Quando diciamo ad una persona “ti voglio bene”, siamo certi di cogliere appieno il suo significato, il suo valore, o è solo un’auto illusione?
Spesso, nella nostra quotidianità, pronunciamo frasi e parole
teoriche ed astratte, che assumono significati, sensazioni e valori diversi per ciascuno. Prendiamo la parola “felicita”; per un tale può essere il senso di fame, se è carente di nutrizione; per un povero, l’avere ricchezze e soldi; per un ricco, la pace interiore, ecc.
Molte parole sfuggono all’intelletto, figuriamoci ai sentimenti. Probabile che lo sfuggire ai sentimenti sia dovuto al fatto che l’uomo occidentale, quello del terzo millennio dell’intelligenza artificiale, voglia spiegare i sentimenti con la razionalità del pensiero. Ecco che le parole sfuggono al concetto profondo di base e diventano incomprensibili e astratte.
Spiritualità, Fede e persino Dio rientrano nell’incomprensione e nell’astratto. Purtroppo, la logica della razionalità umana non sempre riesce a spiegare al cuore i sentimenti tanto che, suggerisce Antoine de Saint-Exupery nel suo capolavoro Il Piccolo Principe, “Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
Ma quanto siamo disposti a immergerci nella logica ‘illogica’ del cuore? Per niente disposti se nella stragrande maggioranza delle relazioni, dai partner alle famiglie, dagli amici alle coppie, vi è un conflitto di incomprensione e tradimenti. L’uomo di oggi si è disabituato a volere il bene proprio ed altrui. Ci si illude che fare sesso sia amore, che volere bene è dare.
Il bene voluto fa parte dell’amare e richiede non un astrattismo, ma una logica sentimentale: dirigere lo sguardo verso l’altro. Siamo capaci? In una realtà dove vige il principio dell’Io sono, del narcisismo, dell’egotismo, della vittoria del principio del piacere, di un like sulla realtà, forse è impresa ardua. Colpa di una eccessiva concentrazione sul proprio io, che fa orientare lo sguardo all’interno, invece che all’esterno. È come chi, metaforicamente, camminando con la testa china, rischia una testata sull’altro, ferendolo, facendogli del male, provocandogli un dolore.
Non solo la vita, ma l’amare ci chiede di favorire il bene dell’altro (Riccardi, P., La dimensione amorosa tra intimità e spiritualità, Ed. D’Ettoris, 2021).
È importante sottolineare come Gesù Cristo, nel suo comandamento, pone nell’amore il compito della felicità, oserei dire, del Regno dei Cieli, affermando: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12, 29-31). Nel comandamento è il fondamento della felicità, secondo la prospettiva dell’antropologia cristiana.
E chi non vuole essere felice? Ma per esserlo, bisogna amare secondo la prospettiva cristiana del movimento dinamico tra me e l’altro, del fare il bene per sé stesso e farlo per l’altro: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Lc 10, 27). Del resto, si intende volersi bene e volere il bene altrui. Attenzione, però. Per farlo bisogna oltrepassare il proprio Io, onde prendere in considerazione l’altro. Questa è la capacità di auto trascendenza, ossia, una capacità esclusivamente umana di andare oltre sé stessi. E per mezzo di essa l’uomo si può realizzare come essere umano (Frankl V. E., Logoterapia e analisi esistenziale, Morcelliana Brescia 2000). Diversamente, saremmo al pari dell’animale, orientati a soddisfare i propri istinti (Frankl, Ibidem)
L’uomo che non mette in pratica il bene altrui non sa amare, è immaturo e si illude di farlo e lo esprime nella patologica dimensione affettiva. Quando si ignora il “prossimo”, a scapito della protezione del proprio Io ci si esprime con simili frasi: “senza di te non ce la faccio, morirei”, “non voglio perderti” e molte altre affermazioni che tradiscono troppo l’attenzione al proprio immaturo Io, tradiscono l’incapacità di auto trascendenza, nascondono le ansie interiori dell’io.
Siamo pratici e logici e notiamo che nell’amore immaturo i segnali sono di mancanza di dialogo, di eccessiva ansia all’assenza dell’altro, di eccessivo bisogno di controllo, di paura di perdere la vicinanza, fino al polo estremo dell’immaturità, ossia, “la patologia della dipendenza affettiva” dove i segnali tipici sono la violenza e lo stalking quali minacce reali.
Mi duole considerare che troppo spesso ascolto frasi superficialmente del tipo “ti voglio bene”. Ma si tratta di vero bene?