Rapporto tra antropologia e divina Parola nell’omiletica parrocchiale.

Papa Benedetto XVI all’apertura del Sino dei Vescovi del 2012 dedicato a
“LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE PER LA TRASMISSIONE

DELLA FEDE CRISTIANA

L’omilia dominicale

Ogni buon sacerdote si chiederà come prepararsi all’omilia dominicale, facendola a tal punto propria da contribuire, insieme alla ben annunciata proclamazione della Parola, all’accoglienza del messaggio evangelico nel cuore dei fedeli e della Comunità.

Similmente, ogni laico che desideri fare propria la Sacra Parola, potrà avvantaggiarsi dello stesso metodo,

Epifania, Miniatura del Codex_Bruchsal_1_11r-Dettaglio.
Fonte: Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II
Matrimonio e Famiglia

che, in fondo, segue le regole della lectio divina. L’omilia (forma latina della parola accettata anche dalla lingua italiana e che sottolinea la particolarità della sua funzione), è una conversazione familiare: la conversazione del Ministro con Dio prima, durante e dopo il sacrificio e rendimento di grazie e con i fedeli, durante la celebrazione.

In primis, l’annuncio del Vangelo risuona nell’intelligenza e nel cuore del Ministro perché ciò che annunci sia Parola vissuta, come siamo soliti dire, e non stanca ripetizione, incapace di svegliare e riscaldare i cuori.

L’omilia oggi

Nicola Pisano, Pulpito del Battistero di Pisa, 1257-1260. L’aquila dell’Evangelista Giovanni aleggia sul Crocifisso e sul Giudizio Universale.

La domanda che ci si dovrà porre sarà: quali dovranno essere gli elementi essenziali della omilia, senza cadere nell’errore di credere che il rispetto di tali elementi garantisca un risultato spirituale ed autentico? Che rapporto e proporzione, poi, tra la parte antropologica, in relazione alla situazione di vita dei fedeli, alla natura dell’uomo, alla sensibilità del popolo di Dio e la Parola proclamata? Che spazio, ampiezza, quindi, dovrà avere l’eco della Parola appena proclamata?

Sembra singolare doversi porre anche questa domanda, ma, a giudicare dal numero delle volte in cui la Parola è trascurata nell’omilia ci costringe a non darla per acquisita.

I testi cui poter fare riferimento sono certo innumerevoli, da quelli del Sacro Concilio Ecumenico Vaticano II, a quelli del Magistero, passato e recente, allo scopo preparati, come alle omilie stesse dei pontefici, dei Padri e Dottori della Chiesa, in ciò, veri maestri.

Mi stupisce, quindi, come sia raro che il Ministro si rifaccia ad omelie o catechesi dei Pontefici. Non avviene, forse, che ogni Mercoledì i Pontefici tengano profonde e ricche omelie in cui tutti gli elementi necessari sono perfettamente rispettati?

Non sarà inutile, in questa XXXa settimana dell’Anno A, dedicata dalla Liturgia al tema del Comandamento più grande, studiare e meditare come Papa Benedetto XVI sviluppò, per esempio, questo tema proprio all’interno del Sinodo del 2012 dedicato a Nuova Evangelizzazione per la Trasmissione della Fede Cristiana. Fulcro, origine, inizio, sostegno e fine di detto Sinodo era ed è la Parola rivelata, lo stesso Figlio di Dio, Parola increata, il Verbo.

Poiché tutte le Scritture, pur avendo molti umani autori, hanno un solo Autore, lo Spirito di Dio, non sarà vano ricordare che l’Autore delle tre letture che vengono proclamate è sempre uno e un solo Spirito che a noi si avvicina, e bussa e chiede di essere ascoltato.

Per questo, potrà il sacerdote tralasciare ordinariamente le prime due letture e soffermarsi solo sulla pericope evangelica, o saltare anche questa e soffermarsi su sole considerazioni umane? Questo potrebbe accadere, in certi casi, in una predica (essa, per sua natura è diversa dall’omilia dominicale) in cui si diano per presupposti i dettami divini e ci si soffermi su talune analisi inerenti all’uomo, alla società, pur non potendo in realtà tralasciare il fine di una maggior conoscenza del divino mistero, fonte e origine dell’uomo stesso. Ma per l’omelia o la catechesi la cosa è ben diversa. Il fine è diverso.

Maestri in omiletica

Sant’Ambrogio, 339-340. Fonte Wikipedìa

Così, il Santo Padre Benedetto XVI, proprio nell’Omilia della Messa di chiusura del Sinodo del 2008, dedicato a La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, raccomandava che, per tale motivo, tutte e tre le letture, in qualche modo, e tenendo conto dei partecipanti, dovranno essere non solo lette, ma proclamate come atto divino; delucidate e commentate nel loro reciproco nesso e intreccio, poiché l’Autore principale è uno e non si contraddice, né si perde in questioni trascurabili.

Un sacerdote potrebbe partire dall’A.T, o dal Nuovo, dalla Seconda lettura, o dal Vangelo, anche, inizialmente, dalla condizione umana, ma, in ogni caso, il suo impegno sarà cogliere i nessi tra il divino e l’umano secondo quelle Parole che nella specifica celebrazione il Signore detta attraverso la liturgia della Chiesa: Mosè, togliti i calzari dai piedi, ché la terra che calpesti è sacra! (Es 3, 5). La celebrazione rende sacro il luogo, per altro già consacrato, ma rende sacre le parole umane che il sacerdote non dice, bensì, proclama.

Anche il fedele dovrà spogliarsi delle parole del mondo per far posto alla Parola di Dio: Mosè tolse i calzari e ascoltò il Signore, obbedendogli nel suo cuore.

L’omilia passo passo

Facsimile della Biblia Pauperum Vaticana. Fonte Facsimile Finder (1)

Nell’Omilia, che più sotto ripropongo alla nostra meditazione, evidenziando in neretto i passaggi fondamentali, prima il Santo Padre espone e commenta il cuore della pericope evangelica con la domanda che l’introduce: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”; poi, spiega come Gesù ha operato, dicendo che Gesù espose lo Shemà Israel, completandolo con il secondo comandamento, evidenziandone il reciproco nesso. In fine, definisce l’uomo nelle sue strutture psicologiche profonde: cuore, anima e mente. Successivamente esamina la risposta della prima Chiesa alla Parola e la nostra risposta.

Ma la meditazione del Santo Padre non si ferma qui. Egli passa alla prima lettura, che insiste sul dovere dell’amore, illustrandolo. Successivamente, il Pontefice passa alla seconda Lettura, indicando una concreta applicazione del sommo comandamento dell’amore in una delle prime comunità cristiane. Questo nesso è fondamentale per cogliere come nella Chiesa, in tutto l’arco della Sua esistenza, il Comandamento viva, e non sopravviva nel tempo, restando immutato nella Verità e sostanza. Qui si esaminano le difficoltà della Comunità dei Tessalonicesi, che sono anche le nostre, e indica che è l’amore che tutto supera, tutto rinnova, tutto vince: l’amore di chi, consapevole dei propri limiti, segue docilmente le parole di Cristo, divino Maestro.

Il riferimento è a Gesù modello, che ci rammenta quel sublime tema della sequela ed imitazione di Cristo, così caro alla Chiesa di tutti i tempi (vedi anche le puntate che stiamo pubblicando delle omilie di Padre Giorgio Maria Faré, Carmelitano, su questo tema: DIETRICH BONHOEFFER: “Sequela” e la “Grazia a caro prezzo” nelle conversazioni del Sacerdote Carmelitano Padre Giorgio Maria Faré. e DIETRICH BONHOEFFER: “Grazia a buon mercato significa giustificazione del peccato e non del peccatore”. Le successive puntate saranno pubblicate periodicamente).

A questo punto, Papa Benedetto annuncia il cuore del Messaggio dell’omelia: l’amore per il prossimo nasce dall’ascolto docile della Parola divina. (…) amore che accetta anche dure prove per la verità della parola divina e proprio così il vero amore cresce e la verità risplende in tutto il suo fulgore. Quanto è importante allora ascoltare la Parola e incarnarla nell’esistenza personale e comunitaria!

Aiutare la Comunità ad ascoltare la Parola, ovviamente, implica la decisione del Ministro di farne eco nella sua omilia, passo passo, adeguandola alla capacità di fede dei fedeli presenti aiutandoli ad innalzarsi alla sua altezza.

Ma il Santo Padre raccomanda anche di incarnarla nell’esistenza, personale e comunitaria, e quindi si riferisce subito a quanto il Sinodo in quei giorni aveva vissuto ed era chiamato in quel momento a fare circa la Parola. Similmente, nella parrocchia ci si dovrà riferire, con discrezione, e anche decisione, all’occorrenza, al compito particolare che la Comunità sta vivendo

E ancora, denotando sensibilità di Pastore e fratello, il Santo Padre ringrazia tutti: Cari e venerati Fratelli, grazie per il contributo che ciascuno di voi ha offerto all’approfondimento del tema del Sinodo: “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa“. Tutti vi saluto con affetto. Un saluto speciale rivolgo ai Signori Cardinali Presidenti delegati del Sinodo

Anche il Ministro, il Parroco, dovrà ringraziare i fedeli per il loro impegno mai senza valore, pur nei limiti non rari.

Segue poi nel testo del Papa una approfondita riflessione sul compito prioritario dei pastori che ciascuno può approfondire da sé: Noi tutti, che abbiamo preso parte ai lavori sinodali, portiamo con noi la rinnovata consapevolezza che compito prioritario della Chiesa, all’inizio di questo nuovo millennio …

Solo la lettura diretta di questa, come di altre omelie, renderà giusto merito all’arte omiletica sviluppata nel tempo con studio, preghiera, penitenza e sensibilità pastorale.

CAPPELLA PAPALE PER LA CONCLUSIONE DELLA XII ASSEMBLEA GENERALE
ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Domenica, 26 ottobre 2008

(I neretti sono nostri e obbediscono al solo scopo di evidenziare i passaggi dell’omilia)

La Parola del Signore, risuonata poc’anzi nel Vangelo, ci ha ricordato che nell’amore si riassume tutta la Legge divina. L’Evangelista Matteo racconta che i farisei, dopo che Gesù ebbe risposto ai sadducei chiudendo loro la bocca, si riunirono per metterlo alla prova (cfr 22,34-35). Uno di questi, un dottore della legge, gli chiese: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?” (v. 36).

La domanda lascia trasparire la preoccupazione, presente nell’antica tradizione giudaica, di trovare un principio unificatore delle varie formulazioni della volontà di Dio. Era domanda non facile, considerato che nella Legge di Mosè sono contemplati ben 613 precetti e divieti. Come discernere, tra tutti questi, il più grande? Ma Gesù non ha nessuna esitazione, e risponde prontamente:

“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.

Questo è il grande e primo comandamento” (vv. 37-38).

Nella sua risposta, Gesù cita lo Shemà, la preghiera che il pio israelita recita più volte al giorno, soprattutto al mattino e alla sera (cfr Dt 6,4-9; 11,13-21; Nm 15,37-41): la proclamazione dell’amore integro e totale dovuto a Dio, come unico Signore. L’accento è posto sulla totalità di questa dedizione a Dio, elencando le tre facoltà che definiscono l’uomo nelle sue strutture psicologiche profonde: cuore, anima e mente. Il termine mente, diánoia, contiene l’elemento razionale. Dio non è soltanto oggetto dell’amore, dell’impegno, della volontà e del sentimento, ma anche dell’intelletto, che pertanto non va escluso da questo ambito. È anzi proprio il nostro pensiero a doversi conformare al pensiero di Dio.

Poi, però, Gesù aggiunge qualcosa che, in verità, non era stato richiesto dal dottore della legge:

“Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso” (v. 39).

L’aspetto sorprendente della risposta di Gesù consiste nel fatto che egli stabilisce una relazione di somiglianza tra il primo e il secondo comandamento, definito anche questa volta con una formula biblica desunta dal codice levitico di santità (cfr Lv 19,18). Ed ecco quindi che nella conclusione del brano i due comandamenti vengono associati nel ruolo di principio cardine sul quale poggia l’intera Rivelazione biblica:

“Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti” (v. 40).

La pagina evangelica sulla quale stiamo meditando pone in luce che essere discepoli di Cristo è mettere in pratica i suoi insegnamenti, che si riassumono nel primo e più grande comandamento della Legge divina, il comandamento dell’amore.

Anche la prima Lettura, tratta dal libro dell’Esodo, insiste sul dovere dell’amore; un amore testimoniato concretamente nei rapporti tra le persone: devono essere rapporti di rispetto, di collaborazione, di aiuto generoso. Il prossimo da amare è anche il forestiero, l’orfano, la vedova e l’indigente, quei cittadini cioè che non hanno alcun “difensore”. L’autore sacro scende a dettagli particolareggiati, come nel caso dell’oggetto dato in pegno da uno di questi poveri (cfr Es 20,25-26). In tal caso è Dio stesso a farsi garante della situazione di questo prossimo.

Nella seconda Lettura possiamo vedere una concreta applicazione del sommo comandamento dell’amore in una delle prime comunità cristiane. San Paolo scrive ai Tessalonicesi, lasciando loro capire che, pur avendoli conosciuti da poco, li apprezza e li porta con affetto nel cuore. Per questo egli li addita come un “modello per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia” (1 Ts 1,6-7). Non mancano certo debolezze e difficoltà in quella comunità fondata di recente, ma è l’amore che tutto supera, tutto rinnova, tutto vince: l’amore di chi, consapevole dei propri limiti, segue docilmente le parole di Cristo, divino Maestro, trasmesse attraverso un suo fedele discepolo. “Voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore – scrive san Paolo – avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove”. “Per mezzo vostro – prosegue l’Apostolo – la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede si è diffusa dappertutto” (1 Ts 1,6.8). L’insegnamento che traiamo dall’esperienza dei Tessalonicesi, esperienza che in verità accomuna ogni autentica comunità cristiana, è che l’amore per il prossimo nasce dall’ascolto docile della Parola divina. È un amore che accetta anche dure prove per la verità della parola divina e proprio così il vero amore cresce e la verità risplende in tutto il suo fulgore. Quanto è importante allora ascoltare la Parola e incarnarla nell’esistenza personale e comunitaria!

In questa celebrazione eucaristica, che chiude i lavori sinodali, avvertiamo in maniera singolare il legame che esiste tra l’ascolto amorevole della Parola di Dio e il servizio disinteressato verso i fratelli. Quante volte, nei giorni scorsi, abbiamo sentito esperienze e riflessioni che evidenziano il bisogno oggi emergente di un ascolto più intimo di Dio, di una conoscenza più vera della sua parola di salvezza; di una condivisione più sincera della fede che alla mensa della parola divina si alimenta costantemente! Cari e venerati Fratelli, grazie per il contributo che ciascuno di voi ha offerto all’approfondimento del tema del Sinodo: “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa“. Tutti vi saluto con affetto. Un saluto speciale rivolgo ai Signori Cardinali Presidenti delegati del Sinodo (…)

Noi tutti, che abbiamo preso parte ai lavori sinodali, portiamo con noi la rinnovata consapevolezza che compito prioritario della Chiesa, all’inizio di questo nuovo millennio, è innanzitutto nutrirsi della Parola di Dio, per rendere efficace l’impegno della nuova evangelizzazione, dell’annuncio nei nostri tempi. Occorre ora che questa esperienza ecclesiale sia recata in ogni comunità; è necessario che si comprenda la necessità di tradurre in gesti di amore la parola ascoltata, perché solo così diviene credibile l’annuncio del Vangelo, nonostante le umane fragilità che segnano le persone. Ciò richiede in primo luogo una conoscenza più intima di Cristo ed un ascolto sempre docile della sua parola.

In quest’Anno Paolino, facendo nostre le parole dell’Apostolo: “guai a me se non predicassi il Vangelo“(1 Cor 9,16), auspico di cuore che in ogni comunità si avverta con più salda convinzione quest’anelito di Paolo come vocazione al servizio del Vangelo per il mondo. Ricordavo all’inizio dei lavori sinodali l’appello di Gesù: “la messe è molta“(Mt 9,37), appello a cui non dobbiamo mai stancarci di rispondere malgrado le difficoltà che possiamo incontrare. Tanta gente è alla ricerca, talora persino senza rendersene conto, dell’incontro con Cristo e col suo Vangelo; tanti hanno bisogno di ritrovare in Lui il senso della loro vita. Dare chiara e condivisa testimonianza di una vita secondo la Parola di Dio, attestata da Gesù, diventa pertanto indispensabile criterio di verifica della missione della Chiesa.

La letture che la liturgia offre oggi alla nostra meditazione ci ricordano che la pienezza della Legge, come di tutte le Scritture divine, è l’amore. Chi dunque crede di aver compreso le Scritture, o almeno una qualsiasi parte di esse, senza impegnarsi a costruire, mediante la loro intelligenza, il duplice amore di Dio e del prossimo, dimostra in realtà di essere ancora lontano dall’averne colto il senso profondo. Ma come mettere in pratica questo comandamento, come vivere l’amore di Dio e dei fratelli senza un contatto vivo e intenso con le Sacre Scritture? Il Concilio Vaticano II afferma essere “necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura” (Cost. Dei Verbum, 22), perché le persone, incontrando la verità, possano crescere nell’amore autentico. Si tratta di un requisito oggi indispensabile per l’evangelizzazione. E poiché non di rado l’incontro con la Scrittura rischia di non essere “un fatto” di Chiesa, ma esposto al soggettivismo e all’arbitrarietà, diventa indispensabile una promozione pastorale robusta e credibile della conoscenza della Sacra Scrittura, per annunciare, celebrare e vivere la Parola nella comunità cristiana, dialogando con le culture del nostro tempo, mettendosi al servizio della verità e non delle ideologie correnti e incrementando il dialogo che Dio vuole avere con tutti gli uomini (cfr ibid., 21). A questo scopo va curata in modo speciale la preparazione dei pastori, preposti poi alla necessaria azione di diffondere la pratica biblica con opportuni sussidi. Vanno incoraggiati gli sforzi in atto per suscitare il movimento biblico tra i laici, la formazione degli animatori dei gruppi, con particolare attenzione ai giovani. È da sostenere lo sforzo di far conoscere la fede attraverso la Parola di Dio anche a chi è “lontano” e specialmente a quanti sono in sincera ricerca del senso della vita.

Molte altre riflessioni sarebbero da aggiungere, ma mi limito infine a sottolineare che il luogo privilegiato in cui risuona la Parola di Dio, che edifica la Chiesa, come è stato detto tante volte nel Sinodo, è senza dubbio la liturgia. In essa appare che la Bibbia è il libro di un popolo e per un popolo; un’eredità, un testamento consegnato a lettori, perché attualizzino nella loro vita la storia di salvezza testimoniata nello scritto. Vi è pertanto un rapporto di reciproca vitale appartenenza tra popolo e Libro: la Bibbia rimane un Libro vivo con il popolo, suo soggetto, che lo legge; il popolo non sussiste senza il Libro, perché in esso trova la sua ragion d’essere, la sua vocazione, la sua identità. Questa mutua appartenenza fra popolo e Sacra Scrittura è celebrata in ogni assemblea liturgica, la quale, grazie allo Spirito Santo, ascolta Cristo, poiché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Scrittura e si accoglie l’alleanza che Dio rinnova con il suo popolo. Scrittura e liturgia convergono, dunque, nell’unico fine di portare il popolo al dialogo con il Signore e all’obbedienza alla volontà del Signore. La Parola uscita dalla bocca di Dio e testimoniata nelle Scritture torna a Lui in forma di risposta orante, di risposta vissuta, di risposta sgorgante dall’amore (cfr Is 55,10-11).

Cari fratelli e sorelle, preghiamo perché dal rinnovato ascolto della Parola di Dio, (… QUI l’Omilia intera)

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1- In senso proprio, La Biblia Pauperum Vaticana fu ideata nella Germania centrale nel XV secolo ed è un esempio tardo di questo tipo di manoscritto. Presenta quarantadue grandi miniature di storie bibliche e cosmologia. Le Bibbie dei poveri non erano per i poveri e illetterati. Piuttosto, esse erano ad uso dei chierici per educare nell’omiletica alla storia del Nuovo Testamento come prefigurato dagli eventi dell’Antico Testamento (tipi e antiptipi), seguendo una stretta simbologia diversamente non facilmente decifrabile.

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Autore: Marcello Giuliano

Nato a Brescia nel 1957, vive a Romano di Lombardia (BG). Dopo aver conseguito il Baccelierato in Teologia nel 1984 presso il Pontificio Ateneo Antonianum di Roma e il Diploma di Educatore Professionale nel 2001, ha lavorato numerosi anni nel sociale. Insegnante di Religione Cattolica nella Scuola Primaria in Provincia e Diocesi di Bergamo, collabora ai cammini di discernimento per persone separate, divorziate, risposate ed è formatore per gli Insegnanti di religione Cattolica per conto della stessa Diocesi. Scrive sulle riviste online Libertà & Persona e Agorà Irc prevalentemente con articoli inerenti la lettura simbolica dell’arte ed il campo educativo. Per Mimep-Docete ha pubblicato Dalla vita alla fede, dalla fede alla vita. Camminando con le famiglie ferite (2017); In collaborazione con Padre Gianmarco Arrigoni, O.F.M.Conv., ha curato il libro Mio Signore e mio Dio! (Gv 20, 28). La forza del dolore salvifico. Percorsi nella Santità e nell’arte, (2020). Di prossima uscita Gesù è veramente risorto?

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