La 194 ha trent’anni..e si vede!

Dovrebbe meravigliare l’ossequio che quasi tutti i politici riservano alla 194, Legge che quest’anno compie trent’anni e che – al di là della tragica realtà che ha reso possibile (dalla sua entrata in vigore fino al 2006, sono stati 4.740.007 i bambini non nati) – palesa lacune evidenti in ordine all’efficacia per il conseguimento della quale venne introdotta.
Senza fornire riscontro alcuno, si ripete che questa Legge, oltre a salvaguardare la salute e l’autodeterminazione della donna, avrebbe non pochi meriti, come il calo degli aborti legali e l’eliminazione di quelli clandestini. Questo è quello che ci raccontano, dalle loro comode poltrone, i nostri parlamentari e non solo loro.
Ma le cose sono diverse, assai diverse.
Una prima leggenda da sfatare è quella della scomparsa degli aborti clandestini: sono le stesse relazioni del Ministero a parlarne. La relazione ministeriale del 2005, ad esempio, li stima in 30 – 50 mila ogni anno: un numero spaventoso. Persino un quotidiano come L’Unità, che difende senza riserve la 194, stima questa cifra in oltre 33.000 casi annui. Che l’aborto clandestino esista ancora è comprovato pure dai numerosi procedimenti giudiziari: solo dal ’96 al 2003, ne sono stati avviati 307 , proprio in relazione al suddetto fenomeno, che molti danno per estinto. Ovviamente, quei 307 procedimenti sono solo la punta dell’iceberg. Urge soffermarci su questo punto, perché è proprio per contrastare la clandestinità degli aborti (e non gli aborti clandestini in quanto tali) che, trent’anni fa, se ne auspicò la legalizzazione.
Il fatto che molti ignorano, però, è che per plagiare l’opinione pubblica, negli anni Settanta, sugli aborti clandestini si diedero letteralmente i numeri: il Corriere della Sera del 10 Settembre 1976 li stimava essere da 1,5 a 3 milioni; in un numero dell’Espresso del 9 Aprile 1967, si parlava addirittura di 4 milioni! Mentre i quotidiani pubblicavano queste cifre assurde, uno studioso serio come il professor Bernardo Colombo, demografo dell’Università di Padova, in una ricerca elaborata con gli statistici Franco Bonarini e Fiorenzo Rossi, stimò che gli aborti clandestini, in Italia, fossero al massimo 100.000.
Questo significa che le stime degli aborti clandestini che campeggiavano sulle prime pagine dei giornali dell’epoca, erano ingigantite in modo esponenziale, talvolta persino del 4000%!
Ma torniamo ai presunti meriti della 194. Un’altra incauta affermazione è quella degli aborti legali in caduta libera. E’ vero: gli aborti legalmente procurati sono effettivamente in calo, ma solo termini assoluti. Si da il caso, infatti, che in termini percentuali gli aborti non siano affatto diminuiti.
Vediamo perché: nel 1978, anno dell’entrata in vigore della 194, nacquero 720.822 bambini e gli aborti (tutti clandestini) furono, esageriamo, 150.000. Questo significa un aborto ogni 4,8 nati. Nel 2006 i nati sono stati 554.000, gli aborti legali 133.031 e quelli clandestini, dicono le stime minime, 20.000. Quindi, nel 2006, si è verificato un aborto ogni 3,6 nascite. Il che è un evidente peggioramento rispetto al “tasso di abortività” di tre decadi or sono. Ma c’è dell’altro: non solo la 194 non ha ridotto gli aborti, ma li avrebbe persino incoraggiati. A provarlo è un’indagine ( Cavanna – Gius, “Maternità negata“, Giuffrè) che ha messo in luce come ben un terzo delle donne che ha fatto ricorso all’aborto, se non ci fosse stata la 194, avrebbe desistito da tale intento. Sulla stessa scia si colloca un’altra ricerca, dalla quale si evince che l’80% delle donne in difficoltà porterebbe a termine la gravidanza se ricevesse uno sostegno adeguato (Post Abortion Review, Elliot Institute, 2005).
La mancata efficacia non è il solo punto debole di questa Legge. Anche il testo stesso, se letto, denuncia enormi anomalie, già a partire dal nome: Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. Ora, la 194 regolamenta l’aborto rendendolo gratuito (un aborto costa ai contribuenti italiani più di 1.000 Euro), ma non destina alcuna somma di danaro alle madri in difficoltà: in cosa consisterebbe, dunque, la tutela sociale della maternità? Mistero.
La verità è che si tratta di una norma di chiara impronta abortista (in tutti i suoi 22 articoli non viene mai nominato il termine “figlio”) e di dubbia costituzionalità, specie se si considera che il padre del nascituro ne è del tutto estromesso. Non è un caso se già alla fine del 1979, dopo poco più di un anno dalla sua entrata in vigore, le eccezioni di costituzionalità sollevate furono 19, di cui la prima risalente al 5 giugno 1978 (Tribunale di Pesaro), vale a dire ad appena 2 settimane dalla promulgazione. La Corte Costituzionale però, con motivazioni mai troppo convincenti, ha sempre confermato la costituzionalità della 194, dimenticandosi due sue sentenze (n. 9 del 19/2/1965 e la n. 49 del 16/3/71) nelle quali la vita del concepito veniva descritta come bene provvisto d’una tutela avente “fondamento costituzionale”.
Ennesima menzogna è quella che la 194, norma estremamente permissiva, tutelerebbe la salute della donna. Lo si evince operando un confronto col panorama internazionale: gli stati con una giurisprudenza restrittiva in materia di aborto sono quelli con la mortalità materna inferiore, e quindi con una più alta tutela della salute della donna. Qualche esempio? In Portogallo si registrano 8 morti materne ogni 100.000 nati vivi, in Irlanda 5 e in Polonia solo 4. Nei paesi dove la legge è più permissiva le cose sono diverse: nella civile Inghilterra si verificano 13 morti materne ogni 100.000 nativi vivi, mentre negli Stati Uniti questo numero sale a 17 e in Russia arriva addirittura a 67. Sarebbe dunque tempo di chiedersi quanto effettivamente viene fatto in Italia per scoraggiare le donne ad abortire, evento che incrementa il rischio di cadere in depressione clinica del 138% (British Medical Journal, 19/1/2002), per non parlare dell’accrescimento del rischio dei suicidi, fenomeno purtroppo assai documentato.
Sempre in riferimento alla depressione, c’è da dire che è stato dimostrato come portare a termine una gravidanza non desiderata è meno pericoloso, per la donna, che interromperla (British Medical Journal, 3/12/2005).
Ma la 194, come già detto, non predispone alcuna forma di sostegno per la donna gravida, abbandonata letteralmente a se stessa, alla faccia della prevenzione che dovrebbero praticare i consultori.
A proposito di questi, la giornalista Stefania Antonetti, fingendosi incinta, ha deciso di visitarne alcuni per scoprire quanto venga osservato il quarto comma dell’articolo 2 della 194, che prescrive espressamente che nei consultori si faccia prevenzione al fine di “far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza“. Risultato: Stefania Antonetti ha scoperto che laddove il medico è più zelante, il tutto si risolve in 900 secondi, vale a dire un quarto d’ora.
Solitamente però, l’opera preventiva dei consultori si protrae cinque, dieci minuti al massimo: pra
ticamente il tempo che la donna impiega a sedersi, a farsi scrivere il certificato di aborto, a salutare e andarsene. Osserva Antonetti che “nessuna donna può contare su un aiuto […] pochi pochissimi i segnali di conforto psicologico, e molta invece la fretta” (Il Giornale, 9/1/2008).
Alla luce del fatto che quando la 194 venne approvata, gli stessi parlamentari che la votarono la definirono norma perfettibile, come provano gli interventi allora tenuti alla Camera, non si capisce cosa ci sia di scandaloso nel proporre modifiche migliorative a questa Legge che, al di là della questione morale, presenta limiti innegabili. Viene il dubbio che, una volta legalizzatolo, molti abbiano deciso di considerare l’aborto questione chiusa, mentre esso costituisce, ogni volta, una sconfitta non solo per la donna, ma per l’intera società, che si rende incapace di accogliere il più indifeso degli essere umani, il nascituro.

BIBLIOGRAFIA

F. AGNOLI, Storia dell’aborto nel mondo, Fede & Cultura, 2008
P.G. LIVERANI, Aborto anno uno, fatti e misfatti della legge 194, Ares 1979
M. PALMARO, Ma questo è un uomo, San Paolo, 1996
A.M. VALLI, La verità di carta, i giornali e l’aborto , Ares 1986

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