1 – Un romanzo sul Terrore
Con Gli dèi hanno sete (1912) Anatole France (1844-1924, premio Nobel 1921) esplora il genere del romanzo storico, narrando i mesi convulsi e tremendi di quel periodo che va noto come Terrore, quando la Francia rivoluzionaria, perennemente sotto la minaccia degli eserciti delle potenze straniere, preoccupate dalla possibilità del dilagare della Rivoluzione, vive un momento di crisi economica, di crisi sociale, ma anche di crisi morale, con il crollo di ogni legame che vincola la compagine umana.
Il romanzo tratta un tema delicato e difficile: come può un giovane bene intenzionato, animato da vivi ideali, leale e corretto, financo ingenuo, sedotto e innamorato delle sirene rappresentate da giustizia e uguaglianza, trasformarsi in un piccolo tiranno, crudele e spietato, indifferente alle ragioni degli affetti e della famiglia, e che arriva a macchiarsi le mani del sangue dei suoi stessi amici?
2 – I personaggi
La follia di quel periodo, durato poco meno di due anni, e finito in un bagno di sangue anche per Maximilien Robespierre, che fu il grande regista del Terrore, viene ripercorsa da Anatole France attraverso le vicende di Evariste Gamelin, giovane pittore idealista, infervorato per il nuovo corso che ha preso l’arte dopo il preteso cattivo gusto dell’arte di Boucher e di Watteau, espressione dello stile galante spazzato via con il 1789. Gamelin vive in un caseggiato, insieme all’anziana madre, in dignitosa povertà, cercando di portare a termine la sua grande tela a soggetto mitologico, con protagonista Oreste. Attorno a Gamelin ruotano vari personaggi: la sua amata, Elodie, figlia di un mercante d’arte che sembra non risentire della crisi economica galoppante, l’elegante e ambiziosa Madame de Rochemaure, ricca vedova, figlia di un luogotenente delle cacce del re, in intimità con un giovane dragone che Elodie ha conosciuto a sua volta assai intimamente; e, infine, il ci-devant (espressione che ai tempi della Rivoluzione designava quanti un tempo furono nobili) Brotteaux des Ilettes, ormai solo il familiare e buon Brotteaux, che, dalla florida condizione di finanziere, è precipitato nella miseria, e ora si arrabatta, nella sua soffitta, costruendo burattini.

3 – Brotteaux e Madame de Roquemare
I caratteri dei due protagonisti non potrebbero essere diversi: Brotteaux, spirito di libertino e animo gentile, ateo, ma animato dall’amore e dalla compassione per l’umanità e per le sue miserie, si diletta, in ogni momento libero, di leggere dal suo Lucrezio (la predilezione per il quale era nel Settecento, e non solo, una implicita ammissione di ateismo e materialismo), e France ce lo mostra, per esempio, nelle prime pagine del libro, in coda, come tanti altri parigini, davanti alla bottega di un fornaio, mentre assiste al dipanarsi delle conversazioni, delle discussioni, financo delle liti tra la folla di miserabili ridotti, è il caso di dirlo, alla fame, proprio come lui; solo che, nella tasca interna del suo abito sdrucito egli custodisce il suo Lucrezio, che rilegge insistentemente; e da questa lettura, oltre che dalla sua disposizione di spirito scettica e aliena da ogni dogmatismo, ricava uno sguardo indulgente sull’umanità, il sentimento della pietà, e l’avversione per ogni estremismo. E quanto al vento tempestoso che si addensa sulla Francia, Brotteaux ha la saggezza della maturità sorridente, di chi sa che tout passe, tout lasse, tout casse, e tout se remplace. Quando la mondanissima signora de Rochemaure, in intimità con un bel dragone che già aveva mietuto fra le vittime dei suoi occhi seducenti la giovane Elodie, chiede a Brotteaux dove mai si andrà a finire, di quel passo, egli risponde, serafico e filosofico, rievocando i fasti di un loro antico, ardente e passato incontro: “È ciò che mi chiedeste, Louise, un giorno, in vettura, sulla riva dello Cher, sulla strada des Ilettes, mentre il cavallo, che ci aveva preso la mano, ci trascinava in un galoppo impetuoso. Come sono curiose le donne! Oggi ancora, voi volete sapere dove andiamo. Chiedetelo alla chiromante, mia diletta, ché io non sono un indovino. E anche la più sana filosofia ci è di poco aiuto per conoscere l’avvenire. Tutto questo finirò, perché tutto finisce, e si possono precedere diverse uscite. La vittoria della coalizione e l’entrata degli alleati in Parigi: non ne sono lontani, ma tuttavia dubito che ci arrivino. Questi soldati della repubblica si fanno battere con un ardore che nulla può estinguere. Può darsi che Robespierre sposi la principessa (ovvero, Madame Royale, all’epoca prigioniera, n. d. a.) e si faccia nominare protettore del regno durante la minore età di Luigi XVII” (p. 107). Tutte ipotesi fantasiose, si capisce. La realtà, come sappiamo, sarà ben diversa, e tetra. Quanto alla signora Rochemaure, nel corso del romanzo ella ci appare sempre più preoccupata: e ne ha ben donde: infatti, come ci spiega A. France, “la Rivoluzione, che era stata per lei ridente e profittevole, le procurava ora affanni e inquietudini. I suoi pranzi diventavano meno brillanti e meno giocondi.; il suono della sua arpa non rischiarava più in visi scuri. Le sue tavole da gioco erano state abbandonate dai cittadini più ricchi. Alcuni suoi familiari, ora sospetti, si nascondevano; il suo amico, il finanziere Mohardt, era stato arrestato ed era appunto per lui ch’ella veniva a chiedere aiuto al giurato Gamelin. Lei stessa era sospettata!” (p. 106)
4 – Evariste come giurato
Pochi sono invece i dubbi che allignano nella mente di Evariste Gamelin: egli, giovane e ardente per gli ideali rivoluzionari, viene precettato come giurato nel tribunale popolare: un incarico di responsabilità, che, dapprima, lo rende felice, lo fa sentire onorato; ma, a poco a poco, egli diventa un tirannello con le mani lorde di sangue, insensibile persino agli appelli della sorella, il cui amato finisce nelle grinfie del tribunale rivoluzionario. Le cause cui Gamelin partecipa vengono raccontate da Anatole France con dovizia di particolari: Guillergues, accusato di corruzione, e di avere dilapidato i fondi della Repubblica, soprattutto del foraggio destinato alle forniture dell’esercito: accuse gravi, nessuna delle quali, però, era provata in modo sicuro, e che finirà assolto, giacché anche Gamelin avrà un sussulto di coscienza. Ed Elodie, la sua innamorata? Quando viene a sapere che Gamelin ha incrudelito e si è battuto strenuamente per far condannare a morte un giovane, Jacque Maubel, che sospetta, a torto, che sia stato il seduttore di Elodie, ella lo accoglie con sdegno: “Sciagurato! Sei tu che l’hai ucciso e non era il mio amante. Non lo conoscevo … non l’ho mai visto … Che uomo era? Era giovane, attraente … innocente. E tu l’hai ucciso, sciagurato! Sciagurato!” (p. 106). Eppure, quando la ragazza si rianima, abbraccia con passione ancora maggiore Evariste: “Lo amava (…) e più le appariva terribile, crudele, atroce, più lo vedeva coperto del sangue delle sue vittime, più aveva fame e sete di lui”.

5 – Un finale tragico
Il finale di questa follia non sarà lieto per nessuno: andranno tutti al patibolo; Brotteaux ricordando, non senza un brivido – siamo pur sempre uomini – il suo Lucrezio, mormorando fra sé, sic, ubi non erimus…, il passo del terzo libro in cui il poeta latino dimostra che la morte non è nulla per noi; e, paradossalmente, insieme a lui verranno ghigliottinati un anziano frate, che non ha voluto mai prestare il giuramento di fedeltà alla Repubblica, e una giovanissima prostituta, due personaggi agli antipodi che però hanno potuto apprezzare la generosità e la fattiva bontà d’animo di Brotteaux
Nelle ultime pagine, Gamelin traccia un bilancio della sua esperienza esistenziale, artistica e politica. Di certo, la sua arte, nella quale avrebbe potuto ottenere eccellenti risultati, da seguace devoto di David, è stata trascurata, e la grande tela a soggetto mitologico rappresentante Oreste rimarrà incompiuta, come il suo percorso da pittore: una promessa mancata. Ma, quando riflette sulle sue colpe e responsabilità, il giovane è spietato, pur dichiarando di non aver fatto nulla che sia, alla luce dei tempi, biasimevole: “Non ho nulla da rimproverarmi. Ciò che ho fatto, lo rifarei. Per la patria, mi sono messo al bando della società. Sono maledetto. Mi sono messo fuori dall’umanità: non vi rientrerò mai più- No, il grande compito non è finito. Ah! La clemenza, il perdono! …Ma forse che i traditori perdonano? I cospiratori hanno forse clemenza? Gli scellerati parricidi crescono di numero, senza posa; escono di sottoterra, accorrono da tutte le frontiere (…) Vedi anche tu che io debbo rinunciare all’amore, a ogni gioia, a ogni dolcezza, alla vita stessa” (p. 208). Evariste beve come un calice amaro il silenzio della giovane, per poi dirle: “Elodie, potrai tu, un giorno testimoniare che io vissi fedele al mio dovere, che il mio cuore fu retto, la mia anima pura e che non ebbi altra passione che il bene del popolo? Dirai: “Egli fece il suo dovere”? Ma no! Tu non lo dirai e neppure ti chiedo di dirlo, Perisca con me la memoria! La mia gloria la porto nel cuore; l’ignominia mi circonda. Se mi hai amato, serba un eterno silenzio sul mio nome” (ibid.)
E così, quando la carretta dei condannati a morte conduce Gamelin sotto la finestra della camera di Elodie, una mano femminile, che portava all’anulare un anello d’argento, dalla persiana socchiusa gettò verso Gamelin un garofano rosso, che il giovane, avendo le mani legate, non può raccogliere: egli può solo sospirare per la sua amata, che prestissimo si consolerà, e tremare vedendo stagliarsi, alta sulla piazza della Rivoluzione, la mannaia insanguinata. Sic transit gloria mundi.
