
Articolo sul “Corriere” del 23 gennaio 2022 di Aldo Cazzullo a Mons. Massimo Camisasca sulle accuse a Ratzinger.
«È una manovra contro Ratzinger. E viene da dentro la Chiesa». Così monsignor Massimo Camisasca — 75 anni, fino a pochi giorni fa vescovo di Reggio Emilia, autore di settanta libri tra cui la storia di Comunione e Liberazione — giudica l’accusa rivolta al Papa emerito di aver coperto, negli anni in cui era arcivescovo di Monaco di Baviera, casi di pedofilia. -Perché ne è così convinto?
«Mi lasci fare una premessa. Tutti noi vescovi italiani, naturalmente me compreso, siamo profondamente convinti che gli abusi sessuali compiuti su minori, oltre a quelli morali e di autorità, siano un gravissimo delitto. Tanto più grave se compiuto da una persona consacrata, da un religioso, da un educatore».
-Ci mancherebbe altro. «Certo. Ma dell’estensione numerica di questi delitti la Chiesa ha preso coscienza, sempre più ampiamente, durante gli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II. Fu proprio il cardinal Ratzinger a evidenziarne per primo la gravità — solo tra i leader mondiali, politici e culturali — e a prendere provvedimenti».-Quali?«Rafforzando la sezione giuridica della Congregazione per la dottrina della Fede da lui presieduta. Divenuto Papa, compì atti di grande determinazione: la lettera durissima nei confronti della Chiesa irlandese, la richiesta di penitenza e conversione, l’aperta solidarietà verso le vittime. Inasprì le pene e diede alla Congregazione della Fede poteri inquirenti, nuovi ed ampi. Nessuno ha fatto come lui, prima di lui».-E Papa Francesco? «Ha continuato questa linea con numerosi interventi e mostrando la sua vicinanza alle vittime, chiedendo alle Chiese locali di dotarsi di una commissione diocesana di ascolto delle vittime e di formazione degli educatori. Nessun organismo mondiale ha fatto quanto sta facendo la Chiesa cattolica. È una coscienza nuova che si è imposta lungo i decenni. Non solo la Chiesa, anche la società civile deve compiere un lungo cammino. Gli abusi avvengono soprattutto nelle famiglie, nel mondo dello sport e dell’associazionismo giovanile. Perché allora questo accanimento contro Ratzinger, su fatti accaduti quasi 40 anni fa?».-Appunto. Perché, secondo lei? «L’unica ragione mi sembra l’insofferenza dei settori liberal della Chiesa e della società».-Quali sono i «settori liberal della Chiesa»? «Coloro che si rispecchiano nelle derive del sinodo tedesco. Coloro che non hanno mai accettato il pontificato di Benedetto XVI, la sua umiltà, la sua chiarezza, la sua teologia profondamente aperta e nello stesso tempo radicata nella tradizione, l’acutezza della sua lettura del presente, la sua battaglia contro la riduzione della ragione, la sottolineatura del valore sociale della fede, l’apertura del diritto a un fondamento etico e veritativo».-Resta il fatto che sono accuse gravi. Lei è certo che non siano supportate da fatti, da prove? «Non capisco perché la Chiesa francese e quella tedesca abbiano scelto la strada di commissioni “indipendenti”, che in realtà indipendenti non sono, perché viziate, almeno in alcuni loro membri, da un pregiudizio anticattolico. Nello stesso tempo, non bisogna mai misurare gli atteggiamenti di decenni fa con quelli che sarebbero doverosi oggi, a partire dalla coscienza più matura della gravità dei fatti e la conseguente sensibilità che si è sviluppata a ogni livello della società. Quando io ero piccolo certe punizioni corporali, ad esempio, non erano ritenute abusi ed erano viste come assolutamente normali. Per fortuna oggi non è più così».-Qual è il ruolo di papa Francesco in tutto questo? «Assolutamente nessuno. Non c’è nessuna trama di papa Francesco contro Benedetto. Francesco ha una profonda stima e affetto per il suo predecessore».-Come sarà ricordato Ratzinger, secondo lei? «Come un padre della Chiesa. Sarà ricordato come Leone Magno e Gregorio Magno per la sua capacità di parola, profonda e semplice. I secoli futuri si nutriranno del suo insegnamento».-E Bergoglio? «Come un Papa che ha richiamato tutta la Chiesa a prendere coscienza di essere una minoranza, ma una minoranza attiva, in ascolto dell’urlo disperato dei poveri, degli emarginati, degli uomini di ogni condizione a cui solo Cristo può rispondere».-Non crede che un giorno la Chiesa riconoscerà ai sacerdoti il diritto di sposarsi? «Non c’è nessun legame tra celibato e pedofilia. Purtroppo molti pedofili sono sposati. Il celibato non è la rinuncia alla sessualità, ma al suo esercizio genitale. La luminosità del celibato viene a noi dal Vangelo, dalla vita di Gesù stesso. È la scelta di vivere come lui. Esige una maturità affettiva che va verificata nel corso dell’iter seminaristico. Occorrono superiori di seminari ed educatori all’altezza di questo compito. La sessuofobia dell’800 ha generato preti immaturi e perciò incapaci di valutare la maturità dei candidati».-Quindi il matrimonio dei preti non risolverebbe nulla? «La crisi che stiamo vivendo esige la riscoperta, non la negazione del valore del celibato. Il cuore dell’uomo è un abisso che non sempre si riesce a scrutare. La verginità per il Regno, per usare il linguaggio dei Vangeli, oggi è insidiata fortemente dall’erotismo che invade la società, dalla solitudine e dalla nostra stessa fragilità. Ma le cadute di alcuni non sono un’obiezione alla verità e alla luce che il celibato rappresenta non solo per il popolo cristiano, ma per l’umanità tutta».
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