Inferno (parte prima)

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INTROIBO

Nella società post contemporanea difficilmente si riflette sull’inferno lo si reputa il più delle volte un discorso medievale, sorpassato per numerose ragioni, la più comune riguarda un’ idea errata di misericordia ove si confonde carità, amore e accoglienza con l’accettazione di situazioni peccaminose che nel tempo risultano essere dannose per la persona. Per parlare di inferno bisogna anzitutto riconoscersi peccatori, quindi autori di azioni erronee al cui apice vi è un abuso del dono più sublime che Dio ha posto nell’uomo: la libertà.

Che cosa si intende per libertà? Immanuel Kant fondatore dell’Illuminismo definiva tale facoltà con la capacità da parte di ogni soggetto di trattare l’altro come fine e non come mezzo e di ricorre ad azioni virtuose affinché la struttura sociale possa giovare di una forma di benessere comune. Secondo il modello teologico la libertà consiste nel gestire la propria relazione con Dio, ossia in riferimento al primato della coscienza porsi alla sequela di Cristo e se in situazioni di difetto, quindi di peccato rivolgersi con contrizione a Lui per beneficiare del suo perdono. La libertà in senso cristiano è la relazione con il creatore, che ha come fondamento la Rivelazione. Il fine dell’uomo come ben afferma San Tommaso d’Aquino è convergere a Dio ed ecco quindi la natura reale dell’umanità.

CHE COS’E’ L’INFERNO?

Ogni religione fin dagli albori del mondo si è posta l’istanza di definire che cosa attenda l’uomo dopo la morte. In ogni forma di religiosità vi è un luogo destinato ai dannati, in quanto la scissione tra bene e male, giusti e ingiusti è doverosa verso coloro che si sono sforzati di vivere in modo virtuoso la propria permanenza terrena. Il termine inferno deriva dal latino “infernus” ed è il luogo di punizione e di disperazione che attende le anime malvagie dopo la morte. Secondo l’arte che è una delle massime forme di espressione, grazie alla quale l’umano rappresenta il soprannaturale l’inferno è un luogo tenebroso, sotterraneo al cui capo vi è Satana angelo ribelle, che fino alla fine dei tempi mediante il peccato trarrà in inganno le anime da Dio redente, le quali però secondo la tradizione cristiana hanno mediante l’ausilio dei sacramenti e della preghiera, sino all’ultimo istante di vita terrena la possibilità di redimersi.

L’NFERNO NELLE RELIGIONI DEL VICINO ORIENTE

Secondo una leggenda riportata su sette tavolette si narra che la dea Tiamat (divinità dell’abisso) fosse un serpente gigantesco che genera caos. Tiamat però viene sfidata e vinta da Marduk dio del Sole, il quale riportando la luce conduce le anime sul retto sentiero. Nello Zorastrismo invece l’anima del defunto deve passare il “cinvato pertush” ossia il ponte sul quale si viene giudicati per le
azioni compiute in vita. Coloro che avranno compiuto azioni buone saranno salvati, chi invece è stato malvagio verrà condannato all’inferno ove Ahriman (divinità malvagia) lo torturerà in eterno.

NELL’ANTICO EGITTO

Gli Egizi avevano una doppia accezione circa l’inferno. Esso era il luogo dei malvagi, ma anche la sede di creature si malefiche, ma con grandi abilità che in un certo qual modo potevano risultare positive. Si pensi ad esempio ad Apep serpente gigante che attacca la divinità Ra, la quale vuole impedire l’alba quindi la luce e la nascita di un nuovo giorno. Ovviamente accanto a queste divinità
terrificanti si contrappone Seth, il dio Sole che genera calore, ma anche prosperità. Si pensi che grazie al sole i frutti della terra maturano e quindi sia il contadino che l’acquirente ne traggono vantaggi; oppure grazie alla luce si possono percorrere chilometri di cammino per giungere alla meta predestinata. La luce che sconfigge le tenebre, la luce che offre sicurezza. Nella concezione
egiziana le sorti di ogni anima dipendono dalle divinità, ma anche dalla vita che ognuno ha condotto.

IDEA DI INFERNO NEL MONDO CLASSICO

Greci e Romani
Nella cultura greca e romana non compare il termine inferno, ma inferi, che sta a indicare il regno dei morti al cui capo vi sono due divinità, Ade e Persefone. Il regno dei morti è un vero e proprio luogo fisico dai quali anche dalla terra si può accedere. Si pensi al paese dei Comuneri (Iran), da esso Odisseo si calò nell’Ade per incontrare l’indovino Tiresia. Nella tradizione romana invece gli inferi sono ubicati vicino al Lago d’Averno (attuale Pozzuoli). Virgilio poeta originario di Mantova, nato nel 70 a.C. da una famiglia benestante di coloni romani, educato secondo le tradizioni romane, racconta nell’Eneide poema epico, la discesa agli inferi di Enea (libro VI).

Di qui la via che porta alle onde dell’infernale Acheronte.
Qui un vortice torbido di fango in una vasta voragine
ribolle ed erutta in Cocito tutta la sabbia.
Orrendo nocchiero custodisce queste acque e il fiume
Caronte, di squallore terribile,a cui una barca bianca,
lunga folta e non curata invade il mento, si sbarrano gli occhi di fiamma,
sporco il mantello pende dalle spalle.
Egli spinge la barca con un lungo bastone,
e trasporta i corpi sullo scafo di color ferrigno,
vecchio ma forte come un dio.
Qui una grande folla si precipita sulle rive,
donne e uomini, morti
di grandi eroi, fanciulli e vergini fanciulle,
e giovani morti sul rogo davanti agli occhi dei padri:
quante foglie, scosse nei boschi cadono al primo freddo d’autunno
o quanti uccelli dal mare si raccolgono sulla terra, se la fredda stagione
li metta in fuga nelle regioni assolate.
Stavano dritti pregando di essere traghettati per primi sull’altra sponda
e allungavano le mani per il desiderio di andare sull’altra sponda.
Ma il barcaiolo accoglie l’uno o gli altri,
quelli che non riesce a prendere li sospinge lontano e li caccia dalla spiaggia
Enea allora, meravigliato e turbato dal tumulto,
“Dimmi oh vergine” esclama, “Che fa la folla sul fiume?
Che vogliono le anime? E per quale differenza alcuni.
Lasciano la riva, le altre solcano con le barche le acque scure?”.
Così gli parlò la vecchia sacerdotessa:
“Figlio d’Anchise,
vedi i profondi stagni di Cociuto e la palude stigia,
sulla potenza dei quali temono di spregiudicare gli dei.
Tutto quello che vedi è una misera folla insepolta;
Il nocchiero e Caronte, questi sono i sepolti.
Non si possono attraversare le rive paurose e la rauca
corrente prima che le ossa riposino nella tomba.
Sbagliano cento anni e si avvicinano a queste sponde:
allora, infine ammessi rivedono gli stagni desiderati”.
Si fermò il figlio d’Anchise,
concentrato, con l’animo impietosito dall’ingiusta sorte.
Ecco avanzava il timoniere Palinuro.
Che poc’anzi nella libica rotta, mentre osservava le stelle
era precipitato da poppa in mezzo alle onde.
Come lo riconobbe a stento, triste nella grande ombra.
Così gli si rivolge per primo: “Quale degli Dei, oh Palinuro,
ti staccò da noi e ti sommerse in mezzo al mare?
Dimmi. Infatti Apollo, che non era mai stato
un ingannatore, con questo solo responso mi deluse l’animo,
quando prevedeva che saresti scampato alle ondate
e giunto alle terre italiche. Questa è la fede promessa?”.
Ed egli: “Lo sgabello di Apollo non ingannò te,
condottiero figlio d’Anchise, né il Dio sommerse me in mare.
Infatti mentre precipitai trascinai con me il timone.
Staccato all’improvviso con grande violenza, a cui mi stringevo
dirigendo la rotta.

Giuro sugli aspri mari
che non sentii alcun timore che la tua nave, senza alcun strumento, sbalzato
il timoniere naufragasse all’alzarsi delle alte onde.
Tre notti il Noto violento mi trascinò
nell’acqua; a stento il quarto giorno
vidi l’Italia dalla cima di un’onda a terra.
Lentamente mi accostavo a nuoto a terra; già era sicura
se una gente crudele non mi avesse assalito con le armi
mentre ostacolato dai vestiti bagnati, afferravo con le mani storte
le sporgenze del monte, e se inconsapevole non mi avesse creduto una preda.
Ora mi possiedono le onde e mi dirigono i venti sulla riva.
Per la luce allegra del sole, per i venti leggeri, per il padre,
ti prego, e per la speranza di Iulo che cresce
strappami invincibile a questi mali; o coprimi di terra,
poiché lo puoi, e cerca il porto di Velia;
oppure, se qualche via ti mostra la divina madre

  • non credo che senza il volere degli dei
    ti prepari a navigare il grande fiume e la palude stigia -,
    porgi la mano a un tuo sventurato, e prendimi con te sulle onde,
    perché almeno quando sei morto riposi in una tranquilla dimora”.
    Così aveva detto, quando così la Sibilla disse:
    “Di dove, oh Palinuro, ti viene un tale desiderio?
    Insepolto vedrai le onde stigia e il severo
    fiume delle Eumenidi, e senza comando approderai alla riva?
    Cessa di sperare che i destini degli dei si pieghino a te.
    Ma ricorda codeste parole, nel confronto della dura sorta.
    I vicini spinti in lungo e in largo per le città
    dai miracoli degli dei, ripareranno l’oltraggio recato al tuo cadavere,
    e ti porranno un sepolcro e gli faranno omaggi,
    e il luogo avrà in eterno il nome di Palinuro”.
    Queste parole allontanarono l’affanno e scacciarono per un poco
    il dolore dell’animo; gioisce al pensiero di un luogo con il suo nome.
    Essi proseguono il cammino e si avvicinano al fiume.
    Quando il barcaiolo dell’onda li vide avviarsi
    di lì per il bosco silenzioso e levare i piedi dalla riva,
    per primo li rimprovera così:
    “Chiunque tu sia che ti dirigi armato al nostro fiume,
    dimmi perché vieni, di lì, e si ferma.
    Questo è il luogo delle Ombre, del Sonno e della tranquilla notte;
    il battello stigio non può trasportare viventi,
    e non mi rallegrai mai di aver ricevuto sul lago
    Ercole che scendeva, né Teseo e Piritoo,
    sebbene fossero generati da dei e invincibili.
    Quello stanò dal trono del re e mise in catene
    Cerbero, il guardiano dell’oltretomba;
    questi tentarono di strappare dal letto coniugale la sposa di Dite”.
    Rispose in breve la Sibilla veggente:
    “Qui non vi sono queste insidie cessa di adirarti;
    le armi non portano violenza; Cerbero nella grotta
    atterrisca abbaiando in eterno le anime pallide,
    serbi Proserpina, casta la soglia di Plutone.

GLI INFERI SECONDO DANTE

Dante Alighieri attraverso la Divina Commedia espone chiaramente che cosa sia l’inferno. Il poeta mette in evidenza a livello letterale l’intera dottrina teologico cristiana, in riferimento a questo luogo di tormento e perdizione. Dante definisce l’inferno come enorme caverna creata da Satana che per
superbia ribellandosi a Dio è caduto come una folgore dal Regno dei Beati. La sua cacciata a livello figurativo si è conclusa con l’abbattimento di esso al suolo dal quale è nato questo luogo tenebroso.
Il poeta fiorentino suddivide in nove gironi questo luogo oscuro, ove si è destinati in base alla gravità dei peccati mortali commessi. Prima di questi gironi vi è l’antinferno ossia il luogo in cui vengono puniti gli ignavi e dove risiedono le anime di coloro che hanno avuto atteggiamenti mediocri. Il primo girone dell’inferno è il Limbo in esso vi sono le anime dei bambini non
battezzati, le anime dei grandi poeti pagani come Omero, Orazio, Virgilio, Ovidio, gli spiriti magni, ossia uomini giusti, virtuosi che però non hanno creduto in Cristo o perché nati prima di Lui, oppure perché appartenenti ad altre confessioni religiose. Si ricordano Giulio Cesare, Socrate, Platone,
Aristotele. Queste anime desiderano comunque vedere Dio, ma non possono. Nel secondo girone o cerchio sono condannati i lussuriosi, essi vengono trasportati in continuazione dalla bufera. Vi si trovano Minosse, Paolo e Francesca, Elena, Achille, Paride, Tristano. Nel terzo cerchio vi sono i
golosi, che giacciono in terra esposti a pioggia, neve e grandine. Sono ricoperti da un pantano maleodorante ove un cane a tre teste li squarta. Tra i tanti condannati si cita Bonifacio VIII. Nel quarto girone vi risiedono gli avari e i prodighi, costoro spingono massi enormi e sono suddivisi in
due schiere, ma ogni qualvolta si incontrano si azzuffano e si insultano rinfacciandosi i propri peccati. Nel quinto girone sono condannati gli iracondi e accidiosi. Costoro nuotano nelle acque e si azzuffano tra loro. Nel sesto cerchio vi sono gli eretici, che giacciono nei sepolcri infuocati, senza coperchio. Le tombe verranno poi sigillate al momento del Giudizio Universale. Nel settimo cerchio girone I sono condannati i violenti contro il prossimo, che vengono immersi nel fiume di sangue bollente. Nel settimo cerchio girone II vi sono i violenti contro se stessi ( suicidi), che vengono trasformati in alberi e tormentati dalle arpie che si nutrono delle loro foglie. Settimo cerchio girone
III sono in giudizio di condanna i violenti contro Dio (bestemmiatori, usurai e sodomiti), che giacciono sotto una pioggia di fuoco su un sabbione ardente. Nell’ottavo cerchio bolgia I vi sono i ruffiani e seduttori che corrono in cerchi frustrati dai diavoli. Nell’ottavo cerchio bolgia II, sono condannati gli adulatori e lusinghieri, immersi nello sterco. Ottavo cerchio bolgia III i simoniaci,
che sono conficcati in fosse a testa in giù con i piedi in fiamme. Ottavo cerchio bolgia IV i maghi e gli indovini, che camminano con la testa storta indietro. Nell’ottavo cerchio bolgia V vi sono i barattieri, immersi nella pece bollente e uncinati dai diavoli. Nell’ottavo cerchio bolgia VI gli ipocriti, costretti a camminare coperti di piombo. Tra di essi si ricordano i membri del Sinedrio, che subiscono un supplizio atroce: sono crocifissi a terra e calpestati da altri dannati. Ottavo cerchio bolgia VII i ladri, tormentati dai serpenti. Ottavo cerchio bolgia VIII i consiglieri di frode, tormentati da lingue di fuoco. Ottavo girone i seminatori di discordia, straziati e mutilati dai colpi di spada da un diavolo, con ferite che si rimarginano, ma che vengono nuovamente aperte. Nell’ottavo
cerchio bolgia X sono condannati i falsari. Essi vengono colpiti dalla lebbra e dalla scabbia. Nel nono cerchio nella prima zona sono condannati i traditori dei parenti, immersi nelle acque ghiacciate. Nono cerchio seconda zona sono condannati i traditori della patria, immersi nelle acque ghiacciate. Nono cerchio terza zona, vi sono i traditori degli ospiti, anch’essi condannati alle acque ghiacciate. Nono cerchio quarta zona vi sono i traditori dei benefattori, immersi nelle acque di ghiaccio.

CONCLUSIONI

In questo primo articolo si è messo in luce come nelle religioni antiche, ma anche nella tradizione letteraria sia pensato l’inferno. Nel successivo si metterà in evidenza l’inferno secondo la tradizione ebraica e cristiani, facendo riferimento soprattutto alla dimensione teologica, quindi al Magistero
della Chiesa ed ovviamente alla Sacra Scrittura.

Immagine di G. Dell’Otto per edizione “Inferno” (A. Mondadori a cura di F. Nembrini)
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Autore: Emanuele Sinese

Emanuele Sinese è nato a Napoli il 24 Novembre 1991 e da anni vive a Bergamo. Ha frequentato l’Istituto di Scienze Religiose in Bergamo, conseguendo nel 2017 la Laurea triennale con la tesi Il mistero eucaristico in San Pio da Pietrelcina. Nel 2019 ha ottenuto la Laurea magistrale con la tesi La celebrazione eucaristica secondo il rito di San Pio V.  È insegnante specialista di Religione.