LA TEOLOGIA, AVVENTURA DELL’INCONTRO CON DIO. Sessantacinquesimo anniversario di Ordinazione Sacerdotale di Sua Santità Benedetto XVI

Pubblichiamo i discorsi pronunciati in occasione dei sessantacinque anni di Ordinazione sacerdotale del Papa Emerito Benedetto XVI. Il link sottostante la fotografia dell’ordinazione sacerdotale apre un file multimediale con interventi di Papa Benedetto XVI e Papa Francesco: Papa Benedetto: Angelo della Trasfigurazione -ultimo-; Discorso di Papa Francesco; Discorso del Papa Emerito Benedetto XVI; Papa Benedetto XVI racconta ai giovani la sua vocazione; Papa Benedetto: Omelia per le esequie di San Giovanni Paolo II.

Joseph Ratzinger ordinato sacerdote

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(apri qui sopra il file multimediale)

Il Sacerdote deve credere, prima di tutto”

Nel suo libro “Insegnare e imparare l’amore di Dio”, pubblicato in 5 lingue dall’Editore Cantagalli, Joseph Ratzinger tratteggia in 43 omelie il tema del sacerdozio. Eccone alcuni passi tratti dall’ omelia del 1979 tenuta a Monaco.

 “Nella Lettera scritta ai sacerdoti di tutto il mondo in occasione del Giovedì Santo,

il Santo Padre parla di un uso diffusosi in molti luoghi al di là della cortina di ferro, lì dove la persecuzione ha del tutto eliminato la presenza dei sacerdoti. Tramite amici ero venuto a conoscenza già diversi anni fa di fatti simili. Lì talvolta avviene che le persone si riuniscono in una chiesa abbandonata, ovvero, se non ve ne è rimasta alcuna, in un cimitero, nel luogo dove è seppellito un sacerdote.  Mettono sull’altare, o sulla tomba, la stola e recitano insieme le preghiere della liturgia eucaristica. Al momento che corrisponde alla transustanziazione, scende un profondo silenzio, interrotto alle volte dal pianto. Il Papa, rivolgendosi a noi sacerdoti, aggiunge: “Cari fratelli, se a volte qualcuno di voi ha dei dubbi sul proprio ministero, se ha delle incertezze sul senso di esso, se pensa che sia socialmente infruttuoso o addirittura inutile, rifletta su questo. Rifletta su quanto ardentemente quegli uomini desiderano udire le parole che solo le labbra di un sacerdote possono efficacemente pronunciare.

GP e Ratzinger a Monaco 1979

 San Giovanni Paolo II e Card. Joseph Ratzinger a Monaco nel 1979

Su quanto vivamente desiderano ricevere il Corpo del Signore; su quanto ansiosamente attendono che qualcuno possa dire loro: “Io ti assolvo dai tuoi peccati!” In questa “Eucaristia di desiderio” – nella quale gli uomini, nella loro solitudine, si protendono nella preghiera verso il Signore, a cui, nel loro desiderio vanno incontro e così sono in comunione con la Santa Chiesa e perciò con Lui stesso – in questa “Eucaristia di desiderio” avviene la testimonianza della Chiesa viva, la testimonianza della nascosta vicinanza del Signore e la testimonianza di ciò che significa il sacerdozio. 

Davanti a questa umiltà della fede, come appare angusta la soluzione di alcuni teologi secondo i quali, in caso di necessità, chiunque potrebbe pronunciare le parole della consacrazione. In una simile “Eucaristia di desiderio” c’è certamente molta più presenza del Signore che in un’arbitrarietà che pretende fare anche di Cristo e della Chiesa un prodotto nostro. Nessun uomo può avere l’audacia di usare a suo piacimento l’io di Cristo come fosse l’io suo proprio senza bestemmiarlo. Nessuno, da sé, può dire: “Questo è il mio corpo”; “Questo è il mio sangue”; “Ti assolvo dai tuoi peccati”.

 Eppure di queste parole abbiamo bisogno come del pane quotidiano. E dove esse non vengono più pronunciate, il pane quotidiano diviene insipido e le conquiste sociali vuote. È questo il dono più profondo e insieme più entusiasmante del ministero sacerdotale, quello che solo il Signore stesso può dare: il dono di riferire le sue parole non solo come parole del passato, ma di parlare con il suo io qui e ora, di agire in persona Christi; di rappresentare la persona di Cristo, com’è detto nella liturgia. In fin dei conti, da qui è possibile desumere tutta l’essenza dell’agire sacerdotale e il compito della vita sacerdotale.

 E non c’è dubbio che queste parole rimangono efficaci anche quando un sacerdote le contraddice con la sua vita, proprio perché dipendono dall’io di Gesù Cristo e non da quello dell’uomo. Non è l’uomo a rimettere i peccati, ma Lui. Non è reso presente il corpo di questo o di quello, ma il Suo. Ma allo stesso tempo è chiaro che noi non possiamo proferire tali parole senza che esse reclamino la nostra stessa vita, senza che esse esigano la nostra profonda corrispondenza a quello che diciamo.

Perché se interiormente vivessimo in modo contrario a quello che rappresentiamo, dobbiamo essere condannati. Colui che può pronunciare con la sua bocca l’io di Gesù Cristo, innanzitutto perciò deve crederci. Il sacerdote deve essere in primo luogo un credente. È questo il cuore di tutto il suo agire, e se questo manca, più niente è vero. Certo, può continuare una certa attività di routine, ma le viene a mancare l’essenziale, la Chiesa diviene un’associazione per il tempo libero, e diviene superflua.

 

Saluto di Sua Santità Papa Francesco per il 65° di sacerdozio di Sua Santità il Papa Emerito Benedetto XVI

Santità,

oggi festeggiamo la storia di una chiamata iniziata sessantacinque anni fa con la Sua Ordinazione sacerdotale avvenuta nella Cattedrale di Freising il 29 giugno 1951. Ma quale è la nota di fondo che percorre questa lunga storia e che da quel primo inizio sino a oggi la domina sempre più? In una delle tante belle pagine che Lei dedica al sacerdozio sottolinea come, nell’ora della chiamata definitiva di Simone, Gesù, guardandolo, in fondo gli chiede una cosa sola: “Mi ami?”. Quanto è bello e vero questo! Perché è qui, Lei ci dice, è in quel “mi ami” che il Signore fonda il pascere, perché solo se c’è l’amore per il Signore Lui può pascere attraverso di noi: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo” (Gv 21, 15-19). È questa la nota che domina una vita intera spesa al servizio sacerdotale e della teologia che Lei non a caso ha definito come “la ricerca dell’amato”; è questo che Lei ha sempre testimoniato e testimonia ancora oggi: che la cosa decisiva nelle nostre giornate — di sole o di pioggia —, quella solo con la quale viene anche tutto il resto, è che il Signore sia veramente presente, che lo desideriamo, che interiormente siamo vicini a lui, che lo amiamo, che davvero crediamo profondamente in lui e credendo lo amiamo veramente. È questo amare che veramente ci riempie il cuore, questo credere è quello che ci fa camminare sicuri e tranquilli sulle acque, anche in mezzo alla tempesta, proprio come accadde a Pietro; questo amare e questo credere è quello che ci permette di guardare al futuro non con paura o nostalgia, ma con letizia, anche negli anni ormai avanzati della nostra vita.

 E così, proprio vivendo e testimoniando oggi in modo tanto intenso e luminoso quest’unica cosa veramente decisiva — avere lo sguardo e il cuore rivolto a Dio — Lei, Santità, continua a servire la Chiesa, non smette di contribuire veramente con vigore e sapienza alla sua crescita; e lo fa da quel piccolo Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano che si rivela in tal modo essere tutt’altro che uno di quegli angolini dimenticati nei quali la cultura dello scarto di oggi tende a relegare le persone quando, con l’età, le loro forze vengono meno. È tutto il contrario; e questo permetta che lo dica con forza il Suo Successore che ha scelto di chiamarsi Francesco! Perché il cammino spirituale di San Francesco iniziò a San Damiano, ma il vero luogo amato, il cuore pulsante dell’Ordine, lì dove lo fondò e dove infine rese la sua vita a Dio fu la Porziuncola, la “piccola porzione”, l’angolino presso la Madre della Chiesa; presso Maria che, per la sua fede così salda e per il suo vivere così interamente dell’amore e nell’amore con il Signore, tutte le generazioni chiameranno beata. Così, la Provvidenza ha voluto che Lei, caro Confratello, giungesse in un luogo per così dire propriamente “francescano” dal quale promana una tranquillità, una pace, una forza, una fiducia, una maturità, una fede, una dedizione e una fedeltà che mi fanno tanto bene e danno tanta forza a me ed a tutta la Chiesa. E anche mi permetto anche da Lei viene un sano e gioioso senso dell’umorismo.

Sua Santità il Papa Emerito Benedetto XVI e Mons. Georg Gӓnswein

 

 L’augurio con il quale desidero concludere è perciò un augurio che rivolgo a Lei e insieme a tutti noi e alla Chiesa intera: che Lei, Santità, possa continuare a sentire la mano del Dio misericordioso che La sorregge, che possa sperimentare e testimoniarci l’amore di Dio; che, con Pietro e Paolo, possa continuare a esultare di grande gioia mentre cammina verso la meta della fede (cfr. 1 Pt, 8-9, 2 Tim, 4)!

 

Sua Santità il Papa Emerito Benedetto XVI nel discorso di ringraziamento a Sua Santità Papa Francesco, a Sua Eminenza il Card. Gerhard Ludwig Müller ed ai presenti.

 

Santo Padre, cari fratelli,

65 anni fa, un fratello ordinato con me ha deciso di scrivere sulla immaginetta di ricordo della prima Messa soltanto, eccetto il nome e le date, una parola, in greco: “Efharistomen”, convinto che con questa parola, nelle sue tante dimensioni, è già detto tutto quanto si possa dire in questo momento. “Efharistomen” dice un grazie umano, grazie a tutti. Grazie soprattutto a Lei, Santo Padre: la Sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente più che nei Giardini Vaticani, con la bellezza, la Sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto. Grazie anche della parola di ringraziamento, per tutto. E speriamo che Lei potrà andare avanti con noi tutti con questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, a Gesù, a Dio.

Grazie pure a Lei, Eminenza, per le Sue parole che hanno veramente toccato il cuore: “Cor ad cor loquitur”. Lei ha reso presente sia l’ora della mia ordinazione sacerdotale, sia anche la mia visita nel 2006 a Freising, dove ho rivissuto questo. Posso solo dire che così, con queste parole che ha interpretato l’essenziale della mia visione del sacerdozio, del mio operare. Le sono grato per il legame di amicizia che fino adesso continua da tanto tempo, da tetto a tetto: è quasi presente e tangibile.

Grazie, cardinale Müller, per il Suo lavoro che fa per la presentazione dei miei testi sul sacerdozio, nei quali cerco di aiutare anche i confratelli a entrare sempre di nuovo nel mistero che il Signore si dà nelle nostre mani. “Efharistomen”: in quel momento l’amico Berger voleva accennare non solo alla dimensione del ringraziamento umano, ma naturalmente alla parola più profonda che si nasconde, che appare nella Liturgia, nella Scrittura, nelle Parole: “Gratias agens benedixit fregit deditque”. “Efharistomen” ci manda a quella realtà di ringraziamento, a quella nuova dimensione che Cristo ha dato. Lui ha trascormato in grazie, così in benedizione, la Croce, la sofferenza, tutto il male del mondo. E così fondamentalmente ha transustanziato la vita e il mondo e ci ha dato e ci dà ogni giorno il pane della vera vita, che supera il mondo grazie alla forza del Suo amore.

Alla fine, vogliamo inserirci in questo “grazie” del Signore e così ricevere realmente la novità della vita e aiutare alla transustanziazione del mondo: che sia un mondo non di morte, ma di vita; un mondo nel quale l’amore ha vinto la morte.

 Grazie a tutti voi. Il Signore ci benedica tutti.

 Grazie, Santo Padre.

 

Discorso di Sua Em.za il Card. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede

 

Santo Padre,

 è un grande onore poter partecipare a questo momento di festa che Lei ha voluto per la lieta occasione dei sessantacinque anni di ordinazione sacerdotale del Papa Emerito Benedetto XVI. Qualche settimana fa, per il Giubileo dei Sacerdoti e dei Seminaristi, Lei stesso ha messo al centro della nostra riflessione l’essenza della missione sacerdotale: lasciarsi ricreare il cuore dalla misericordia di Dio, così che noi stessi possiamo aiutare gli uomini a lasciarsi plasmare il cuore da Lui. E citava il grande scrittore francese George Bernanos, il quale nel suo romanzo Diario di un curato di campagna, ha indicato nella “gioia” l’immenso dono che la Chiesa è chiamata ad offrire al mondo: anzitutto la gioia dell’annuncio che i nostri peccati sono già attesi dal perdono di Dio! “Annuncio” e “gioia” sono parole che stanno al cuore del Vangelo, e sono anche due note proprie tanto del Suo Magistero, quanto di quello del Suo Predecessore.

 

Caro Papa Emerito,

per lunghi anni Lei ci ha richiamato – sia con le parole che con la vita – che questa “gioia” proviene anzitutto dal fiducioso abbandonarsi a quel misterioso e buon Disegno che Gesù Risorto vuole portare a compimento in ciascuno di noi. La gioia del Vangelo è anzitutto Sua, è dono del Signore, e proviene dal Suo Cuore, che ha avuto pietà del nostro niente e ci ama, cioè ci ricrea, con un Amore eterno.  

Proprio a questo Amore fa diretto riferimento il titolo del libro, in edizione plurilingue, che abbiamo l’onore di offrirLe in questa lieta ricorrenza: Die Liebe Gottes Lehren und Lernen – Insegnare e imparare l’Amore di Dio. In fondo, qui è detto tutto: siamo chiamati ad insegnare ciò che a nostra volta abbiamo appreso dall’Amore di Dio.  

A questo Amore Lei fu consegnato sessantacinque anni fa mediante il sigillo sacerdotale, insieme col Suo fratello Georg, nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo. Come ha detto Sant’Ireneo, che oggi commemoriamo, i due principi degli Apostoli sono il fondamento apostolico della Chiesa Romana. Questa Festa dei due Apostoli già prefigurava, per così dire, i tratti essenziali della Sua missione: annunciare la Parola di Dio (Paolo) e confermare i fratelli nella Fede (Pietro). Il tempo ha poi rivelato in modo mirabile ciò che in quell’inizio era misteriosamente precontenuto.

Caro Papa Emerito, siamo grati di aver potuto seguire per lunghi anni, insieme a Lei, ciò che il Signore andava realizzando attraverso la Sua azione sacerdotale. Ora chiediamo, con tutto il cuore, che Lui possa portare a compimento ciò che ha operato in Lei e che, fra noi, ha già portato così abbondante frutto. Grazie ancora, di tutto, Santità, e grazie di cuore.

 

Discorso di Sua Em.za il Card. Angelo SODANO, Decano del Collegio Cardinalizio

 

Venerato e caro Papa Francesco, oggi in occasione del 65° di sacerdozio del Suo amato Predecessore, il Papa emerito Benedetto XVI, Ella ha voluto rendergli un doveroso omaggio a nome di tutta la Santa Chiesa, che ha goduto per 65 anni del suo ministero pastorale, prima come Presbitero e successivamente come Vescovo nella sede di München e Freising e poi come Vescovo di Roma, “mater et caput omnium ecclesiarum”.

Santo Padre, permetta ora anche a me di presentare al caro Festeggiato l’omaggio dei Confratelli Cardinali, mentre mi sgorgano dal cuore le parole del Salmo 133: “Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum” (Salmo 133)! Sì, in questo momento noi sperimentiamo un clima di grande letizia spirituale e di intensa fraternità, nel vincolo comune di servizio alla Santa Chiesa di Cristo.

Caro e venerato Papa emerito, il 29 giugno di quel lontano 29 giugno del 1951, nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo, Ella riceveva l’ordinazione presbiterale dalle mani del compianto Card. Faulhaber, insieme al Suo caro Fratello Georg e ben 42 altri compagni. Fu una grande festa per tutta la Sua amata Arcidiocesi Bavarese.

 Ella ha voluto raccontarci i sentimenti provati in quel giorno, allorquando ritornò come Successore di Pietro nella sua cara Arcidiocesi, nel settembre del 2006. Celebrando la Santa Messa nel Duomo di Freising, ove era avvenuta la Sua ordinazione, Ella rievocò di fronte ai numerosi sacerdoti presenti i sentimenti che allora pervasero il suo cuore. Ero anch’io presente sotto le volte di quella stupenda Cattedrale e ricordo bene la commozione con cui Ella parlava ai sacerdoti presenti.

In questi giorni sono andato a rileggermi quella Sua Omelia e mi è parso di riascoltare le parole che in quel momento le nascevano dal cuore. Nella traduzione italiana suonano così: “Quando ero qui prostrato a terra e come avvolto dalle Litanie di tutti i Santi, mi rendevo conto che su questa via noi non siamo soli, ma che la grande schiera dei Santi cammina con noi e che i santi ancora vivi, e cioè i fedeli di oggi e di domani, ci sostengono e ci accompagnano. Poi vi fu l’imposizione delle mani e quando il Card. Faulhaber ci disse: «Jam non dico vos servos, sed amicos» (non vi chiamo più servi ma amici), allora sperimentai che l’ordinazione sacerdotale è come un’iniziazione nella comunità degli amici di Gesù, che sono chiamati a stare con Lui e ad annunciare il suo messaggio” (cfr. L’Osservatore Romano, 16 settembre 2006).

 Ella descrisse poi la natura di questo messaggio che i sacerdoti sono chiamati a diffondere nel mondo, sintetizzandolo con due frasi: il sacerdote deve portare agli uomini d’oggi “la Luce di Dio e l’Amore di Dio”, o esattamente, per usare le Sue parole in tedesco, il sacerdote deve portare agli uomini: “Gottes Licht und Gottes Liebe”.

Inoltre nella Sua Omelia, Lei aggiungeva un invito pressante ai sacerdoti presenti, e cioè l’invito a portare al mondo la Luce e l’Amore di Cristo con lo stesso “sentire” di Gesù, o per usare le Sue stesse parole, con la stessa “Gesinnung Jesu Christi”. Era il concetto espresso dall’Apostolo Paolo nella lettera ai Filippesi (Phil 2, 5-8). Questo “sentire” di Cristo doveva, quindi, comportare un gran amore verso i lontani, verso i poveri, gli ammalati, i vecchi ed i bambini.

Leggendo oggi quelle Sue parole, esse ci sembrano un’anticipazione del Magistero del Papa Francesco, che sempre ci invita ad andare incontro a chi più soffre, portando loro il nostro amore di fratelli. E’ questo del resto il messaggio del grande Giubileo della Misericordia che stiamo celebrando.

Venerato e caro Papa emerito, nel felice anniversario di quel giorno lontano di 65 anni fa, il Collegio Cardinalizio insieme al Papa Francesco si stringe intorno a Lei, ringraziandoLa per il Suo lungo e generoso servizio ecclesiale.

Allo stesso tempo, siamo a chiederLe di voler continuare, anche se in un’altra forma, il Suo lungo ministero, così come Ella ci aveva promesso il 24 febbraio del 2013, dopo aver annunziato la Sua decisione di lasciare in nuove mani la guida della barca di Pietro. Ella allora ci aveva appunto detto: “Il Signore mi chiama a salire sul monte, a dedicarmi ancor più alla preghiera ed alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo, è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo finora, ma in modo più adatto alla mia età ed alle mie forze” (cfr. Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. IX, pag. 263).

Noi siamo lieti di quella promessa, sicuri che Ella ci sarà sempre vicino con la Sua preghiera e con il Suo affetto. Infine Le diciamo con un tipico augurio della Sua terra Bavarese: “Behüt’s Sie Gott”! Che Dio La custodisca!

Intanto la Chiesa di Roma, sotto la guida del Papa Francesco, il venerato Successore che la Provvidenza Divina ci ha dato, continuerà con rinnovato vigore il suo cammino nella storia, al servizio della comunità cristiana e dell’intera umanità!

 

 

 

 

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Autore: Marcello Giuliano

Nato a Brescia nel 1957, vive a Romano di Lombardia (BG). Dopo aver conseguito il Baccelierato in Teologia nel 1984 presso il Pontificio Ateneo Antonianum di Roma e il Diploma di Educatore Professionale nel 2001, ha lavorato numerosi anni nel sociale. Insegnante di Religione Cattolica nella Scuola Primaria in Provincia e Diocesi di Bergamo, collabora ai cammini di discernimento per persone separate, divorziate, risposate ed è formatore per gli Insegnanti di religione Cattolica per conto della stessa Diocesi. Scrive sulle riviste online Libertà & Persona e Agorà Irc prevalentemente con articoli inerenti la lettura simbolica dell’arte ed il campo educativo. Per Mimep-Docete ha pubblicato Dalla vita alla fede, dalla fede alla vita. Camminando con le famiglie ferite (2017); In collaborazione con Padre Gianmarco Arrigoni, O.F.M.Conv., ha curato il libro Mio Signore e mio Dio! (Gv 20, 28). La forza del dolore salvifico. Percorsi nella Santità e nell’arte, (2020). Di prossima uscita Gesù è veramente risorto?

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