabilire che cosa fare nei confronti dell’eresia protestante. Praticamente Calvino giustificò in maniera piuttosto disinvolta tutto quello che era prestito o finanziamento. Molti ritengono che le famose banche svizzere nascono in quel momento. Nei due secoli successivi, grazie proprio a questa rottura dell’unità religiosa e la nascita di questa mentalità protestante (e la mentalità protestante si differenzia dal punto di vista economico-finanziario), e quindi specifico: nei confronti di quello che era l’atteggiamento prudente da parte della Chiesa, che poi diventa la Chiesa cattolica, dopo la riforma, si basa su un frutto fondamentale, i protestanti ritenevano – e penso lo ritengano ancora – che la natura dell’uomo, corrotta dal peccato originale, non potesse, esercitando le virtù, fare le cose fatte bene. Quindi era inutile stare li a dire: “Sarà bene o sarà male?”, con quello scrupolo tipico del cattolico, ma bisognava fare, fare, strafare. E poi, casomai, pentirsi dopo. Così il pecca, pecca fin che vuoi, interpretato come vogliamo è quello che, anche se non era voluto né da Lutero, né successivamente da Calvino in questi termini, è quello che ha provocato quella forma di disponibilità a fare le cose senza troppe valutazioni di carattere morale da parte delle persone. Che è diventata poi la mentalità anglosassone e anche americana, un po’ troppo disinvolta nei confronti di determinate decisioni da prendere. Si prendono decisioni: succeda quel che succeda, poi semmai si fa la fondazione per gli orfani e le vedove. Ecco, un cattolico, prima di prendere certi tipi di decisione ci pensa su due volte. Ecco, forse certi eccessi nel capitalismo, certi eccessi nella finanza, se fosse rimasta quella moralità cattolica, non ci sarebbero mai stati. Ecco, questo io ritengo fortissimamente! Forse avremmo avuto magari una minor accelerazione in certe aree del pianeta, di quello che è stato il capitalismo, ma sicuramente ci sarebbe stato un maggior equilibrio sociale. Il distacco progressivo della morale cattolica da quella che è stata l’evoluzione, negli ultimi 500 anni, dell’economia, ha creato sempre di più una autonomia morale dell’economia e della finanza, distaccandola sempre più dalla valutazione morale. Quindi me la sento di affermare che se questo distacco non ci fosse stato, forse – dico forse – saremmo stati meno avanzati in certe aree del pianeta, in alcuni eccessi di crescita economica, ma sicuramente ci sarebbe stato un maggior equilibrio e attenzione agli altri, e soprattutto ai più deboli. Pensate: nel 1700, il cosiddetto “movimento fisiocratico”, quello che quasi coesiste poi dopo con l’Illuminismo. (L’illuminismo dice che l’uomo è una bestia, quindi è inutile star li a pensare di soddisfarlo spiritualmente. Si soddisfi solo materialmente!). la fisiocrazia (fisiocrazia vuol dire “il governo buono della natura”). Dice: siccome di per sé la natura è buona, diamo piena fiducia all’uomo! In questo momento nasce – ed era indispensabile per la successiva rivoluzione industriale – nasce il cosiddetto “laissez faire”. «Lasciate fare all’uomo! Vedrete che l’uomo, anche per soddisfare al proprio egoismo, automaticamente i vantaggi che crea per se stesso gli estende agli altri». Ecco, la Chiesa fu sempre fu sempre un po’ prudente su questa bontà innata e naturale dell’uomo. Forse perché aveva più saggezza e conoscenza di quelle che erano le sue debolezze. (E poi, aggiunge il trascrittore, sa che l’uomo è tremendamente condizionato dal peccato originale e dalle sue concupiscenze). Pellicciari – Vorrei aggiungere una cosa. Questa deregolamentazione di tipo protestante è forse dovuta anche al fatto che – come diceva Lutero – l’uomo non ha nessuna autonomia di scelta. L’uomo è predestinato. Quindi l’angoscia…! Ne parleremo a radio Maria in un’altra puntata. L’angoscia della singola persona che non sapeva se Dio l’avesse destinata alla salvezza eterna oppure alla dannazione eterna. E qui Calvino e i calvinisti danno un segno di salvezza nel possesso di ricchezze. Quindi la ricchezza diventa per i calvinisti un segno manifesto dell’elezione divina. Che è l’esatto contrario di quello che dice Cristo: “Beati i poveri…”. I calvinisti affermano: beati i ricchi! Quindi, se beati sono i ricchi, le norme che dovrebbero limitare a fare i soldi, non valgono, in quanto vale solo la ricchezza. Gotti Tedeschi – Certo. Bene, ho ancora dieci minuti prima degli interventi degli ascoltatori. Ora vorrei dire qual è la realtà dell’usura oggi. Abbiamo visto la sua logica, abbiamo visto la sua storia negli ultimi 3000 anni, e la sua evoluzione. Vediamo adesso qual è lo stato dell’arte dell’usura. L’usura si pratica ancora, ma per fortuna è molto marginale. Si pratica in determinate circostanze, che sono a livello di criminalità. Che cos’è il concetto di usura sul quale i nostri ascoltatori possono riflettere? Secondo me ci sono due considerazioni da fare. Negli ultimi anni soprattutto, l’uomo, la famiglia, l’indivisuo, sono stati forzati ad indebitarsi. Quento non ha ancora nulla a che fare con l’usura, anzi, in certi casi indebitarsi fa bene, perché si anticipano determinate scelte, per esempio quando si vuol metter su famiglia. Allora, se io mi indebito per comperare la casa, per arredarla, e perché in previsione di avere dei figli… questo è un bellissimo modello di indebitamento. Però quello a cui mi riferisco io è l’eccesso di consumismo. Quindi io propongo due concetti. Il primo è l’eccesso di consumismo a cui è stato portato l’uomo negli ultimi 25 anni, che si contrappone a un modello precedente, che &egrav
e; un modello di risparmio. Quindi l’eccessivo consumismo ha portato la famiglia a indebitarsi. Voi pensate: soprattutto negli Stati Uniti – non mi rivolgo soltanto all’Italia – parlo principalmente del mondo occidentale. Quasi la metà del mondo occidentale parla inglese, quindi vive negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti negli ultimi 30 anni la famiglia media, da una certa attitudine al risparmio è passata ad avere un indebitamento eccessivo.

Diciamo di un anno e mezzo, forse di più, di spese future. Quindi l’americano non ha liquidità in banca. Ce l’ha trasferita nella sua casa. Ce l’ha nelle macchine, nei vestiti, nell’arredamento, e persino nelle vacanze pagate. E questo indebitamento delle famiglie rappresenta un po’ la spada di Damocle, in questo momento. Allora, sono due i temi. Il primo è il costringimento all’indebitamento per sostenere il consumismo. Questo io trovo che sia un fatto attuale che non va bene, il secondo è quello della non remunerazione del risparmio. Oggi molti di noi – e ve ne renderete conto nei prossimi mesi e nei prossimi giorni – che chi ha un risparmio liquido investitoe non vuole correre troppi rischi, non sa dove metterlo. E verrà remunerato a dei tassi più bassi del tasso di inflazione, per non dire a dei tessi vicini allo zero. Questi sono i due fenomeni che sono assimilabili al problema che abbiamo visto fino adesso. Negli ultimi 30 anni lo sviluppo economico nel mondo occidentale si è fondato sul consumismo. Cioè si è frenata quella crescita economica che era legata alla crescita della popolazione per arrivare, ferso gli anni Settanta a una progressiva crescita zero. E si sostituisce la mancanza di nascite di bambini con un maggior consumismo. Questo per mantenere la crescita del prodotto interno lordo occidentale, alta. Ma come si è fatto a produrre questa attitudine al consumismo? Con l’indebitamento! Una gran parte delle famiglie, incominciando soprattutto dal mondo anglosassone, hanno incominciato a indebitarsi, diventando vulnerabili e precarie. Perché tutte le volte che io sono indebitato o che il mio risparmio non è soddisfatto dal punto di vista economico e finanziario, io vengo privato della mia libertà. perché il risparmio che io produco è quello che serve per garantire la mia libertà personale. È quello che mi dà le garanzie che io ho autonomia. Se il mio risparmio non è remunerato oppure è addirittura ritenuto investito a rischio – come sta succedendo in questi tempi – è come privare il cittadino, la persona, della sua libertà. quindi mettere l’individuo nella condizione di essere troppo indebitato, oppure, quello che ha risparmiato, di non essere remunerato, significa correre il rischio di privarlo della sua libertà. e questo è un tema che dovremo fronteggiare, non dico nei prossimi tempi, ma che se non verranno messe in atto manovre che verranno a garantire questi due fatti descritti, la libertà di un certo numero di individui tornerebbe ad essere linitata. Certamente non limitata come 3000 anni fa – lo dicevamo facendo riferimento all’Antico Testamento, dove l’uomo dava in garanzia se stesso, la sua vita, la sua famiglia, se non fosse stato adempiente – però indubbiamente esiste questo pericolo, ed è un pericolo a cui dobbiamo essere attenti. Quindi attenzione quando ci dicono: consumate, consumate! Per altro anche investire i propri risparmi e non avere un rendimento è altrettanto problematico, perché quando oggi voi andate in banca e vi sentite dire che la vostra remunerazione è inferiore al 2%, voi sapete perfettamente che è inferiore al tasso di inflazione. E conseguentemente è come se sul vostro patrimonio, sul vostro risparmio gravasse una imposta occulta che trasferisce il rendimento a quei settori che debbono essere tenuti in piedi perché sono falliti, perché sono indebitati e debbono essere salvati, bene o male. È ovvio che è bene che vengano salvati perché se loro non vengono salvati il nostro mondo perde occupazione e conseguentemente perde le fonti di reddito.

Siamo stati portati per una scelta di sviluppo egoistico! Non finirò mai di dirlo! Sono sei volte che lo spiego sull’Osservatore Romano, e continuerò a scriverlo! La crisi attuale non è legata a problemi di carattere economico-finanziario! È legata all’incapacità dell’uomo di avere dei valori morali. E quando l’uomo decide di sacrificare lo sviluppo organico di una famiglia che faceva figli e sostituirlo con quello egoistico del consumismo, in quel momento il nostro mondo ha cominciato a crollare progressivamente. Perché ci siamo trovati di fronte a una crescita zero di popolazione, e crescita zero di popolazione vuol dire che i costi fissi aumentano: la popolazione invecchia e costa di più! Aumentano i costi sociali. Perché negli ultimi 30 anni non si è potuto mai diminuire le tasse? Le tasse non si possono diminuire se la popolazione non cresce organicamente! Non si possono inventare i trucchi per sostituire una nascita naturale di figli nelle famiglie, con delle soluzioni per tenere in alto il prodotto interno lordo. Inventandoci il prodotto interno lordo, come è successo coi mutui sub prime americani! Pellicciari – Certo hai trattato degli argomenti interessantissimi, Ettore! Questo della denatalità l’hai collegata in qualche modo all’usura?… Gotti Tedeschi – Eh beh, insomma… (sorridono entrambi). Pellicciari – Cioè all’attenzione per il denaro? Gotti Tedeschi – No, anche l’usura è cambiata. L’usura era importante quando era uno scambio tra danaro e bisogno di danaro e disponibilità di danaro fra due individui. Quella era fortissima come usura, perché l’individuo dava se stesso, la sua vita, in garanzia! Oggi l’usura è ridimensionata perché i prestiti istituzionalmente li fanno le banche. Cioè, Angela, teniamo conto di una cosa. Se c’è una banca che ti fa dei prestiti e tu sei solvibile perché tu hai un mestiere che ti permette di garantire un minimo di reddito, un minimo di patrimonio, non hai bisogno di andare dall’usuraio! Quand’è che tu vai dall’usuraio? Quando nessun altro ti finanzia. E perché non ti finanzia? Perché non dai le garanzie! Ma allora, l’usuraio, che tipo di garanzie vuole da te? Vuole delle garanzie che – facciamo attenzione! – sono proporzionate al rischio che tu rappresenti! L’alternativa all’usuraio è il non avere prestito! Dove vedo io oggi – in questo mondo – i maggiori pericoli? In quello che dicevo: un atteggiamento consumistico, che porta la famiglia a indebitarsi, e un atteggiamento che porta la famiglia, la persona o l’individuo che ha risparmio a non vederlo più remunerato. Questi sono i nuovi temi, che non hanno niente a che vedere con l’usura, ma sono i problemi finanziari dell’individuo e della famiglia di oggi! Prima era l’usura – ora lo è molto meno, se non in situazioni molto drammatiche di contesto sociale deteriorato – oppure, signori, io credo che la cosa che dobbiamo ripensare è i nuovi monti di pietà per i nuovi poveri. Pellicciari – Certamente! Gotti Tedeschi – I nuovi poveri che sono nelle nostre città! Perché noi ci occupiamo tanto di tanti altri poveri, ma in ogni città ricca, nel mondo ricco, ci sono i nuovi poveri. E sono quei “famosi” anziani, o anche persone meno fortunate che non sono riusciti a stare alle regole del gioco di un mondo che ti impone determinate scelte e determinate strutture di costi! Ma vi rendete conto, quanto costa oggi vivere al minimo in una società? Pensate soltanto all’affitto, l’ascensore, la luce, il gas el’acqua, il doversi vestire! Cioè, la soglia minima di costi che una persona deve sopportare in una società come la nostra è relativamente alta! Il miniomo che io debbo produrre di reddito per poter sostenere questi costi è relativamente alto! Così che quando una persona va in pensione e non produce quello, è già finita al momento in cui ci va! Perché non sopporta quel tipo di struttura di costi, rigida, che la nostra società gli impone. Ora, io credo che un governante che sappia affrontare questi problemi si debba domandare esattamente questo! Quanto deve fare attenzione a questo tipo di squilibrio economico-sociale di una società ricca, come diciamo noi. Fino a quando lo resteremo. Perché ho l’impressione che diventeremo tutti relativamente più poveri per molto tempo. Pellicciari – Certamente, Ettore! La mia era una provocazione. Però l’economista che tu hai citato prima, quello del microprestito e queste iniziative che la Chiesa ha preso nel corso dei secoli, e cioè, per esempio, quella dei monti di pietà, io penso che altri uomini come te, che esprimono il tuo pensiero, o religiosi, dovranno pensarci? Poiché penso anch’io che andiamo in contro a un periodo molto duro, sarebbe il caso di pensarci in tempo a trovare delle forme di aiuto alle persone affinché possano sopravvivere! Diamo la parola agli ascoltatori. Ascoltatrice – Avete detto cose molto interessanti, ma tutta quella gente che ha cercato di risparmiare e poi si trova coinvolta in questi crac finanziari, sia italiani che esteri, cosa può fare? Gotti Tedeschi – Anzitutto signora questa non è una truffa perpetrata da nessuna impresa italiana e neanche da nessuna banca italiana. Diciamo che l’Italia, tutta l’Europa, è una vittima innocente di un modello sbagliato e portato avanti in alcune decine di anni nel mondo nordamericano. Signora, incrociamo le dita anzitutto per l’impatto sull’economia reale, e quindi sul fatto che si possa continuare ad avere un dignitoso impiego non sostenuto dallo Stato con le varie casse integrazioni e salvagenti sociali. Per quanto riguarda invece l’uso del risparmio, non si faccia allettare da chi le propone dei rendimenti alti, perché ogni rendimento alto significa rischio alto! Ogni rendimento superiore all’investimento in titoli di stato a breve, significa rischio. Quindi lei valuti e si faccia spiegare sempre qual è il rischio effettivo. Oggi io suggerisco di accontentarsi fin quando non riusciremo ad uscire dalla crisi. Ascoltatore – Sono Andrea e chiamo da Genova. Io mi occupo di economia e desidero dire che dopo che c’è stato il primo venerdì di ottobre con il grande crollo dei mercati, la mia sensazione è stata che le banche dovessero fallire, ma non è successo perché in quel fine settimana i primi ministri hanno trovato un momentaneo supporto. Però la mia sensazione era che il mondo in realtà in quella settimana fosse cambiato di più che negli ultimi 40 anni, questo anche in linea con le vostre considerazioni, e cioè che questa crisi sia anche una crisi morale dell’economia nel suo insieme che è arrivata ad un collasso. Per questo chiedo, non sarebbe utile che dall’area cattolica escano degli spunti per quella che sarà l’economia del futuro? Cosa potrebbe suggerire o fare la Chiesa? Gotti Tedeschi – C’è un punto fondamentale che, come il nostro ascoltatore, fraintendono. Il mondo è cambiato negli ultimi tempi, nelle ultime settimane, dopo il venerdì nero?… No, il mondo cambia, continua a cambiare quando va contro natura o ignora la natura. Il peccato originale di questa crisi è nello sviluppo egoistico deciso forse da quegli ambienti neomalthusiani, dei limiti dello sviluppo, che dicevano che l’uomo è un elemento addirittura quasi negativo per l’equilibrio naturale. (Naturalmente gli enunciatori di questa filosofia ovviamente non si ritengono fra coloro che fanno danni… Nota del trascrittore). La
crisi di questa economia, di questa finanza, è dovuta a una crisi di valori. Per quello che può fare la Chiesa… Vedete: teniamo separati i due punti. E permettetemi di dirlo con grande forza. Distinguiamo tra fini e mezzi. Non facciamo confusione confondendo i fini con i mezzi! La finanza, l’economia e tutto il resto sono dei mezzi, la cui moralità non è in loro. Loro non sono né morali, né immorali. Chi li rende morali o immorali è l’uomo. Dipende dall’uso che ne fa l’uomo. Quindi il compito della Chiesa è quello di dare indicazioni morali (Come fa per altri campi del vivere umano. Nota del trascrittore). La Chiesa non dà indicazioni a riguardo delle leggi economiche da perseguire. La Chiesa dice soltanto che queste devono servire all’uomo, devono essere al servizio dell’uomo, della sua dignità, del suo progresso, del suo equilibrio, delle sue soddisfazioni, che non sono solo materiali. Sono spirituali. Se n’è accorto persino (scusate fores il persino è esagerato), se n’è accorto persino Tremonti. Il ministro Tremonti ha capito perfettamente questo punto. Essendo ministro dell’economia, da uomo politico ha capito che un Governo non può soddisfare l’uomo soltanto da un punto di vista materiale, perché lascia in lui un vuoto, un’attesa, una insoddisfazione che sono enormi!

Pellicciari – Certamente. Ad ogni modo, anche se io non capisco assolutamente nulla di economia, però so anche per esperienza che la storia la guida Dio. Quindi, secondo me, dietro questo cataclisma della finanza, che probabilmente avrà ripercussioni non solo sulla finanza, dietro questo cataclisma, chissà che non ci sia (il misterioso piano di) Dio. A questo proposito vorrei rifarmi a un n libretto che ho scritto – e di cui ho parlato a Radio Maria, al quale sono molto affezionata, che si chiama”Family Day” – e questo libretto credo possa essere utile per spiegare il perché i cattolici siano scesi in piazza, sia a Roma che a Madrid. I cattolici sono scesi in piazza perché il modello di sviluppo che l’elite internazionale, anche finanziaria, sta imponendo, è quel modello neomaltusiano a cui facevi riferimento. Cioè è un modello fondato sul fatto che alcuni “superintelligenti”, possono programmare quanti uomini debbono nascere e come deve essere la morale. È chiaro che questo progetto va contro il progetto di Dio, che è deliberazione di amore per l’uomo! Tutto ciò sta producendo (e ha sempre prodotto) danni inenarrabili! Chissà che questa scossa che è stata data alla finanza non sia anche una scossa provvidenziale nel senso che adesso avremo problemi più concreti da fronteggiare, quali il trovare lavoro e poter campare! Perciò non tanto al come pensare a produrre l’uomo in provetta, o… Che ti pare Ettore? Sono una fantasiosa? Gotti Tedeschi – No, questa volta sei stata tu a supportare una mia considerazione, e cioè che la natura vince sempre! Sai, noi ci riferiamo a un Dio Creatore, e questo distingue la nostra religione, la nostra fede e la nostra visione morale da tante altre che vanno più o meno di moda, incluse quelle laiche. Noi crediamo in un Dio Creatore, e se Dio è Creatore, l’avrà pur creata per qualche ragione questa Terra e questa gente? E quindi ha dato un senso alla sua creazione. Conseguentemente noi dobbiamo dare un senso a quello che facciamo. E quindi se noi andiamo controsenso, noi impediamo uno sviluppo di questa creatività di Dio che si traspone in noi. Io ricordo il discorso che ha fatto Benedetto XVI a Parigi al collegio dei Bernardin, in quel monastero cistercense, credo fondato da San Bernardo di Chiaravalle, che voglio ripetere come conclusione. Cito a memoria. Lui sostanzialmente, in un monastero, dove si pregava e si sviluppava il progresso, l’hora et labora. Lui dice: «La creazione non è finita. Dio lavora! Noi dobbiamo collaborare con Dio». Se noi impediamo questa creazione, che non è terminata, noi ci scontriamo direttamente col Creatore! Quando noi decidiamo, in pochissimi anni, di impedire alle coppie di fare figli, dicendo loro che è sbagliato, che è demenziale, addirittura paventando una forma di Medioevo futuro legato a queste famiglie numerose… troppa gente che cresce…! Oggi ci siamo resi conto, signori, di una cosa fondamentale, e cioè che la presenza di tanti figli è la ricchezza fondamentale con cui molte popolazioni, molte nazioni si stanno affermando sui mercati internazionali. E anche in economia! L’uomo è ricchezza! L’uomo è valore! L’uomo fa si che la famiglia investa e creda con fiducia nel futuro! Che cosa può essere un sistema economico fondato esclusivamente su un consumismo egoistico? Che cosa produce? Non produce nulla! E quindi va contro a quel istinto creativo con cui noi dovremmo lavorare e collaborare con il Creatore. Pellicciari – Certamente. Mi sono però ricordata che non ho chiuso il discorso prima, sulla Leeman Brothers. In questo libretto: “Family day”, citavo una notizia che aveva riportato il Corriere, lo scorso anno, riguardo a quella banca, che stava promuovendo in Asia, dove ancora l’omosessualità non è accettata, dei corsi esclusivamente riservati a omosessuali e lesbiche. Quindi, dopo averci detto che mettere al mondo figli è una cosa, in un certo senso, contro natura, che ci schiavizza e non ci rende liberi. Per contro è stata pubblicizzata in ogni modo possibile l’omosessualità. E la Leeman Brothers era al centro di questo cosiddetto sviluppo contro le caratteristiche naturali che Dio ha previsto. Ed è la prima grande banca che è fallita! Alle ore 11.50 la professoressa Pellicciari saluta cordialmente il banchiere cattolico Ettore Gotti Tedeschi, augurando Buon Natale. Gotti Tedeschi – Io, prima di tutto sono un cattolico che, oltre a fare la pappa ai bambini, faccio anche altre cose! Grazie di tutto! E si chiude tutto con una gioiosa risata.

Crisi economica: Stati Uniti e Cina, tempesta valutaria all’orizzonte

L’abissale livello del debito estero degli Usa e la svalutazione eccessiva e ingiustificata dello yuan cinese sono due elementi di forte rischio per l’economia e la stabilità mondiali. Le soluzioni trovate finora vanno bene agli organismi finanziari, ma non alle popolazioni. La nascita di una oligarchia “trasversale”, che unisce banche centrali, Partito comunista cinese, oligarchie russe, sceicchi del petrolio. Milano (AsiaNews)

 

– Dopo la crisi dei “sub-prime”, delle banche, delle borse, è in arrivo una nuova ondata dello stesso maremoto: forse prenderà le forme di una tempesta valutaria che toccherà non solo il dollaro e l’euro, ma anche la Cina e l’Asia, l’Est Europa ed i Paesi emergenti. Questa ipotesi contrasta con l’accordo raggiunto al G-20 di Washington tra i capi di Stato e di governo dei Paesi che rappresentano quasi il 90 % del Prodotto interno lordo (Pil) mondiale[1]. Tali Paesi si sono impegnati a non erigere nuove barriere tariffarie: la globalizzazione – essi dicono – non deve arrestarsi, non si deve ricadere nel protezionismo, commettendo lo stesso errore in cui si è caduti dopo la crisi del ’29. Questo consenso unanime sembra però solo un accordo di facciata. In realtà la globalizzazione si è sviluppata su un modello economico squilibrato. Finora essa ha potuto reggersi proprio sul controllo dell’emissione monetaria e su un protezionismo fatto di barriere doganali non tariffarie. La tempesta valutaria che è in arrivo non è che un violento e pericoloso riequilibrio del sistema degli scambi internazionali. Per affrontare la crisi, molti Paesi – e soprattutto gli Usa – hanno invaso il mercato con nuove immissioni di moneta.

 

Alla radice degli attuali sconvolgimenti economici non c’è però una crisi di liquidità, ma di solvibilità. Inondare il sistema di liquidità a debito non risolve il problema, ma lo aggrava. Per salvare il sistema bancario e finanziario la Fed ed il Ministero del Tesoro americano in poco tempo e per considerevoli importi – secondo Bloomberg, per 7’740 miliardi di dollari, circa 11 volte il valore originale del piano Paulson; il 56,19% del Pil Usa del 2007[2] – stanno indebitando il contribuente americano. Non sappiamo se questo è legale, ma ci chiediamo se sia legittimo non solo verso i cittadini americani, ma anche nei confronti del resto del mondo ed in particolare dei paesi asiatici, che sono tra i maggiori detentori di ricchezza monetaria denominata in dollari. Un modello economico squilibrato La globalizzazione si regge su di un modello economico squilibrato. Finora la locomotiva della domanda mondiale è stata fornita dai consumi privati e pubblici degli Stati Uniti. I consumi americani, cioè, hanno permesso la crescita economica di altri paesi, trainata dalle esportazioni. In questo schema, l’assurdo è che chi produce è sottopagato e deve risparmiare per fare credito a chi non produce e difficilmente potrà pagare. Il lavoratore in Cina, Brasile, India viene remunerato con uno stipendio da fame, per produrre beni calibrati su gusto ed esigenze del mercato statunitense (ed occidentale)[3]. Per pagarli, il consumatore americano non è in grado di produrre risorse e valore corrispondenti. Di fatti, l’andamento del Pil Usa è negativo dal terzo trimestre del 2000, se calcolato sulla base dei criteri di valutazione dell’inflazione precedenti all’epoca Clinton[4]. Nonostante ciò, il consumatore americano è stato spinto, lusingato, finanziato oltre i propri limiti, quasi costretto a comperare ogni genere di prodotto. Da qui la crisi di solvibilità. I fattori che concorrono a questo assurdo sono due: la liquidità finanziaria emessa e l’accumulo di riserve valutarie. Da un lato le autorità monetarie statunitensi hanno consentito l’abnorme emissione di moneta finanziaria, la cosiddetta M3. L’emissione eccessiva di una moneta, anche sotto forma di titoli finanziari a medio lungo termine, ne diluisce il valore reale. Questo avrebbe dovuto produrre una svalutazione del dollaro. E invece, la massa monetaria in dollari ha mantenuto un’accettazione inalterata come strumento di pagamento soprattutto in Asia e nei Paesi emergenti. Questo è stato possibile sia per il ruolo del dollaro – consolidato dal crollo dell’Urss – quale valuta di riserva mondiale, sia per una deliberata politica della Fed e del Tesoro americano. Grazie ad una serie di strumenti di ingegneria finanziaria, resi possibili dall’abolizione della legge Glass-Steagall decisa nel 1999 – ABS, CDS, contratti a termine sui tassi d’interesse ecc. – i titoli finanziari emessi in dollari sono stati dichiarati “sicuri”. Le agenzie di valutazione del credito classificavano questi valori mobiliari come privi di rischio, la famosa “tripla A” o a basso rischio (le obbligazioni Lehman, ad esempio). In tal modo il debito di istituzioni private diventava quasi moneta a pieno valore faciale e come tale veniva iscritta all’attivo di bilancio senza accantonamento di riserve per il rischio. Dall’altro lato, si deve registrare la fortissima sottostima, in termini di parità di potere d’acquisto, del tasso di cambio della valuta di alcuni paesi emergenti, in particolare della Cina. Essa è di fatto un sussidio molto potente alle esportazioni da tali paesi, che in effetti sono decollate oltre ogni misura e considerazione – qualità, tempi di consegna, assistenza, rete di vendita ecc. Si genera perciò un rapido incremento di riserve monetarie in Cina, Brasile, India e Russia, oltre che nei paesi esportatori di petrolio, e questo va a beneficio di ristrette oligarchie locali. Proprio in questo snodo, dall’assurdo scaturisce il tragico: l’incremento dell’instabilità politica internazionale. Infatti, la gran parte della popolazione dei Paesi emergenti viene pagata in moneta locale e non ha di fatto accesso ai benefici dell’incremento di riserve valutarie. Solo in Cina questo è il caso di circa 900 milioni di persone. Le oligarchie locali hanno priorità di consumo molto diverse dal resto della popolazione: espansione dell’area d’influenza ideologica o religiosa; armamenti convenzionali e nucleari; prestigio nazionale (v. le imprese spaziali); articoli di gran lusso, e così via. Viceversa, le popolazioni dei Paesi emergenti avrebbero una maggiore propensione al consumo di prodotti alimentari che potrebbero essere forniti dalle eccedenze strutturali di produzione delle derrate di paesi irrigui e con grandi estensioni adatte a coltivazioni agricole, come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e la stessa Unione Europea. Un incremento dei consumi alimentari dei paesi emergenti potrebbe perciò riequilibrare i flussi valutari. Invece, proprio il mantenimento di tassi di cambio sottovalutati produce nei paesi emergenti ed in particolare in Cina, una forte inflazione dei beni di consumo alimentare[5]. Il malessere interno produce tensioni che le oligarchie cercano ovviamente d’incanalare all’esterno. In alcuni Paesi ed in alcune circostanze storiche l’espansione trainata dalle esportazioni può, a certe condizioni, convivere con un equilibrio di sistema se la circolazione monetaria non viene distorta, ma soprattutto se non è pregiudicata la solvibilità del sistema stesso[6].

 

Nelle circostanze attuali quest’ultimo rischio non è affatto basso perché sono state sfondate alcune soglie di guardia. Il debito americano Un primo parametro di instabilità è dato dal debito esterno lordo americano: è passato da 6.946 miliardi di dollari – al 31/12/2003 – a 13.427 miliardi di dollari – al 31/12/2007[7]. È il circolante monetario internazionale ed alla fine dello scorso anno era pari a circa il 100 % [8]del PIL Usa. Nonostante il raddoppio in pochi anni, l’economia Usa non ha dimensioni sufficienti per continuare a fornire debito sovrano – che valga come moneta di riserva valutaria – in misura adeguata per la crescita dell’economia mondiale. Un secondo parametro è il dato sulla velocità di crescita del totale del debito pubblico americano ed anche questo è impressionante. Fino al 31/12/2007 il debito pubblico americano era di 10.600 miliardi di dollari ed il rapporto tra debito pubblico e Pil era del 76,75%. Con il piano Paulson e dopo il salvataggio di Fannie Mae e di Freddie Mac (ma senza AIG) è del 118,02%[9]. Se sono reali i dati Bloomberg di cui sopra – 7.740 miliardi di dollari di salvataggi – arriviamo ad un totale di circa 23.300 miliardi di dollari di debito pubblico e ad un rapporto pari al 169 % circa del Pil. In poco tempo il debito pubblico Usa è quasi raddoppiato o quasi triplicato. In ogni caso è diventato eccessivo. Seppure importanti, i parametri di cui sopra non sono decisivi. Uno studio del Fondo monetario internazionale (Imf)[10] ha identificato una soglia di altissimo rischio di crisi valutaria quando il livello di debito pubblico esterno detenuto da stranieri tocca il 60% del Pil. Ben inteso, anche altre condizioni concorrono a tale rischio – e si verificano anch’esse nel caso attuale degli Stati Uniti: un forte deficit corrente del bilancio statale[11] e della bilancia commerciale. Il punto cruciale è però proprio un’elevata percentuale di debito pubblico detenuta da investitori esteri. Per molti anni, infatti, a partire dalla 2a Guerra mondiale e fino circa al 1987 gli Stati Uniti sono stati creditori netti verso il resto del mondo. Non sappiamo ancora quale sia la percentuale del debito pubblico Usa detenuta da stranieri non residenti dopo i salvataggi di questo autunno. A fine 2007, gli ultimi dati ufficiali disponibili, il rapporto tra debito esterno lordo ed attività estere nette (Net Claims of Foreigners on U.S., tabella 13-5 del preventivo contabile 2009, “2009 Fiscal Year Budget”, governo degli Stati Uniti) era del 61,82 %[12], in crescita rispetto all’anno precedente – il 54,42 %. È probabile che nel 2008 sia ulteriormente aumentata, ma supponiamo che la percentuale sia rimasta simile a quella del 2007. Anche solo sulla base del primo dato (118,02% di debito pubblico rispetto al Pil) la soglia indicata nello studio dell’Imf sopra citato è stata superata (il rapporto è il 73 % circa del Pil Usa). Occorre però una precisazione. Lo studio del Fmi fa riferimento, come è ovvio, a paesi emergenti, la cui moneta non è, cioè, come il dollaro, valuta di riserva[13]. Non è perciò possibile stabilire con certezza quale sia il livello nel caso attuale degli Stati Uniti. Possiamo però supporre con ragionevole approssimazione che ci stiamo avvicinando in fretta ad un punto di rottura, anche perché sommando il debito pubblico americano agli impegni di spesa per sanità (Medicaid e Medicare) e pensioni (Social Security) si arriva ad un totale pari al 429,37 % del Pil[14]. Da ultimo ricordiamo che nel 2007 gli investitori esteri in attività finanziarie Usa erano soprattutto asiatici, Giappone e Cina in testa.

La Cina e la svalutazione dello yuan L’altra soglia di guardia è data da quanto da anni ad AsiaNews andiamo sostenendo: la smisurata, arbitraria sottovalutazione del tasso di cambio di molti Paesi emergenti. Nel caso della Cina essa è del 55,54%. In pratica Pechino ha mantenuto costante la svalutazione stabilita dalle autorità monetarie cinesi il 1° gennaio 1994 (1dollaro Usa = 8,62 Yuan Renminbi, Rmb) con l’unificazione dei due diversi tassi di cambio allora esistenti. Mediante tale svalutazione la Cina mirava ad assicurarsi condizioni favorevoli prima di dover abbattere i propri dazi doganali per entrare nel Wto (l’Organizzazione per il Commercio Internazionale). Attualmente, grazie al cambio tuttora controllato dalla Banca centrale cinese, 1 dollaro Usa equivale a circa 6,8798 Rmb. Un semplice calcolo, sulla base dei dati 2007 della Banca Mondiale (Bm), ci può chiarire la sottovalutazione del cambio. Il Pil cinese a tassi di cambio correnti è di 3.280 miliardi di dollari. Quello espresso in termini di Parità di Potere d’Acquisto (PPP, secondo l’acronimo inglese) è di 7.055 miliardi di dollari. Ne deduciamo perciò che il tasso di cambio reale dovrebbe essere ben diverso per esprimere il medesimo potere d’acquisto Se, infatti, applichiamo lo stesso rapporto tra Pil cinese in dollari correnti (il 6,04 % del Pil mondiale) e Pil cinese a PPP (il 10,78 % del Pil a PPP mondiale) dovremmo avere un rapporto di 1 dollaro Usa per 3,821 Rmb (la sottovalutazione di cui sopra – 55,54% – è calcolata su tale rapporto). A tale livello di cambio, però, non solo le esportazioni cinesi crollerebbero, ma la gran parte delle industrie cinesi dovrebbero chiudere e licenziare con pericoli per la classe dirigente e grossi sconvolgimenti sociali. La Cina – la fabbrica del mondo, finora considerata un modello di grande successo – ha, infatti, un sistema produttivo molto inefficiente se si compara risorse umane, capitali e materie prime impiegate con l’incremento unitario del Pil. La svalutazione cinese del 1994 fu considerata una delle cause della crisi asiatica del 1998. Di essa si disse anche che fu il prezzo pagato per l’equivalente asiatico del “crollo del muro di Berlino del 1989”, cioè della transizione dal comunismo all’economia di mercato. A distanza di dieci anni la storia economica sembra ripetersi, amplificata. Oligarchie trasversali Per la transizione dal comunismo la Cina ha adottato l’aggressivo modello di sviluppo trainato dalle esportazioni. Come è già stato osservato anche in altre epoche della storia economica, anche ora constatiamo che tale modello è privo di equilibrio intrinseco: ai nostri giorni esso produce una delocalizzazione industriale scriteriata ed è concausa di una crisi finanziaria mondiale. Ulteriormente protratto, oltre una certa soglia, rischia di causare una crisi valutaria senza precedenti come raggiustamento brutale del sistema. Finora il modello ha retto perché conveniente per chi detiene il potere: sulla moneta (la Fed ed in misura minore la BCE); sulla manodopera (il Partito Comunista Cinese ad esempio); sulle materie prime (gli sceicchi del Golfo, il complesso oligarchico russo ecc). Anche le conclusioni del G-20 di Washington – porre le fondamenta di un sistema monetario mondiale pur di salvare la globalizzazione – possono essere utili ad un’oligarchia trasversale a tutti i Paesi. Il controllo degli strumenti di pagamento è la base del potere. Oggi si vuole di fatto creare, dalle ceneri del dollaro, una nuova banca centrale mondiale – e, forse una nuova moneta euro-americana, o magari solo nordamericana, l’amero, non sappiamo. Questo è forse un bene per Bm, Wto, Fmi, Fsf (Financial Stability Forum), per le varie agenzie Onu, per chi controlla la Fed, la BCE, la Banca centrale cinese e le altre banche centrali. Non è detto che ciò sia un bene anche per il resto del mondo. di Maurizio d’Orlando, Asianews

 

[1] Bloomberg, News, November 16, 2008 – G-20 Calls for Action on Growth, Overhaul of Financial Rules – By Michael McKee and Simon Kennedy Bloomberg.com: Worldwide [2] Nostra elaborazione, su dati della Banca Mondiale (Bm) per il Prodotto interno lordo (Pil) e per il debito – 8’500 miliardi di dollari secondo altre fonti – su dati riportati in Bloomberg, News, November 24, 2008; U.S. Pledges Top $7.7 Trillion to Ease Frozen Credit – By Mark Pittman and Bob Ivry, Bloomberg.com: News. [3] Oltre tutto il lavoratore cinese deve mantenere un elevato livello di risparmio privato data l’assenza, in pratica, di un’adeguata struttura di previdenza sociale (sistema pensionistico, indennità di disoccupazione, cassa mutua sanitaria ecc.). In un contesto in cui i bilanci delle imprese, diciamo così, non sono sempre molto veritieri il piccolo risparmiatore cinese, che ha provato la strada dell’investimento azionario, ha visto i suoi risparmi falcidiati. Prima c’è stata un’ascesa che ha beneficiato solo i “bene informati” e poi il crollo dei listini di borsa, maggiore di quello di altre piazze finanziarie (AsiaNews, 22/05/2007 , CINA La Borsa cinese e il rischio della crisi economica – Asia News). Perciò il risparmio forzoso, che per altro deprime i consumi interni cinesi, non ha trovato e non trova altro reale sbocco se non il deposito in banche statali in perenne semi bancarotta. Da queste viene o canalizzato alle imprese seguendo criteri politici o trasferito alla Banca Centrale ed investito in buoni del Tesoro ed altre attività finanziarie in dollari. [4] Vedi Shadow Government Statistics, Inflation, Money Supply, GDP, Unemployment and the Dollar – Alternate Data Series [5] Vedi AsiaNews, 09/08/2007 CINA Ha raggiunto livelli allarmanti l’inflazione dei prodotti alimentari – Asia News [6] Il precedente della Germania guglielmina non depone però a favore perché proprio il fabbisogno di materie prime conseguente al dilagare del “Made in Germany” fu una delle cause nel 1914 del conflitto mondiale. [7] Dati del tesoro americano – al 31/12/2005 l’importo era di 9’476 miliardi di dollari. Vedi http://www.treasury.gov/tic/debtad03.html http://www.treasury.gov/tic/deb2ad07.html ; http://www.treasury.gov/tic/deb2ad05.html [8] Nostra elaborazione, su dati della Banca Mondiale (Bm) e dati del tesoro americano [9] Si tratta di una stima, vedi AsiaNews.it, 30/09/2008, Quanto è profondo l’abisso del caos economico, sociale e politico . [10] Vedi IMF, World Economic Outlook, Public Debt in Emerging Markets, September 2003 IMF World Economic Outlook (WEO)– September 2003 [11] Si verifica sia nel caso di insufficiente raccolta fiscale (Argentina, India, ecc.) che di livelli eccessivi di spesa pubblica rispetto al Pil. Quest’ultimo è il caso degli Stati Uniti dopo i salvataggi finanziari. [12] 8.300 miliardi di dollari rispetto al debito esterno lordo di cui sopra, 13.427 miliardi di dollari. Vedi http://www.whitehouse.gov/omb/budget/fy2009/pdf/spec.pdf [13] A tutt’oggi non esiste un comparabile precedente di insolvenza o moratoria sul debito pubblico, esclusi i periodi bellici, di un Paese la cui moneta sia valuta di riserva. [14] Vedi la precedente nota 9.