Il TEMPO SOSPESO DI MARIE

A quale panorama decideremo di appartenere?
Fonte privata

I gomiti puntellati al davanzale, Marie guarda la strada in una Milano, in genere, rumorosa di gente e parole. In questo “metà agosto”, invece, la brulla mollezza del panorama le procura un innaturale, gelido brivido lungo la schiena.

Appare, in un fotogramma, il ricordo di un altro vuoto cittadino.

Il deserto dell”’Era coviddica” tutti lo abbiamo attraversato e per molto più di quaranta giorni a trovare l’oasi di una “nuova normalità”.

In un sorriso un po’ storto torna, suo malgrado, alla mattina della discussione della Tesi di Laurea, quattro

giorni prima che la vita conosciuta venisse lavata via da spugna e vaccini.

Prima che, ancora una volta, l’uomo rendesse manifesta la propria in-umanità.

C’era una volta il tempo e dentro il tempo quel mattino Marie si preparava per entrare, di nuovo, in un’aula a discutere del frutto del suo lavoro.

Il calendario segnava un giorno d’inverno, ma l’alba, soffice, intrufolandosi tra le fessure delle persiane di casa, diceva di un cielo limpido e lieto.

Poco dopo Marie era già lungo la via ormai familiare e il viaggio, fitto di pensieri, la condusse all’ingresso dell’imponente struttura universitaria.

Esitò un istante, giusto il tempo di considerare che l’Ateneo in procinto di accoglierla era diverso dai due conosciuti parecchi anni indietro: questi richiamavano antichi monasteri velati in un’aura aulica e severa. L’atmosfera calda, che in realtà custodivano, andava scoperta lentamente. Al contrario, l’edificio di fronte a lei esibiva senza indugio l’idea di un luogo ospitale e generoso, uno sciame operoso di vite si manifestava in una tavolozza di colori, vivace e vigoroso.

L’ultimo piano si apriva su un labirinto di corridoi, uno di questi portava all’Aula nella quale si discutevano quel giorno le Tesi e dove si stava consumando un’attesa piena di trepidazione.

Il trillo del campanellino, l’ingresso in aula. I professori, in piedi a semicerchio dietro un lungo tavolo di legno lucido, si stagliavano contro la luce del sole che inondava la stanza ed evocavano i Moai dell’Isola di Pasqua. Le parole, gli sguardi, i sorrisi, gli applausi … la Vita.

Era finita, anche stavolta.

A Marie sembrò di essere stata colpita da una scheggia di felicità, circondata dalle persone che amava e si commosse, ben sapendo che non si trattava di cosa ordinaria.

La spensieratezza e lo splendore di quella giornata non permettevano certo di presagire che di lì a poco l’Umanità tutta si sarebbe fatta piccola, piccola per la paura, poiché stava per essere travolta dalla furia di una tempesta.

Un essere invisibile aveva deciso di prendere dimora presso gli uomini, di risucchiare loro l’aria e insieme, insidioso, lo spirito di vita.

Covid era il suo nome e nella sua disarmante semplicità avrebbe potuto essere quello di un amico col quale scambiare chiacchiere e risate in caffetteria. Ma Covid non era affatto amichevole e tantomeno disarmato.  

Interrotti i contatti umani per non provvedere alimento al “mangiavite”, le persone si ritrovarono, paradossalmente, recluse nelle proprie case. Non vi era stato tempo per altre esperienze e Marie rimase intrappolata nel ricordo, forte, di quella mattina.

Nel susseguirsi dei giorni di cattività si affievoliva in lei la capacità di tracciare una linea di confine tra realtà e fantasia. I luoghi dell’Ateneo si trasfiguravano nella visione onirica di stradine, piazzette ed aule; nell’immagine di uno spazio vuoto, ma non disabitato poiché lì albergava e aleggiava l’essenza dei sapienti del passato.

L’ansia per il timore dell’ignoto le provocava un travaglio interiore ed era battaglia aperta tra ciò che vagheggiava e ciò che avrebbe voluto vivere. Con l’incupirsi dei pensieri anche il ricordo della giornata solare vissuta da poco iniziò ad ammantarsi di un’atmosfera fantastica e a popolarsi di personaggi che vivono nella mente e nel cuore.

Attraverso la nebbia che confondeva la sua coscienza indovinava i corridoi dell’Università: non erano più così luminosi ed anche le macchine che distribuivano cibo, bevande e momenti conviviali avevano perso il loro smalto: enormi guerrieri, nella loro armatura grigia, abbandonati sul campo. Lo sguardo smarrito di Marie era alla ricerca di un viso conosciuto. Nessuno.

– Dove sono finiti gli studenti e gli insegnanti che ogni giorno popolano questo piccolo, grande universo per discutere delle cose della Vita? si chiese all’improvviso.

La sensazione era di inoltrarsi in una dimensione irreale lungo un sentiero tappezzato di porte e di locandine che presentavano conferenze, corsi e convegni.

Una di queste aveva ora attirato l’attenzione di Marie: ritraeva degli uomini che sfilavano in corteo per la difesa dei propri diritti. Avvertì un che di familiare. Si avvicinò ancora. Un sussulto, tra quegli uomini sembrava esserci suo padre: suo padre nel suo cappotto e nei suoi trent’anni. Insieme ad alcuni compagni reggeva uno striscione che gridava diritti per i lavoratori e muoveva il passo fermo e spavaldo di chi lotta con convinzione per una causa giusta.

Frastornata, si allontanò a forza perché le era parso di intravedere poco più avanti un’altra figura nota che faceva capolino e ammiccava da quell’altro manifesto. Giovani donne cucivano e sferruzzavano sedute in cerchio su sedie di legno: sua madre nella sua giovinezza e custode dell’arte antica di lavorare al tombolo. Quante volte glielo aveva mostrato negli anni pur senza aver più né l’occasione, né la voglia, ma forse il desiderio, di usarlo ancora.

La sirena di una delle innumerevoli ambulanze che ormai sfrecciavano incessanti per le vie della città la riportò, violentemente, nella sua cucina. Sfumata l’eco del suono silenzio, silenzio e ancora silenzio, tanto che il ritmo dei pensieri le riecheggiava amplificato nella mente: “Mai avrei immaginato di vivere in una realtà dove le persone hanno paura delle persone” si sorprese a pensare Marie.

– La distanza proteggerà l’umanità; diventerà la distanza il nuovo gesto d’amore? sussurrò a mezza voce e il suo viso si rabbuiò.

– Ci siamo salutati una sera con amici ed affetti lanciandoci un: “A domani” continuava intanto Marie nel suo soliloquio.  

– Non potevamo immaginare che questo “a domani” non sarebbe arrivato e che non ci vedremo più fino a quando Sua Maestà il Tempo non sarà nuovamente tra noi, proseguì con malcelato disappunto.

– Per ora non torna e le giornate sono tutte uguali pensando a quando oggi sarà ieri, disse rassegnata facendo seguire alle parole un colossale sospiro.

Ed era, allora, un continuo ritornare, in maniera quasi involontaria, a ricordi ed esperienze vissute. E si sentiva, addentrandosi tra gli elementi del passato della propria esistenza, come una brezza, un richiamo, proveniente da un mondo lontano, che ci si era lasciati alle spalle:

– Non sempre è un’esperienza piacevole, concluse la donna seguendo il filo dei suoi pensieri. La frase quasi a sancire la fine delle sue meditazioni.

Per questo Marie si rifugiava ancora e ancora in quel bellissimo, ultimo giorno in Università, prima dell’imponderabile.

Inspiegabilmente si materializzò davanti a lei, vuota e desolata, la guardiola dei bidelli, custodi posti a presidio del grande opificio della conoscenza.

– Quando vi si passava davanti c’era sempre un professore o un assistente fermo a scambiare due parole con loro e qualcuno, a volte, si posava su una sedia offerta all’ingresso per trascorrere così parte della pausa tra una lezione e l’altra. Marie sorrise.

La scena evocava scorci paesani anche tra le mura di un ambiente cittadino, attimi di incantevole semplicità cristallizzati per sempre. La donna si abbandonò ad una struggente nostalgia.

– Ma ora non è più il momento delle chiacchiere, oggi tutto tace, constatò desolata. Sulla città e sull’Ateneo era sceso un silenzio, un vuoto, assordante; lentamente il frastuono dei rumori cittadini veniva sostituito dai suoni, più gentili, della natura. – Tutti si muovono pigramente, tutto è rallentato: i gesti delle persone, le parole, anche gli sguardi, timorosi e spaventati, si incontrano con calma. Era evidente che le meditazioni di Marie non si erano ancora concluse.

– Dio, non lasciarci in balìa della tempesta, e il Papa, solo, si incamminava verso la porta d’ingresso della Basilica, in una Piazza San Pietro che traboccava di assenza, mentre anche il cielo piangeva…

E poi Pasqua. Nell’aria la fragranza della primavera si mescolava al profumo delle pietanze che fuoriusciva dalle cucine.

– Siamo tutti vestiti a festa e in tavola ci sono i bicchieri di cristallo e un po’ di malinconia, osservò e la mente sfiorò i colori di altre tavolate… Una vita fa.

Tuttavia si era accorta che in quello sconcerto anche gli altri sperimentavano la sua stessa fragilità. Si unì alla vicina di casa in un brindisi pasquale, proposto sottovoce, e insieme alle bollicine assaporarono un gusto tutto nuovo di calore umano.

Il melograno del suo giardino era fiorito e non si accorgeva di nulla; gli uccellini cinguettavano tra i rami.

– Saranno gli stessi che si sentivano a lezione dalle finestre socchiuse? Chiedeva Marie a sé stessa mentre li osservava e ascoltava il loro canto.

– Guardo e ascolto, ora non penso nemmeno. Lo stesso atteggiamento che si ha di fronte ad un’opera d’arte: completamente immersa, disse tra sé per non disturbare quella melodia.

Tutti attendevano il ritorno di Chronos. Marie pensava che nel frattempo la sua lontananza aveva portato a sondare i grandi dubbi che da sempre attanagliavano l’umanità: la fede in Dio, la risposta all’esistenza del Bene e del Male, la coscienza dell’uomo nell’affrontare situazioni dalle quali non può fuggire… Non sarebbe bastata una vita per rispondere a quegli interrogativi, la consapevolezza dell’incapacità nel risolvere simili questioni era alla base delle più grandi inquietudini umane.

– Mi piace credere, però, si ritrovò filosofa Marie – che il progetto di un qualche Architetto non pianifichi il male, ma che le cose brutte siano parte di un disegno molto più grande di quanto ci è dato vedere. Di più non so, sussurrò scuotendo inaspettatamente la testa – poiché anch’io sono parte di questa umanità in cammino, ciascuno con il proprio nome dissolto nella polvere di Universo entro cui tutti ci agitiamo.

Adesso sì, adesso Marie poteva finalmente riposare. Il dolore era lontano dal suo cuore. Intorno a lei la voce della natura cantava l’armonia del Creato.

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Autore: Francesca Bronzetti

Insegnante specialista di Religione Cattolica nei licei e di Teologia alla Università Cattolica del sacro Cuore di Milano.

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