Sussidarietà, la strada verso il bipolarismo mite

All’indomani del convegno promosso dalla Compagnia delle Opere del Trentino Alto Adige (di cui riferisco nell’articolo precedente), mi sembra interessante proporre la lettura del testo che segue, sintetizzato nell’intervento del consigliere provinciale di Forza Italia Walter Viola (nella foto). Si tratta del programma di legislatura dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, al quale aderiscono deputati e senatori di varie forze politiche sia del centrodestra che del centrosinistra (da Maurizio Lupi di Forza Italia ad Antonio Polito dell’Ulivo, da Gianni Alemanno di Alleanza nazionale ad Ermete Realacci della Margherita), accomunati dalla volontà di cercare insieme, partendo appunto dal principio di sussidiarietà, alcune soluzioni ai grandi problemi del Paese. Il che non significa censurare le differenze, ma credere nella possibilità di un dialogo costruttivo che scaturisca dall’identità specifica di ciascuno. 

«Veniamo da un importante appuntamento elettorale e i primi mesi di questa legislatura, così come la precedente, confermano, ancora una volta, le difficoltà del nostro bipolarismo. Una difficile eredità storica ha contribuito a creare una contrapposizione tra i Poli che troppo spesso ha condotto ad un clima di scontro pregiudiziale, facendo dimenticare che le riforme più importanti hanno bisogno, almeno in via preliminare, di uno spirito di condivisione.

Ripartire dall’Italia che cresce.

L’Italia, la nostra economia e l’intera società attraversano un momento difficile. La crisi non si supera solo perché vince uno schieramento piuttosto che un altro; occorre aver a cuore il bene del Paese più che la propria parte. La classe politica ha dimostrato più volte di esserne capace. Occorre ridare fiducia al Paese ripartendo dai suoi punti di forza che possono essere sintetizzati in due parole: identità e qualità. Noi crediamo che occorra partire da una visione positiva, da quel che di buono è presente nel nostro Paese. Sussidiarietà è una delle parole chiave per intraprendere questo cammino. Ciò significa mettere chi non è in grado di operare in condizione di riuscire e chi opera in condizione di fare meglio, perfezionando il rapporto pubblico-privato in modo tale che tra Stato, società e mercato ci sia reciproca valorizzazione e non prevaricazione. Non tutto ciò che è pubblico deve necessariamente essere statale: pubblico è tutto quel che contribuisce al bene comune.

L’Intergruppo, per costruire un bipolarismo mite.

Questo è stato lo spirito con cui, in questi anni, si è mosso l’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà. Un luogo che è stato innanzitutto uno spazio di discussione e di lavoro sui problemi concreti del Paese, al di là e forse anche al di sopra della dialettica politica che divide maggioranza e opposizione. Crediamo che il bipolarismo, in termini di efficacia e trasparenza del sistema sia una conquista irrinunciabile; ma che la strada da percorrere sia quella di un bipolarismo mite, stemperato di ogni forma di antagonismo di tipo ideologico, basato sul rispetto reciproco e su una unità di intenti che è un requisito indispensabile per affrontare le riforme necessarie al bene del Paese. Capace di cercare e sviluppare, ognuno nel rispetto del proprio ruolo, politiche ampiamente condivise. Dialogare, infatti, non significa annullare la propria identità perché, senza identità, non può esserci dialogo.

La sfida che ci attende.

Il compito è tutt’altro che semplice. È a noi che spetta la responsabilità di ridurre le distanze tra la politica e i bisogni dei cittadini, se non vogliamo che vinca la politica intesa come personalizzazione del confronto, demonizzazione dell’avversario, estremismo. Riprendendo il lavoro fatto in questi anni, riteniamo utile partire da una piattaforma di punti condivisi che possa essere di aiuto per un confronto tra le parti e servire da fondamento per un’agenda delle nostre priorità.

Un’agenda condivisa per il futuro del Paese

?  Una politica al servizio della persona. Ciò che può salvare l’Italia da un possibile declino è un’inversione di tendenza rispetto al passato, che ponga l’investimento in capitale umano al centro della vita economica, sociale e politica. Tutto ciò passa per una scommessa sulla conoscenza, sulla ricerca, sull’innovazione, sulla qualità; passa per la valorizzazione del capitale sociale e del lavoro. Nessuna risorsa deve essere dispersa. Per questo, ad esempio, lavoreremo per l’approvazione di una legge sui “Piccoli comuni”, volta a difendere e valorizzare le straordinarie risorse dei nostri territori e delle comunità per una grande scommessa sul futuro, per una modernità a misura d’uomo. Investire in capitale umano non significa solo valorizzarne gli aspetti economici. Occorre ridare centralità alla famiglia, nucleo fondamentale della società, promuovendola come risorsa essenziale per l’educazione e lo sviluppo. Dobbiamo dare vita ad un sistema che metta le persone e le comunità al centro dei processi di creazione di valore, facendone attori e protagonisti della vita delle istituzioni, delle aziende, della società. Per questo bisogna assicurare spazi di libertà all’educazione favorendo la massima inclusione dei cittadini all’interno del sistema scolastico e innalzando così il livello della nostra cultura e della nostra formazione. Dobbiamo realizzare un sistema scolastico in grado di promuovere il merito e di valorizzare le eccellenze e ripensare la formazione come un obiettivo costante lungo il cammino professionale della persona.

?  Più società fa bene allo Stato.

I processi di decentramento dei poteri, con lo spostamento dei meccanismi decisionali e la valorizzazione dell’eccellenza e del merito, con la complementarietà tra strutture pubbliche e private che erogano i servizi, hanno un minimo comun denominatore: un maggiore protagonismo della società e una riduzione progressiva della centralizzazione delle competenze. Una corretta attuazione della sussidiarietà verticale permetterà di evitare la realizzazione di un nuovo centralismo della Regioni e rafforzerà, invece, il comune senso di responsabilità, promuoverà forme associative intercomunali, amplierà gli ambiti di autonomia finanziaria degli enti locali, realizzerà strumenti di governance capaci di coinvolgere i privati e le loro aggregazioni nei processi decisionali locali. In tal senso, fra le due grandi sfide che ci attendono in questa legislatura vi sono sicuramente la piena attuazione del federalismo fiscale e l’approvazione di una legge sulla impresa sociale e sul non profit. Non va dimenticata l’importanza di una piena attuazione della sussidiarietà fiscale, con l’obiettivo di riconoscere al contribuente la possibilità di concorrere alle spese pubbliche destinando direttamente una parte dell’imposta a soggetti non profit ritenuti meritori, attraverso una forma di contribuzione «più etica» e tagliando dal basso la spesa sociale inefficiente (ne è esempio la legge cosiddetta «+ Dai –Versi» approvata nella scorsa legislatura grazie al lavoro dell’Intergruppo e l’introduzione del 5 per mille nella Finanziaria 2006). La sussidiarietà fiscale è anche la leva che permetterà di incentivare e far crescere l’economia reale, che creerà una finanza trasparente al servizio della produzione, dell’impresa e del lavoro e non della rendita di posizione. È attraverso la sussidiarietà fiscale che si potrà sostenere in modo concreto chi investe nello sviluppo.

?  Liberalizzare bene, liberalizzare tutto: la strada per combattere il «partito della rendita».

I prossimi decenni saranno determinati dalla capacità di innovare. Chi sarà in grado di farlo sarà competitivo, chi non lo farà non troverà rimedio neanche delocalizzando, tentando di contenere i costi o cercando di allargare la propria rete commerciale. Occorre un nuovo modo di intendere non solo l’innovazione, ma tutto il sistema imprenditoriale: non uno statalismo statico ed inefficiente, né un liberismo astratto che, riproponendo schemi ottocenteschi, dimentica l’uomo quale primo fattore di sviluppo, ma politiche che favoriscano per le PMI la possibilità di creare sinergie, di fare sistema, di «con-correre, per competere». Occorrono politiche in grado di favorire lo sviluppo di un circolo virtuoso tra imprese, sistema della ricerca, sistema finanziario e politiche di sostegno. Questa è la strada per la competitività. Una strada che chiede in primo luogo di:

. Combattere il «partito della rendita» a tutti i livelli e in tutte le forme: lo statalismo inefficiente, l’appropriazione delle risorse pubbliche, la limitazione della concorrenza, il privilegio, il parassitismo. Difendere lo status quo non è lavorare per il bene comune.

. Riequilibrare il sistema verso un’economia reale che metta una finanza trasparente al servizio della produzione, dell’impresa e del lavoro.

. Incoraggiare chi intraprende con quadri normativi appropriati e con meccanismi (detrazioni e deduzioni, crediti di imposta, finanziamenti connessi ai risultati) che valorizzino il merito e stimolino il protagonismo, la partecipazione, l’assunzione di responsabilità, la cooperazione, la mutualità e le libere scelte nei percorsi di vita, lavoro e impresa.

In questo quadro il sistema dei distretti è tuttora irrinunciabile per l’Italia perché è un sistema misto tra economico e sociale che ha permesso lo sviluppo storico del Paese e che ha saputo finora – sia pure in modo problematico ma che proprio per questo avrebbe meritato più attenzione da parte della classe politica – essere fonte di risposta continua alle istanze della globalizzazione, compresa quella che si manifesta sotto forma di innovazione incrementale. Il distretto «vecchia maniera», però, non regge più. Bisogna allora pensare a modifiche all’interno del sistema distretto che lo rendano più dinamico e che accrescano la sua capacità di innovazione e di integrazione».

Maurizio Lupi, Lorenzo Cesa, Nicola Rossi, Gabriele Albonetti, Alfredo Mantovano, Maurizio Sacconi, Gianni Alemanno, Nicodemo Oliverio, Stefano Saglia, Angelino Alfano, Antonio Polito, Ugo Sposetti, Luigi Bobba, Andrea Ranieri, Tiziano Treu, Giampiero Cantoni, Umberto Ranieri, Luca Volontà, Luigi Casero, Ermete Realacci

Segreteria Organizzativa Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà – Camera dei Deputati Palazzo Marini Via Poli, 13 00187 Roma – Tel. 06 67608812 Fax 06 67605043 – e-mail: sussidiarieta@camera.it

Dellai al convegno della Compagnia delle Opere. Più sussidiarietà, per rafforzare la società civile

Interessanti gli interventi proposti al convegno dal titolo “Sussidiarietà significa valorizzare l’esperienza di ognuno e renderla utile per il bene comune”, che a Trento ha concluso l’assemblea elettiva della Compagnia delle Opere Regionale (dalla quale per la cronaca è uscito confermato il presidente, Giuseppe Todesca). Mi riferisco in particolare alla testimonianza di Paolo Cainelli, della cooperativa Grazie alla Vita, del settore noprofit della CdO, che si occupa di accoglienza e cura dei disabili, e alla riflessione del presidente della Provincia Lorenzo Dellai (nella foto accanto a Todesca).

Cainelli ha ripercorso l’ormai quasi trentennale vicenda della cooperativa sociale di Mezzolombardo – la prima del genere sorta in Trentino – e quella della successiva legislazione provinciale e statale in materia, documentando come la sussidiarietà non sia innanzitutto “ingegneria politica” ma un fatto, perché prima nascono le opere, dall’esigenza di rispondere alle domande destate dalla realtà e dai rapporti umani e di lavoro, e poi interviene l’ente pubblico a sostenerne l’impegno a vantaggio di tutti. Ed è significativo che la crescita di Grazie alla Vita, il cui fatturato è oggi di 1 milione e 300mila euro, più di quello di una microimpresa, non sia frutto di una strategia, ma della disponibilità a farsi carico dei bisogni incontrati. Da segnalare anche, per dire dell’utilità sociale dell’opera, che la cooperativa ha un costo medio annuo per utente di 23mila euro, mentre per l’assessorato provinciale alle politiche sociali l’assistenza dei disabili richiede almeno 32.600 euro.

“Il terreno in cui vi muovete è prepolitico”, ha esordito Dellai evidenziando il contributo della CdO al rafforzamento della società civile, necessario perché essa possa dialogare con la politica. “Del resto la stessa sussidiarietà – ha aggiunto – è un tema prepolitico trasversale ai partiti, che favorisce però il dialogo indispensabile per sfuggire ad una concezione sbagliata del bipolarismo inteso come scontro tra bande. Il dialogo prepolitico è la condizione di un bipolarismo non solo mite ma politicamente utile e intelligente. Questo è l’approccio giusto con cui la politica può ritrovare la bussola dopo una lunga fase di transizione”.

Secondo il presidente della Provincia è urgente che il Paese superi due atteggiamenti inadeguati. Il primo si oppone alla sussidiarietà verticale e appartiene a chi crede che solo lo Stato possa tutelare e certificare i diritti fondamentali, e questo spiega la lentezza e l’estrema difficoltà con cui in Italia si affermano il regionalismo e la relativa riforma costituzionale. Il secondo è invece in contrasto con la sussidiarietà orizzontale perché attribuisce allo Stato il monopolio dell’interesse generale, di cui solo l’ente pubblico può ritenersi garante. Il che giustifica la pretesa non solo di controllare ma anche di gestire tutto.

“Si tratta – ha osservato Dellai – di visioni arcaiche, legate ad una visione corporativa e soprattutto alla paura del futuro. La risoluzione di queste due grandi questioni – ha continuato – sarà imposta a livello europeo dalla necessità di cambiare radicalmente l’attuale modello di Welfare State. Diversamente, l’ente pubblico non avrà più le risorse per mantenerlo e noi saremo attratti da altri modelli inadeguati perchè non coniugano libertà e giustizia, merito e uguaglianza, solidarietà e sviluppo competitivo. E’ proprio per evitare queste ulteriori derive che occorre sperimentare la pista della sussidiarietà”.

Secondo il presidente questa sfida vale anche per il Trentino il cui portato storico non ci consegna solo una Provincia autonoma molto forte, ma anche un “polo della società civile (associazionismo, cooperazione, volontariato e no profit) fortunatamente vivo e presente. Tuttavia per Dellai anche in Trentino c’è bisogno di favorire l’evoluzione di questo sistema investendo di più sulla cultura della sussidiarietà.

“In questa prospettiva la discussione sulla riforma del Welfare potrà rivelarsi senso un’occasione importante di dialogo e confronto di qualità e senza pregiudiziali alla ricerca di soluzioni nuove”. Certo – ha precisato il presidente – anche l’autonomia fiscale è un obiettivo che la Provincia deve perseguire per dare più libertà ai soggetti della società civile e ridurre la loro dipendenza dai finanziamenti pubblici. “Tuttavia – ha aggiunto – sussidiarietà vuol dire soprattutto rifare il Welfare, superando le stanchezze che il nostro sistema ha accumulato e muovendosi sul piano della qualità. Nel nostro sistema sociale, infatti, purtroppo non sempre l’offerta segue la domanda come nel caso di Grazie alla Vita, ma la domanda è indotta dall’offerta. Non si tratta semplicemente di trasferire responsabilità e poteri dal pubblico al privato ma di rimettere completamente in discussione un modello ormai inadeguato”.

Dellai ha infine voluto “lasciare” alla CdO un pensiero non da presidente della Provincia ma da cittadino e da cattolico. “Al di là di come i partiti e le coazioni si organizzeranno – ha detto – la domanda vera è: quanta capacità hanno oggi i cattolici di costruire insieme una società civile forte? Si tratta allora di accelerare un processo che permetta a tutte le espressioni sociali dei cattolici di collaborare alla costruzione di una società civile forte. Si tratta di un lavoro prepolitico che interessa tuttavia anche la politica, che trarrebbe solo vantaggi dal trovarsi di fronte ad una società civile forte.

La sussidiarietà – ha concluso Dellai – è molto esigente ed è in contrasto con tutti i sistemi attuali informati ai principi della delega, della attesa e della protesta dettata spesso dalla volontà di non condividere nulla con nessuno”.

Antonio Girardi

La ragione, esigenza di totalità

Ho trascritto e riordinato per titoli gli appunti presi ieri sera nel corso dell’incontro all’auditorium di Trento con don Julian Carron (nella foto), presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, che ha presentato il libro di Luigi Giussani "Il rischio educativo". Tema della serata: "L’educazione come fattore costruttivo di persona e popolo". Seguito da più di 1.500 persone (anche da un vicino teatro in videoconferenza diretta) e promosso dal rettore dell’Università Davide Bassi insieme al presidente della Cooperazione trentina Diego Schelfi, si è trattato di un vero e proprio evento per la nostra regione. I brani citati mi sembrano fra i più significativi, ripresi purtroppo solo in minima parte dalla stampa, e riflettono il nucleo sia dell’intervento introduttivo che delle risposte di don Carron alle domande emerse in sala.

Destare l’interesse 

 «Oggi un educatore non può dare per scontato che un soggetto abbia il desiderio di imparare. Il problema è che tante volte questo desiderio di imparare non c’è. Occorre dunque ridestarlo. La Chiesa ha lo stesso problema, perché non può dare per scontato l’interesse per la fede. Deve destarlo. Ci troviamo davanti ad una profonda crisi dell’umano. Sembra che niente interessi abbastanza per mettere in moto l’io. Questo succede perché c’è negli adulti uno scetticismo che sono soprattutto i giovani a pagare. Senza qualcosa di vero da proporre, gli adulti non riescono ad interessare i giovani, e allora restano solo i richiami etici e moralistici, che però non sono in grado di mobilitare l’io. Ciò che è in crisi è il nesso misterioso che unisce il nostro essere con il reale.

La domanda di totalità

L’educazione esiste quando qualcuno è introdotto alla realtà nella sua totalità. Ma il punto di partenza è la realtà che continua a ridestare una domanda di totalità. Quali che siano le circostanze in cui si trovano, questa domanda continua a sorgere soprattutto nei giovani. Ecco perché con l’educazione occorre offrire loro un’ipotesi di significato esplicativa della totalità della realtà. Non a caso ad un bambino non interessano i singoli pezzi di un giocattolo ma il suo significato Sarebbe assurdo regalare a un bambino un giocattolo senza svelargliene il significato.

Tradizione, autorità, obbedienza

Il passato è la ricchezza di un popolo che serve alle generazioni per evitare di dover ricominciare ogni volta la storia da capo. Questa è la tradizione. C’è bisogno che a presentarla ai giovani sia un’autorità, cioè una persona piena di affezione per un passato che gli permette di vivere il presente in modo affascinante. Autorità è un adulto che mette nel reale tutto se stesso, che sa affascinare e sfidare gli altri per il suo modo di vivere. L’autorità non sostituisce ma ridesta le domande e lo spirito critico. Anzi. Cerca la critica perché sia possibile la verifica di quel che propone. L’autorità è un volto che abbiamo bisogno di rintracciare perché ci guidi nella strada della vita. Occorre che come educatori ci chiediamo se abbiamo presentato la tradizione con sufficiente interesse e fascino per avere la capacità di trascinare l’interesse dei ragazzi. L’obbedienza è messa in moto se ci troviamo di fronte a qualcosa che ci fa diventare di più noi stessi, che risponde all’attesa del cuore. Allora nasce la curiosità, lo stupore e il tentativo di seguire per immedesimarsi nelle ragioni dell’autorità.

La sfida alla ragione

Una cosa diventa nostra solo se la mettiamo alla prova per verificare se corrisponde alle esigenze del cuore. Dove manca la sfida continua alla ragione non esiste educazione, perché non si riesce a mettere in moto il centro dell’io come ragione, libertà e affezione. Trovare un luogo e persone che ridestano l’io sarà la vera possibilità di speranza per il popolo. La ragione è questa esigenza di totalità che emerge di fronte al contraccolpo del reale. Si è invece ridotto il concetto di ragione a qualcosa che si può misurare. Per questo Benedetto XVI nel suo discorso a Ratisbona ha proposto di allargare la ragione perché essa non sia ridotta ad un tipo di sapere o ad un tipo di razionalità che non risponde all’esigenza di totalità dell’io».

Antonio Girardi

Sabato 25 novembre la Giornata della Colletta Alimentare

E’ in programma anche in tutta la nostra regione, sabato 25 novembre, la decima Giornata della Colletta Alimentare.

Promossa dalla Fondazione Banco Alimentare Onlus del Trentino Alto Adige con la collaborazione delle sezioni locali dell’associazione Nazionale Alpini e i Nuvola (protezione civile), quest’anno la Giornata della Colletta Alimentare coinvolgerà nel nostro territorio oltre 2000 volontari, che in 150 supermercati raccoglieranno i prodotti appositamente acquistati e consegnati loro dai clienti all’uscita

Sarà poi lo stesso Banco Alimentare a stoccare gli alimenti e ridistriburli a 33 associazioni ed enti convenzionati rispondendo così al bisogno di più di 6000 persone.

Tutti possono partecipare all’iniziativa sia come volontari sia come acquirenti dei prodotti da lasciare al Banco Alimentare. Per avere informazioni e aderire alla Giornata della Colletta basta rivolgersi a Duilio Porro, presidente del Banco Alimentare del Trentino Alto Adige-Onlus (cell: 328-8217330).

Carron a Trento sul rischio educativo: sfida per tutti e per ciascuno

Mercoledì 8 novembre alle ore 20.30 l’Auditorium Santa Chiara ospiterà un incontro che, per la personalità del relatore e l’argomento trattato, è – fra i tanti quotidianamente in calendario – davvero da non perdere. Quest’incontro avrà infatti un requisito piuttosto raro: quello di interessare contemporaneamente tutti e ciascuno.

Per la prima volta parlerà a Trento, invitato dall’Università e introdotto dal rettore Davide Bassi, Juliàn Carron, presidente della fraternità di Comunione e liberazione. Tema del suo intervento: la presentazione del libro "Il rischio educativo", uno degli scritti più significativi ed emblematici dell’opera di Luigi Giussani, il sacerdote brianzolo che, poco tempo prima di morire (nel febbraio di due anni fa), aveva scelto proprio Carron, teologo spagnolo, come suo successore alla guida del movimento ecclesiale da lui fondato e oggi diffuso in molti paesi del mondo.

Perché quest’uomo e la questione educativa di cui si occuperà meritano l’attenzione di tutti e di ciascuno?

Perché diversamente da quel che si potrebbe pensare, chi parteciperà alla serata non sentirà discorsi sulla chiesa, ma la testimonianza di un’avventura umana colta nella concretezza dei problemi e delle scelte, e specialmente il racconto di come sia possibile a ciascuno di noi vivere il rapporto con gli altri e la realtà rimanendo liberi.

Qualche tempo fa era stata promossa nel nostro Paese una raccolta di firme a sostegno di quello che era stato chiamato “Appello per l’educazione”. In quel manifesto si diceva che “l’emergenza” in cui siamo immersi non è innanzitutto politica o economica, ma qualcosa da cui dipendono anche la politica e l’economia. La prima vera emergenza oggi si chiama “educazione”. Riguarda ciascuno di noi, ad ogni età, perché attraverso l’educazione si costruisce la persona, e quindi la società. Non è solo un problema di istruzione o di avviamento al lavoro.

Sta accadendo una cosa che non era mai accaduta prima: è in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli.

Per anni dai nuovi pulpiti – scuole e università, giornali e televisioni – si è predicato che la libertà è assenza di legami e di storia, che si può diventare grandi senza appartenere a niente e a nessuno, seguendo semplicemente il proprio gusto o piacere.

È diventato normale pensare che tutto è uguale, che nulla in fondo ha valore se non i soldi, il potere e la posizione sociale. Si vive come se la verità non esistesse, come se il desiderio di felicità di cui è fatto il cuore dell’uomo fosse destinato a rimanere senza risposta.

È stata negata la realtà, la speranza di un significato positivo della vita, e per questo rischia di crescere una generazione di ragazzi che si sentono orfani, senza padri e senza maestri, costretti a camminare come sulle sabbie mobili, bloccati di fronte alla vita, annoiati e a volte violenti, comunque in balia delle mode e del potere. Ma la loro noia è figlia della nostra, la loro incertezza è figlia di una cultura che ha sistematicamente demolito le condizioni e i luoghi stessi dell’educazione: la famiglia, la scuola, la Chiesa.

Educare, cioè introdurre alla realtà e al suo significato, mettendo a frutto il patrimonio che viene dalla nostra tradizione culturale, è possibile e necessario, ed è una responsabilità di tutti. Occorrono maestri, e ce ne sono, che consegnino questa tradizione alla libertà dei ragazzi, che li accompagnino in una verifica piena di ragioni, che insegnino loro a stimare ed amare se stessi e le cose.

Perché l’educazione comporta un rischio ed è sempre un rapporto tra due libertà. Questa è la strada sintetizzata nel libro ”Il rischio educativo” che Carron presenterà a Trento. In un momento nel quale tutti, anche in Trentino, parlano di risorse umane, di capitale umano, di formazione e di educazione, Carron descriverà il tentativo di rendere concreta, praticata, possibile, viva questa risposta.

Non è, appunto, solo una questione di scuola o di addetti ai lavori, ma di una sfida che coinvolge chiunque abbia a cuore il bene del nostro popolo e il futuro di tutti.

La laicità del papa e il laicismo di Rusconi

una riflessione in margine all’intervento che Benedetto XVI ha proposto giovedì a Verona, credo contribuisca a spiegare perché il pensiero del papa sia politicamente “laico” e quanto sia invece “laicista” l’approccio offerto su l’Adige alla questione del rapporto fra Stato e Chiesa dal professor Gian Enrico Rusconi, ordinario di scienze politiche all’Università di Torino.

 

 

In sostanza il papa ha detto che alla Chiesa e ai cattolici in Italia, diversamente da quanto sostiene Rusconi, non interessa difendere o affermare non solo culturalmente ma anche politicamente e attraverso le leggi dello Stato “verità” legate alla fede inadatte da imporre con delle norme perché difficilmente condivisibili da non credenti o da diversamente credenti. 

Alla Chiesa e ai cattolici preme piuttosto che le scelte politiche e legislative non contraddicano, come ha sottolineato il papa a Verona, «fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano». Valori e principi come la ragione, la scienza, l’educazione, la carità (o se si preferisce la solidarietà), la vita in tutte le sue fasi (dal concepimento alla morte naturale), la famiglia fondata sul matrimonio, che appartengono non alla comunità dei fedeli o ai credenti, ma agli uomini in quanto tali, e sono quindi patrimonio di tutti.

Senza di essi, cioè, la società non rispetterebbe le esigenze strutturali di bene, di giustizia, di compimento della persona – di ogni persona – e non potrebbe conseguentemente essere veramente “umana”. Mettere in discussione o negare questo patrimonio di “beni comuni”, ha ricordato in sostanza il papa a Verona, equivale a destabilizzare la società a partire da quella condizione primaria della convivenza che è la famiglia, e prima ancora la tutela della vita.

 

La Chiesa che difende e ribadisce pubblicamente questi valori in larga misura coincidenti con quelli racchiusi nella Costituzione italiana, evidenzia dunque una posizione profondamente “laica”, cioè rispettosa del bene comune e desiderosa di contribuire ad esso, e non confessionale o clericale.

Tant’è vero che è proprio su questo terreno che il pensiero del papa, della Chiesa e di una parte importante del mondo cattolico in Italia si ritrova oggi in sintonia con le preoccupazioni di alcuni intellettuali laici non credenti o non praticanti come Ferrara, Pera, Oriana Fallaci e altri. Il professor Rusconi, invece, pretendendo che i cattolici non si pronuncino a questo livello, non considerino cioè politicamente irrinunciabili (“non negoziabili”) questi valori, esprime un approccio non laico ma “laicista” alla questione dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato.

Laicista – ecco il punto – nel senso che nega la possibilità di quell’amicizia tra la fede cristiana e la ragione, tra la fede e l’intelligenza umana, e quindi anche tra la fede e la giustizia e la comunità politica, affermata da Benedetto XVI.

 

Antonio Girardi