Fonte dell’immagine – Kayros, Comunità per giovani in difficoltà
Come psicologo e psicoterapeuta mi trovo sempre di più a confrontarmi con richieste che non collimano con una vera e propria sintomatologia clinica, ma con il senso di vuoto. Il paziente del terzo millennio si lamenta, paradossalmente, della solitudine. E dico paradossalmente perché, apparentemente, non è mai solo eppure
vive il vuoto. Ma andiamo per gradi, e iniziamo con il confrontarci con il vissuto della solitudine; è un’esperienza universale, fa parte della natura e dell’essere umano, che ha come finalità lo stare bene con sé stessi per poi confrontarsi con il prossimo.
Solitudine e suo significato
Nel suo famoso libro: “così parlò Zarathustra” pubblicato nel 1883, il filosofo Friedrich Nietzsche, si ispira al profeta persiano Zoroastro, fondatore della religione zoroastriana. Zarathustra è, infatti, un profeta laico, che cerca di trasmettere agli uomini un nuovo modo di concepire la vita e il mondo. Vive in solitudine, ma si arricchisce in saggezza e sapienza per cui scende dalle montagne per diffondere quanto ha appreso dalla solitudine.
Zarathustra sente la necessità di predicare? Secondo Nietzsche, il mondo in cui viveva era caratterizzato dalla morte di Dio, ovvero, dalla fine del dominio delle religioni e delle ideologie tradizionali. Nietzsche percepiva che l’uomo moderno, privo di un sistema di valori e di credenze condivise, era in cerca di un senso alla propria vita e di una nuova visione del mondo. Sembra che negli ultimi decenni la previsione del filosofo sia attinente all’uomo del terzo millennio. Nonostante i progressi tecnologici e l’esplosione dei social media, le persone si sentono sempre più sole e isolate nonostante che, per natura, l’uomo è un essere relazionale1.
Solitudine, relazione e fine dell’uomo
Ce lo ricorda l’antropologia biblica che ci insegna che l’uomo è creato per la relazione, con Dio e con gli altri:
«Poi il Signore Dio disse: Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (Gn 2.18).
Il cristianesimo riprende il concetto e ci insegna che la solitudine diventa problematica e sintomatica quando è conseguenza del peccato e della separazione da Dio e dagli altri. Gesù stesso ha vissuto in carne e ossa la solitudine, quando i suoi amici lo hanno abbandonato e il Padre sembrava lontano, ma al contempo ci ha anche insegnato che la solitudine può essere superata attraverso l’amore e la comunità:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 15, 12).
Egli ha chiamato i suoi discepoli ad amarsi gli uni gli altri come lui ci ha amati, e ha promesso di essere sempre con noi, fino alla fine dei tempi.
Antropologia cristiana e sociologia
Con gli insegnamenti dell’antropologia cristiana avremmo dovuto apprendere dalla solitudine e darne un senso, ma così non è stato, difatti, Zygmunt Bauman, uno dei sociologi più influenti del XX secolo, ha così analizzato la solitudine nell’era della modernità liquida. Come per il cristianesimo anche per il sociologo la solitudine è la conseguenza di un qualcosa: del cambiamento sociale e culturale. La modernità liquida è caratterizzata dalla precarietà, dalla mobilità, dall’individualismo e dalla fugacità delle relazioni. Ed è proprio per questa fuga che, a mio modo di vedere, le persone si sentono, da dentro, cercare un nuovo senso di appartenenza, a cercare legami stabili e duraturi. Ci vengono incontro i social media, ma, contemporaneamente ai più “contatti”, le persone si sentono sempre più sole e isolate.
Social come risposta al vuoto
Contrariamente a quanto si possa pensare, più social non riempiono il vuoto della solitudine, anzi, paradossalmente la amplificano. Perché ci danno l’illusione di essere connessi con gli altri, mentre, in realtà, ci separano. Le interazioni sono artificiali e artefatte, superficiali, impersonali e spesso basate sull’autopromozione. Sul concetto di “Io devo piacere”. Non creano legami autentici e non soddisfano il bisogno di appartenenza e di significato. Inoltre, i social media possono anche portare a un’ulteriore competizione e invidia tra le persone, alimentando il senso di isolamento e di insoddisfazione.
L’amore autentico richiede impegno, pazienza, sacrificio e perdono2. I social si propongono come una grossa comunità; la comunità della rete. Ma una vera e autentica comunità richiede condivisione della vita, delle gioie e dei dolori, la solidarietà e la cura reciproca. Mentre la comunità della rete richiede semplicemente non condivisione, ma apprezzamento di sé. Allora, nell’epoca dell’iperconnessione e della globalizzazione, appare logico che l’uomo di oggi si senta sempre più solo. Nonostante la possibilità di interagire con gli altri tramite i social network e le nuove tecnologie, la sensazione di isolamento e di distacco dalla società sembra sempre più diffusa.
Relazioni liquide e amori liquidi
Se, secondo il sociologo Zygmunt Bauman, la nostra società è caratterizzata dalle relazioni liquide, dagli amori liquidi3 per una sorta di compensazione alla liquidità nasce e cresce una forma di individualismo che si traduce ancor più nell’instabilità delle relazioni. In altre parole, la nostra società promuove l’autonomia individuale a scapito della coesione sociale. Questo individualismo ci porta a cercare l’autorealizzazione e la felicità personale, ma al tempo stesso ci rende vulnerabili alla solitudine e all’insicurezza.
- Dobbiamo imparare a riscoprire il valore delle relazioni interpersonali e della comunità. Non possiamo limitarci a interagire solo tramite i social network o le chat, ma dobbiamo cercare il contatto umano diretto.
- Dobbiamo creare spazi ‘vis a vis’ per incontrarsi e condividere le proprie esperienze, i propri pensieri e i propri sentimenti, per imparare a essere più empatici e solidali verso gli altri. Questo significa non solo essere disponibili ad ascoltare e a sostenere chi ci sta intorno, ma anche cercare di comprendere le loro esigenze e le loro difficoltà. Solo così potremo creare un clima di fiducia e di collaborazione reciproca.
- Dobbiamo infine imparare a superare la paura dell’altro e dell’ignoto. La solitudine spesso deriva dal timore di confrontarsi con l’esterno, di aprirsi agli altri e di esporsi. Dobbiamo imparare a superare questa paura e a sperimentare nuove esperienze, incontrare nuove persone e scoprire nuove cose.
In conclusione
La solitudine è un sentimento che affligge molti individui della nostra società, ma se impariamo dal valore dell’amore per il prossimo, non ci rassegniamo ad essa subendola, ma costruiamo un senso più solido e stabile.
[1] Riccardi. P., La dimensione amorosa tra intimità e spiritualità. D’Ettoris 2021.
[2] Riccardi. P., Ibidem.
[3] Zygmunt B., Vita liquida, Editori GLF Laterza 2006, III rist. 2007.