AIDS, 30 anni dopo: una vittoria della sola tecnologia?

Quest’anno si celebra il trentennale dell’AIDS. Risale infatti al 1981 la prima descrizione di questa patologia, caratterizzata da immunodeficienza acquisita, e associata a gravissime infezioni e tumori, che e’ stata poi definita come Acquired Immuno Deficiency Syndrome.

In questi trenta anni sono stati fatti progressi incredibili; mai infatti, nella storia della Medicina, sono stati ottenuti risultati così significativi in un periodo di tempo relativamente breve. Una malattia invariabilmente mortale e’ stata trasformata, in molti casi, in una patologia cronica, grazie ai farmaci antivirali resi disponibili grazie ad una collaborazione, altamente efficiente, tra industrie farmaceutiche e istituzioni pubbliche. Quindi, il problema AIDS e’ risolto? La risposta e’ sicuramente no, per tre ordini di ragioni. Una e’ legata alle caratteristiche intrinseche del virus HIV, che non e’ eradicabile dalla persona infettata.

Quindi, una volta infettati, il virus rimane per tutta la vita nell’organismo, e l’unico modo di impedire la progressione della malattia e’ quello di assumere per lunghi anni, probabilmente per tutta la vita, la terapia antivirale. Il vaccino e’ ancora lontanissimo. La seconda ragione e’ che il sostanziale controllo dell’AIDS nei Paesi sviluppati non ha adeguato riscontro nei Paesi in via di Sviluppo, dove si trovano almeno 30 dei 33 milioni di persone che nel mondo si stimano essere infettate da HIV. In questi Paesi, la copertura con farmaci antivirali non supera un terzo delle persone che ne hanno bisogno, a fronte di una copertura pressoché totale in Europa occidentale e negli Stati Uniti. Risorse economiche carenti, logistica insufficiente, strategie di intervento spesso infelici e incomplete, giocano un ruolo non irrilevante nella generazione e nel mantenimento del “gap” tra Paesi sviluppati e in via di Sviluppo.

La terza ragione e’ la più sottile, ma forse per questo la più importante: manca la percezione delle ragioni fondanti della diffusione della malattia, basate spesso su elementi comportamentali, quali l’uso di droghe iniettive e soprattutto la promiscuità sessuale. Questi elementi ancor oggi mantengono stabile, anno dopo anno, il numero di nuove infezioni (in Italia più di 3000 nel 2011), nonostante che i farmaci abbiano fatto la differenza in termini di riduzione della mortalità. La domanda fondante che pone questa malattia rimane sempre la stessa: e’ possibile eliminare una malattia legata spesso ai comportamenti, senza cambiare i comportamenti stessi?

Il ritorno della sifilide, della gonorrea, e in genere l’aumento di tutte le patologie a trasmissione sessuale, indicano con chiarezza che il problema non e’ l’AIDS, ma che l’AIDS e’ l’epifenomeno di un problema ben più ampio, legato primariamente ad una visione positivista e libertaria. Positivista, perché ritiene certa la capacità dell’uomo controllare l’HIV con strumenti tecnici, quali farmaci (per la terapia) e preservativi (per la prevenzione). Libertaria, perché giustificando la libertà dell’uomo di essere pieno artefice della propria vita, di fatto autorizza qualsiasi comportamento, con la sola precauzione di limitarne le conseguenze (appunto, la cultura del preservativo). Come medici, il nostro intervento sull’AIDS guarda in primis all’uomo malato, ma chiede anche la capacità di dare un giudizio sulle cause di queste malattie, sapendo che attraverso tale giudizio passano le scelte di politica sanitaria in termini di prevenzione dell’infezione.

Editoriale di Medicina e persona, a cura di C.F. Perno Università’ di Roma Tor Vergata

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Autore: Libertà e Persona

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