“C’è sempre speranza”

Francesco Hayez, Distruzione del Tempio di Gerusalemme,1868 Accademia di Venezia

Commento artistico-spirituale al Vangelo della XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C – 12 Novembre 2022

Di don Tarcisio Tironi, Direttore M.A.C.S. (Museo di Arte e Cultura Sacra) di Romano di Lombardia-Bg

Colletta

O Dio, principio e fine di tutte le cose,
che raduni l’umanità nel tempio vivo del tuo Figlio,
donaci di tenere salda la speranza del tuo regno,
perché perseverando nella fede
possiamo gustare la pienezza della vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

La prima delle tre guerre giudaiche combattute dai Romani contro i Giudei in rivolta, si iniziò nel 66 con Nerone per concludersi nel 70 con la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme ad opera di Tito, figlio dell’imperatore Vespasiano. L’ultimo episodio fu l’assedio della fortezza di Masada che cadde solo nel 73.

Tutt’oggi i credenti ebrei ricordano la distruzione del Primo e del Secondo Tempio nel giorno 9 del mese di Av (corrispondente a luglio – inizio agosto) in cui digiunano e leggono le «Lamentazioni di Geremia».
L’evangelista Luca racconta (21,5-19) che alcuni discepoli «parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi» confermandone la bellezza e l’originalità. A loro Gesù dopo aver detto: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta», parla del giudizio imminente perché il tempo sta per scadere, riferendosi ai fatti già accaduti e che la comunità destinataria del Vangelo secondo Luca conosceva.
Soffermiamoci sull’opera «La Distruzione del Tempio di Gerusalemme» che l’autore Francesco Hayez donò nel 1868 all’Accademia di Venezia, dove da allora è visibile, «a testimonianza – scrisse nell’occasione – del mio grato ricordo dei miei primi studi intrapresi a questa Regia Istituzione dell’Accademia di Belle Arti felice di donare una delle mie ultime opere a un luogo dove sono esistite le mie prime». Il dipinto ad olio su tela completato in sette anni nel 1867, fu esposto a Brera con grande successo di critica e di folla che rileggeva nel dramma del popolo ebraico sottomesso allo straniero la propria situazione e nel quadro la figura dei valori risorgimentali.
L’insieme della composizione comunica in ogni parte la forza della distruzione: il tempio è in fiamme e la violenza al culmine annuncia la strage imminente di ogni persona ebrea. Le duecento persone raffigurate sono state studiate con cura per esprimere al meglio la furia dei carnefici e lo strazio delle vittime. Oltre agli angeli che, in alto a sinistra, sembrano aver salvato qualcosa di importante dal «Sancta Sanctorum» (la parte più interna e sacra del tempio) emergono due personaggi. Il primo è Tito, il figlio dell’imperatore, che al centro in basso, con il manto rosso sopra la tunica bianca, guarda quasi sorpreso verso l’interno avvolto dal fuoco. Colpisce poi la donna che disperata, piange la desolazione appoggiandosi al muro, anticipando quanto da allora le donne e gli uomini ebrei fanno ancor oggi al muro detto «del pianto».
I Pink Floyd cantano così il testo dell’ultima strofa di «The Wall», pubblicata (1979) nell’omonimo album: «Ehi tu! Là fuori dietro al muro/Che rompi bottiglie nel salone/Mi puoi aiutare?/Ehi tu! Non dire che non c’è più speranza!/Insieme restiamo in piedi, divisi cadiamo».

Don Tarcisio

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Autore: Libertà e Persona

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