La vocazione come ricerca di senso

Ci sono alcuni termini, in epoca di terzo millennio, quando la morale e i valori fanno fatica ad emergere, che perdono di significato. Termini quali l’amore, la felicità, benessere, trascendenza, Dio ed altro subiscono uno slittamento di significato, cercando di adeguarlo ai tempi.

Oggi, ad esempio, “felicità” fa coppia con “successo”, “amore” con sesso, “intimità” con “sessualità” e così via. Non solo si perde il senso che sta dietro al termine, ma si alterano anche i comportamenti. O, al contrario, molte parole dai significati universali cadono in disuso, come, ad esempio, “esame di coscienza”. Un tempo preludio per la ricerca interiore, oggi manco se ne comprende il significato. Così, parlare di vocazione, oggi, dove si è orientati a ben altro, ha ancora un senso? Dal mio punto di vista ha un senso se si comprende il valore della terminologia sulle nostre vite. Intanto, iniziamo a specificare che tutti nella vita hanno una vocazione poiché tutti sono chiamati a vivere; quindi un primo accoppiamento è vocazione con chiamata. Ma chiamati a cosa? A svolgere un compito, una missione che realizzi la propria esistenza. Entro questo contesto, la chiamata, ossia la vocazione, è di tutti poiché tutti siamo chiamati a realizzare noi stessi.

Ancora più in profondità, tutti siamo chiamati ad esistere. Faccio riferimento al neonato che, nell’ “intenzionale” gesto di amorevole “unione” tra partners, procreano nuova vita: la prole.

Possiamo affermare che il neonato, nell’intenzione dei coniugi, uniti in matrimonio e orientati al bene comune e della prole, è “chiamato” a esistere. Non una chiamata vocale, s’intende, ma pensata e desiderata dalla natura stessa dell’unione scelta.

Ognuno è un essere chiamato voluto e desiderato ed ha in sé la strada per realizzare il suo senso: è la vocazione che dà senso al proprio esistere.

Da un punto di vista psicologico esistenziale la mancanza di “senso” rende l’uomo nevrotico così come conferma lo psichiatra

Viktor Frankl: «Le forme di nevrosi di oggi, in molti casi, sono da ricondursi ad una frustrazione esistenziale, ad una mancata realizzazione dell’aspirazione umana verso un’esistenza il più possibile significativa» (Frankl, V 1996, p.13).

È il senso, quindi, il filo conduttore della nostra esistenza e trovare il senso richiama al seguire la propria vocazione.

E, ogni disciplina che s’interessa dell’uomo, dalla filosofia alla medicina, dalla psicologia alla psicoterapia, deve considerare l’uomo non solo come processo psico bio fisiologico, ma come progetto teso alla ricerca della propria vocazione.

L’uomo del terzo millennio sembra difettare proprio in questa ricerca. Si cerca un lavoro, una professione, un’attività per il guadagno, il prestigio, la posizione sociale e non per passione. Tipici esempi sono certe scelte universitarie di molti giovani a cui i genitori spesso contrastano con il dire: e dopo che fai? C’è poco lavoro in quel campo.

Il caso di una mancata vocazione

Personalmente, ricordo il caso di un giovane che non riusciva a laurearsi sebbene gli mancasse un esame. All’analisi psicologica del blocco emerse un “inconscio rifiuto” per una scelta universitaria contro al proprio volere. Essendo i genitori affermati professionisti avevano indotto la scelta del figlio come prosieguo facilitato per il lavoro. All’analisi emerse che il blocco era “l’inconscia ribellione” ad una mancanza di scelta. In realtà il giovane si trovava nella nevrosi da “mancanza di vocazione”. Il termine nevrosi da mancanza di vocazione già ampiamente descritta da me in (Riccardi P., Ogni vita è una vocazione, ed. Cittadella Assisi 2014).

Ulteriore specificazione terminologica

Ma torniamo alla parola “vocazione”. Essa ha molti significati. Generalmente, ed erroneamente, si pensa alla vocazione come un qualcosa che ha a che fare con la scelta religiosa. Diventare sacerdote, diventare frate, seguire una confessione religiosa ecc. …

Con il termine vocazione, dal latino vocationem, chiamare attraverso la voce, si indica un movimento del chiamare qualcuno verso qualcosa, un bene, una professione, un oggetto. Ora, va da sé che qualora una persona senta dentro di sé la “voce”, “la chiamata” deve responsabilmente ricevere risposta. Ma, affinché non ci sia confusione di astrattismo terminologico, la chiamata è da intendersi come sensazione, percezione, intuizione, predisposizione che ci attira verso….

Come psicoterapeuta, diverse volte ho constatato che le persone ad un certo punto della vita si sono dovute confrontare con le proprie scelte fatte. Persone all’apice di una buona carriera professionale si lamentano, sono insoddisfatte e in crisi e questo perché non è la professione in sé che appaga e dà gratificazione, ma se quella professione scelta rientra nella propria chiamata; vocazione. Quando, comunemente diciamo: “puoi avere tutto l’oro del mondo ma puoi non essere felice” è chiaro che l’idea va alla scelta da fare. Ci si chiede, allora, quale possa essere l’antidoto di una scelta di vita che risponde alla propria vocazione. Di sicuro gli antitodi possono esser vari e tanti. Ma quello che maggiormente salta agli occhi è sapere discernere il ruolo dal valore.

Differenza tra ruolo e professione

S’immagini l’uomo sacerdote. Questi può vivere la propria dimensione di uomo attraverso il “ruolo sacerdotale” senza, però, considerare il valore e il significato connesso “all’essere sacerdote”. Allo stesso modo, un uomo, padre di famiglia, può vivere la propria dimensione di uomo attraverso il “ruolo di padre”, senza considerare il valore “dell’essere padre”. Si può attivare a tirare avanti la famiglia e i figli dal punto di vista economico e sociale, ma si può trascurare la dimensione dell’accoglienza, dell’ascolto, della responsabilità affettiva ed emotiva, ecc. … In questo modo, anche la famiglia finisce per assumere funzione di “ruolo sociale” anziché essere vissuta come un valore. Con questi presupposti si determina, nel tempo, la nevrosi da “mancanza di senso” definita dallo psichiatra Frankl “nevrosi noogena” (Frankl, 2001 p.41),.

Così l’uomo nevrotico, l’uomo frustrato, l’uomo costantemente insofferente è l’uomo che ha perso la propria vocazione rendendosi schiavo di sé stesso e, credendo di vivere, si annulla negli altri e sceglie o quello che gli altri gli dicono di fare, vivendo in un patologico totalitarismo, o quello che gli altri fanno, annullandosi in un patologico conformismo. Così l’infelicità è assicurata dalla mancata vocazione.


Bibliografia

FRANKL V.E. (1996), Alla ricerca di un significato della vita. Per una psicoterapia riumanizzata, Milano, Mursia, 3ª ed.

RICCARDI P. (2014), Ogni vita è una vocazione per un ri-trovato ben-essere, ed. Cittadella Assisi

RICCARDI P. (2016), La dimensione amorosa tra intimità e spiritualità, ed. D’Ettoris (Crotone)

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Autore: Pasquale Riccardi

Psicologo-Psicoterapeuta Docente Asl per la Seconda Università di Napoli Federico II, Formatore psicoterapeuta per centro Logos (Ce), riconoscimento M.I.U.R. Fra le sue più recenti pubblicazioni: La dimensione amorosa tra intimità e spiritualità, D’Ettoris, Catanzaro 2021; Psicoterapia del cuore e Beatitudini , Cittadella, Assisi 2018; Parole che trasformano. Psicoterapia dal vangelo. Cittadella, Assisi 2016

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