Targhe alterne: un disagio esagerato

E ci risiamo. Come tutti gli anni è giunto il provvedimento sulle targhe alterne. Iniziato lunedì 4 ed avanti fino a revoca, sperando nella pioggia. Ho provato una profonda rabbia in questi giorni di fronte ad un provvedimento tanto ingiusto quanto inutile e come cittadino oltre che impotente mi sono sentito anche preso per i fondelli. Vi spiego perché:

1. Ci dicono che il provvedimento è necessario perché sono aumentate le PM 10. Sorvoliamo sul fatto che in pochi sanno cosa siano queste “maledette” PM 10, ci basti sapere che l’andare in auto contribuisce ad aumentarle. Ma la carica dei 100.000 che hanno invaso il mercatino di Natale nel week-end le hanno forse diminuite? Sono forse venuti in bicicletta? Su questo non ci hanno detto niente.

2. Ci dicono inoltre che le targhe alterne, contribuiscono a migliorare la qualità dell’aria. Ma poi scopro che oltre alle innumerevoli deroghe al provvedimento, i dati del Comune dimostrano che il traffico diminuisce solo del 20%. Scopro inoltre che dal rapporto di Legambiente (dati quindi non contestabili al rialzo) il 10% del parco automobilistico, costituito dalle auto più vecchie, è responsabile del 50% di tutte le emissioni inquinanti dovute al traffico veicolare. Deduco quindi che le targhe alterne possano produrre ben pochi effetti sull’inquinamento complessivo e la dimostrazione è sotto gli occhi di tutti in quanto solamente la pioggia riesce a far diminuire tale concentrazione di polveri.

3. Ci dicono inoltre che le targhe alterne contribuiscono a migliorare il senso civico del cittadino, in quanto stimolano all’utilizzo dei mezzi pubblici. Ma poi penso che io già da anni vado al lavoro in autobus o a piedi (da Cognola al centro), penso che in casa abbiamo solo un’auto, penso che mia moglie la mattina fa una corsa contro il tempo per andare a Povo a portare la bimba e poi a Villazzano a lavorare, e mi viene in mente che non ci sono autobus di collegamento fra le periferie. Poi controllo bene gli orari dei mezzi pubblici e scopro che mi sbaglio: forse partendo alle 6:00 da Cognola ed andando a piedi alla fermata di S. Donà si può prendere il n° 9 alle 6:20, aspettare poi una mezz’oretta in Piazza Dante e prendere il n° 5 alle 7:06 diretto verso Povo, scendere alle 7:22, scarpinare per 20 minuti, lasciare la bimba e correre di corsa verso la piazza, prendere il n° 13 delle 7:50 ed alle 7:57 finalmente si arriva a Villazzano. In fondo solo 1 ora e 57 minuti per fare 4 Km. In effetti poi ci sarebbe anche il ritorno, non controllo gli orari ma sono sicuro che ci si impiega meno. Poi penso che forse è troppo presto far alzare una bimba alle 5:40 per partire alle 6:00 ed allora mi viene in mente che ci sono anche i Taxi. Ma si,in fondo si tratta di fare la tratta due volte al giorno, talvolta quattro, ma solo a giorni alterni e poi solamente fino a marzo (sempre se non piove). Faccio due conti e vedo che forse non mi conviene molto. Solo allora mi ricordo che anche mio suocero possiede un’ auto, ed è in pensione. Bene abbiamo risolto, la targa è diversa, compriamo un seggiolino nuovo, ogni sera facciamo lo scambio delle auto, e mio suocero se ne starà a casa per tre mesi. E’ si perché nei giorni pari non può circolare con la sua, e nei giorni dispari non può circolare con la mia.

Controllo a questo punto il livello del mio senso civico e scopro che è messo a dura prova ma continuo ad essere ottimista perché, il signor sindaco Alberto Pacher (uno fra i più amati d’Italia “dicono le statistiche”) e l’assessore all’ambiente con un nome altisonante come Pom-per-ma-ier, sicuramente avranno nel cassetto qualche idea per tentare di risolvere questo gravoso problema che provoca innumerevoli disagi ai cittadini. Resto in attesa che “ci dicano qualcosa”,……. Mah ? Mah ? Non sento nulla. Che le PM10 mi abbiano inficiato anche l’udito? Preso dallo sconforto non mi resta che augurarmi che cambi questa giunta incapace e sorda alle esigenze dei cittadini che “fortunatamente” chiedono soltanto di poter andare a lavorare senza dover fare il giro della città in autobus.

Speriamo che piova “governo ladro”.

Luca Trainotti

Alcune settimane dopo il provvedimento è stato abolito, clicca qui per accedere all’articolo.

Mamma la Turco!

Il ministro Ferrero, pochi mesi orsono, propose le "camere per il buco", sollevando una discreta alzata di scudi. Oggi il ministro Turco, senza volare così in alto, si limita, per ora, a raddoppiare la quantità di cannabis detenibile ad uso “personale”… Forse non è malizia ritenere che stanno tentando di riemergere vecchie tentazioni sessantottine.

Nel 1973 nel suo "Underground, a pugno chiuso", Andrea Valcarenghi scriveva: "C’è una storia del movimento degli anni Settanta che è stata dimenticata in ogni rievocazione. è la componente che veniva chiamata underground, quella che ha fatto emergere bisogni, ansie che gran parte della generazione del ’68 ha poi saputo esprimere attraverso il movimento delle donne, degli omosessuali […] l’esperienza delle comuni, del fumo, del viaggio in India…". E continuava: "Fare capire al vecchio proletario che la musica, l’erba, la comune […] sono roba comunista, è fondamentale […]. Noi dovremo diventare i genitori che dovranno sentirsi in grado di prendere l’acido con i propri figli". Questo libro recava una introduzione di Marco Pannella: "Carissimo Andrea […] io amo gli obiettori, i fuori legge del matrimonio, i cappelloni sottoproletari amfetaminizzati […]. Fumare erba non m’interessa per la semplice ragione che lo faccio da sempre. Ho un’autostrada di nicotina e di catrame dentro che lo prova, sulla quale viaggia veloce quanto di autodistruzione, di evasione, di colpevolizzazione e di piacere consunto e solitario la mia morte esige ed ottiene. Mi par logico, certo, fumare altra erba meno nociva, se piace, e rifiutare di pagarla troppo cara, sul mercato […] in carcere". In quegli anni si parlava già, assai spesso, di legalizzazione, anche se allora non appariva affatto centrale il voler sconfiggere lo spaccio illegale, ma si voleva solo difendere un principio, oppure una passione personale, come quella dei provos olandesi, che nel 1967 distribuivano ad Amsterdam un volantino di questo tenore: "Noi, Liberi e Illuminati. Noi i Giovani Insofferenti delle Restrizioni, dei Tabù, dei Divieti, Noi Amanti della Pace e dell’Amore […] rendiamo oggi legale per tutto il pianeta la coltivazione e il consumo della Marijuana…". Per restare in Italia, in un suo saggio del 1979 intitolato Droga e legge penale. Miti e realtà di una repressione, Giovanni Maria Flick, poi divenuto ministro di Grazia e Giustizia, scriveva: "Una prima alternativa ed ipotesi di lavoro è rappresentata dalla possibile liberalizzazione totale del fenomeno droga in senso ampio […]. L’ipotesi non è forse così paradossale e aberrante, come potrebbe sembrare a prima vista, per la possibilità di prospettare una serie di argomentazioni non trascurabili a favore di essa. In effetti, ove si abbiano presenti le motivazioni poc’anzi accennate del ricorso alla droga in chiave, in ultima analisi, di ricerca di una propria identità ed autenticità, si affaccia quanto meno il dubbio sull’accettabilità di una repressione delle manifestazioni di tale ricerca […]. Da un lato, il ricorso alla sostanza stupefacente o psicotropa può, di per sè ed in linea di principio, considerarsi una espressione di autodeterminazione (ancorché più o meno cosciente) e quindi in ultima analisi una espressione di libertà morale. La droga è espressione di libertà morale […], una scelta individuale di ricerca del piacere, di rifiuto della sofferenza, di sottrazione alle convenzioni". Ebbene queste idee erano momentaneamente tornate, espresse con più prudenza, all’epoca dei passati governi Prodi e D’Alema, attraverso l’attivismo dei movimenti antiproibizionisti radicali e comunisti. Proprio nell’aprile 1998, sulla rivista Cannabis, che pubblicizza e diffonde l’uso della cannabis: "Depenalizzazione della coltivazione della canapa da fiore e per la cessione di piccole quantità ad uso individuale o comunitario […]. Depenalizzazione di tutti i reati (minori) per lo più connessi all’uso o piccolo spaccio di qualsiasi droga esistente sul mercato […]. Distribuzione/legalizzazione controllata delle varie droghe dette pesanti". Proprio in contemporanea con queste proposte il governo dell’Ulivo auspicava la depenalizzazione del "consumo di gruppo, autoproduzione e cessione gratuita di droghe leggere", mentre il Ministro Flick, rimanendo fedele alla sua storia, proponeva la "non punibilità del consumo domestico di cannabis: la cosiddetta marijuana sul davanzale". Ecco, la paura è legittima: qualcuno è ancora convinto, trent’anni dopo, che la droga sia una “espressione di libertà”?

News su Maria Vika dalla Bielorussia

Qualche aggiornamento su Maria-Vika, l’orfana bielorussa costretta a rimpatriare per motivi e a condizioni ancora ignote alla pubblica opinione italiana. Le notizie sono due: adesso è in affido temporaneo nella stessa famiglia che ha adottato il fratello (che Maria aveva ritrovato grazie ai coniugi di Cogoleto, non certo grazie alla solerzia dei bielorussi). La quale famiglia ha fatto sapere che se non avrà aiuti economici non potrà tenere Maria con sè.

La seconda notizia è che un giornalista del Secolo XIX di Genova le ha telefonato e la bambina ha detto che vorrebbe tornare in Italia. E qui il festival dell’ipocrisia, tutti a protestare per l’intrusione del giornalista nella vita della bambina.

Certo, quando Maria-Vika aveva raccontato di volersi suicidare pur di non tornare nell’orfanatrofio dove aveva subito violenza, ci si era agitati di meno. I discorsi che si sentivano in giro erano: ma si sa che i bambini dell’est negli orfanatrofi spesso sono abusati! Invece adesso, dopo la telefonata, tutti a strapparsi i capelli, a protestare per lo scandalo…oddio la privacy! In un commento surreale sul corriere, Isabella Bossi Fedrigotti invita a far calare il silenzio su Maria, per farla tornare alla vita normale.

La verità è semplice, invece, ed è sotto gli occhi di tutti: nascondendo Maria, contro la legge, i coniugi Giusto l’hanno realmente tutelata, perchè adesso la bambina è sotto i riflettori, e la Bielorussia difficilmente si può permettere di riportarla dove è stata seviziata. Sarà illegale, ma ha funzionato.

Sarà stato sbagliato (?), ma adesso la bambina è curata e seguita come prima non era mai successo, come prima non era stato possibile.

La seconda considerazione è che per Maria la sua famiglia è quella italiana. Lo ha sempre detto, non si capisce perchè avrebbe dovuto cambiare idea.

E la cosa più ridicola è che invece se Madonna si prende i bambini in Malawi senza rispettare le leggi, tutto va bene, perchè è ricca. Sicuramente più dei coniugi Giusto. Pecunia non olet, et piace a tutti.

(tratto da un articolo di Assuntina Morresi nel sito Stranocristiano.it)

Anziani, ex Ospedalino e….angeli custodi

Torno sul tema dell’avviato trasferimento degli anziani ospiti dalla civica casa di riposo di via S. Giovanni Bosco all’ex Ospedalino di Trento (ora ribattezzato “Angeli Custodi”), in seguito alla campagna stampa lanciata in questi giorni a favore della nuova Rsa di via della Collina.

La struttura viene descritta come una sorta di “albergo a cinque stelle”, dotato di tutti i comfort e paragonabile a quelle svizzere e scandinave (i cui Paesi chissà perché sono sempre considerati il modello di riferimento), insomma una soluzione ideale per i fortunati anziani che ne saranno ospiti: alla fine, si dice, una novantina, ma secondo alcuni non arriveranno a 70.

Certo, è vero, per i familiari e i volontari che andranno a trovarli c’è il “disturbo” di dover salire ogni volta da piazza Venezia lungo una strada stretta ed impervia. Ma cos’è mai questo piccolo fastidio rispetto a ciò che gli anziani trovano lassù: reception, zona ludico-riflessiva, palestra, ristorante, fisioterapia, sala conferenze, cappella, stanze a due e 4 letti ciascuna con propri servizi, per non parlare della splendida vista sulla città e il Monte Bondone, e molto altro ancora.

E poi per i trasporti c’è il bus navetta che già percorre via della Collina ogni 20 minuti (domeniche escluse), mentre chi sale in automobile non ha problemi grazie ai 90 parcheggi offerti dalla nuova struttura.

Conclusione: le critiche mosse al trasloco definitivo di gran parte della casa di riposto di via S. Giovanni Bosco a quella di via della Collina dal Comitato Al Centro gli Anziani, che per chiedere al Comune di rivedere questa soluzione aveva raccolto le firme di 11mila cittadini e inscenato anche qualche manifestazione di protesta, sarebbero non solo ingenerose e ingiustificate, ma anche sintomo di un atteggiamento “capriccioso”, tipico dei bambini viziati avvezzi a ingigantire i dettagli sgraditi (la strada) quando bisognerebbe invece rallegrarsi ed essere orgogliosi di “gioielli” architettonici come questo, meritevoli di ricevere l’applauso dei destinatari e dei cittadini tutti (perché, come nota Concetto Vecchio sul Trentino, “in quanti altri posti d’Italia dispongono di tanta abbondanza?”).

Bene, questo è l’idilliaco quadretto dipinto dai giornalisti dopo la loro visita all’ex Ospedalino. Ciò che lascia allibiti e amareggiati è la superficialità delle loro osservazioni e dei loro giudizi. Il fatto di restare abbagliati dalla nuova struttura limitandosi a tesserne le lodi, se da un lato significa sicuramente compiacere i pubblici poteri (ma è questo il compito di un giornalista?), e in particolare l’amministrazione comunale, che hanno voluto la nuova casa di riposo, dall’altro equivale ad ignorare l’unico, vero problema da sempre evidenziato dal Comitato.

E il problema sta in questa semplice domanda: anziani così, già fisicamente staccati e talvolta sradicati per vari motivi dal loro ambiente, quello naturale, domestico e rassicurante della famiglia, della relazione e della condivisione dell’esistenza con i loro cari, sui quali sapevano di poter contare; anziani così, come si suol dire (con una gelida espressione) “istituzionalizzati”, vale a dire inseriti in quello che resta pur sempre un “ricovero” per quanto sfavillante, moderno e attrezzato possa essere; ecco: persone così, di cosa, primariamente ed essenzialmente, hanno bisogno?

Di una sola cosa: di non essere e di non sentirsi sole.

In due modi.

Primo. Percependo che qualcuno, “fuori” da quelle mura, pensa a loro ed è vicino anche fisicamente e lo dimostra andandoli a trovare, facendo loro compagnia. Il più possibile. Anche tutti i giorni. Anche più volte al giorno come da sempre avviene. Questo “qualcuno” sono i figli, i nipoti, le sorelle, i fratelli, gli amici, oppure i volontari che gratuitamente cercano di rispondere alle loro piccole e grandi esigenze di ogni giorno.

Secondo. Mettendo gli anziani ospiti nelle condizioni di muoversi da soli, accompagnati o in carrozzella, per andare loro stessi ad incontrare gli altri, di immergersi nella realtà esterna, uscendo il più spesso possibile dalla struttura protetta per sentirsi vivi, concedersi un giro in città per puro piacere o seguire magari uno dei tanti eventi proposti nelle vie e piazze del centro, stare fra la gente, distrarsi e, perché no?, divertirsi un po’ in mezzo agli altri.

Quel che in ogni caso è irrinunciabile è assicurare questo contatto, questo rapporto con gli altri, dentro e fuori la casa di riposo. Rapporto con gli "altri" e la città che il personale, per quanto competente, specializzato, sensibile, numeroso, non può sostituire.

Contatti e rapporti che sono il filo sottile, delicato, informale, eppure vitale, grazie al quale questi anziani si sentono ancora partecipi del mondo esterno, coinvolti e “presenti” in una realtà umana e sociale diversa dal microcosmo, pur completo di tutto, rappresentato dall’istituto.

Se questa è l’esigenza fondamentale degli ospiti, è chiaro che la struttura dovrebbe essere funzionale ad essa. Anche e soprattutto con la sua collocazione. Ed è altrettanto evidente che l’ex Ospedalino ha forse, anzi, sicuramente tanti pregi, ma non questo. Non quello irrinunciabile di favorire e agevolare il più possibile sia l’uscita degli anziani in città sia le visite dei loro familiari e conoscenti, molti dei quali li vanno abitualmente a trovare anche 3-4 volte al giorno.

E’ oggettivamente innegabile che tutto ciò, con la casa di riposo in via della Collina, avverrà con più difficoltà e minor frequenza di prima.

Questo è il punto.

Non a caso uno dei principali requisiti richiesti oggi alle case di riposo, specie se di nuova realizzazione, è che siano vicine se non interne ai centri urbani, per favorire l’accessibilità alle strutture e dare al tempo stesso agli ospiti l’opportunità di frequentare il tessuto urbano esterno. Ed è appunto questo requisito non secondario, anzi, irrinunciabile per la qualità della vita degli ospiti, che l’ex Ospedalino non offre rispetto alla vecchia “civica” casa di riposo di via S. Giovanni Bosco, dove per quanto manchi la vista panoramica e vi sia la necessità di una ristrutturazione, il contatto diretto, immediato con i parenti, i volontari e la città era pienamente garantito.

Assistiamo così al paradosso di una Trento impegnata, da un lato, ad abbattere ogni possibile barriera architettonica che lungo le strade come negli edifici pubblici e privati discrimina chi ha particolari esigenze di movimento, e pronta dall’altro ad incrementare le distanze e a rendere più difficili i rapporti tra sé e i propri anziani.

Che finiranno magari nel piccolo paradiso a 5 stelle della casa di riposo “Angeli Custodi”, ma ai quali forse mancheranno gli “angeli custodi” in carne ed ossa, quelli veri ed umani di cui più di ogni altra cosa hanno bisogno.

Gian Burrasca

La Corea del Nord in guerra contro il suo stesso popolo. Ma i pacifisti (anche trentini) tacciono

                                                                                          (Nella foto, il dittatore nordcoreano Kim Jong Il)

Perché il Forum Trentino per la pace e la galassia delle organizzazioni raccolte sotto la bandiera arcobaleno, non condannano l’esperimento atomico annunciato dalla Corea del nord?

Qualcuno forse ricorderà la grande mobilitazione preventivamente promossa da questi soggetti contro la possibile guerra in Iraq.

Non sarebbe forse giustificata oggi un’analoga protesta nei confronti di Pyongyang il cui regime totalitario, fra i peggiori sulla faccia della terra, minaccia apertamente la pace nel mondo e si esalta per il possesso dell’arma nucleare?

L’interrogativo è lecito anche nel caso in cui l’esplosione non fosse in realtà mai avvenuta e configurasse quindi solo un bluff messo in atto dal regime di Kim Jong per “mostrare i muscoli” alla comunità internazionale.

Scendere in piazza avrebbe infatti un duplice significato.

Oltre a mostrarsi pubblicamente preoccupati per l’inquietante prospettiva di un conflitto mondiale dalle conseguenze devastanti, si tratterebbe anche e soprattutto di sollecitare ed esprimere l’indignazione dell’opinione pubblica di fronte alle spaventose condizioni di schiavitù e di sottosviluppo in cui la dittatura comunista costringe il Paese.

Si può dire a ragion venduta che da anni il governo della Corea del Nord è in guerra contro il suo stesso popolo.

Per mantenere il proprio apparato bellico e arrivare a produrre l’atomica, esso non esita infatti a lasciare che la maggior parte della gente muoia letteralmente di fame. La Corea del nord è un gigantesco lager dove solo l’esercito e la polizia hanno la certezza di sopravvivere. Il regime spreme 23 milioni di abitanti per mantenere 1,2 milioni di soldati professionisti e 6 milioni di riservisti.

Recentemente la United Nation Food Agency (l’ente dell’Onu che si occupa dell’alimentazione nel mondo) ha rilevato nei bambini sintomi gravi di denutrizione e rachitismo. L’ultima grande carestia, che risale a un decennio fa, ha sterminato due milioni di persone, un decimo della popolazione. Frequenti sono gli assassini a scopo alimentare. Alle 22.00 la corrente elettrica viene tolta, mentre l’acqua calda è in funzione solo 4 ore al giorno. E tutto questo vale anche per il più grande Hotel della capitale.

A queste disastrose condizioni economiche si accompagna la più completa negazione di ogni libertà. I turisti complessivamente accettati nel Paese sono meno di 50 all’anno. Agli abitanti è proibito sia guardare gli stranieri che rivolgere loro la parola.

Non esistono né la tv né la radio. Le persone non sanno nulla di quel che accade nel resto del mondo. Fotografare è vietato. Finiscono in carcere – e poi di costoro non si sa più nulla – quanti sono anche solo sospettati di avere idee diverse da quelle imposte dal regime.

Queste e altre informazioni sono state pubblicate nei giorni scorsi sulla stampa italiana, ma l’unica notizia che ha avuto risonanza è stata quella dell’esplosione atomica.

Chi però, come il Forum Trentino della pace, è per propria scelta sistematicamente impegnato a denunciare queste situazioni e questi soprusi, anche perché l’ente pubblico (nel nostro territorio la Provincia) ne finanzia l’esistenza e l’attività con i soldi di tutti noi, non può esimersi dall’alzare la voce per evidenziare la cultura disumana e di morte di cui le minacce di guerra e l’atomica sono solo l’effetto più appariscente.

Gian Burrasca

E’ tempo di dire cosa ne sarà dell’ospedale Santa Chiara

Gli assessori provinciali Grisenti (opere pubbliche) e Andreolli (sanità) hanno presentato lo studio preliminare che spiega perché a Trento c’è bisogno del nuovo, grande ospedale che – la decisione è già stata presa – sorgerà nei prossimi anni in via al Desert, al posto delle attuali Caserme Chiesa, Pezzoli e Bresciani.

Si tratterà – hanno assicurato – di una struttura ad altissimo contenuto tecnologico, di un edificio “intelligente”, altamente qualificato e dotato di tutti i servizi di cui oggi c’è bisogno vista l’evoluzione degli interventi in questo settore.

Benissimo. Gli assessori non hanno però spiegato cosa ne sarà dell’ospedale Santa Chiara, per il cui ampliamento e ammodernamento sono stati spesi più di 300 milioni di euro, dal momento che il nuovo nosocomio soddisferà ogni necessità e quindi non si prevedono residue esigenze sanitarie alle quali rispondere.

E’ certamente vero che in attesa dell’ospedale di via al Desert era comunque indispensabile dotare il Santa Chiara di altri posti macchina per ridurre la carenza di parcheggi e la pressione di un traffico ormai insostenibile sia per la struttura sanitaria sia per i circostanti e popolosi quartieri della Bolghera e di Gocciadoro.

Più difficile da comprendere è l’enorme investimento attuato per l’ampliamento e l’ammodernamento dei volumi e dei reparti dell’ospedale, se già si sapeva che sarebbe stato sostituito.

Credo che, considerate le spese sostenute per il vecchio e le dimensioni del nuovo progetto, non solo i cittadini di Trento ma quelli di tutta la provincia abbiano quindi il diritto di conoscere il destino riservato all’ospedale Santa Chiara una volta sorta la nuova struttura di via al Desert.

Anche perché è noto che difficilmente l’ospedale attuale potrà essere adibito ad altri usi.

Non resterebbe quindi che optare per l’abbattimento, e paradossalmente questo avverrà proprio quando le opere di innovazione oggi in corso saranno terminate e avranno reso la struttura più funzionale.

Meglio quindi ipotizzarne ancora un utilizzo di tipo sanitario, magari di tipo diverso, specialistico o altro. Ma allora il nuovo ospedale di via al Desert non potrà occuparsi di tutto.

Da parte del governo provinciale un chiarimento, quindi, sarebbe doveroso per due motivi: perché la questione non è di poco conto e per il necessario rispetto verso i cittadini.

Gian Burrasca

Anziani di Trento all’ex Ospedalino: un caso di eutanasia sociale

Dopo aver deciso di abbattere l’attuale civica casa di riposo di via S. Giovanni Bosco, nel cuore della città, il Comune di Trento sta per trasferire in modo definitivo una parte degli anziani ospiti, soprattutto quelli non autosufficienti, nell’ex Ospedalino situato – ma meglio sarebbe dire arrampicato – in cima ad un ripido e stretto vicolo il cui nome è non a caso “via della Collina” (ma data la salita il termine collina è eufemistico).

La nuova Rsa risulterà così inevitabilmente una gabbia dorata, dalla quale gli anziani, proprio perché non autosufficienti, non potranno uscire per scendere in città e ancor meno per risalire se non in automobile o con un mezzo pubblico.

Oggi, da soli o accompagnati, essi possono concedersi agevolmente una passeggiata o un giro in carrozzella in centro, sentendosi partecipi della città e integrati nella vita urbana.

A questo loro isolamento (lo spazio per un po’ di verde all’esterno della nuova struttura è del tutto insufficiente) si aggiungerà il grave disagio arrecato ai numerosi familiari abituati a recarsi anche due o più volte al giorno in visita agli anziani, senza contare il problema dei continui spostamenti su e giù per la viuzza del personale assistenziale e sanitario e dei volontari costretti a raggiungere, sicuramente non a piedi, la nuova sede, con prevedibili ripercussioni sull’inquinamento già oggi oltre i limiti. Infatti il traffico lungo via della Collina, già intenso, aumenterà ulteriormente in futuro con i nuovi residence che sorgeranno poco sopra, al punto da rendere allucinante la prospettiva che ad esso si aggiunga anche quello prodotto dal nuovo ricovero (si pensi anche ai furgoni e ai camion per le forniture quotidiane).

A nulla è valso il reiterato tentativo di indurre l’amministrazione di Trento a riconsiderare questa scelta, promosso fin dalla primavera del 2004 da un gruppo spontaneo di cittadini battezzatosi “Comitato al centro gli anziani”, formato da parenti degli ospiti della casa di riposo, associazioni e semplici cittadini, che preferendo non limitarsi alla protesta, aveva anche proposto al Comune e alla Provincia, raccogliendo a tal fine oltre 10mila firme in pochi mesi, due soluzioni ragionevoli:

a) da un lato la ristrutturazione e l’ammodernamento dell’attuale casa di riposo che si trova in una posizione ideale per favorire il necessario rapporto di integrazione fra anziani e città;

b) dall’altro una diversa destinazione d’uso della rinnovata struttura di via della Collina, più adatta ad accogliere altri servizi sanitari e assistenziali (essendo già attrezzata da questo punto di vista potrebbe ad esempio ospitare un convalescenziario nel quale ricoverare, per periodi di tempo limitati, pazienti dimessi dall’ospedale e bisognosi di un periodo di riposo e cura prima di rientrare a casa e malati in gravi condizioni per dare sollievo alle famiglie).

E non sono nemmeno servite le iniziative realizzate l’anno scorso – manifestazioni pubbliche di vario tipo, interventi in consiglio comunale, articoli apparsi sulla stampa locale – sollecitate dal comitato e attuate anche da esponenti e organizzazioni di diversa e opposta estrazione politica, per convincere il governo di centro-sinistra della città (Sindaco è il diessino Alberto Pacher) a non relegare in una struttura tanto infelice e inadeguata gli anziani ospiti della casa di riposo.

Per tutta risposta l’amministrazione ha ribadito la volontà di procedere al trasferimento degli anziani in collina garantendo l’offerta di bus navetta per il collegamento con la città che oltre a non risolvere il problema risulterebbero comunque insufficienti, oltre ad improbabili allargamenti di via della Collina, arrivando nei giorni scorsi ad ipotizzare addirittura un fantascientifico ascensore.

Per denunciare un progetto contrario al più elementare buon senso e al rispetto di soggetti deboli come gli anziani ospiti della casa di riposo, i quali non sono in grado di opporsi da soli ad una decisione presentata dall’amministrazione come inevitabile, non resterebbe a questo punto che una puntata di Striscia la notizia.

Il titolo del servizio televisivo potrebbe essere: Trento, la città che espelle i suoi anziani. Un caso di eutanasia sociale.

Gian Burrasca

Maria, la ragion di stato e i diritti umani

Il caso di Maria, 10 anni, il cui vero nome è Vika, rimpatriata in Bielorussia dopo che i genitori affidatari in Italia avevano tentato invano di nascondere la bambina per non esporla alle violenze subite nell’orfanotrofio del suo Paese, dove lei non voleva comunque tornare, mostra come ancor oggi la “ragion di Stato” prevalga sui diritti umani e sulla centralità della persona di cui tutti i politici sono sempre pronti a riempirsi la bocca.

Ma, si dirà, i genitori affidatari di Maria, non restituendo la bimba, hanno violato la legge.

Balle.

La prima legge da rispettare è infatti quella che tutela il diritto fondamentale di ciascuno di noi ad avere dei genitori, una famiglia, a non essere strappati a forza dai propri cari, dall’amore di quelli con cui vogliamo stare. A maggior ragione se la persona in questione è un minore di dieci anni, e corre il rischio di essere maltrattata da estranei.

Siamo di fronte ad una di quelle evidenze elementari e insopprimibili, che ciascuno di noi porta inscritte indelebilmente nel proprio essere. Non c’è ragion di Stato che possa permettersi di prevaricare su questo dato.

Ciò nonostante nessuna condizione è stata chiesta dall’Italia per il rimpatrio della bambina. E ora cosa garantisce Maria e suoi genitori che le violenze non si ripetano?

Su questo sopruso, su questa palese e arrogante violazione dei diritti umani sottoscritti da tutti gli stati, compreso il nostro e la Bielorussia, il silenzio del governo – e in particolare dei ministri per la famiglia Rosi Bindi e degli esteri Massimo D’Alema – è davvero assordante.

Gian Burrasca

PS
Dopo aver scritto questo pezzo ho letto e consiglio a tutti di leggere il bellissimo articolo di Eugenia Roccella pubblicato a pag. 15 de Il Giornale di oggi, che si conclude con la frase: “Tutti improvvisamente a difendere la legalità, e nessuno a difendere Maria”.