DISCORSO DI APERTURA AL SINODO DEI VESCOVI. Il “protagonismo” dello Spirito Santo

Nell’aula Nervi, voluta nel 1964, da San Paolo VI e realizzata dall’architetto Pier Luigi Nervi, ci fa plasticamente pensare al duplice desiderio del Santo Papa che condusse e concluse il Concilio Ecumenico Vaticano II, di disporre di un ambiente idoneo a ricevere fedeli, pellegrini e i Pastori della Chiesa, per ascoltare e insegnare, si è aperto il Sacro Sinodo dei Vescovi che terminerà nella seconda sessione l’Ottobre 2024.

La Redazione offre ai propri lettori il testo e il video del Discorso di apertura tenuto dal Santo Padre ad avvio dei lavori della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Seguiranno, dopo il testo, alcune nostre considerazioni.

Marcello Giuliano

Fratelli e sorelle, buon pomeriggio!

Saluto tutti voi, con cui incominciamo questo cammino sinodale.

Mi piace ricordare che è stato San Paolo VI a dire che la Chiesa in Occidente aveva perso l’idea della sinodalità, e per questo aveva creato il segretariato per il Sinodo dei Vescovi, che ha fatto tanti incontri, tanti Sinodi su diverse tematiche.

Ma l’espressione della sinodalità non è ancora matura. Ricordo che ero segretario in uno di questi Sinodi, e il Cardinale Segretario – un bravo belga missionario, bravo bravo – quando io preparavo per le votazioni veniva a guardare: “Cosa stai facendo?” – “Quello che si deve votare domani” – “Che cos’è? No, questo non si vota” – “Ma senti, è sinodale” – “No, no, non si vota”. Perché ancora non avevamo l’abitudine che tutti devono esprimersi con libertà. E così, lentamente, in questi quasi 60 anni, il cammino è andato in questa direzione, e oggi possiamo arrivare a questo Sinodo sulla sinodalità.

Non è facile, ma è bello, è molto bello. Un Sinodo che tutti i vescovi del mondo hanno voluto. Nel sondaggio che è stato fatto dopo il Sinodo per l’Amazzonia, tra tutti i vescovi del mondo, il secondo posto delle preferenze era questo: la sinodalità. Al primo erano i preti, al terzo credo una questione sociale. Ma [questo era] al secondo. Tutti i vescovi del mondo vedevano la necessità di riflettere sulla sinodalità. Perché? Perché tutti avevano capito che il frutto era maturo per una cosa del genere.

E con questo spirito incominciamo a lavorare oggi. E a me piace dire che il Sinodo non è un parlamento, è un’altra cosa; che il Sinodo non è una riunione di amici per risolvere alcune cose del momento o dare le opinioni, è un’altra cosa. Non dimentichiamo, fratelli e sorelle, che il protagonista del Sinodo non siamo noi: è lo Spirito Santo. E se in mezzo a noi c’è lo Spirito che ci guida, sarà un bel Sinodo. Se in mezzo a noi ci sono altri modi di andare avanti per interessi sia umani, personali, ideologici, non sarà un Sinodo, sarà una riunione più parlamentare, che è un’altra cosa. Sinodo è un cammino che fa lo Spirito Santo. È stato dato a voi qualche foglio con testi patristici che ci aiuteranno nell’apertura del Sinodo. Sono tratti da San Basilio, che ha scritto quel bel trattato sullo Spirito Santo. Perché? Perché occorre capire questa realtà che non è facile, non è facile.

Quando, nel 50° della creazione del Sinodo, i teologi mi hanno preparato una lettera che ho firmato, è stato un bel passo avanti. Ma adesso dobbiamo noi trovare la spiegazione su quella strada. Protagonisti del Sinodo non siamo noi, è lo Spirito Santo, e se noi lasciamo posto allo Spirito Santo, il Sinodo andrà bene. Questi fogli su San Basilio li hanno dati a voi in diverse lingue: inglese, francese, portoghese e spagnolo, così avete nelle mani questo. Io non menziono questi testi, sui quali vi prego poi di riflettere e meditare.

Lo Spirito Santo è il protagonista della vita ecclesiale: il piano di salvezza degli uomini si compie per la grazia dello Spirito. È Lui a fare il protagonismo. Se noi non capiamo questo, saremo come quelli di cui si parla negli Atti degli Apostoli: “Avete ricevuto lo Spirito Santo?” – “Che cos’è lo Spirito Santo? Neppure ne abbiamo sentito parlare” (cfr 19,1-2). Dobbiamo capire che è Lui il protagonista della vita della Chiesa, Colui che la porta avanti.

Lo Spirito Santo innesca nella comunità ecclesiale un dinamismo profondo e variegato: il “trambusto” della Pentecoste. È curioso cosa succede nella Pentecoste: tutto era ben sistemato, tutto chiaro… Quella mattina c’è un trambusto, si parlano tutte le lingue, tutti capivano… Ma è una varietà che non si capisce bene del tutto cosa significa… E dopo questo, la grande opera dello Spirito Santo: non l’unità, no, l’armonia. Lui ci unisce in armonia, l’armonia di tutte le differenze. Se non c’è l’armonia, non c’è lo Spirito: è Lui che fa così.

Poi, il terzo testo che può aiutare: lo Spirito Santo è il compositore armonico della storia della salvezza. Armonia – stiamo attenti – non significa “sintesi”, ma “legame di comunione tra parti dissimili”. Se noi in questo Sinodo finiremo con una dichiarazione tutti uguali, tutti uguali, senza nuances, lo Spirito non c’è, è rimasto fuori. Lui fa quell’armonia che non è sintesi, è un legame di comunione fra parti dissimili.

La Chiesa, un’unica armonia di voci, in molte voci, operata dallo Spirito Santo: così dobbiamo concepire la Chiesa. Ogni comunità cristiana, ogni persona ha la propria peculiarità, ma queste particolarità vanno inserite nella sinfonia della Chiesa e quella sinfonia giusta la fa lo Spirito: noi non possiamo farla. Noi non siamo un parlamento, noi non siamo le Nazioni Unite, no, è un’altra cosa.

Lo Spirito Santo è l’origine dell’armonia fra le Chiese. È interessante quello che Basilio dice ai fratelli vescovi: “Come dunque noi stimiamo un bene nostro la vostra reciproca concordia e unità, così invitiamo anche voi a partecipare alle nostre sofferenze causate dalle divisioni e a non separarci da voi per il fatto che siamo distanti a motivo della collocazione e dei luoghi, ma, poiché siamo uniti nella comunione secondo lo Spirito, ad accoglierci nell’armonia di un unico corpo”.

Lo Spirito Santo ci conduce per mano e ci consola. La presenza dello Spirito è così – mi permetto la parola – quasi materna, come una mamma ci conduce, ci fa questa consolazione. È il Consolatore, uno dei nomi dello Spirito: il Consolatore. L’azione consolatrice dello Spirito Santo raffigurata dall’albergatore al quale è affidato l’uomo incappato nei briganti (cfr Lc 10,34-35): Basilio interpreta quella parabola del buon Samaritano e nell’albergatore vede lo Spirito Santo che permette che la buona volontà di un uomo e il peccato di un altro vadano in una strada armonica.

Inoltre, Colui che custodisce la Chiesa è lo Spirito Santo. Poi, lo Spirito Santo ha un multiforme esercizio paracletico. Dobbiamo imparare ad ascoltare le voci dello Spirito: sono tutte differenti. Imparare a discernere.

E poi, lo Spirito è Colui che fa la Chiesa: è Lui a fare la Chiesa. C’è un legame molto importante tra la Parola e lo Spirito. Possiamo pensare a questo: il Verbo e lo Spirito. La Scrittura, la Liturgia, l’antica tradizione ci parlano della “tristezza” dello Spirito Santo, e una delle cose che più rattristano lo Spirito Santo sono le parole vuote. Le parole vuote, le parole mondane e – scendendo un po’ a una certa abitudine umana ma non buona – il chiacchiericcio. Il chiacchiericcio è l’anti-Spirito Santo, va contro. È una malattia molto frequente fra noi. E le parole vuote rattristano lo Spirito Santo. “Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale foste segnati” (cfr Ef 4,30). Quale grande male sia rattristare lo Spirito Santo di Dio, c’è bisogno di dirlo? Chiacchiera, maldicenza: questo rattrista lo Spirito Santo. È la malattia più comune nella Chiesa, il chiacchiericcio. E se noi non lasciamo che Lui ci guarisca da questa malattia, difficilmente un cammino sinodale sarà buono. Almeno qui dentro: se tu non sei d’accordo con quello che dice quel vescovo o quella suora o quel laico là, diglielo in faccia. Per questo è un Sinodo. Per dire la verità, non il chiacchiericcio sotto il tavolo.

Lo Spirito Santo ci conferma nella fede. È lui che lo fa continuamente…

Questi testi di Basilio, leggeteli, sono nella vostra lingua, perché credo che ci aiuteranno a fare nel nostro cuore spazio allo Spirito. Ripeto: non è un parlamento, non è una riunione per la pastorale della Chiesa. Questo è un syn-odos, camminare insieme è il programma. Abbiamo fatto tante cose, come ha detto Sua Eminenza: la consultazione, tutto questo, con il popolo di Dio. Ma chi prende in mano questo, chi guida è lo Spirito Santo. Se Lui non c’è, questo non darà un buon risultato.

Insisto su questo: per favore, non rattristare lo Spirito. E nella nostra teologia fare spazio allo Spirito Santo. E anche in questo Sinodo, discernere le voci dello Spirito da quelle che non sono dello Spirito, che sono mondane. A mio avviso, la malattia più brutta che oggi – sempre, ma anche oggi – si vede nella Chiesa è ciò che va contro lo Spirito, cioè la mondanità spirituale. Uno spirito, ma non santo: di mondanità. State attenti a questo: non prendiamo il posto dello Spirito Santo con cose mondane – anche buone – come il buon senso: questo aiuta, ma lo Spirito va oltre. Dobbiamo imparare a vivere nella nostra Chiesa con lo Spirito Santo. Mi raccomando, riflettete su questi testi di San Basilio che ci aiuteranno tanto.

Poi, voglio dire che in questo Sinodo – anche per fare posto allo Spirito Santo – c’è la priorità dell’ascolto, c’è questa priorità. E dobbiamo dare un messaggio agli operatori della stampa, ai giornalisti, che fanno un lavoro molto bello, molto buono. Dobbiamo dare proprio una comunicazione che sia il riflesso di questa vita nello Spirito Santo. Ci vuole un’ascesi – scusatemi se parlo così ai giornalisti – un certo digiuno della parola pubblica per custodire questo. E quello che si pubblica, che sia in questo clima. Qualcuno dirà – lo stanno dicendo – che i vescovi hanno paura e per questo non vogliono che i giornalisti dicano. No, il lavoro dei giornalisti è molto importante. Ma dobbiamo aiutarli affinché dicano questo, questo andare nello Spirito. E più che la priorità di parlare, c’è la priorità dell’ascolto. E ai giornalisti chiedo per favore di fare capire questo alla gente, che sappia che la priorità è dell’ascolto. Quando c’è stato il Sinodo sulla famiglia, c’era l’opinione pubblica, fatta dalla nostra mondanità, che fosse per dare la comunione ai divorziati: e così siamo entrati nel Sinodo. Quando c’è stato il Sinodo per l’Amazzonia, c’era l’opinione pubblica, la pressione, che fosse per fare i viri probati: siamo entrati con questa pressione. Adesso ci sono alcune ipotesi su questo Sinodo: “cosa faranno?”, “forse il sacerdozio alle donne”…, non so, queste cose che dicono fuori. E dicono tante volte che i vescovi hanno paura di comunicare quello che succede. Per questo chiedo a voi, comunicatori, di fare la vostra funzione bene, giusta, così che la Chiesa e le persone di buona volontà – le altre diranno quello che vogliono – capiscano che anche nella Chiesa c’è la priorità dell’ascolto. Trasmettere questo: è tanto importante.

Vi ringrazio di aiutare tutti noi in questa “pausa” della Chiesa. La Chiesa si è fermata, come si sono fermati gli Apostoli dopo il Venerdì Santo, quel Sabato Santo, chiusi, ma quelli per paura, noi no. Ma è ferma. È una pausa di tutta la Chiesa, in ascolto. Questo è il messaggio più importante. Grazie del vostro lavoro, grazie di quello che fate. E mi raccomando, se potete, leggete queste cose di San Basilio, che aiutano tanto. Grazie.

Lo Spirito del Sinodo

Considerazioni a margine dell’Omilia del Santo Padre

Il Santo Padre rammenta che, quando circa sessant’anni fa, fu segretario di un sinodo, non c’era l’abitudine che tutti potessero esprimersi in libertà. Ma negli anni successivi questa sensibilità è maturata e oggi siamo a questo sinodo sulla sinodalità. Quindi, sembra desiderio del Papa che al Sinodo ci si possa e ci si debba esprimere se, come ha detto nell’Omelia della Messa di Apertura, si deve bandire il chiacchiericcio per parlare nel luogo appropriato che è il sinodo.

Tutti i vescovi, consultati sui temi da trattare, ne hanno indicato tre per primi:

  1. I sacerdoti
  2. La sinodalità
  3. Una questione sociale

Il Papa ha individuato nel secondo tema quello centrale per meglio esplicitare, immaginiamo, la natura del Sinodo dei Vescovi e come attuarlo.

Il Santo Padre più volte ha ribadito che il Sinodo non è un parlamento, o una riunione di amici, ma una assemblea in cui il protagonista è lo Spirito Santo. Per questo insiste sulla necessità della preghiera come preparazione, accompagnamento e frutto del Sinodo ed offre alcuni testi di San Basilio (da noi QUI  pubblicati) all’attenzione e meditazione dei partecipanti e anche dei giornalisti per trasmettere al mondo questo senso della realtà del Sinodo. Questo e non altro.

È lo Spirito che innesca il “trambusto” della Pentecoste. Quella mattina c’è un trambusto, si parlano tutte le lingue, tutti capivano… Ma è una varietà che non si capisce bene del tutto cosa significa… E dopo questo, la grande opera dello Spirito Santo: non l’unità, no, l’armonia. Lui ci unisce in armonia, l’armonia di tutte le differenze. Se non c’è l’armonia, non c’è lo Spirito: è Lui che fa così.

Ma attenzione, dobbiamo capire bene cosa intenda il Papa quando dice: non l’unità, ma l’armonia. Non intende che nella Chiesa non si debba perseguire l’unità; tutto il Vangelo ne parla. Egli sembra intendere che l’unità non debba essere uniformità, ma armonia di più voci. Se ci si toglie dall’armonia, allora si perdono le voci e la stessa unità. Più lingue, ma tutti si intendevano.

Ovviamente, questo modo di esprimersi del Santo Padre attribuisce al passo neotestamentario un senso accomodatizio, ma prezioso per capire il suo profondo desiderio. Andare verso una armonia che coglie la legittimità, ma di voci che siano legittime, cioè, dettate dall’amore, dallo Spirito, che è Spirito di Verità. Una sinfonia di parti dissimili, scrive.

Proprio in questa armonia di parti dissimili può infiltrarsi lo spirito del mondo, che è uno spirito, dice il Papa, ma non Santo, bensì del mondo.

Come non pensare al modernismo, che imperversò nella Chiesa e che anche oggi porta i suoi neri frutti, quando nega l’invisibile a favore di un antropocentrismo senza altri eguali nel tempo. Lo Spirito, poi, è materno, “paracletico”, cioè, consolatore e difensore della Chiesa, costruttore della Chiesa.

Ma lo Spirito non va rattristato, lo ricorda proprio San Basilio, quando si scade nella maldicenza. Occorre parlarsi in faccia. Questo è il posto.

Il Santo Padre raccomanda l’ascesi dell’ascoltoe si scusa con i giornalisti per l’uso di questo linguaggio a loro insolitoma chiede proprio a loro di fare capire alla gente questa priorità dell’ascolto, liberando l’informazione dai condizionamenti ai sinodi.

E il Papa ricorda come negli ultimi Sinodi vi sia stata molta pressione da parte del mondo perché i sinodi avessero determinati risultati.

Quando c’è stato il Sinodo sulla famiglia, c’era l’opinione pubblica, fatta dalla nostra mondanità, che fosse per dare la comunione ai divorziati: e così siamo entrati nel Sinodo. Quando c’è stato il Sinodo per l’Amazzonia, c’era l’opinione pubblica, la pressione, che fosse per fare i viri probati: siamo entrati con questa pressione. Adesso ci sono alcune ipotesi su questo Sinodo: “cosa faranno?”, “forse il sacerdozio alle donne”…, non so, queste cose che dicono fuori. E dicono tante volte che i vescovi hanno paura di comunicare quello che succede. Per questo chiedo a voi, comunicatori, di fare la vostra funzione bene, giusta, così che la Chiesa e le persone di buona volontà – le altre diranno quello che vogliono – capiscano che anche nella Chiesa c’è la priorità dell’ascolto. Trasmettere questo: è tanto importante. (Papa Francesco).

Questo modo di esprimersi del Santo Padre, quasi uno sfogo, una dolorosa lamentela che sale dal profondo, deve farci riflettere sulle sue intenzioni e va ascoltato. Egli dice: proviamo a costruire unità con lo Spirito.

È Proprio nella dialettica tra “religioso ascolto della Parola” (Dei Verbum) e il dialogo con il mondo che si annida sempre il rischio del modernismo.

È qui che si celano gli equivoci e i tentativi di abbandonare la dottrina della Fede, fondamentale, per assumere, al suo posto, la mondanità spirituale. Ma il Papa non sembra per nulla voler questo, anche se, nelle azioni poste in essere per arrivare ai frutti di questa dialettica dinamica, occorre superare i marosi degli “equivoci teologici” con il rischio di derive eterodosse addirittura moderniste.

Credo che il Papa voglia sinceramente assumersi questo rischio per essere fedele al mandato del Concilio come fu espresso, e da Lui ricordato, sia da Papa Giovanni XXIII che da Paolo VI.

Trovo interessanti, al riguardo, alcune riflessioni di Papa Benedetto XVI in occasione del Sinodo dell’Anno della Fede, che cito come furono riportate e proposte da Paolo Rodari, de Il Foglio dell’ 11 OTT 2012, qui di seguito.

Marcello Giuliano

QUI

l’articolo intero da cui stralciamo alcuni passaggi …

I padri sinodali l’hanno capito bene: non c’è nuova evangelizzazione senza una chiara comprensione di cosa è stato il Concilio Vaticano II, l’evento che ha lanciato la Chiesa cattolica dentro le viscere del mondo contemporaneo. Anche questo concetto ripete Benedetto XVI lasciando ieri per due ore l’aula del Sinodo per l’udienza generale del Mercoledì.

In una catechesi carica di ricordi, Ratzinger parla del “suo” Concilio, l’assise convocata da Giovanni XXIII per “far parlare la fede in modo rinnovato, più incisivo, mantenendo però intatti i suoi contenuti perenni, senza cedimenti o compromessi”. Un’assise ancora da riscoprire. Come? Tornando ai documenti. “Dobbiamo liberarli”, dice il Papa, “da quell’ammasso di pubblicazioni che invece di farli conoscere li hanno nascosti”. Parole inedite che precedono di pochi minuti l’uscita di un secondo testo, anch’esso inedito, scritto dal Papa quest’estate “a castello” per l’anniversario (oggi) dei cinquant’anni di apertura del Vaticano II. Si tratta dell’introduzione dei suoi scritti conciliari pubblicata da Herder e anticipata da un numero speciale dall’Osservatore Romano.

Il Vaticano II è stato un avvenimento unico nella storia della chiesa. Altri Concili lo hanno preceduto,  si legge nel testo, “convocati per definire elementi fondamentali della fede, soprattutto correggendo errori che la mettevano in pericolo”. Nicea (325) contrastò l’eresia ariana. Efeso (431) definì Maria madre di Dio. Calcedonia (451) affermò l’unica persona di Cristo in due nature, divina e umana. Trento (XVI secolo) chiarì punti essenziali della dottrina rispetto alla Riforma protestante mentre il Vaticano I parlò del Papa e dell’infallibilità. Ma il Vaticano II fu altro. Dice Ratzinger: “Quando venne convocato non c’erano particolari errori di fede da correggere o da condannare, né questioni di dottrina da chiarire”. C’era, piuttosto, la necessità di delineare “in modo nuovo il rapporto tra la chiesa e l’era moderna, tra il cristianesimo e certi elementi essenziali del pensiero moderno, non per conformarsi a esso ma per presentare a questo nostro mondo che tende ad allontanarsi da Dio l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e purezza”.

Ratzinger ricorda Giovanni XXIII che quando aprì il Concilio aveva innanzi a sé “un cristianesimo che sembrava perdere sempre più la sua forza efficace”. Di qui la necessità dell’“aggiornamento”. Un compito che “i singoli episcopati” interpretarono in modo differente. L’episcopato tedesco puntava “sull’ecumenismo”, per altri “tema forte era l’ecclesiologia”. Un tema importante per gli episcopati centroeuropei “era invece il rinnovamento liturgico”. Ma il tema chiave lo toccarono i francesi, “il cosiddetto schema XIII, il rapporto fra chiesa e mondo contemporaneo”.

Dice ancora Ratzinger: “La chiesa che in epoca barocca aveva, in senso lato, plasmato il mondo, a partire dal XIX secolo era entrata in un rapporto negativo con l’età moderna. Le cose dovevano rimanere così?”. Il Concilio rispose di no, soprattutto con due testi. Quello sulla libertà religiosa nel quale si superò la dottrina di Pio XII della mera tolleranza con il concetto del “diritto di scegliere il proprio culto” e quello sulle relazioni con le religioni non cristiane (Nostra Aetate). Un testo, quest’ultimo, “il cui processo di ricezione mostra una debolezza”. Quale? “Esso parla – dice ancora il Papa – della religione in modo positivo e ignora le forme malate e disturbate di religione”.

Ma in generale il messaggio che Ratzinger tiene a sottolineare è uno: i padri conciliari non volevano una chiesa diversa. Per questo, “un’ermeneutica della rottura del Concilio è assurda, contraria allo spirito e alla volontà dei padri stessi”. (Paolo Rodari, Il Foglio 11 OTT 2012 – QUI l’articolo intero).

In conclusione, qui la chiave di lettura per capire tutte le questioni espresse dei Dubia più volte posti dai Cardinali e da fedeli da tutte le parti del mondo.

E la domanda è: le scelte pastorali di alti prelati, -che ordinariamente non negano la Dottrina della Chiesa-, nelle nuove traduzioni pastorali, tendono a obliarla fino a negarla nei fatti, oppure, si tratta di rischi inevitabili, cui la Chiesa è spinta anche da suoi membri che, alla fine, non potranno influire sul vero spirito di fede della Chiesa, sulla sua compagine di Corpo di Cristo animato dallo stesso Spirito?

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Autore: Libertà e Persona

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