La tv sa dire no. I casi Mika Brzezinski e Luca Tiraboschi.

Quanti di noi, di fronte a notizie impalpabili e irrisorie piazzate in apertura di un tg, hanno sognato che il giornalista, incaricato di porgere con garbo il prezioso testo confezionato da qualche collega, si ribellasse? Buttasse i fogli all’aria e, da impeccabile obiettore gandhiano, pronunciasse un fermo e nobile “mi rifiuto”? Sogni… E quanti di noi, di fronte a programmi stupidi e violenti in orario da bambini, nonnetti e casalinghe, hanno sognato che in un sussulto di moralità, in un risveglio di coscienza assopita, il telemandarino di turno decidesse di eliminare almeno uno di quei programmi, rinunciando perfino a qualche sugosa inserzione pubblicitaria? Sogni…
A dimostrazione che la tv è veramente capace di tutto, ma proprio di tutto, nel male ma anche nel bene, nelle ultime ore entrambi i sogni si son tramutati in realtà. Per il primo sogno dobbiamo volare negli Usa. A “Morning Joe”, programma della rete Msnbc, è il momento delle notizie. La giornalista Mika Brzezinski legge il sommario, e al primo posto c’è la scarcerazione di Paris Hilton, la “party girl” nota per fare infiniti mestieri (cantante, attrice, indossatrice, ospite…) senza saperne fare nessuno. La Brzezinski ha un moto di fastidio, poi di rabbia, sussurra una frase del tipo: “Detesto questo genere di notizie e un tg non può cominciare così”, quindi appallottola il foglio e tenta perfino di bruciarlo. L’altro conduttore ci scherza sopra, le immagini della Hilton vanno comunque in video, la Brzezinski affranta si tiene il capo tra le mani, ed infine riprende a leggere le notizie meno importanti, come i morti americani in Iraq e altre inezie simili.
Mika Brzezinski è figlia di Zbigniew, che fu braccio destro del presidente Jimmy Carter. Così si potrà favoleggiare del sano, autentico, risorgente spirito democratico americano; fare la coda (si fa per dire) su YouTube per ammirare il siparietto; o, in Italia, esercitarci in facili giochi di parole (“La notizia la legge Mika”).
Il secondo sogno (pizzichiamoci: siam desti?) è italiano. Dopo la tragedia di Chris Benoit, campione della Wwe, la World Wrestling Entertainment, che ha ucciso moglie e figlio ed infine si è impiccato, Luca Tiraboschi, direttore di Italia 1, ha deciso di sospendere “Wrestling Smack Down!”, in onda ogni domenica alle 10.45, “nel rispetto del pubblico dei più piccoli che non può correre il rischio di confondere la realtà con la fantasia”. Dopo aver partecipato a infiniti convegni dove i telemandarini replicavano con smorfie di compatimento a chi faceva notare il rischio che alcuni bambini, meno dotati di abilità critica, potessero effettivamente confondere la realtà con la fantasia, diciamo: bravi, saggia decisione, per quanto tardiva.
La tv può dunque rinsavire e non è vero che la folle rincorsa all’audience ad ogni costo sia ineluttabile. Audience: per quale motivo piazzare Paris Hilton in apertura del Tg? Audience: perché gonfiare il palinsesto, alla domenica mattina, con gli ipertrofici (mediocri) attori della lotta libera americana?
Prendiamo i due sogni avverati al pari d’un refolo di brezza nell’afosa estate televisiva. Non solo bonaccia, nello stanco stagno catodico. Brava Mika, bravo Luca: adesso imitiamoli.
(Da “Avvenire” del 30 giugno 2007).

Adolescenza, servizi, istituzioni

Il mondo giovanile incontra sempre più difficoltà a difendere e rivendicare la propria specificità e la propria valenza a livello sociale. Da tempo l’adolescenza non è più un’area protetta, ma un terreno aperto ad incursioni di ogni tipo, e a fronte di questa vulnerabilità, rimane la fascia d’età meno garantita da parte dei servizi. Mancano interventi preventivi specificamente orientati alla popolazione adolescenziale, nonostante questa esprima da sempre bisogni specifici. L’adolescenza rimane una zona franca per il sistema scolastico, che tra le varie tipologie di servizi è quella che soffre maggiormente di una crisi strutturale irrisolta e che rimane un’ agenzia molto carente, per generale riconoscimento, sotto l’aspetto didattico, e nella cui valenza educativa nessuno obiettivamente confida. I servizi socio-sanitari non prendono nella dovuta considerazione l’ età adolescenziale come problema in sè, se non nei casi di patologia o devianza conclamati: spesso gli operatori preferiscono intervenire a danno avvenuto, forse in virtù di una sorta di moratoria interventiva o forse in attesa dell’acquisizione di ruolo da parte dell’ adolescente. Le agenzie politico-culturali, per parte loro, continuano a considerare l’adolescente un consumatore-spettatore, in un mondo in cui la cultura della devianza risulta molto più remunerativa dell’educazione al conformismo.
Ma le strutture demandate e le agenzie di socializzazione sono deficitarie soprattutto sotto l’aspetto comunicativo, a causa della moltiplicazione, confusione e contraddittorietà dei messaggi e dei codici. Un esempio: il Ministro per gli Affari sociali, nel giro di un mese ha auspicato la legalizzazione della droga in virtù della sua pericolosità, poi si è fatta paladina dell’innocuità di certe sostanze, e nel frattempo ha annunciato che invierà i NAS nelle scuole a controllare il giro di spinelli. Possiamo solo immaginare quali effetti perversi provochi un messaggio al tempo stesso ambiguo e collusivo nei confronti di un comportamento deviante, in special modo se questo messaggio proviene da una fonte istituzionale.

SuperGoogle! In arrivo il Grande Cervello

Mister Eric Schmidt, l’intraprendente presidente di Google, assomiglia in modo inquietante a Dwar Rein. Chi sia costui lo riveleremo solo alla fine. Parliamo di Schmidt, manager che guarda lontano, molto lontano. Recentemente, parlando di Google al mensile “Wired” ha detto due cose: la prima già la sapevamo, la seconda temevamo di venirla a sapere.
La prima. “Google è un modo per fare pubblicità; un colossale supercomputer; un fenomeno sociale che coinvolge l’azienda, la gente, il marchio, i valori”. Che a una neanche troppo ristretta elite il resto dell’umanità interessi solo in quanto umanità consumante, homines consumantes, non meraviglia. Se qualcuno si dimostra interessato alle mie paure e ai miei sogni, suggerendomene di nuovi che neanche immaginavo di possedere, e ancora a come organizzo il mio tempo, alla mia famiglia, perfino alla mia fede… penso: che cosa mi vuoi vendere? La consumerist society o società di consumatori, a voler essere integrati, ha un nobile fine: far muovere il denaro più vorticosamente possibile, affinché tutti possiamo averne tra le mani di più, assieme a più merci che però ci restino in tasca il meno possibile, per far posto a merci nuove. A voler essere apocalittici, ha un ignobile fine: spremerci come limoni con la premessa che ogni modo è buono per riuscirci. La nostra privacy? La riservatezza è un ostacolo sulla via di quella perfetta conoscenza del consumatore, che spalanchi le porte al perfetto consumo vorticoso.
Come riuscirci? Con la seconda cosa detta da mister Schmidt: “Google, entro cinque anni, sarà un sito capace di rispondere a domande individuali come: che faccio domani? Oppure: quale lavoro dovrei scegliere? Nessun amico potrà conoscerti e consigliarti meglio”. L’inquietudine nasce dalla domanda: e se non desiderassi affatto un simile amico? Sembra di capire che sarà difficile sfuggire a tanto affetto, a meno di non trasferirsi su un pianeta deserto (un’isola non basta più, da quando esistono le connessioni satellitari). Presto ci affideremo al cloud computing, che risponde a questo desiderio che, ci scommettiamo, prima di leggere queste righe ben pochi di voi pensavano di avere: perché inzeppare il nostro povero pc di dati su dati personali, quando possiamo ficcare tutto nel megaserver e usare il nostro pc come un agile terminale?
Più che un Grande Fratello orwelliano, dietro l’angolo ci attende un Grande Cervello, capace di pensare tutti i nostri pensieri al posto nostro. Gran bella comodità, sia ad essere integrati che apocalittici. Il Grande Cervello anticiperà i nostri desideri e ci solleverà da alcuni ingombri quali il senso di responsabilità e la coscienza.
Per questo Schmidt rischia di assomigliare a Dwar Rein, il protagonista di Answer (La risposta), fulmineo racconto – più breve di questo articolo – scritto da Fredrick Brown nel 1954. In un remotissimo futuro, l’umanità collega tra loro tutti i calcolatori di 96 miliardi di pianeti abitati. Tocca a Dwar Rein porre al supercomputer, che Schmidt battezzerebbe forse Googlino, la domanda delle domande: “C’è, Dio?”. Risposta: “Sì, adesso c’è”. Un fulmine incenerisce Dwar Rein fondendo i circuiti e impedendo a chiunque di spegnere Googlino. Apocalittico alquanto, anche perché non prevede pianeti deserti.
La morale è trasparente: chi comanda a chi? Siamo noi i padroni della tecnologia, o è la tecnologia che è padrona di noi, del nostro tempo, dei nostri sogni, della nostra vita, fino a trasformarsi nel nostro dio? Non serve un pc per rispondere.
(Da “Avvenire” del 25 maggio 2007).

Il “microfono” di Pio XII, il gramscismo cattolico e i fumetti

Padre Riccardo Lombardi, gesuita, fu noto negli anni Quaranta e Cinquanta con un soprannome impegnativo: “microfono di Dio”. Pio XII, avendone in grandissima stima l’oratoria martellante, aveva conferito a lui la missione di bandire a suo nome, in tutta Italia, una “crociata della bontà” che riconquistasse le anime a Cristo e trasformasse il mondo “da selvatico in umano, da umano in divino” [1]. Il nostro “microfono”, dati i tempi, alzava la voce in particolare contro il pericolo comunista, mettendo in guardia i fedeli dagli “atei senza Cristo, senza Dio, senza anima, figli del demonio con le mani sporche di sangue”, nientemeno, i quali miravano a trascinare nella miseria e nel fango l’intera società umana. Per contrastare tali operatori di iniquità, il sogno di Papa Pacelli era “che sorgessero immense falangi di apostoli, simili a quelle che la Chiesa conobbe ai suoi albori”. Padre Lombardi illustrava il piano d’azione in modo più preciso. Occorreva una “mobilitazione generale” dei cattolici, “una loro diffusa presenza in ogni luogo di potere, nei partiti, nei sindacati, nei giornali, nella radio, nel cinema, nell’università”; essi “dovevano mirare anche in alto, molto in alto, alle fonti della pubblica istruzione, alla conquista delle cattedre in generale, e in particolare di quelle universitarie, che potrebbero considerarsi chiave, nella cultura che riguarda direttamente la Chiesa”. Da buon cattolico d’antan, Padre Lombardi non usava mezzi termini: “la bonifica delle idee non sarà mai profonda e definitiva in Italia, finché le aule dove si creano gli indirizzi speculativi delle nuove generazioni saranno quasi tutte infestate dalla malaria”. Il “microfono di Dio”, al di là del linguaggio, affrontava qui un autentico problema pastorale, in seguito quanto mai eluso: ciò che Sant’Escrivà chiamava “apostolato dell’intelligenza” e che oggi, ben mezzo secolo dopo, è evidentissimamente il nodo più decisivo che i cattolici debbano risolvere: e stavolta al più presto, poiché ne va della salvezza delle anime in una società che di giorno in giorno si fa più confusa e sbalestrata. Padre Lombardi, oltrechè sulla conquista delle cattedre liceali e universitarie, contava parecchio anche sul cinema (di cui apprezzava “l’efficacia impareggiabile con cui imprime le idee mediante semplici immagini, anche in gente che non sarebbe capace di ragionare”) e sulla radiofonia, strumenti a cui oggi viene spontaneo aggiungere Internet e soprattutto la televisione. Ma non solo. Conviene soppesare attentamente l’amara constatazione di un grande pensatore cattolico dell’Ottocento, Juan Donoso Cortés, constatazione che dopo un secolo e mezzo resta a maggior ragione valida e attuale: “nel passato”, scrive Donoso, “gli errori stavano nei libri, in maniera tale che, non cercandoli in essi, non potevano incontrarsi da nessuna parte, mentre ai giorni nostri l’errore non sta solo nei libri, ma anche fuori di essi: sta nei libri, nelle istituzioni, nelle leggi, nei giornali, nei discorsi, nelle conversazioni, nelle aule, nei circoli, nei focolari, nel foro, in ciò che si dice ed in ciò che si tace” [2]: in una parola, l’errore sta ovunque. Dove, quindi, è d’uopo combatterlo? Certamente nelle università e nei palinsesti televisivi, ma tutto ciò non basta: bisogna combatterlo dove esso si manifesta, cioè ovunque appunto, e con ogni mezzo disponibile. Tra i cattolici qualcuno, alla buonora, ha cominciato a capire che la “nuova evangelizzazione” di Giovanni Paolo II deve concretarsi (Padre Lombardi e Pio XII docent) in un enorme Kulturkampf, in un “gramscismo cattolico” che mandi in tilt e poco a poco distrugga la cappa culturale generata, in Italia, da decenni di egemonia radical-socialista. Indubbiamente, poiché l’annuncio cristiano si rivolge alle singole anime e non alle masse anonime, rimangono insostituibili l’apostolato personale, la testimonianza di vita cristiana, la preghiera per le conversioni: ma non disgiunte da una ben concertata azione culturale volta a diffondere la visione della vita e la lettura della storia cattoliche, necessari praeambula fidei della nostra epoca. Per non rischiare l’astrattezza, porto un esempio concreto di quanto sto dicendo. ? uscito negli scorsi mesi, per i tipi della neonata ReNoir di Milano, il primo volume di una serie di fumetti (sì, fumetti) intitolata “Gli sconfitti” [3]. Ideatore e aiuto-sceneggiatore ne è quel Rino Cammilleri che, con Vittorio Messori e pochi altri, ha contribuito in modo decisivo, negli scorsi decenni, ad attualizzare e riportare in auge la nobile arte dell’apologetica [4]. Lo scenario di fondo del fumetto, nelle parole dello stesso Cammilleri [5], è il seguente: “nel West ottocentesco tre uomini incrociano i loro destini. Si tratta di un ex borbonico, un ex sudista e un ex asburgico. Il primo è un ufficiale napoletano in volontario esilio dall’Italia. Il terzo è un militare francese venuto in Messico al seguito dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo; dopo la fucilazione di quest’ultimo, è rimasto in America. I tre si incontrano per caso e si uniscono per ritrovare il tesoro dello sfortunato imperatore”. La particolarità di questa serie “consiste nel fatto che sposa volentieri il cosiddetto revisionismo storico, mostrando come sono andate certe cose dal punto di vista di chi le ha subite, e certe guerre dal punto di vista di chi le ha perse”: nel primo volume della serie, per esempio, si accenna alle vicende del “Risorgimento” italiano, mostrandone, contro la vulgata scolastica egemone, l’autentica natura: quella di brutale annessione espansionistica da parte del Piemonte ai danni degli altri Stati peninsulari, Stato della Chiesa compreso. “E c’è anche un altro aspetto “speciale”: l’attenzione alle tematiche religiose che nei fumetti, di solito, o sono completamente assenti o, al massimo, vengono scomodate per confezionare horror di tipo pagano-gnostico (v. Hellboy, Hellblazer, Spawn, Preacher…[6])”: nella nostra serie, invece, dei tre “sconfitti” due sono cattolici e uno protestante, e la cosa “avrà la sua importanza e i suoi sviluppi nel prosieguo della storia”. Il primo volume de “Gli sconfitti”, decisamente professionale e ben fatto sotto ogni punto di vista, costituisce un formidabile strumento di apostolato culturale per un motivo del tutto ovvio: è mille volte più facile regalare, consigliare, prestare, in ogni caso far leggere a qualcuno, specie se giovane, un agile e piacevole fumetto che non un noioso volume di storia del “Risorgimento”. E gli effetti sono gli stessi: un po’ di “errore” arginato e dissolto, un po’ di “verità”, anche solo a livello di precomprensione storiografica, propagata e ristabilita. Ovviamente è solo una goccia nel mare e, come ho detto, un esempio. Da imitare, nei metodi che la creatività e le capacità suggeriscono a ciascuno, per instaurare omnia in Christo.
***
[1] Per quanto segue, cfr. Antonio Spinosa, Pio XII. L’ultimo papa, Mondadori, Milano 1992, pp. 292-294 e 323-324. Sulla interessante figura di Padre Lombardi (1908-1979), personaggio decaduto dalla notorietà pubblica all’avvento di Giovanni XXIII, cfr. Giancarlo Zizola, Il microfono di Dio: Pio XII, padre Lombardi e i cattolici italiani, Mondadori, Milano 1990, o per una prima ricognizione http://it.wikipedia.org/wiki/Riccardo_Lombardi_(gesuita).
[2] Juan Donoso Cortés, Lettera al cardinal Fornari, 19 giugno 1852, in [Pio IX,] Sillabo [1864], a cura di Gianni Vannoni, Cantagalli, Siena 1998, pp. 111-135: p. 113.
[3] Cammilleri-Belli-Parma-Boldrini, La fuga (I volume della serie “Gli sconfitti”), ReNoir, Milano 2006. Il volume consta di 56 pagine a colori per euro 13.
[4] Proprio Cammilleri ha espresso benissimo l’importanza della “guerra culturale” cattolica in un articolo, intitolato appunto “Cultura”, apparso sul n. 53 del mensile Il Timone (maggio 2006, pp. 20-21).
[5] Cfr. http://www.rinocammilleri.it/beyondengine/frontend/exec.php?id_content_element=434.
[6] Tutte cose che, per dirla pittorescamente e con Pio IX, “ingannano e corrompono in modo compassionevole la gioventù e le somministrano fiele di drago nel calice di Babilonia”. Cfr. l’enciclica Qui pluribus del 9 novembre 1846, in Sillabo, cit., pp. 137-154: p. 145.

L’Adunata della “società del silenzio” – Cuneo 2007.

Si è parlato a lungo in questi giorni del “Family day” tenutosi a Roma lo scorso 12 maggio, al quale la nostra Associazione ha aderito con convinzione e grande spazio di discussione hanno avuto anche su questo sito, giustamente, i commenti all’evento che ha catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica italiana. Ho atteso, volutamente, qualche giorno per ricordare che in contemporanea alla grande manifestazione di Roma si è svolta anche un’altra imponente riunione in Italia, a Cuneo precisamente, l’80^ Adunata Nazionale degli Alpini. Credo che il 12 e 13 maggio 2007 saranno ricordati a lungo in Italia come i giorni della riscossa della gente perbene, delle persone, uomini, donne, bambini che pacificamente, ma orgogliosamente hanno finalmente voluto dimostrare al Paese che la maggioranza silenziosa sa anche mobilitarsi per difendere i valori in cui crede, in cui intende continuare a vivere, riconoscersi e ad educare i propri figli. A Cuneo, dicevo, si sono ritrovate 450mila persone, Alpini di ogni età, grado, appartenenza politica e preparazione culturale, accompagnati spesso da mogli e figli per ribadire al mondo con gioia, con serenità in allegria, ma con fede incrollabile che in Italia concetti quali l’amor di Patria, il senso del dovere, del sacrificio gratuito, dell’amicizia e della solidarietà hanno davvero ancora un significato profondo, radicato nell’animo della popolazione.

La “società del silenzio”, come è stata definita, ha saputo restare fedele ai valori, cristiani in generale, ma non solo, non come bandiera astratta, ma come vissuto quotidiano, come storia e come tradizione che sta alla base di una sana e pacifica convivenza tra gli uomini. A Roma e a Cuneo ha sfilato davvero la gente perbene, in una sorta di rivincita di un popolo. Il mondo mediatico ha presentato questa Adunata, purtroppo, soprattutto insistendo sul lato folkloristico e goliardico della manifestazione, che naturalmente c’è stato e mi auguro ci sarà sempre: un’allegria semplice, spontanea, coinvolgente, vorrei dire, realmente popolare, lontana anni luce dal concetto di “popolo” che si respira ormai da anni nei salotti radical-chic di certa sinistra nostrana. Ma vi è qualcosa di più del folklore che affratella persone cosi diverse fra loro: è difficile da spiegare, forse impossibile, per chi non ha il cappello con la penna bene in vista in casa. E’ un modo di vivere, di condividere valori ed idealità, fratelli nel senso più alto e vero del termine e, si badi bene, non solo chiusi nel ricordo nostalgico e retorico di un pur glorioso passato, ma bene radicati nel presente.

Perché degli Alpini ci si dimentica spesso, li si ricorda spesso con altezzosa spocchia e facile ironia; poi leggiamo i numeri di questa straordinaria famiglia che nelle calamità non si tira indietro, che ha educato i propri figli, i bocia, al sacrificio e all’amore per il prossimo, e restiamo sbalorditi: soltanto nel 2006, gli appartenenti all’Associazione Nazionale Alpini hanno svolto a favore delle varie comunità locali in tutta Italia, oltre 1 milione e 444mila ore di lavoro e raccolto e distribuito in beneficenza 5 milioni e 514 mila euro, denaro frutto di spettacoli, manifestazioni ed elargizioni fatte anche e soprattutto da singoli soci. Quasi un milione e mezzo di ore di lavoro per il prossimo, gratuite, frutto spesso di sacrifici e rinunce, sottraendo tempo anche agli affetti più cari. Le cifre, già impressionanti, rappresentano però circa il 50% del lavoro effettivamente svolto per le varie comunità: la metà delle sezioni dell’A.N.A. non ha voluto comunicare i dati, preferendo lavorare con modestia, senza enfasi in una naturale riservatezza che è tipica della gente di montagna, lontano dal clamore e dalle vetrine televisive. Opere di solidarietà vera, sul campo, nel fango e tra le macerie, che tanto hanno contribuito ad alleviare le sofferenze delle popolazioni colpite da calamità naturali: in Italia, nel passato anche recente, ricordiamo il terremoto in Friuli, in Irpinia, in Umbria, le alluvioni del Piemonte, della Valle d’Aosta solo per citarne alcune. Tali interventi si ritrovano oggi in esempi concreti in varie parti del mondo, tra cui lo Sri Lanka, il Mozambico, l’Afghanistan.

Ecco cosa c’è “dietro” l’Adunata Nazionale degli Alpini, c’è un convinto coinvolgimento personale, c’è la disponibilità ad ascoltare i bisogni dell’altro, c’è quella testimonianza di amore per i valori semplici e forti delle nostre tradizioni che spesso si preferisce non vedere, ma che rappresentano un’anima profondamente radicata nella società italiana. Un mondo di persone perbene che crede che vi siano dei valori che vale la pena difendere contro il relativismo morale che caratterizza il nostro tempo. A Cuneo sono arrivati, siamo arrivati, da ogni parte d’Italia e del mondo, per rivendicare con orgoglio questa appartenenza, in centomila abbiamo sfilato, tutti uguali solo in apparenza, ma ognuno con la propria storia e il proprio fardello di vita ed esperienze. Ed è stata la festa della semplicità, o, come ben ha detto il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, “un magnifico bagno nella normalità”.

Per un quarto d’ora di celebrità

Intervento di Aldo Grasso sul Corriere della Sera del 3 maggio 2007 Capita di dire delle sciocchezze: approfittando della lunga diretta tv, Andrea Rivera ha detto delle grandi sciocchezze sul Papa. Abituato a parlare ai citofoni di Serena Dandini, il ragazzo ha perso la testa, si è lasciato andare dimostrando, prima di tutto, di non essere ancora un professionista. Di fronte a queste intemerate, al facile applauso della folla, allo stordimento delle telecamere ci si chiede sempre: cercava l’incidente per avere il suo quarto d’ora di celebrità, per finire sui giornali, per imprimere il suo nome nella nostra memoria oppure, più semplicemente, cercava se stesso? Purtroppo temo sia andata così. Rivera si è abbandonato alle sue convinzioni sicuro di raccogliere l’approvazione del pubblico di piazza San Giovanni, e magari le polemiche del giorno dopo. Come probabilmente farà ogni giorno, nella sua cerchia d’amici, almeno da quando frequenta la tv. E questo succede perché nessuno gli ha mai detto che le sue canzoni sono modeste, molto modeste, che il suo umorismo è fragile, che non basta essere nel cast di “Parla con me” per far ridere. Dalla sua, però, Rivera ha un’arma forte, l’ideologia. Che ti fa credere di essere dalla parte giusta, che ti vieta ogni esame di coscienza, che ti unisce a molti altri giovani che la pensano come te senza bisogno di tanti interrogativi. Dal palco, Rivera ha parlato in automatico, purtroppo, megafono di un pensare logoro e disfatto: non aveva un’idea ma aveva idea di come dirla.

La notte prima degli esami

E’ uscito da qualche giorno nelle sale cinematografiche il sequel del film La notte prima degli esami.
Una storia di adolescenti carica di passioni ed esperienze. Senza nulla dire del contenuto del film che ricalca un cliché abbastanza diffuso, quello che mi ha colpito è la dichiarazione di una delle attrici protagoniste, di cui peraltro non ricordo il nome. Si tratta di una bella ragazza dai capelli biondi e dallo sguardo seducente che alla domanda di un giornalista, su cosa i giovani desiderino, ha risposto più o meno così: “I giovani vogliono essere protagonisti, vogliono poter sbagliare, in loro arde il desiderio di essere al centro della vita, di affrontare le situazioni più intriganti; inoltre i giovani vogliono poter pecc…” e qui, la parola si è come pietrificata sulle labbra della graziosa ragazza. Mi è sin troppo semplice riferirne il senso compiuto: “I giovani vogliono poter peccare”. Poi, eventualmente, se ne avranno la forza potranno reagire davanti ai danni prodotti con le loro azioni, o fregarsi le mani per l’occasione colta al volo e goduta sino in fondo; o magari potranno disperarsi per non aver saputo resistere alla seduzione di un invito che si è alfine rivelato un inganno.
Indipendentemente a quale dei casi vogliamo far riferimento, ciò che traspare da questa vicenda è un’idea di vita nella quale il singolo insegue solitario e istintivo l’avventura. Un’avventura che però non ha più la connotazione dell’imprevisto e del lampo che squarcia la monotonia del giorno. Il filosofo e sociologo Simmel, in un memorabile saggio dal titolo “L’avventura” osservava come ogni momento della vita ruoti attorno ad un centro e come ogni istante sia parte di un tutto; l’avventura, a suo dire, è un uscire da questo tutto, preda di una tensione e di un’emozione che prevalgono sul contenuto. In ogni avventura il prima e il dopo non contano, il tempo è come sospeso e con esso la storia personale; ma la forza dell’avventura sta proprio in questo: nel suo misterioso nascere e nel suo inevitabile finire, nel fatto che poi l’uomo rientri nel suo centro, nella sua normalità. Chi vive l’avventura prova una profonda soddisfazione proprio perché sa che si tratta di un momento irripetibile che si stacca dalla vita di ogni giorno.
Ora, la contemporaneità, che insegue la trasgressione e la soddisfazione del momento, ha smarrito persino il senso dell’avventura, perché la vita del singolo si concepisce come smodata ricerca del piacere, dell’emozione continua. Non esiste più una casa cui far ritorno, perché non esiste più alcuna normalità, alcun dovere. Quando la vita stessa diviene avventura, l’avventura scompare e ad essa subentra dapprima l’ansia poi, la noia. Il modello che noi osserviamo è quello incarnato dallo stile televisivo legato al successo il quale trasmette proprio questa idea di vita che vorrebbe espandersi e fagocitare tutti. Ma cosa cerca l’essere umano in tutto questo?
Credo che la persona quando desidera qualcosa, quando evade, cerca comunque e sempre la felicità, soltanto che spesso il bersaglio è mancato, perché ogni cosa raggiunta rivela la propria inadeguatezza. Un personaggio di un romanzo di Andrè Gide ebbe a dire: ” Ho portato arditamente la mia mano su ogni cosa e ho avanzato diritti su ogni oggetto dei miei desideri. Quanto riso ho incontrato sulle labbra ho voluto coglierlo, quanto sangue sulle gote, quante lacrime sugli occhi ho voluto berle. Ho voluto mordere la polpa di tutti i frutti protesi sul mio cammino. Cercare Dio nella gioia di ogni attimo fugace superando qualsiasi freno che possa impedirne anche una sola stilla”( …) “E dopo tutto ciò morire disperato.” Queste parole rivelano come la via dell’esperienza moltiplicata all’infinito non appaghi il cuore dell’uomo e come esso abbia bisogno di altro. Come l’io quale unico criterio della propria vita si riveli illusorio, una voragine che divora ogni cosa lasciandoci sempre più vuoti, insoddisfatti,affamati. “Il pane” che l’uomo produce ha infinite fogge, “i granai” per molti occidentali straripano, l’acqua abbonda, ma la nostra gola è arida.
E’ l’esperienza dell’idolo cui si contrappone, per il credente, l’incontro con la vera acqua, con il pane che sazia ogni fame.
Scriveva il grande poeta Clemente Rebora: “Qualunque cosa tu dica o faccia c’è un grido dentro, non è per questo, non è per questo, e così tutto rimanda ad una segreta domanda, l’atto è un pretesto.”
Alla giovane attrice vorrei chiedere :sei proprio sicura che i giovani abbiamo bisogno di moltiplicare le esperienze e le evasioni, quasi dimentichi del passato e dell’amore di chi ha loro donato la vita? L’esaltazione dell’attimo non è forse una fuga, un non guardare in faccia al presente e alla responsabilità verso se stessi e verso gli altri?
Vedo, nella mia esperienza, come la crescita umana si realizzi mirabilmente quando inizia l’esodo da noi stessi dal nostro io ipertrofico, dalla nostra pretesa di felicità e comodità; la crescita inizia quando vediamo per la prima volta l’altro, quando bambini scopriamo che esiste un mondo oltre il nostro orizzonte, un mondo fatto di persone. La crescita e la felicità germinano quando l’altro diventa per la prima volta più importante di noi stessi. L’amore vero fra un uomo e una donna non è forse questo? Le parole della giovane attrice sembrano dimenticare il mondo, la storia, l’esperienza di chi ci ha preceduto, per questo ci fanno paura. In esse si esprime un’idea di vita che in realtà è un’idea di morte. Poi, siamo proprio convinti che i ragazzi si lascino sedurre così facilmente dai modelli proposti dai divi, da coloro che concepiscono l’esistenza come un continuo esperimento, come una stimolante avventura?
Molti ragazzi anelano alla semplicità di rapporti veri, essi riconoscono il valore di un amore che duri nel tempo, essi vedono nello stesso sacrificio la possibilità di mettersi alla prova e di crescere.
No! Nonostante tutto i giovani hanno ancora risorse e voglia per essere protagonisti positivi del futuro, lontani dalle sirene nichiliste incarnate da attori e attricette inebriate dal successo.

Vivaio di Vittorio Messori

Un amico che conosce bene Gerusalemme mi segnala la censura praticata dalle guide turistiche – quelle stampate, intendo – e anche dai libri di storia, per quanto riguarda la fine della Città Santa cristiana . Avvenne nel 614 , con l’invasione dei Persiani guidati da Cosroe II . Poco più di dieci anni dopo , l’imperatore bizantino Eraclio la riconquistava , ma dopo altri dieci anni , nel 638, ecco l’invasione e l’occupazione dei musulmani del califfo Omar. La fine ( interrotta solo dalla provvisoria dominazione crociata ) inizia dunque con i Persiani , che mossero alla conquista di Gerusalemme istigati dalla numerosa e potente comunità ebraica installata ormai da secoli a Babilonia , dove aveva redatto tra l’altro la prima versione del Talmud. Gli israeliti pensarono di approfittare della potenza militare persiana per ritornare nella città da dove erano stati espulsi dai Romani , con divieto assoluto di rimettervi piede, nel 135, dopo la seconda rivolta .
In quel 614, le comunità ebraiche persiane si unirono a quelle installate in Galilea, che agirono da quinta colonna. In quel periodo , trecento anni dopo Costantino – la cui madre, Elena , aveva promosso la costruzione di splendide basiliche sui luoghi sacri – Gerusalemme era una bella e prospera città cristiana. I monasteri, maschili e femminili, erano un’ottantina ed erano affollati anche, talvolta soprattutto, di europei, spesso delle classi alte, lieti di consacrarsi a Cristo proprio là dove si era consumato il Mistero Pasquale . Dai credenti locali i dominatori bizantini non erano amati e forse anche questo contribuì alla insufficienza della difesa davanti all’attacco persiano . Avverrà, del resto, anche quando – poco dopo – gli arabi musulmani attaccheranno il Nord Africa cristiano : pure qui, l’unione del sabotaggio dei circoncisi e dell’avversione a Costantinopoli dei battezzati spiega la rapida caduta.
Sta di fatto che, quali che fossero i dissensi politici, nella Gerusalemme dell’inizio di quel VII secolo la fede nel vangelo era praticata con fervore e la liturgia celebrata alla Basilica del Santo Sepolcro e negli altri luoghi di culto faceva testo in tutta la cristianità. Su tutto questo si rovesciò all’improvviso la furia dei Persiani, accompagnati da molti e autorevoli consiglieri ebraici . Gli asiatici cercavano essenzialmente bottino e , quanto a religione, erano tolleranti, ma furono gli israeliti che li istigarono a distruggere le chiese cristiane e ad accanirsi contro i fedeli . Come si sa, si salvò soltanto la Basilica della Natività di Betlemme, perchè sul portale d’ingresso un bassorilievo in marmo rappresentava i Magi, nei quali gli invasori riconobbero i loro antenati mesopotamici .
Ma la furia non si fermò agli edifici , travolse anche gli uomini . Migliaia e migliaia di battezzati ( le cronache dell’epoca parlano addirittura di 60.000 ) , furono fatti prigionieri e ammassati fuori dalla attuale porta di Giaffa , in una località chiamata Mamilla e nota per una piscina costruita dai governatori romani , forse da Ponzio Pilato stesso . Messi subito in vendita come schiavi , gran parte di quei catturati furono acquistati dai consiglieri ebrei, con il denaro fornito dalla ricca comunità di Babilonia, e massacrati sul posto.
Dopo la costituzione dello Stato d’Israele e, poi , con il grande sviluppo di Gerusalemme proclamata capitale, la speculazione edilizia ha messo gli occhi su Mamilla : il borgo arabo che vi era cresciuto è stato raso al suolo per costruirvi un quartiere residenziale ebraico e l’albergo Hilton. Quando ci si accinse a riempire , dopo averlo prosciugato, quanto restava della piscina romana , si scoprì una cappella bizantina con una croce e la scritta in greco : << Solo Dio conosce i loro nomi >>. Sotto il piccolo edificio , un’enorme quantità di scheletri , tragica testimonianza del massacro del 614. Il ritrovamento fu studiato dal celebre archeologo israeliano Ronny Reich che confermò che quelli erano davvero i resti dei battezzati comprati dai Persiani per essere sterminati.
Le comunità cristiane chiesero che il piano di speculazione edilizia fosse modificato e quell’angolo di Mamilla fosse conservato come memoriale . Ma, come si sa, la voce dei credenti nel Vangelo è sempre più flebile e impotente da quelle parti. Così , nel luogo della piscina non si sono costruite case, per il divieto ebraico di mescolare i vivi ai morti e il tabù di evitare ogni contatto tra loro. Ma le ruspe sono intervenute egualmente , tutta la terra con le sue ossa è stata asportata e dove c’era la piscina-ossario sta attualmente un grande parcheggio sotterraneo , ben conosciuto anche dai turisti. A questi – e sta qui la censura – nessuna delle loro guide fa un cenno a che cosa celasse quello che è noto come Mamilla Pool Parking. In generale, quelle stesse guide, pur spesso molto dettagliate , tacciono del tutto su quanto avvenne nel 614 , con l’inizio del calvario cristiano proprio nella città che il Calvario custodisce . Ci assordano da due secoli le orecchie – e non a torto, va ammesso – con il bagno di sangue praticato dai crociati quando riuscirono ad espugnare la Città Santa. Nessuno, però, ricorda che quel massacro era stato preceduto da un altro , praticato per giunta a freddo, non nella esaltazione di una battaglia disperata .
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A proposito di storia : anche in Italia ( come già in altri Paesi europei ) una legge minaccia il carcere a chi negasse non solo l’esistenza ma anche le dimensioni dei crimini nazionalsocialisti. Non è prevista invece alcuna sanzione per chi negasse quelli comunisti, che pure fecero cataste di morti ben superiori. Rischio di guai, poi, per chi esagerasse nel denunciare quella strage degli innocenti che è l’aborto, praticato ormai – a spese pubbliche – come mezzo di regolazione delle nascite. Proprio mentre scrivo, in Lombardia sono pronunciate parole minacciose – e non da estremisti ma da autorevoli politici – contro coloro che hanno proposto di seppellire i feti in terra consacrata , invece di avviarli agli inceneritori per i ” rifiuti speciali “.
Ma così va un mondo che si basa sull’ipocrisia più sfacciata . Un mondo dove i ” medicalmente corretti “, gli apostoli del salutismo liberal , gli adoratori del corpo chiedono addirittura di rifiutare le cure del servizio nazionale ai fumatori e agli obesi. << Se la sono voluta loro, che si arrangino ! >> . Provate però a proporre altrettanto, a quei virtuosi benpensanti , per gli infetti da Aids , con la stessa motivazione, peraltro impeccabile che << se la sono voluta loro >>, con il disordine sessuale , spesso omosessuale . Verrete insultati : i gay fanno parte delle categorie intoccabili , a loro ogni onore e cura premurosa . Gratuita, s’intende. E chi avesse da obiettare non è che un oscurantista fascista.
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A proposito di paradossi , trovo su un giornaletto che mi spediscono questa specie di filastrocca : << Nessuno vuol più sposarsi, eccetto i preti e i froci. Nessuno vuol più entrare in seminario, eccetto le donne. Nessuno pretende più i sacramenti, eccetto i divorziati >>.
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A proposito, adesso , di matrimoni. Segnalo ai sociologi la straordinaria solidità delle nozze in Croazia , solidità che raggiunge un primato nella cittadina di Siroki-Brijeg , che è in Erzegovina ma è popolata tutta da Croati . Tra i suoi 13.000 abitanti nessuno ha memoria di un solo divorzio ; anzi, di nessuna separazione. Non sono esenti, da quelle parti , dal peccato originale ma , forse, il loro segreto è il non avere perso il realismo cristiano , il non avere ceduto cioè al mito dell’amore ” romantico ” che sembra tanto bello , ma solo finchè dura. Dopo di che, si passa a nuovi incontri, per riprovare l’ ” emozione ” degli effimeri e ingannevoli “sentimenti “. E invece, il duro ma cristiano realismo croato si manifesta nella stessa liturgia , quando il sacerdote officiante si rivolge ai due nubendi e dice loro non parole mielose ma , chiaro e tondo : << Avete trovato la vostra croce >> . Consapevole di questo, la coppia saprà apprezzare i momenti di gioia, ma saprà anche non reagire, pensando a chissà quale ” nuova vita felice ” con un’altra persona, nei fastidi , nelle stanchezze , nelle ripulse che contrassegnano ogni convivenza familiare.
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Entrai a scuola, per la prima elementare , negli anni ormai remoti del dopoguerra . Alle pareti non avevano ancora tolto le grandi carte che rappresentavano gli ” imperi coloniali “. C’era una convenzione geografica internazionale che a ciascuno di loro aveva attribuito un colore : mi impressionava , sulla carta della mia classe , l’enorme estensione del rosa che era , mi pare di ricordare , la tinta dell’impero inglese e del Commonwealth. I francesi ( anche qui se la memoria non mi tradisce ) avevano l’azzurro , predominante in Africa . Il verde chiaro era per gli italiani e si fermava allo scatolone di sabbia della Libia e al Corno d’Africa, con Etiopia , Somalia, Eritrea e il puntino nell’Egeo del Dodecanneso. Niente per la Germania, che aveva perduto tutto già dopo la prima guerra mondiale e patetica la Spagna che , dopo avere dominato sull’Impero sul quale non tramontava mai il sole, non conservava che un piccolo, disabitato lembo del Sahara atlantico. Il Portogallo, invece , aveva le grosse macchie ( in marroncino, forse ) dell’Angola e del Mozambico.
Nella scuola non erano rimaste solo le carte del nazionalismo novecentesco, ma anche le retoriche di quello ottocentesco, il nazionalismo risorgimentale . Dunque , in quelle aule che , tra l’altro erano in una Torino soltanto da pochissimo non più sabauda, maestre e maestri ( c’erano ancora degli uomini alle elementari ! ) ci iniziarono da subito alle grandi frasi dell’epopea della Patria. Ecco allora Garibaldi a Calatafimi : << Bixio, qui si fa l'Italia o si muore !>>, Carlo Alberto e il giovane figlio dopo Novara, davanti a Radetzky che chiedeva l’abolizione delo Statuto : << Casa Savoia conosce le vie dell'esilio, non quelle del disonore >>. Non mancava neppure il virile , perentorio << A Roma ci siamo e ci resteremo ! >> di Vittorio Emanuele II entrando nel Quirinale appena sequestrato a Pio IX. Soltanto molto più tardi , laureandomi ( guarda caso ) proprio in storia del Risorgimento , appresi che in realtà la frase vera così suonava , nel piemontese che era la lingua madre del Padre della Patria : << Finalmènt aj souma ! >> . Dunque, un “finalmente ci siamo” pieno di sollievo , dopo le fatiche di un viaggio da Firenze tutto in carrozza, su strade impantanate , visto che l’alluvione di quell’ autunno del 1870 aveva trascinato via la strada ferrata oltre che allagato Roma.
Insegnavano, a noi bambini, non soltanto le frasi che entusiasmavano o inorgoglivano , ma anche quelle che indignavano. Prima fra tutte , quella sprezzante dell’austriaco principe di Metternich a chi gli parlava di unità della Penisola : << L'Italia è solo un'espressione geografica>>. Facciamogliela vedere noi, se siamo un popolo o solo un nome sulla carta ! arringarono nel 1848 i paladini della rinascita nazionale . Cent’anni dopo , alle mie elementari, c’era ancora un filo di indignazione nella voce dell’insegnante che ci ripeteva quella offesa all’onore italico .
Le cose, naturalmente , non sono andate così . Già lo si sospettava da tempo, ma in questi mesi un dotto articolo ha chiarito che non si trattò di una risposta arrogante del Cancelliere austriaco . In realtà, la frase era stata scritta in una sintesi diplomatica dove si diceva : << L'Italia è un nome geografico >> . Una constatazione, cioè, del tutto inoppugnabile , alla pari della stressa espressione usata in quel documento medesimo per la Germania. Nessun insulto, dunque, ma la descrizione ” neutra ” di un fatto. Eppure, l’odio innescato anche da quella manipolazione si trascinerà sino al fatale 1915 , quando il nazionalismo – dove confluivano la destra dei rètori alla d’Annunzio e alla Papini, allora ateo, e la sinistra dei massoni e dei socialisti alla Cesare Battisti – riuscirà a trascinare l’Italia nella ” inutile strage “. Quella che , alla fine, oltre a 600.000 giovani morti ci regalerà il fascismo e , poi, un’altra guerra rovinosa.
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Se Gesù abbia voluto – e con quali prerogative e poteri – un Suo ” vicario ” per la Chiesa militante ; se esista nella Chiesa un ” primato di Pietro ” , passato ai suoi successori e destinato a durare sino alla Parusia . Questo , in fondo, il problema centrale del dialogo ecumenico tra il cattolicesimo e le due altre grandi famiglie cristiane : quelle nate dai riformatori del XVI secolo e quelle orientali, greche, slave divise da Roma da ormai un millennio. Più chiara è , ai non specialisti, la posizione dei protestanti che , seppure con accenti diversi, escludono la legittimità del Papato, così come è inteso dai cattolici. Meno conosciuta è la posizione delle molte Chiese orientali , alcune delle quali venerabili per antichità e prestigio, ma la cui teologia è per molti un oggetto incognito. Eppure , è proprio con esse che il dialogo è più urgente e potrebbe essere più fruttuoso , come non si stancava di ripetere papa Wojtyla, venuto dall’Est e desideroso che la Chiesa tornasse a << respirare con due polmoni >>, quello Occidentale e quello Orientale.
Anche per questo ho letto con profitto, e consiglio ai lettori, un libro piccolo per mole ma le cui poco più che 200 pagine sono molto dense e precise, scritte come sono da Nicola Bux , specialista di teologia del cristianesimo orientale e da Adriano Garuti , docente di ecumenismo e per vent’anni in un posto chiave, come responsabile della sezione dottrinale della Congregazione per la fede. Il saggio, stampato dalle Edizioni Studio Domenicano di Bologna, annuncia sin dal titolo le sue intenzioni : Pietro ama ed unisce. Un ” servizio petrino “, dunque, non come egemonia alla maniera del mondo, ma come servizio di amore e unione tra tutti i credenti in Cristo. Una prospettiva che è nella linea di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI .
L’impegno ecumenico degli autori , il rispetto per la grande Tradizione orientale non impedisce loro quel parlare chiaro che è doveroso tra fratelli nella fede ed è presupposto indispensabile per un dialogo autentico . Significativa, ad esempio, una pagina sull’atteggiamento attuale della Chiesa russa : << Il patriarca Bartolomeo I ha affermato che l'uniatismo è " una illecita e coperta infiltrazione espansionistica della Chiesa romana nello spazio dei popoli ortodossi " . Ora , se considerassimo analogamente l'Italia e l'Europa uno " spazio " cattolico , come giustificherebbero gli ortodossi l'azione di promozione di alcuni loro insediamenti? (....) Nella Chiesa di Russia si è giunti a definire " stranieri " i cattolici che pure, da secoli , nascono in quel Paese. A parte l'incongruenza del termine " straniero " nella Chiesa dove, come dice san Paolo, non vi sono più stranieri né ospiti ma familiari di Dio ( Ef 2,19 ) , c'è da pensare che sia un diversivo per nascondere le difficoltà nella missione >>.
Proseguono Bux e Garuti : << In Russia, è in atto una diffusa secolarizzazione come in Occidente , tutto è stato sradicato, si sono insediati il consumismo e l'idolatria del denaro. Bisognerebbe guardare all'immane sofferenza dei martiri del comunismo, non preoccuparsi di conservare solo gli assetti ecclesiastici; non vedere negli altri cristiani degli intrusi, ma protendersi - tra le sfide del mondo odierno - ad annunciare Gesù Cristo nel vuoto delle coscienze e della degradazione morale creato da oltre un secolo di ateismo , non presumere di agire separatamente in un così immane compito, per aprirsi alla collaborazione>>.
Parole al contempo amare ed affettuose. Ma che , ad Oriente, non sembrano trovare ascolto tra chi pure ha vissuto la più grande tragedia mai subita da cristiani. Tra gli enigmi del nostro tempo c’è quello di Chiese martirizzate per decenni dal comunismo e che non sembrano avere tratto alcuna lezione da quella esperienza terribile.
Vittorio Messori

San Valentino, pensaci tu

Gentile san Valentino, quest’anno vedi di non esagerare. Non è proprio il caso. Potresti passare dei guai seri. Perché? Prendiamo una situazione tipica di queste ore. Lui porge a lei una rosa, un fiore di campo, un diamante, un cioccolatino. Le canta una canzone, le recita una poesia. Insomma lui porge a lei un segno adeguato alla situazione, alla sensibilità, alla generosità e al portafoglio. Per dirle: “Ti amo. Di più: ti amerò tutta la vita”. E tu, dall’alto, leggi nei loro cuori, li scopri sinceri, ti commuovi, sorridi e sussurri: “Vi benedico”. Ecco, intanto “bene-dico”, e sottolineiamo dico, proprio tu non lo devi dire e neanche pensare per non beccarti un iroso rimprovero di “indebita ingerenza del paradiso nelle vicende interne delle coppie terrene”. Nessun accenno al verbo dire, in tutte le sue coniugazioni. C’è il rischio che scoppi un caso diplomatico, e per ritorsione potrebbero essere chiamati in causa i Patti del ’29. Si sa che l’amore brucia, ma qui stiamo scherzando col fuoco.
Non esagerare. I due si promettono amore “per sempre”, ma non sanno quello che dicono. Per forza, sono innamorati. Poi l’amore svapora, si pentono, ma intanto anche grazie a te si sono sposati e tutto si fa complicato, separazione, divorzio, avvocati, figli traumatizzati, anni di attesa prima di tornare liberi… Innanzitutto, devi convincerli a dire: “Ti amerò per un po’, un lasso ragionevole di tempo e poi si vedrà, d’altra parte non possiamo porre limiti alla nostra libertà, compresa la libertà di innamorarci di qualcun altro. Oggi desidero te, ma i desideri vanno e vengono”. Ti piace? Certo che non ti piace. I santi sono irragionevoli. Uomini privi di ripensamenti. Tu, poi. Un martire. Uno che sulla sua libertà messa in gioco “per sempre” ci ha rimesso la testa (sulla via Flaminia, III secolo). Il martire è il testimone fedele che va fino in fondo. ? ovvio che ti piacciano i lui e lei che si promettono amore per sempre, e che guardi con aria perplessa chi dica: oggi ti amo, domani potrei desiderare un’altra, o un altro. L’amore con la scadenza come i formaggini, pensa te.
Troppi amori effettivamente scadono? ? vero. Ma un conto è investire tutte le energie affinché durino, e allora le piccole (e grandi) crisi risolvibili si possono risolvere e la coppia ne esce più solida di prima. Tutt’altro conto è il consumismo dei sentimenti, con la persona alla stregua di un oggetto: se non mi soddisfi, ti cambio. Nella più lineare logica consumista. Ma questa è la modernità: legami fragili, deboli, che si sciolgono con un sms da fidanzati e con una raccomandata da conviventi. Perciò tieniti leggero pure tu, quest’anno, e non esagerare. Oppure…
Oppure no, guarda, adesso che gli arcigni censori anticlericali hanno smesso di leggerci, perché giunti a metà articolo si sono rilassati e hanno cambiato aria, adesso che siamo soli tra di noi, quest’anno vacci giù duro, distribuisci benedizioni a man bassa, di quelle toste, contribuendo a creare le premesse per futuri legami forti, solidi, che non c’è burrasca che tenga. San Valentino, non è vero che non sappiamo più a che santo votarci. Ci sei tu. Però datti da fare.
(da “Avvenire”, 14 febbraio 2007).

Poligamia e società italiana

Secondo un recente sondaggio apparso in televisione in questi giorni, il 35 per cento degli Italiani si direbbero favorevoli alla poligamia.
La notizia è sconcertante, ma non deve stupirci più di tanto se pensiamo che la motivazione che sta alla base dell’accettazione di questa pratica è la tolleranza di principi religiosi diversi dai nostri.
L’idea di tolleranza nei confronti della poligamia a dire il vero è stata suggerita abilmente dalla stessa domanda formulata dai sondaggisti che hanno chiesto: “Sareste favorevoli, in nome della tolleranza nei confronti di una religione diversa dalla nostra ad ammettere la poligamia”?
Di che religione si tratti è facilmente intuibile, meno ovvio è ritenere che per essere buoni musulmani occorra essere poligami, quasi si trattasse di un precetto.
Quello che più ci deve far riflettere però mi pare invece la percentuale dei sì. Moltissimi italiani con la loro risposta acconsentono infatti ad introdurre nel nostro paese una pratica che la nostra civiltà ha giudicato come inadeguata , per non dire primitiva e barbara, in quanto fortemente discriminante nei confronti della donna.
Insomma una verità che sembrava patrimonio indiscusso della nostra vita è ora posta in discussione. Una di quelle verità che tanto faticosamente l’uomo ha cercato e con altrettanta fatica affermato nel corso della propria evoluzione storica, ancora una volta è scossa, offesa, sfregiata e negata. Essa sembra aver perso la propria trasparenza.
Il fatto paradossale però consiste nell’evidente convergenza fra due visioni della vita che parrebbero elidersi a vicenda. Quella islamica e quella radical-libertaria. Perché?
Per il radicale e per chiunque neghi una solida fondazione dei valori, la verità non esiste. La vita dell’uomo, i principi, le forme di convivenza, la famiglia, le istituzioni, la sessualità, tutto per il relativista apparirà come opinabile. Pertanto, anche l’unione fra uomo e donna non sarà che una forma determinata storicamente, formalizzatasi lungo la storia nell’istituzione matrimoniale, ma comunque sempre aperta ad evoluzioni e aggiornamenti che ne alterino anche radicalmente la natura. Questo perché l’uomo non si identifica con una natura, egli è semplicemente colui che tenta e sperimenta su se stesso ogni tipo di cosa.
Il fatto che storicamente la famiglia composta da un uomo e una donna abbia rappresentato e rappresenti la condizione in cui l’amore reciproco e la cura dei figli possa meglio esplicitarsi non lo riguarda. Il radicale perciò non farà fatica ad ammettere la possibilità che un uomo possa avere più donne e vivere loro assieme, purché vi si il consenso delle interessate. Probabilmente a ciò aggiungerà una postilla, che analoga possibilità sia concessa alle donne. In tal modo si realizzerebbe la perfetta parità fra i sessi, immaginando un nuovo tipo di unione, la poligamica, cui qualcuno, quando i tempi saranno maturi, proporrà di estendere tutte le tutele del caso.
Le cose che sto dicendo sono persino teorizzate da filosofi che oggi godono di un notevole consenso da parte dell’opinione pubblica.
A vedere come stanno andando le cose mi sentirei di proporre a molti dei miei studenti il mestiere dell’avvocato, specialista in diritto matrimoniale.
Ma torniamo al nostro “amico radicale”, al credo individualista, che lo connota così bene. Egli, potrà pur dirsi innamorato della famiglia tradizionale, ma non per questo riterrà di condizionare la libertà altrui di vivere come meglio crede.
Questo perché ogni sano relativismo è insofferente nei confronti della dimensione pubblica, della forza vincolante dei principi, persino di quei principi intangibili che ogni democrazia ed ogni società dovrebbero porre a fondamento della propria esistenza. Ed uno di questi è proprio la famiglia composta da un uomo e da una donna unita dal vincolo del matrimonio.
La poligamia insomma sembra farsi strada innanzitutto come idea: essa è il frutto di una concezione inadeguata di libertà e di tolleranza.
Tolleranza fra l’altro non estesa nei confronti di tutti. E’ di questi giorni la notizia che in una casa di riposo romagnola, contro la volontà di tutti i degenti sono stati eliminati i crocifissi. Tutto ciò in nome della tolleranza verso chi non crede. La cosa è sconcertante: la sola ipotesi che un giorno un non credente o un aderente ad un culto diverso dal cattolico possa entrare in quella casa di riposo, ha generato una violenza, un sopruso nei confronti degli anziani.
Non fatico a credere che molti di coloro che tollererebbero la poligamia sarebbero pure in prima fila nel “decontaminare” i luoghi pubblici dai simboli cristiani. Forse sono malizioso, chissà.
Resta il fatto che una possibilità che il Corano ammette e che la civiltà occidentale soprattutto dopo l’avvento del cristianesimo ha sempre rifiutato, sembra per molti italiani non provocare alcun fastidio.
Ma l’individualista non ha alcuna idea di cosa sia la poligamia; forse egli la concepisce come una possibile e stimolante variante nel rapporto fra i sessi, un privilegio per pochi ricchi in grado di mantenere più mogli.
Ma probabilmente mi sbaglio. La donna occidentale infatti lavora e quindi il “plurimenage” non è poi impossibile; inoltre lei stessa potrebbe avere più uomini.
Fatto sta che nel silenzio generale, da quanto riportano i giornali, risulterebbe che in Italia esisterebbero almeno 15000 unioni poligamiche celebrate religiosamente: si tratta di coppie di musulmani, secondo cui, come è risaputo, solo l’uomo può avere più mogli e non viceversa. Si preoccuperanno di questo i tollerantissimi italiani?
Ma chi se ne importa dei figli, dei rapporti fra i sessi, dei diritti delle donne: quello che conta è la libertà di autodeterminarsi. La costituzione almeno su questo punto, può essere cambiata.
C’è di che rabbrividire. Chi nega ogni principio e valore assoluto, per un attimo stringe la mani a colui che invece concepisce il mondo come pervaso e orientato dall’assolutezza di Dio e dei suo principi. Staremo a vedere.
Per concludere, qual è dunque il punto comune fra Islam e cultura radicale? Credo esso sia il non riconoscimento del diritto naturale, cioè la possibilità data a ciascuno di cogliere il bene e il vero semplicemente accettando il dettato della ragione naturale. E’ in nome di questo principio che comunisti e cattolici, in occasione dei lavori della costituente, hanno riconosciuto il valore della famiglia, della fedeltà, del matrimonio monogamico.