Non mancano fra i collaboratori della “Voce” i sostenitori del governo Monti e della sua manovra. Ovviamente tutte le opinioni sono degne di rispetto e la “Voce” ha il grande merito di farle conoscere ai suoi lettori.
Naturalmente ho letto con attenzione (non solo sulla “Voce”) le opinioni diverse dalla mia e ne ho valutato gli argomenti, ma, pur lasciando da parte i difetti di origine di questo governo connessi (democrazia e sovranità popolare), le argomentazioni dei fans cozzano contro due realtà inoppugnabili: 1) la manovra diminuisce visibilmente il potere d’acquisto dei cittadini e, quindi, aggrava la fase recessiva già in corso; 2) tranne rare eccezioni (vedi i proprietari di grandi yacht, che potranno facilmente sottrarsi ormeggiando in Spagna o in Francia) la platea dei colpiti è quella dei soliti noti, il ceto medio, i cittadini comuni, mai come questa volta autorizzati a dire: “Capitano tutte a me!”. Sulle loro spalle si abbattono, difatti, l’aumento del prezzo dei carburanti (quasi il 100% degli italiani ha un mezzo a motore a benzina o a gasolio); la reintroduzione dell’Ici sulla prima casa (circa l’80% vive in abitazioni di proprietà); la diminuzione del trattamento pensionistico per la sostituzione del contributivo al retributivo; la crescita dei prezzi per i due punti di IVA in più, che, in quanto consumatori finali, non possono scaricare; gli effetti della recessione (cassa integrazione e perdita di migliaia di posti di lavoro).
E forse si è dimenticato qualcosa. E questi sono fatti riconosciuti, sia pure distinguendo e sottilizzando, anche dagli editorialisti di grandi giornali certamente non avversi al governo Monti come il Corriere della Sera, che lascia spazio ai dubbi e ai timori di Angelo Panebianco, che, pur non essendo del tutto contrario, teme gli “effetti depressivi”, e di Dario Di Vico. Scrive quest’ultimo: “Imprenditori e sindacati sanno che almeno sul breve l’introduzione di nuove imposte, necessaria come tampone, non potrà che acuire i segni della recessione e aprire un pericoloso gap temporale tra i sacrifici richiesti agli italiani e la tenuta dell’economia reale”.
Prudentemente, Di Vico dice “sul breve”, ma tutto lascia credere che sul lungo non andrà meglio. Sacrifici inevitabili – si obietta – che consentiranno all’Italia di uscire dalla crisi. Ci si può sforzare di credere a questi profeti della buona ventura, ma riesce molto più persuasiva l’analisi di Marcello Foà, convinto che la manovra lacrime e sangue soddisfi i mercati finanziari nell’immediato, ma ponga le premesse per una nuova voragine nel medio periodo, perché “tassare in modo massiccio e iniquo, come sta facendo Monti, significa causare una forte contrazione dei consumi, che farà sprofondare l’Italia nella recessione secondo questo schema: più tasse meno consumi, meno consumi più disoccupazione, più disoccupazione più spese sociali, dunque meno introiti Irpef, minor gettito Iva, il che significa nuovi imprevisti buchi di bilancio”.
Rimane allora a favore della manovra e del governo un unico argomento, del resto messo in campo dallo stesso Monti nel discorso per ottenere dal Parlamento la collaborazione per ”invertire la spirale della crescita del debito, che può arrivare ad avere conseguenze drammatiche sull’Eurozona”, perché “se l’Italia non sarà in grado di reagire le conseguenze saranno drammatiche, e potrebbero mettere a rischio la sopravvivenza della moneta unica con conseguenze destabilizzanti per l’economia mondiale”.
Con ogni probabilità è tutto esatto. Senza l’Italia, che non è la Grecia e nemmeno la Spagna, è probabile che l’Eurozona vada a ramengo e che i sussulti investano, se non l’intera economia mondiale, tutto l’Occidente. Ma allora, a meno che non si voglia chiedere agli italiani di immolarsi sull’altare dell’euro e di una Unione europea ormai coincidente in tutto e per tutto con una Eurolandia governata dalla Bce e dal direttorio franco-tedesco, altra è la domanda da porsi: dando per scontato che anche l’uscita dall’euro comporterà grandi sacrifici, il rapporto costi-vantaggi è più favorevole (o meno sfavorevole) se si esce o se si resta? O altrimenti: è più probabile che portino gli italiani fuori dal tunnel della crisi i sacrifici fatti per restare o quelli per uscire? Dobbiamo riconoscere che la quasi totalità dei politici e la maggioranza dei tecnocrati profetizzano in caso di crollo dell’euro disastri da fare impallidire Nostradamus e i Maya.
Tuttavia resto perplesso e mi chiedo se questi signori, che dieci anni fa ci avevano garantito l’epoca d’ora della moneta unica, meritano ancora la nostra fiducia. Per il momento Mario Monti un risultato (buono o cattivo che sia) l’ha ottenuto: dopo quasi due decenni ha ricompattato le grandi Confederazioni sindacali, separatesi durante l’era berlusconiana e ora nuovamente unite contro la manovra.
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