La Ru 486 anche in Italia

Riportiamo gli interventi sulla Ru 486 di due amici, Angela Cosentino e Cesare Cavoni.

1) Saranno devastanti le conseguenze sanitarie, educative, culturali ed etiche derivanti dall’introduzione della pillola abortiva del mese dopo RU 486, la kill pill, dal 30 luglio anche in Italia, nonostante la morte di 29 donne in seguito alla sua assunzione, la documentata maggior pericolosità rispetto all’aborto chirurgico e i pesanti effetti psicofisici riscontrati.

Di fronte all’emergenza educativa, la diffusione della RU 486 vanifica ulteriormente il tentativo di trasmettere, soprattutto ad adolescenti e giovani, il significato della sessualità, dell’amore e della vita, così, sempre più banalizzati. La vita è un bene sempre e comunque, nonostante la cultura dominante sostenga il contrario per la pressione di notevoli interessi economici e ideologici: interessi economici delle aziende farmaceutiche (del mifepristone, l’antiprogestinico che provoca la morte dell’embrione in utero e del misoprostol, la prostaglandina che lo espelle), delle aziende ospedaliere che, con l’aborto chimico, riducono le spese relative all’aborto chirurgico ma, tra l’iniziale ricovero ospedaliero per l’assunzione della prima pillola, il follow up successivo per verificare l’insorgere di eventuali infezioni o emorragie, probabilmente, i costi sanitari dovrebbero essere riverificati (le regioni nella quali la pillola abortiva era già usata in alcuni ospedali con importazione diretta dalla Francia hanno verificato la necessità frequente di un intervento chirurgico di svuotamento uterino), interessi ideologici di chi veicola l’aborto come segno di progresso, di civiltà e di autodeterminazione della donna, non un dramma ma un “diritto da pretendere” anche se uccide, e non è disposto a riverificare tale dolente posizione (il male fa male).

La procedura della RU 486 non solo elude la legge 194 sull’aborto, perché evita il periodo di riflessione previsto, ma la scardina come un grimaldello, allargandone le maglie, privatizzando e banalizzando sempre più l’aborto, promosso a mezzo di controllo delle nascite: risultato ottenuto scavalcando anche un eventuale confronto parlamentare. Urge, quindi, una mobilitazione, una molteplice strategia di interventi e il coraggio di sostenere servizi educativi e sanitari come quello che promuove l’educazione alla procreazione responsabile con i metodi diagnostici di fertilità, diffuso in tutto il territorio nazionale (www.confederazionemetodinaurali.it). Il servizio non offre solo una tecnica per evitare o per ricercare la gravidanza, ma uno stile di vita per l’accoglienza del sé, dell’altro e del figlio, orientato alla formazione delle coscienze, una proposta che accompagna adolescenti, giovani e coppie a cogliere la giusta gerarchia dei valori in gioco, e a ricucire quei legami tra sessualità, amore, famiglia, maternità e vita, che l’onda lunga del ’68 ha contribuito, drammaticamente, a separare. Né un giudizio sulle persone né una contrapposizione, ma una testimonianza che la strada intrapresa con l’aborto chimico non è quella per il bene dell’uomo e del suo sviluppo futuro, soprattutto in un periodo di bassa natalità, di sfiducia e di un elevato numero di aborti (121.406, dati preliminari relativi al 2008, secondo la relazione annuale sulla 194, presentata al Parlamento dal Ministero della Salute).

La delibera dell’AIFA (agenzia italiana del farmaco) per l’introduzione della RU486 in Italia, per uccidere l’embrione entro le prime sette settimane di vita, è incoerente con la mozione recentemente approvata a maggioranza dalla Camera, che impegna “il governo a promuovere una risoluzione delle Nazioni Unite che condanni l’uso dell’aborto come strumento di controllo demografico ed affermi il diritto di ogni donna a non essere costretta ad abortire, favorendo politiche che aiutino a rimuovere le cause economiche e sociali dell’aborto”.

È una decisione incoerente anche in riferimento alla promozione di adeguate politiche familiari. Rimane l’auspicio che venga preso in considerazione il ritiro del prodotto “in via cautelativa”, come proposto dal Movimento per la Vita, e come è già accaduto “a seguito di riscontrate complicazioni, talvolta modeste, rare, o addirittura soltanto temute” come nel caso di un vaccino per il morbillo e di un sedativo per la tosse. Le conseguenze negative sperimentate nei Paesi nei quali la RU 486 è stata introdotta (in America con una banda nera sulla confezione) al punto che in alcuni Paesi è stata ritirata, non sono state sufficienti a frenare i pesanti interessi economici e ideologici in gioco. Forse, un’educazione responsabile urge anche per i politici, i legislatori, i sanitari e gli uomini di scienza che hanno contribuito ad introdurla. Humanae vitae aveva indicato, esistono forti legami tra etica della vita ed etica sociale (Caritas in Veritate, 15). Angela Maria Cosentino, Zenit 31 luglio.

2 ) La vera storia della pillola abortiva ru 486

E’ disponibile nelle librerie un libro che rivela molte delle realtà nascoste in merito alla pillola abortiva da molti chiamata "la pillola di Erode". Il libro in questione ha per titolo "La storia vera della pillola abortiva RU 486" (Edizioni Cantagalli) ed è stato scritto da Cesare Cavoni e Dario Sacchini. Dario Sacchini è ricercatore in Bioetica presso l’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Coautore di diversi volumi tra cui "Etica e giustizia in sanità. Questioni generali, aspetti metodologici e organizzativi" (2004) e "La vecchiaia e i suoi volti. Una lettura etico-antropologica" (2008). Cesare Davide Cavoni, è invece giornalista professionista presso l’emittente SAT 2000; è laureato in Lettere ed ha conseguito il Master in Bioetica presso la Pontificia Università Lateranense di Roma. È docente di Bioetica e Mass media per i corsi di perfezionamento in Bioetica presso l’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e presso l’Istituto "Giovanni Paolo II" della Pontificia Università Lateranense di Roma. I due autori, con una documentazione precisa e dettagliata, rivelano i tantissimi rischi per la salute e per la società di un farmaco il cui obiettivo non è di "curare una malattia bensì di porre fine alla vita umana". Cavoni e Sacchini non solo respingono l’idea che la gravidanza sia una malattia da curare con pillole tossiche per i concepiti e per le madri, ma denunciano quello che sarebbe l’obiettivo dei sostenitori dell’Ru486 e cioè "quello di demedicalizzare, togliere il più possibile dalla competenza e dall’influenza del medico l’aborto, per trasformarlo in un fatto del tutto privato e personale". Per spiegare i contenuti e le finalità di un volume così attuale e scottante, ZENIT ha intervistato Cesare Cavoni.

Che cos’è la pillola Ru486? E’ un farmaco? E quale malattia cura?

Cavoni: Il mifepristone, chiamato Ru486 dall’industria farmaceutica Roussel-Uclaf che per prima ne sponsorizzò la ricerca, compare in letteratura nel 1982 ed è un ormone steroideo sintetico che provoca l’aborto. Esso agisce su una tipologia di molecole denominate recettori, specifiche per il progesterone che è un ormone i cui organi bersaglio sono quelli coinvolti nella dinamica riproduttiva con lo scopo di favorire l’annidamento dell’embrione nell’utero e la prosecuzione della gravidanza. L’alterazione indotta dall’Ru486 consiste nello sfaldamento delle cellule endometriali, nel sanguinamento e nel conseguente distacco dell’embrione. Ma per poter portare a compimento l’aborto, oltre alla Ru486 viene somministrata anche un’altra pillola: si tratta di una prostaglandina che serve a stimolare le contrazioni e a espellere l’embrione. Questa combinazione di farmaci poi deve essere utilizzata entro il 49° giorno, in un periodo cioè in cui i levelli di progesterone sono ancora bassi perché poi in una fase successiva tale ormone non potrà essere ‘intercettato’ dal mifepristone. L’Ru486 è quindi un farmaco. Uno strano tipo di farmaco visto che per farmaco noi intendiamo qualcosa che curi, che lenisca un dolore o rallenti o guarisca da una malattia non certo una sostanza che possa causare la morte di qualcuno. Credo sia la prima volta che venga utilizzato un farmaco per uccidere deliberatamente un essere umano. Perché l’embrione è un essere umano. Ogni donna quando è incinta, fin da subito parla di colui che porta in grembo come del proprio figlio; non dice alle amiche: "quando il feto nascerà lo chiamerò Marco", oppure "sto preparando la stanza per l’embrione". Di conseguenza è facile capire come l’Ru486 non curi alcuna malattia poiché non c’è alcuna malattia da curare, a meno che non si voglia considerare la gravidanza come una malattia.

La gravidanza è una malattia?

Cavoni: Questo farmaco è davvero terrificante: per la prima volta constatiamo la messa a punto di un farmaco il cui obiettivo non è di curare una malattia bensì di porre fine ad una vita umana. O, meglio, sembrerebbe che la gravidanza venga annoverata, più o meno esplicitamente nel sentire comune, come una patologia, nella misura in cui una donna, non scegliendola, è costretta a subirla. L’aborto, allora, potrebbe configurarsi, secondo questa visione, come la liberazione da una malattia o, più propriamente, da un male di vivere. È questa una visione perversamente drammatica della vita umana. Così come è perverso il fatto che si decida di somministrare alle donne un farmaco, che porta con sé pesanti effetti collaterali, come se le donne fossero cavie su cui sperimentare indisturbati e, anzi, cercando di far passare una sperimentazione selvaggia come un diritto delle donne. Da decenni si sperimentano sulle donne farmaci tossici di cui non si conosono o non si percepiscono fino in fondo i rischi a breve, medio e lungo termine. Di norma, si può agire così quando non vi siano ragionevoli alternative, quando cioè non usare una terapia sperimentale avrebbe come unica alternativa la morte della persona. Ma in questo caso – non trattandosi di malattia – il termine "sperimentale" cade per definizione. Con l’utilizzo della pillola Ru486 l’aborto viene di fatto tolto dalla sfera della medicalizzazione, ricondotto totalmente nella sfera privata dell’individuo e, quindi, anche svincolato da ogni responsabilità sociale (oltre che morale) in nome di un nuovo concetto di "privacy", il quale è applicato a qualsiasi decisione riguardo al proprio corpo. Così si spalancano le porte ad un’assolutizzazione del principio di autonomia (il rispetto dell’autodeterminazione del soggetto), togliendo ogni diritto al nascituro e investendo anche la relazione con l’altro (l’embrione, il feto, il figlio) in base a tale principio. L’aborto può essere compiuto nel chiuso della propria casa. E compare fin da subito l’opzione contraccettiva dell’Ru486, vista come il migliore anticoncezionale, sul quale si scatenano (e si scateneranno) interessi commerciali e guerre aziendali.

I sostenitori della Ru486 affermano che questa pillola eliminerebbe l’aborto chirurgico così da diventare una pratica che si può gestire individualmente. Qual è il suo pensiero in merito?

Cavoni: L’esperienza francese e quella americana ci mostrano che questo non è vero; vale a dire che proprio laddove si pensava che la Ru486 potesse sostituire l’aborto si è visto l’esatto contrario. Chi abortisce in genere sceglie l’aborto chirurgico e questo per due motivi; uno perché dura poco, viene effettuato sotto anestesia e la percezione del dolore, fisico e psichico, è inferiore e poi perché psicologicamente l’iter della Ru486 diventa un vero calvario, estenuante; ci vogliono giorni prima di poter completare l’aborto e c’è il rischio, alto, di dover comunque ricorrere all’aborto chirurgico poiché in molti casi il cocktail Ru486 e prostalgandina non funziona e allora bisogna intervenire d’urgenza con l’aborto chirurgico. Il peso psicologico di due, tre giorni o addirittura di una settimana in attesa dell’aborto dopo aver assunto la pillola, rende questa modalità snervante per la donna e le ripropone ad ogni istante esattamente l’atto che sta portando avanti, che lei lo voglia o no; cioè quello di stare per sopprimere una vita umana. Si può giustificarlo come si vuole, si può far finta di non vederlo, ma è così. E in ogni caso sarà comunque un trauma che prima o poi riaffiorerà nella vita di quella donna. E poi il dolore fisico che accompagna questa attesa è micidiale; sanguinamenti molto più abbondanti di una normale mestruazione, dolori lancinanti. La letteratura scientifica registra numerosi casi di emorragie fortissime. Tutto questo è ben chiaro, per esempio, dalla testimonianza della prima paziente che negli Stati Uniti decise di abortire con la Ru486. Il suo racconto è lucido e privo di qualsiasi aspetto moraleggiante: La giovane donna in questione fu la prima paziente che si sottopose alla sperimentazione dell’aborto tramite Ru486 negli Stati Uniti, presso l’ospedale di Des Moines in Iowa; ella non se ne dichiarò pentita. La donna, 30 anni, con un marito e due figli, era terrorizzata dall’aborto chirurgico a causa di una brutta esperienza vissuta da una sua amica: «Sono stata per la prima volta a Des Moins. Tutti erano molto eccitati mercoledì quando mi è stata somministrata la prima dose di farmaci. Scherzando dicevo che ci sarebbe dovuta essere una cerimonia col taglio del nastro. Loro continuavano a dirmi che stavo facendo la storia. In un paio d’ore ho cominciato a provare nausea, ho tirato avanti per tre giorni e sono andata a lavorare. Per fortuna c’è una saletta per riposarsi nel mio ufficio; mi muovevo un po’ più piano. Di norma sono sempre molto su di giri ma per quei tre giorni non lo sono stata. Mi sembrava come se avessi mangiato del cibo avvelenato. Sono tornata di venerdì e ho preso la seconda dose di farmaci; dopo cinque minuti ho cominciato a sentire dei crampi un po’ meno forti di quelli delle mestruazioni. Dopo due ore i crampi sono diventati più forti e ho cominciato ad usare un cuscinetto riscaldante sulla pancia. Sono andata nella stanza di riposo; quando però ho provato ad alzarmi mi sentivo come se mi avessero aperto un rubinetto. C’era un continuo flusso di sangue e poi mi è passato un grumo di sangue della grandezza di una pallina da golf, che mi ha terrorizzata. Pensavo che fosse il feto. I crampi sono rimasti stabili. Negli ultimi quindici minuti della mia visita mi sentivo sdoppiata e l’emorragia era molto pesante, più di quella mestruale. Mia madre mi ha portato a casa; in quel momento sanguinavo molto e ho avuto la diarrea. Mi ha fatto tornare in mente il modo in cui sanguini dopo il parto. Forse una donna che non ha partorito potrebbe essere un po’ più rilassata. Ho abortito alle 6.30 di venerdì notte. L’ho sentito cadere nella tazza. Sembrava come un grumo di sangue. Ho gridato quando mi sono resa conto che era uscito, in parte perché mi sentivo sollevata, in parte perché mi sentivo triste. Capii che era finita».

Quando poi si sostiene che l’aborto tramite Ru486 sia meno costoso e più veloce mi sembra proprio che le evidenze affermino proprio il contrario. Anche su questi punti parlano le donne e non i bioeticisti, i medici. La situazione è stata anche in questo caso ben fotografata da una inchiesta realizzata dalla più nota giornalista scientifica statunitense, Gina Kolata, che di certo non passa per una fondamentalista cattolica. Ebbene la Kolata, nel 2002 ha scritto sul New York Times, riportando il parere di molti specialisti, che l’aborto con la Ru486 richiede un tempo maggiore ed è più costoso dell’aborto chirurgico. Le donne poi non sembrano essere interessate dal momento che vengono richieste tre visite in ambulatorio per due settimane, due diversi farmaci, qualche emorragia e crampi. Qualche fornitore fa pagare oltre 100 dollari in più per un aborto medico rispetto a quello chirurgico, spiegando che ogni pillola di Mifepristone costa 100 dollari. Molti usano un dosaggio più basso, somministrando una pillola invece delle tre che l’azienda produttrice raccomanda, ma aggiunge che il costo extra dell’aborto indotto tramite pillola, è ancora un peso gravoso per molti pazienti. Ma ciò sui cui inciderà di più l’uso dell’Ru486 è la sanità pubblica: un risparmio di medici dedicati solo a quel servizio, così poco ambìto e che non consente di fare certo brillanti carriere. Dunque per la sanità pubblica ci sarebbe un risparmio di medici dedicati solo a quel servizio, più letti a disposizione ma, a questo punto, un costo non proprio lieve se si chiede allo Stato di passare gratuitamente il farmaco. Pensate che la vecchia azienda produttrice voleva piazzarla, all’epoca, siamo negli anni ’80, a non meno di 500 franchi francesi. Per quanto si possa scendere di prezzo, il costo per la sanità pubblica resterebbe comunque altissimo, a fronte di risultati non proprio incoraggianti e, anzi, a fronte di ulteriori spese per tutti quegli aborti non riusciti tramite Ru486 e che quindi devono rientrare per la ‘consueta’ prassi chirurgica. Anche per questo si è cercato di spingere molto perché si approfondissero ulteriori studi sulle proprietà del farmaco per curare malattie di tipo neurologico ad esempio, facendolo diventare un farmaco compassionevole per malati senza alternativa oltre la morte. Riuscire a far approvare l’Ru486 per altri usi rispetto all’aborto, significa rendere legale il farmaco che, in un secondo momento, potrebbe essere utilizzato, fuori prescrizione, anche per l’aborto. Credo sia questo l’obiettivo dei sostenitori di questa pillola mortifera. D’altronde avviene già lo stesso procedimento con l’altro farmaco che serve per completare l’aborto: esso è, infatti, registrato ufficialmente come antiulcera ma poi, siccome favorisce l’espulsione del feto-figlio, viene utilizzato all’occorrenza.

Secondo lei esiste una congiura del silenzio sugli effetti della Ru486 sulla salute delle donne? Quali sono i fatti e le storie che non si vogliono rendere pubbliche?

Cavoni: Più che di congiura del silenzio si tratta di una vera e propria strategia che da decenni cerca di far apparire tramite i mezzi di comunicazione mondiali la bontà della pianificazione familiare, dell’aborto, dei metodi contraccettivi per l’economia mondiale, per le risorse del pianeta e così via. La pillola abortiva è nata col desiderio non di essere abortiva ma, ancor peggio, di cercare di inibire sul nascere la gravidanza: i ricercatori hanno iniziato la ricerca su di essa con la speranza di trovare un contraccettivo talmente efficace da inibire il ciclo mestruale a comando ed eventualmente riprenderlo quando la donna si sentisse pronta per una gravidanza. Nello stesso tempo, si cercava di incidere sul linguaggio, evitando di presentare la pillola come lo strumento per un atto cruento e magari difficile da digerire da tutte le coscienze nella società; si preparava insomma a perorare la causa di un "aborto non aborto", non ritenendo giusto definire come abortiva un’early option pill, una pillola che contrasta all’inizio, anzi anticipa, una gravidanza. Ecco allora che Baulieu, l’endocrinologo che si dedicò anima e corpo alla pillola abortiva, inventò un nuovo termine; la pillola non sarebbe stata abortiva ma "contragestativa": mezza contraccettiva e mezza abortiva, fino a farla diventare quasi esclusivamente "preventiva": se presa ogni mese, per inibire eventualmente le mestruazioni. Non a caso subito dopo la pubblicazione del primo studio sull’Ru486 all’accademia delle scienze francese nel 1982, i giornali francesi titolarono che l’Ru486 significava la fine della pillola quotidiana e si auguravano che a breve la contraccezione sarebbe divenuta mensile: basterà prendere la pillola alla fine del ciclo scrivevano. E, fin da subito, puntualizzavano che per gravidanze di sei o otto settimane, l’Ru486 non è un abortivo miracoloso e l’interruzione di gravidanza resta un aborto con i rischi che vi sono associati, quale che sia il metodo utilizzato. Insomma a mettere in evidenze i rischi, i limiti e gli obiettivi dell’Ru486 sono sempre stati in primis proprio coloro che agognavano da decenni un nuovo metodo di pianificazione familiare. Di tutti questi problemi si è sempre discusso dall’82 a oggi in Europa, quando partì la sperimentazione in Francia, e nel ’94 negli Stati Uniti quando si decise di avviare la prima sperimentazione dell’Ru486. Anche se negli anni precedenti negli Usa si era provato un po’ di tutto: anche l’aborto con un antitumorale, il Methotrexate, disponible per uso ospedaliero e dunque più facile da reperire. L’ipotesi fu scartata per la bassa percentuale di successo negli aborti e per le pesanti controindicazioni. Fa sorridere che in Italia in questi anni di dibattito si sia ritirato fuori, come opzione, anche questa dell’uso del Methotrexate. – Antonio Gaspari – ZENIT

 

Aborti clandestini oggi.

Due cari amici, Lucio Romano e Bruno Mozzanega (quest’ultimo presente al nostro festival della scienza), hanno sfondato il muro del silenzio sull’aborto clandestino!

http://tv.repubblica.it/copertina/cytotec-l-aborto-express/33498?video

 

La pillola abortiva fai-da-te
è un farmaco contro l’ulcera

Si chiama Cytotec e impazza tra le ragazze più giovani e le straniere. Serve la prescrizione ma Repubblica tv ha dimostrato che molte farmacie lo vendono sulla fiducia. Ha come "controindicazione" il fatto che induce contrazioni dell’utero e un aborto quasi sicuro. Ma con rischi altissimi di GIULIA SANTERINI

<b>La pillola abortiva fai-da-te<br/>è un farmaco contro l'ulcera</b>
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LA PILLOLA per abortire? In Italia c’è già, e si compra in farmacia senza ricetta. Si chiama Cytotec e impazza tra le ragazze più giovani e le straniere. Il Cytotec, prodotto dalla Pfizer, è nato contro l’ulcera, ma ha come "controindicazione" il fatto che induce contrazioni dell’utero e un aborto quasi sicuro entro le prime 9 settimane di gravidanza e con ottime possibilità di riuscita anche nel secondo trimestre.

Il Cytotec andrebbe venduto solo su prescrizione medica non ripetibile, ma Repubblica Tv ha provato con una telecamera nascosta che entrando in farmacia viene concesso sulla fiducia. Tredici euro e ottanta per un aborto a casa e parecchi problemi. Al pronto soccorso dei policlinici di tutto il Paese infatti continuano ad arrivare donne, soprattutto africane e sudamericane, con forti crampi addominali ed emorragie in corso anche da 12 giorni per aborti spontanei più che sospetti.

Il dottor Bruno Mozzanega della Clinica ginecologica di Padova fa i conti: "Se a me che sono uno dei 10 universitari della clinica, e ce ne sono altrettanti della Divisione ospedaliera, sono capitate dieci pazienti in due anni, ne deduco un numero totale di 200 pazienti in due anni, 100 all’anno solo alla clinica di Padova".

Una presenza costante di "emorragie che ci lasciano perplessi", ha notato anche il dottor Lucio Romano, ginecologo dell’Università Federico II di Napoli. Diversa la posizione di Silvio Viale, responsabile del Day Hospital Ivg del Sant’Anna di Torino. "Qui gli aborti spontanei da emorragie sospette da Cytotec arrivano a ondate, le ondate delle straniere che vengono da Paesi in cui l’aborto è proibito. Arrrivano in Italia con i loro usi e tante temono di presentarsi in ospedale perché irregolari o per la paura di essere denunciate". E le italiane? "Anche le italiane penso che facciano uso del Cytotec – ammette Viale – ma magari seguite dal medico di famiglia, non esagerano con le dosi e non arrivano ad emorragie serie. Assumono le pillole a casa, con i tempi e le dosi giuste. Poi vengono in ospedale".




Italiane anche giovanissime, secondo Mozzanega: "Basta riflettere sui dati Istat che rilevano un aumento del 79% degli aborti spontanei nelle giovanissime negli ultimi 20 anni", osserva il medico padovano. Di fatto sono soprattutto straniere le destinatarie di 2000 ricette sospette negli ultimi due anni sequestrate dai nas di Torino per un’indagine aperta a fine aprile dal procuratore di Torino Raffaele Guariniello.

"Nigeriane, della Costa D’Avorio, della Sierra Leone", dice il magistrato, "con una minoranza ma comunque una presenza delle italiane tra le sospette. Rischiano una denuncia penale – aggiunge Guariniello – ma soprattutto rischia il carcere chi ha fatto loro le prescrizioni a scopo improprio".

Prescrizioni che portano a una dimensione solipsistica dell’aborto, tra le mura di casa. Un aborto più rischioso e che secondo il dottor Romano, "dovrebbe portare a un uso del Cytotec solo in ospedale, dove già viene utilizzato insieme alla Ru486". Il difetto e i rischi dell’iperdosaggio del Cytotec sono invece paradossalmente un fattore di sicurezza secondo Silvio Viale: "Grazie, o a causa, della emorragia finale, le donne che hanno fatto uso del Cytotec come abortivo arrivano in ospedale, dove almeno possiamo curarle".
In Italia, dicono i dati Istat, gli aborti spontanei sono cresciuti negli ultimi vent’anni del 30 per cento, con punte del 67 per cento per le giovanissime tra i 15 e i 19 anni.

(Repubblica 5 giugno 2009)

 

p.s Viale è il ginecologo radicale che a Trento, davanti ad una ventina di persone, ebbe a dire: "Sì, io i bambini li frullo, li frullo", alludendo alla terribile metodica Karman, con cui i feti vengono fatti a pezzi, come in un frullato.

Il bebé è femmina? Si può abortire

Feto abortito perché femmina. Siamo nella Cina comunista? No, nella democraticissima Svezia. Le autorità sanitarie del Paese scandinavo hanno stabilito la piena legalità dell’aborto selettivo basato sul genere.

È accaduto, infatti, che una donna già madre di due figlie, si sia sottoposta ad amniocentesi per verificare il sesso del nascituro. Delusa che non fosse il maschietto che desiderava, ha chiesto ai medici di poter interrompere la gravidanza. La direzione sanitaria dell’ospedale ha investito della questione la Commissione nazionale della salute e del welfare chiedendo precise disposizioni sulla possibilità di praticare l’aborto selettivo basato sul genere, in assenza di ragioni di carattere medico.

Per la Commissione la richiesta non poteva essere rifiutata, giacché l’aborto fino alla 18ª settimana resta nell’ordinamento giuridico svedese un diritto inalienabile della donna, anche se motivato in base alla scelta del sesso del nascituro. Questo tipo di aborto selettivo sembra un po’ troppo anche per gli abortisti sfegatati di casa nostra.

Ma alle anime belle dei pro-choice nostrani verrebbe spontaneo porre una domanda. Posto che l’aborto – come ribadisce il Socialstyrelsen svedese – è un diritto inalienabile della donna, che differenza fa se il motivo per ricorrere all’interruzione della gravidanza è fondato sul sesso, sulla disabilità, sulle caratteristiche genetiche, o semplicemente sul fatto che la madre non l’aveva programmata? Ciò che è accaduto in Svezia ha il pregio di togliere il velo di ipocrisia da qualunque argomentazione pelosa. Del resto, oggi in Italia, nonostante la petizione di principi della Legge 194, vige una piena applicazione del concetto di autodeterminazione della donna: in realtà nessuno può impedire a una maggiorenne di abortire se lo vuole, qualunque siano i motivi. Anche da noi, in teoria, esiste la possibilità di praticare un aborto selettivo per genere, solo che si preferisce non dirlo. Meglio trovare altre ragioni più presentabili, magari attraverso le maglie sempre più larghe del criterio costituito dal «rischio per la salute psichica della donna».

A dispetto delle premesse, la Legge 194 ha introdotto, di fatto, nel nostro ordinamento giuridico un antiprincipio assai grave: il diritto di vita e di morte della donna nei confronti di un altro essere umano. In Svezia l’aborto è una "conquista" sociale fin dal 1938. Oggi, stando alle statistiche dello Johnston’s Archive, più del 25% delle gravidanze in quel Paese si concludono con un aborto, percentuale che ha registrato un aumento del 17% a seguito dell’introduzione della cosiddetta pillola del giorno dopo, quella che, secondo i promotori, avrebbe dovuto ridurre il fenomeno dell’aborto.

Del resto, tale fenomeno non è stato arginato neanche dal fatto che in Svezia l’educazione sessuale faccia parte dei programmi scolastici dal 1956, e che proprio la Svezia sia considerata la patria del profilattico. Questo esasperato culto per la contraccezione non ha eliminato la piaga dell’Aids né ridotto il dramma dell’aborto. Ha soltanto dimostrato che il profilattico non è la soluzione. Gianfranco Amato, presidente Scienza & vita di Grosseto (Avvenire, 8 maggio 2009)

La cecità volontaria di Bertinotti sull’aborto

Una chicca dall’intervista di Michele Brambilla a Fausto Bertinotti (Il Giornale, 21 maggio 2009):

Per lei un bimbo che cresce nella pancia della mamma non è un essere umano?
“Per me no. E anche per san Tommaso d’Aquino non lo era”.
Al tempo di san Tommaso d’Aquino non c’erano le ecografie. Oggi basta vederne una per osservare un bimbo che c’è già. Lei non cambia idea neanche di fronte a un’ecografia?
“No. Mi pare che considerare uno una persona perché si vede e si tocca sia una deriva materialistica”.

Una celebre lite tra Italo Calvino e Claudio Magris

Italo Calvino è uno dei più famosi scrittori italiani, ma non per questo è un autore di facile comprensione. Calvino è stato per anni un tesserato del Pci, ma era al contempo inziato ai segreti della massoneria, che, in realtà, dovrebbero essere ben lontani dallo spirito materialista del comunismo. Non sono un buon conoscitore dello scrittore, anche se un suo libro sul Cottolengo mi ha molto affascinato (https://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=293)

C’è però un famoso gesto di Calvino che mi ha sempre lasciato allibito e che dimostra la solita intolleranza dei "liberi" pensatori, che fanno professione di tolleranti. Sto parlando di una sua risposta a Claudio Magris sul tema dell’aborto.

Caro Magris,

 con grande dispiacere leggo il tuo articolo Gli sbagliati . Sono molto addolorato non solo che tu l’abbia scritto, ma soprattutto che tu pensi in questo modo. Mettere al mondo un figlio ha un senso solo se questo figlio è voluto, coscientemente e liberamente dai due genitori. Se no è un atto animalesco e criminoso. Un essere umano diventa tale non per il casuale verificarsi di certe condizioni biologiche, ma per un atto di volontà e d’amore da parte degli altri. (altrimenti, non è uomo, ndr). Se no, l’umanità diventa – come in larga parte già è – una stalla di conigli.

Ma non si tratta più della stalla «agreste», ma d’un allevamento «in batteria» nelle condizioni d’artificialità in cui vive a luce artificiale e con mangime chimico. Solo chi – uomo e donna – è convinto al cento per cento d’avere la possibilità morale e materiale non solo d’allevare un figlio ma d’accoglierlo come una presenza benvenuta e amata, ha il diritto di procreare; se no, deve per prima cosa far tutto il possibile per non concepire e se concepisce (dato che il margine d’imprevedibilità continua a essere alto) abortire non è soltanto una triste necessità, ma una decisione altamente morale da prendere in piena libertà di coscienza. Non capisco come tu possa associare l’aborto a un’idea d’edonismo o di vita allegra. L’aborto è «una» cosa spaventosa «…». Nell’aborto chi viene massacrato, fisicamente e moralmente, è la donna; anche per un uomo cosciente ogni aborto è una prova morale che lascia il segno, ma certo qui la sorte della donna è in tali sproporzionate condizioni di disfavore in confronto a quella dell’uomo, che ogni uomo prima di parlare di queste cose deve mordersi la lingua tre volte.

Nel momento in cui si cerca di rendere meno barbara una situazione che per la donna è veramente spaventosa, un intellettuale «impiega» la sua autorità perché la donna sia mantenuta in questo inferno. Sei un bell’incosciente, a dir poco, lascia che te lo dica. Non riderei tanto delle «misure igienico-profilattiche»; certo, a te un raschiamento all’utero non te lo faranno mai. Ma vorrei vederti se t’obbligassero a essere operato nella sporcizia e senza poter ricorrere agli ospedali, pena la galera. Il tuo vitalismo dell’«integrità del vivere» è per lo meno fatuo. Che queste cose le dica Pasolini, non mi meraviglia. Di te credevo che sapessi che cosa costa e che responsabilità è il far vivere delle altre vite (2). Mi dispiace che una divergenza così radicale su questioni morali fondamentali venga a interrompere la nostra amicizia (3). Parigi 3/8 febbraio 1975

 

Nel 1981, imperterrito, Claudio Magris, in occasione del referendum sull’aborto, scriverà un altro articolo per il Corriere, schierandosi con gli avversari dell’aborto, come aveva già fatto Pasolini. Ogni articolo di Magris, allora come oggi, veniva pubblicato immediatamente. In questo caso però il Corriere aspettò a pubblicarlo all’indomani del referendum!

Andando una sera a Trisete per un incontro, ho conosciuto una coppia storica del Movimento per la Vita, e ho saputo da loro l’origine delle idee di Magris sulla vita: la moglie di Magris, poi morta, era una volontaria del Cav, e il famoso scrittore la ammirava moltissimo, per la sua dedizione agli altri, per il tempo e l’aiuto che dava alle mamme in difficoltà.

Quanto invece a Calvino, la sua posizione abortista è certo collegata ai suoi interessi esoterici e politici, che andavano fino ad una certa passione, condivisa da perecchi intellettuali di quegli anni, per i riti degli aztechi, coem racconta La Stampa del 24 dicembre 2008.

Il cannibale rampante. Ritorno sulle piramidi messicane dove Calvino venne affascinato dai sacrifici umani aztechi   di MARCO BELPOLITI  

Calvino e il cannibalismo e’ una storia messicana. Lo scrittore italiano ha visitato due volte il paese; la prima nel 1964, l’anno del matrimonio con Esther Singer, celebrato a Cuba, poi ancora nel 1976, di cui restano delle fotografie insieme alla moglie davanti alle rovine delle piramidi del sacrificio. E’ questo secondo viaggio che incuriosisce, perché ha lasciato una traccia segreta, ma duratura, nella sua opera che i lettori e gli studiosi di Calvino per lo più ignorano. Ma cosa c’entra il pasto umano con lui? Che cosa ha che fare una consuetudine così efferata con uno così scrittore razionalista? Dopo i due viaggi messicani Calvino scrive; la sua attenzione va ai sacrifici aztechi, ai riti sanguinari in cui venivano immolate sulle piramidi migliaia e migliaia di prigionieri di guerra. d d Nel 1974 scrive dell’imperatore azteco, di Montezuma: prima l’introduzione a un libro di storia, poi una «intervista impossibile» trasmessa alla radio.

La questione che lo affascina e’ senza dubbio la vicenda della Conquista: come hanno potuto i crudeli e spietati aztechi soccombere davanti a 400 soldati di ventura spagnoli guidati da Cortés? Gli interessa il problema del potere, fra due immagini del potere: gli aztechi e gli spagnoli. Si sente l’atmosfera del decennio, l’eco delle lotte politiche in corso allora in Italia e in Europa, il confronto tra civiltà così diverse. Si domanda se il destino del mondo e’ quello del dominio incondizionato dell’Occidente. S’interroga sul problema del governo quale atto di forza: il governo, scrive, dipende da un occulto uso dei rapporti di forza. Sono gli anni delle dimissioni di Nixon, della crisi della Dc, dello shock petrolifero. La preoccupazione massima di Calvino, gran razionalista, e’ in quel momento di «tenere insieme il mondo perché non si sfasci». Anni dopo tornerà di nuovo sull’argomento recensendo un libro d’antropologia e troverà una spiegazione utilitaristica ai sacrifici umani, e in particolare alla sorte toccata ai corpi degli uomini immolati agli de’i aztechi sulle are di pietra finemente scolpite, affinché il corso del sole non si modificasse e il giorno potesse nascere di nuovo. La risposta consolante la trova in Marvin Harris, autore di Cannibali e re: l’alimentazione. «Pasti di carne umana erano un contributo importante al fabbisogno di calorie», chiosa soddisfatto. Da buon ligure ciò che gli repelle e’ in definitiva lo spreco. Il cannibalismo e’ una buona spiegazione: il fabbisogno di carne. Finché sono rimasto a Guadalajara, tra gli stand della Fiera del Libro, per l’inaugurazione di una mostra dedicata a Calvino – l’Italia e’ stato il paese ospite quest’anno -, l’interrogativo di Calvino sui sacrifici umani non ha preso gran rilievo.

Poi, qualche giorno dopo, quando ho scalato le gradinate di Teotihuacan, e sono salito sulle due piramidi del periodo classico, tutto mi e’ parso insieme non solo pertinente ma anche inquietante, straordinariamente inquietante. d d Qui, tra le rovine dell’antica città, venivano gli imperatori aztechi (sacerdoti, generali, re, o altro ancora) a contemplarne i resti quasi intatti, convinti che le piramidi fossero state costruite da giganti per i loro de’i nei tempi remoti. Lì, salendo gradino su gradino, ho compreso di colpo che tutto in Messico e’ fuori misura, non solo il sole, il cielo, le città, il traffico automobilistico, il cibo, l’inquinamento, l’allegria e la malinconia dei messicani, ma anche le antiche religioni. Davvero e’ esistito un tempo in cui il cannibalismo era una norma consueta, e il sacrificio il fondamento stesso del potere.

A Città del Messico, al Museo nazionale d’antropologia, c’e’ un bassorilievo dove e’ raffigurato il sacrificio di sangue del re e della sua consorte: la donna si fa passare attraverso la lingua una lunga fune irta di spine mentre il sangue le cola su un foglio di carta che userà per il rito sacro. I capi maja, riferiscono le guide, si trapassavano il pene con una spina d’agave per ottenere il sangue con cui realizzare il rito. Si era re o imperatori, solo in virtù del proprio sacrificio. Oggi accade il contrario: i sacrifici – certo non cruenti sul piano fisico – sono chiesti ai «sudditi» e i capi moderni custodiscono gelosamente il proprio corpo affinché duri nel tempo. Nel secondo viaggio, in Messico, che tocca località con vestigia maja, a colpire Calvino non è più il cannibalismo degli altri, bensì il proprio. In questo secondo tour tra le rovine lo scrittore manda in giro il suo alter-ego, il signor Palomar: a Tule, a Palenque. Ne scrive sul Corriere della Sera, poi, a distanza d’anni, anche un racconto: Sotto il sole giaguaro.

 Probabilmente e’ sotto l’influenza di un libro del suo amico messicano, Octavio Paz, Il labirinto della solitudine: il sacrificio come «rigenerazione». Il protagonista del racconto ambientato in un ex-convento divenuto albergo, in un momento di stanca del rapporto con la moglie, Olivia, intuisce che la soluzione consiste nel cannibalismo: farsi mangiare dall’altro e insieme mangiarlo. I due coniugi comunicano attraverso i sapori della cucina messicana. Olivia e’ interessata al cibo e in particolare al sapore della carne umana negli antichi sacrifici. Lui, invece, e’ preda dell’ossessione della fine. Per ristabilire l’equilibrio l’uomo capisce che deve mangiarla, almeno simbolicamente. Così accade, e quella notte a letto ritrova l’antica intesa sessuale. Il giorno dopo, l’alter-ego di Calvino, il suo narratore, in cima alla piramide, sotto il sole a picco – il sole-giaguaro, divinità azteca – ha una visione: capisce di essere a un tempo vittima e sacerdote, vivo e morto nello stesso istante.

Nel Messico globalizzato dal turismo mondiale chi visita le sue rovine, cammina per le sue città, si tuffa nel suo mare cristallino o attraversa le sue foreste, sa in anticipo che tutto e’ come da guida. Ma fino ad un certo punto. C’e’ ancora qualcosa che resiste all’ultima e definitiva trasformazione del mondo e delle sue culture. Si chiama «anima messicana» che Paz ha descritto oltre sessant’anni fa: vedere la morte come nostalgia e non come fine della vita, poiché noi – noi messicani, scrive – «non veniamo dalla vita bensì dalla morte». Che sia stato questo ad affascinare il razionalista Calvino nel suo ultimo viaggio messicano?

Testimonianze dal post aborto.

Serena Taccari è una mamma che si dedica da anni ad aiutare le gravidanze indesiderate e soprattutto le donne che vivono le conseguenze psicologiche del post aborto, di cui ha parlato sul nostro sito la psicoterapeuta Cinzia Baccaglini (interessantissimo: https://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=517) . Sul sito della sua associazione, http://www.il-dono.org/, c’è un forum dove si trovano diverse testimonianza di donne che hanno abortito (http://www.il-dono.org/forum.html).

Ne riporto una: Giorno 24 Gennaio 2008 ho scoperto di essere incinta, ho parlato con il mio ragazzo (in quel periodo),abbiamo preso la decisione di portare avanti la gravidanza, abbiamo preso la decisione di diglielo ai nostri rispettivi genitori…ma il problema sta che quando io ho scoperto di essere incinta e poi deciso di portare avanti,lui ad un tratto è diventato "strano"eh si strano,si è allontanato da me,ed io ho capito che c’era qualcosa che non andava, gli ho parlato e gli dissi:"c’è qualcosa che non va?ne vuoi parlare un p?" lui mi rispose:che andava tutto ok!ma sinceramente non me la sono bevuta.. non si faceva sentire, al telefono era distaccato, era freddo,poi pensai ke forse aveva paura..ed è normale…lo capivo anch’io avevo paura…poi il 13 aprile lui mi ha detto o meglio ha parlato con mio padre.che non si vuole prendere nessuna responsabilità,quindi si è lavato le mani ed mi ha abbondanata,quando mio padre me la detto ci sono rimasta male…ma io mi sono presa tutte le mie responsabilità.ho detto me lo cresco io,e porterà il mio cognome..ma purtroppo… poi arriva il giorno della visita. (ero già al 5 mese)lui poi il ginecologo dopo di avermi fatto l’ecografia ha notato qualcosa al bimbo, ed mi ha mandato un altro posto,per farmi l’ecografia più intesa per vedere se il suo dubbio era realmente… io ci andai,ero insieme ai miei genitori ed la mia migliore amica (quel giorno non potr mai dimenticarlo),la dottoressa mi disse che il bambino non si era formato il cervello,al posto del cervello aveva solamente liquido… il pikkolo poteva nascere ma c’era il rischio che poteva morire dopo pochi giorni del parto oppure restare a letto e nn avere un vita sana.. cosi io e miei abbiamo deciso di abortire,ho fatto ttt le visite e cosi alla fine di aprile esattamente il 26 aprile ho abortito…ho avuto tutti gli effetti di un parto ed ho partorito con il parto naturale… da quel giorno sono cambiata, vado quasi sempre al cimitero,piango sempre, dentro di me mi sento un’assassina di aver ucciso un’anima innocente,mi sento una merda in senso della parola, sono diventata pessimista,non voglio più uscire da casa,voglio morire… mi sento vuota…non sono più con il sorriso,(mentre prima lo ero sempre),cambio umore facilmente,mi sento in colpa…ho tanta rabbia con me stessa..mi sono chiusa in me stessa…appena torno dal lavoro mi rinchiudo nella mia stanza,vado a letto presto, mi trascuro,non ho voglia di uscire e voglio restare sola nel mio dolore. Ogni volta che esco o sono al lavoro,vengono persone incinte oppure dei neonati, e mi viene in mente il mio bambino che per io non c’è lo qui…ma nel mio cuore… non riesco più vedere altri bambini che penso al mio…

La 194 ha trent’anni..e si vede!

Dovrebbe meravigliare l’ossequio che quasi tutti i politici riservano alla 194, Legge che quest’anno compie trent’anni e che – al di là della tragica realtà che ha reso possibile (dalla sua entrata in vigore fino al 2006, sono stati 4.740.007 i bambini non nati) – palesa lacune evidenti in ordine all’efficacia per il conseguimento della quale venne introdotta.
Senza fornire riscontro alcuno, si ripete che questa Legge, oltre a salvaguardare la salute e l’autodeterminazione della donna, avrebbe non pochi meriti, come il calo degli aborti legali e l’eliminazione di quelli clandestini. Questo è quello che ci raccontano, dalle loro comode poltrone, i nostri parlamentari e non solo loro.
Ma le cose sono diverse, assai diverse.
Una prima leggenda da sfatare è quella della scomparsa degli aborti clandestini: sono le stesse relazioni del Ministero a parlarne. La relazione ministeriale del 2005, ad esempio, li stima in 30 – 50 mila ogni anno: un numero spaventoso. Persino un quotidiano come L’Unità, che difende senza riserve la 194, stima questa cifra in oltre 33.000 casi annui. Che l’aborto clandestino esista ancora è comprovato pure dai numerosi procedimenti giudiziari: solo dal ’96 al 2003, ne sono stati avviati 307 , proprio in relazione al suddetto fenomeno, che molti danno per estinto. Ovviamente, quei 307 procedimenti sono solo la punta dell’iceberg. Urge soffermarci su questo punto, perché è proprio per contrastare la clandestinità degli aborti (e non gli aborti clandestini in quanto tali) che, trent’anni fa, se ne auspicò la legalizzazione.
Il fatto che molti ignorano, però, è che per plagiare l’opinione pubblica, negli anni Settanta, sugli aborti clandestini si diedero letteralmente i numeri: il Corriere della Sera del 10 Settembre 1976 li stimava essere da 1,5 a 3 milioni; in un numero dell’Espresso del 9 Aprile 1967, si parlava addirittura di 4 milioni! Mentre i quotidiani pubblicavano queste cifre assurde, uno studioso serio come il professor Bernardo Colombo, demografo dell’Università di Padova, in una ricerca elaborata con gli statistici Franco Bonarini e Fiorenzo Rossi, stimò che gli aborti clandestini, in Italia, fossero al massimo 100.000.
Questo significa che le stime degli aborti clandestini che campeggiavano sulle prime pagine dei giornali dell’epoca, erano ingigantite in modo esponenziale, talvolta persino del 4000%!
Ma torniamo ai presunti meriti della 194. Un’altra incauta affermazione è quella degli aborti legali in caduta libera. E’ vero: gli aborti legalmente procurati sono effettivamente in calo, ma solo termini assoluti. Si da il caso, infatti, che in termini percentuali gli aborti non siano affatto diminuiti.
Vediamo perché: nel 1978, anno dell’entrata in vigore della 194, nacquero 720.822 bambini e gli aborti (tutti clandestini) furono, esageriamo, 150.000. Questo significa un aborto ogni 4,8 nati. Nel 2006 i nati sono stati 554.000, gli aborti legali 133.031 e quelli clandestini, dicono le stime minime, 20.000. Quindi, nel 2006, si è verificato un aborto ogni 3,6 nascite. Il che è un evidente peggioramento rispetto al “tasso di abortività” di tre decadi or sono. Ma c’è dell’altro: non solo la 194 non ha ridotto gli aborti, ma li avrebbe persino incoraggiati. A provarlo è un’indagine ( Cavanna – Gius, “Maternità negata“, Giuffrè) che ha messo in luce come ben un terzo delle donne che ha fatto ricorso all’aborto, se non ci fosse stata la 194, avrebbe desistito da tale intento. Sulla stessa scia si colloca un’altra ricerca, dalla quale si evince che l’80% delle donne in difficoltà porterebbe a termine la gravidanza se ricevesse uno sostegno adeguato (Post Abortion Review, Elliot Institute, 2005).
La mancata efficacia non è il solo punto debole di questa Legge. Anche il testo stesso, se letto, denuncia enormi anomalie, già a partire dal nome: Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. Ora, la 194 regolamenta l’aborto rendendolo gratuito (un aborto costa ai contribuenti italiani più di 1.000 Euro), ma non destina alcuna somma di danaro alle madri in difficoltà: in cosa consisterebbe, dunque, la tutela sociale della maternità? Mistero.
La verità è che si tratta di una norma di chiara impronta abortista (in tutti i suoi 22 articoli non viene mai nominato il termine “figlio”) e di dubbia costituzionalità, specie se si considera che il padre del nascituro ne è del tutto estromesso. Non è un caso se già alla fine del 1979, dopo poco più di un anno dalla sua entrata in vigore, le eccezioni di costituzionalità sollevate furono 19, di cui la prima risalente al 5 giugno 1978 (Tribunale di Pesaro), vale a dire ad appena 2 settimane dalla promulgazione. La Corte Costituzionale però, con motivazioni mai troppo convincenti, ha sempre confermato la costituzionalità della 194, dimenticandosi due sue sentenze (n. 9 del 19/2/1965 e la n. 49 del 16/3/71) nelle quali la vita del concepito veniva descritta come bene provvisto d’una tutela avente “fondamento costituzionale”.
Ennesima menzogna è quella che la 194, norma estremamente permissiva, tutelerebbe la salute della donna. Lo si evince operando un confronto col panorama internazionale: gli stati con una giurisprudenza restrittiva in materia di aborto sono quelli con la mortalità materna inferiore, e quindi con una più alta tutela della salute della donna. Qualche esempio? In Portogallo si registrano 8 morti materne ogni 100.000 nati vivi, in Irlanda 5 e in Polonia solo 4. Nei paesi dove la legge è più permissiva le cose sono diverse: nella civile Inghilterra si verificano 13 morti materne ogni 100.000 nativi vivi, mentre negli Stati Uniti questo numero sale a 17 e in Russia arriva addirittura a 67. Sarebbe dunque tempo di chiedersi quanto effettivamente viene fatto in Italia per scoraggiare le donne ad abortire, evento che incrementa il rischio di cadere in depressione clinica del 138% (British Medical Journal, 19/1/2002), per non parlare dell’accrescimento del rischio dei suicidi, fenomeno purtroppo assai documentato.
Sempre in riferimento alla depressione, c’è da dire che è stato dimostrato come portare a termine una gravidanza non desiderata è meno pericoloso, per la donna, che interromperla (British Medical Journal, 3/12/2005).
Ma la 194, come già detto, non predispone alcuna forma di sostegno per la donna gravida, abbandonata letteralmente a se stessa, alla faccia della prevenzione che dovrebbero praticare i consultori.
A proposito di questi, la giornalista Stefania Antonetti, fingendosi incinta, ha deciso di visitarne alcuni per scoprire quanto venga osservato il quarto comma dell’articolo 2 della 194, che prescrive espressamente che nei consultori si faccia prevenzione al fine di “far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza“. Risultato: Stefania Antonetti ha scoperto che laddove il medico è più zelante, il tutto si risolve in 900 secondi, vale a dire un quarto d’ora.
Solitamente però, l’opera preventiva dei consultori si protrae cinque, dieci minuti al massimo: pra
ticamente il tempo che la donna impiega a sedersi, a farsi scrivere il certificato di aborto, a salutare e andarsene. Osserva Antonetti che “nessuna donna può contare su un aiuto […] pochi pochissimi i segnali di conforto psicologico, e molta invece la fretta” (Il Giornale, 9/1/2008).
Alla luce del fatto che quando la 194 venne approvata, gli stessi parlamentari che la votarono la definirono norma perfettibile, come provano gli interventi allora tenuti alla Camera, non si capisce cosa ci sia di scandaloso nel proporre modifiche migliorative a questa Legge che, al di là della questione morale, presenta limiti innegabili. Viene il dubbio che, una volta legalizzatolo, molti abbiano deciso di considerare l’aborto questione chiusa, mentre esso costituisce, ogni volta, una sconfitta non solo per la donna, ma per l’intera società, che si rende incapace di accogliere il più indifeso degli essere umani, il nascituro.

BIBLIOGRAFIA

F. AGNOLI, Storia dell’aborto nel mondo, Fede & Cultura, 2008
P.G. LIVERANI, Aborto anno uno, fatti e misfatti della legge 194, Ares 1979
M. PALMARO, Ma questo è un uomo, San Paolo, 1996
A.M. VALLI, La verità di carta, i giornali e l’aborto , Ares 1986

Citotec, Ru, e aborti clandestini sempre più diffusi.

Ancora non sappiamo cosa succederà in Italia con la famosa kill pill, la Ru 486, di cui tanto si è parlato negli anni scorsi. Sicuramente l’opera paziente e tenace di Assuntina Morresi ed Eugenia Roccella per stanare le mille bugie diffuse intorno a questo veleno chimico, hanno contribuito a placare le urla dei sostenitori dell’aborto veloce, indolore e a misura di donna. Qualcuno si deve essere accorto che c’è chi vigila, ed avendo le cartucce un po’ bagnate sta valutando attentamente il da farsi.

Anche nella mia città, dove la somministrazione era cominciata con Emilio Arisi, prima in sordina, poi con squillo di fanfare, ora, non si sa perché, si è fermata. Forse hanno ragione Cesare Cavoni e Dario Sacchini, autori di una dettagliatissima analisi, La vera storia della pillola abortiva RU 486 (Cantagalli), quando spiegano che “senza la stampa, la RU 486 sarebbe rimasta nei cassetti dei ricercatori. Senza la stampa i governi (specie quello americano e francese) non sarebbero mai intervenuti nella vicenda. Senza i titoli a nove colonne, che andavano annunciando una rivoluzione farmacologia senza pari in seguito all’invenzione degli anticoncezionali, i ricercatori che posero mano all’Ru 486 non avrebbero probabilmente avuto credito per proseguire nelle ricerche”. Sì perché la pillola indigesta è stata lanciata e resa digeribile a livello mentale, dalla propaganda assordante dei media, prima ancora che a livello farmacologico, rimanendo tuttavia un metodo, “neppure il più sicuro e neppure il più efficace e neppure il più scelto dalle donne e neppure il più inseguito dalle aziende e neppure il più amato dalle femministe e neppure il meno costoso”.

Ma mentre si aspetta, per capire cosa succederà, per vedere se una eventuale introduzione della Ru 486 aprirà finalmente la strada all’aborto casalingo e fai da te, per grandi e piccine, come desiderano alcune elite gnostico-nichiliste, sarebbe bene riflettere sul fatto che l’Italia è oggi un paese che, come ricorda il demografo Blangiardo, ha una abortività più bassa rispetto ai paesi dell’est, devastati dalla cultura comunista, ma più alta di Svizzera, Germania, Belgio, Olanda, Spagna e Finlandia, al punto che “siamo un paese che da trent’anni è sotto il ricambio generazionale”. Un paese che ansima, che pian piano muore di propria mano, e apre le sue porte, di una casa ormai vuota, ad un numero medio costante, se si vuole mantenere stabile il numero dei nati, di 450 mila immigrati l’anno (AAVV, “Legge 194”, Gribaudi 2008). Un numero sostenibile? Una prospettiva allettante?

Mentre aspettiamo che ci dicano qualcosa sulla RU 486, e dopo che i fatti di Genova hanno dimostrato, come ha ammesso Giovanni Monni, presidente dell’associazione ostetrici e ginecologi ospedalieri italiani, che il fenomeno degli aborti clandestini va ben oltre i 20 000 casi annui di cui parla l’Istituto superiore di sanità, sarebbe bene raccogliere l’allarme lanciato da alcuni insigni ginecologi italiani, come ad esempio Bruno Mozzanega, dell’Università di Padova, su un altro abortivo chimico, il Citotec (farmaco utilizzato solitamente come gastro-protettivo). Mozzanega è partito dall’esperienza personale maturata durante i turni di servizio come responsabile di guardia presso la Clinica ginecologica di Padova: nell’arco di un anno e mezzo si è trovato ad assistere personalmente ben nove pazienti che avevano assunto clandestinamente il Cytotec, al fine di procurarsi un aborto clandestino. “Le pazienti, scrive il medico, tutte straniere, presentavano quadri di emorragie con anemizzazione acuta e si erano pertanto rivolte all’ospedale pur avendo ricevuto tassative raccomandazioni di attendere a domicilio l’espletamento dell’aborto”, e due di esse erano “al limite stesso del pericolo di vita”. Una rapida ricerca su internet dimostra che l’utilizzo del Cytotec per abortire clandestinamente è piuttosto diffuso: vi sono siti abortisti che danno indicazione sul prezzo, e che raccontano nel dettaglio le modalità più singolari per ottenerlo, al mercato nero, dalla Cina, dalla Romania, o tramite Internet. Silvio Viale il medico radicale che ha rilanciato in Italia la Ru 486, ha scritto un articolo il cui titolo, “Cytotec: legittima difesa”, dice già tutto di cosa significhi in verità una mentalità del diritto all’aborto. “C’è un surplus di 12 mila aborti spontanei che risulta dai dati Istat e che nessuno sa bene cosa rappresentino”, conclude Mozzanega, confermandomi nell’opinione che dell'”aborto clandestino”, ora che la legge c’è, non interessa nulla a nessuno. Prima bisognava parlarne ad ogni piè sospinto, e occorreva inventare cifre astronomiche, pur di farsi sentire. Ora è meglio tacere.

In conclusione un breve pensiero che sorge spontaneo pensando alle infinite vittime dell’aborto e alla tristezza della nostra società: “Io ho quello che ho donato”, ha scritto D’Annunzio sulle pareti del Vittoriale, riprendendo un concetto ben più antico di lui. Il filosofo francese Luc Marion nota che “la vita, per sopravvivere, deve essere donata”, perché “non possiamo avere vita, dobbiamo riceverla”. Se è vero che oggi siamo sempre meno capaci di ricevere e di donare vita, allora è anche vero che, illusi di avere di più, più “diritti”, abbiamo, in verità, sempre meno. Non si ha, se non si dona.

p.s Dopo il caso di Genova (aborti clandestini a pagamento, per non perdere uno show televisivo), la notizia riportata ieri dai Corriere: aborti clandestini, (sino a che data? Come a Roma, sino anche al nono mese?) a Napoli, in cambio di sesso o di soldi, dai 500 agli 8000 euro!

Silvio Viale, candidato del PD, sull’aborto terapeutico.

… E come si stabiliscono gli aborti terapeutici? “In Italia non si fa un aborto terapeutico perché il feto è malformato, ma in base alla salute psichica e fisica della donna. In vent’anni di interventi mi sarà capitato un paio di volte di fare un aborto terapeutico per la salute fisica di una donna”.

Tutti gli altri? “Per la salute psichica della donna. Che vuol dire anche far abortire feti sani“.

Lei ha fatto aborti terapeutici di feti sani? “Certo. Lo prevede la legge. Ripeto è un problema di salute psichica della donna”. In quali casi, ad esempio? “Non so: vogliamo parlare di una quindicenne che scopre di essere incinta al quarto mese?”. Oppure? “Una donna che alla quindicesima settimana mi chiede un aborto terapeutico ed è gravemente depressa?”. Ma come ci si regola in questi casi? “Tocca al medico valutare il reale stato psichico della donna. ? una responsabilità importante. La stessa Veronica Lario ha raccontato di aver fatto un aborto terapeutico negli anni Ottanta. Ed è stato importante, visto i tre bei figli che poi ha avuto”. Lei si rende conto che ci sono medici e medici nel nostro Paese? “Certo, ma mi rendo conto anche che c’è molta ipocrisia”. Che vuol dire? “Prendiamo il caso di feti malformati: davanti alla diagnosi la reazione delle donne è sempre la stessa, abbiano o no il crocifisso al collo. Eppure il 99% dei medici obiettori di coscienza si offre di fare una diagnosi prenatale. Dopo spediscono le donne ad abortire da me o da medici come me”. Lei è favorevole anche all’eutanasia? “Assolutamente sì. E c’è di più”. Cosa? “Sono convinto che pure per quella non resta che aspettare. Come successe per la Ru486. Io nel 2001 dissi: non ho fretta, arriverà. E ci siamo. Così succederà per l’eutanasia: arriverà”. I radicali l’hanno candidata per la corsa al Partito democratico: è ufficiale? “Non ci sono veti sul mio nome “. Corriere, 23/2/2008

D’Annunzio, Huysmans e i bambini lasciati morire sul davanzale.

Un bimbo esposto sulla finestra, al gelo, perché muoia. Un innocente che richiede ogni attenzione e ogni cura, perché da solo non può nulla. Affidato totalmente all’amore dei suoi genitori. Un agnello sacrificale, come Gesù, misteriosamente in balia della bontà e della cattiveria degli uomini. Misteriosamente chiamato, con la sua grazia, con la sua dolcezza, con la sua piccola anima bianca, a commuovere un uomo e una donna già adulti, già sazi di esperienze, di amori, di lusso, di peccato. Chiamato a purificare il loro sguardo, i loro pensieri, ormai da tempo insudiciati dalle miserie del mondo, da tempo persi in “selve oscure” che non lasciano intravedere il cielo.

E’ questo bambino, è la redenzione che promette, con i suoi occhi puliti e profondi, senza malizia, la sua pelle candida, e le sue manine innocue, che occupa la mente di Gabriele D’Annunzio, quando decide di scrivere il romanzo “L’innocente”; quando sceglie di produrre scintille mettendo a confronto il sentimento della sua miseria, della malattia interiore del suo animo degradato dal piacere e dall’infedeltà, con qualcosa di puro, di immacolato, di innocente, appunto. Beati immaculati: così scrive, il poeta soldato, nell’incipit del romanzo, in cui il protagonista, Tullio Hermil, narra la sua storia, i suoi amori disordinati, le sue impulsività demoniache, che lo hanno spinto ad uccidere un bimbo appena nato, esponendolo al gelo di un davanzale. Tullio Hermil è un alter ego di D’Annunzio. E’, a me sembra, l’ammissione del grande retore dell’impossibilità per l’uomo di vivere al di fuori della legge, e quindi dell’amore di Dio. Perché alla fine di tutto, il rimorso per aver violato l’innocenza urla dentro di lui, sebbene offuscato dall’orgoglio e dalla negazione, implicita, di Dio e della sua misericordia. Così inizia il romanzo: ” Andare davanti al giudice, dirgli: ‘Ho commesso un delitto. Quella povera creatura non sarebbe morta se io non l’avessi uccisa. Io Tullio Hermil, io stesso l’ho uccisa… Eccomi nelle vostre mani. Ascoltatemi. Giudicatemi.’ Non posso né voglio. La giustizia degli uomini non mi tocca. Nessun tribunale della terra saprebbe giudicarmi. Eppure bisogna che io mi accusi, che mi confessi. Bisogna che riveli il segreto a qualcuno. A Chi?”.

A chi, se non all’Innocente per eccellenza, immolato per i nostri peccati, che si è fatto bambino e si è offerto così alla nostra libertà? Ma D’Annunzio poteva credere nel peccato, perché lo viveva ogni giorno, perché sapeva riconoscere, a tratti, di essere ormai “stanco di mentire”. Ma forse non aveva la forza per umiliarsi, per chiedere perdono, esattamente come Giuda: di qui i suoi vari tentativi di suicidio. E’terribile dover dire “a Chi?”, e non trovare risposta. Questo vecchio romanzo, “L’Innocente”, mi è venuto in mente quando ho letto, sul Corriere del 4 febbraio, quello che già si sapeva: che vi sono bambini “sopravvissuti all’aborto lasciati morire di freddo”, “messi sul davanzale delle finestre o addirittura in frigorifero per affrettarne la fine, o semplicemente abbandonati a se stessi, sul tavolo operatorio, così da sollevare dall’imbarazzo genitori e medico”. Leggendo, ho pensato che il decadente D’Annunzio, il perverso poeta fiumano, nemico giurato di Dio, pagano sin nel midollo, attento solamente a mordere “frutti terrestri”, succube della magia e della superstizione, schiavo dei sensi, oltre cent’anni fa sapeva ancora stupirsi dinnanzi all’innocenza. Sapeva ancora sognarla, a momenti, e rimpiangerla.

Ho pensato anche ad un altro decadente, che D’Annunzio ben conosceva, il francese Joris Karl Huysmans, e al suo “La bas”. E’, questa, la storia di Durtal, un alter ego dell’autore, che giunge pian piano dalle bassezze del piacere fine a se stesso, sino all’abisso del satanismo. Nel suo peregrinare intellettuale, si interessa alle vicende di Gilles de Rais, un uomo pio, seguace fedele e coraggioso di Giovanna d’Arco, della limpida “vergine d’Orleans”, divenuto poi, dopo la morte di lei, mago, spiritista, e “violentatore di bambini, sgozzatore di ragazzi e fanciulle”. Gli innocenti, coloro che si fidano, divennero per Gilles le prede più ambite, sinché, “non potendo più scendere, tentò di tornare sui suoi passi”, si pentì dinanzi ai suoi giudici, ai genitori delle vittime e fu accompagnato alla pena di morte, tra le lacrime e le dimostrazioni di pietà. Anche Durtal, come Gilles, sperimenta il culto del Maligno, scende nel suo inferno, passo dopo passo, sino a partecipare a cerimonie in onore di Satana. Ad un certo punto del romanzo riporta proprio una preghiera al Signore del Male, che ha udito con le sue orecchie: “…Tu salvi l’onore delle famiglie con l’aborto di ventri fecondati nell’oblio di leciti orgasmi; tu suggerisci alle madri un rapido aborto e la tua ostetricia risparmia le angosce della maturità, il dolore delle cadute, ai bambini che muoiono prima di nascere”.

Dopo la preghiera, racconta Durtal, un sacerdote apostata profana l’ostia monda, l’ostia santa, l’ostia immacolata: l’Innocente. In seguito ad esperienze analoghe a quelle di Durtal, Huysmans approderà alla fede, e scriverà: “E’ attraverso la visione del soprannaturale del male che ho avuto la prima percezione del soprannaturale del bene. Con la sua zampa adunca il demonio m’ha condotto verso Dio”. L’innocenza violata, oggi, da coloro che lasciano morire i bambini sul davanzale, dai nuovi pedofili in serie alla Gilles de Rais, porterà ancora ai grandi pentimenti, o la trasmutazione del male in bene, il peccato più grave perché “chiude la porta al pentimento”, ha ormai offuscato del tutto i nostri cuori?