La vicenda che stiamo qui per raccontare potrebbe sembrare la trama di uno di quei romanzi “misteriosi” che oggi vanno tanto di moda: parleremo infatti del mitico sovrano di un regno leggendario, di un dio enigmatico, di una profezia apparentemente realizzatasi, di un’apparizione e di un segno miracoloso che ancora oggi si concede ai nostri occhi (e persino all’indagine dei microscopi) e di nomi che sembrerebbero già di per sé evocare presagi. L’unica differenza tra questa vicenda e quelle romanzate in tanti libri e che qui non siamo nel mezzo di una trama inventata, ma di una storia vera: una storia misteriosa fatta di segni e di simboli che sfidano la nostra intelligenza e anche, in quanto cristiani, la fede che affermiamo di confessare; una storia che, al tempo stesso, si sposa indissolubilmente (e in modo determinante) con la storia cosiddetta “ufficiale”, quella narrata sui libri di scuola e di cui gli studiosi credono spesso di conoscere così bene cause e dinamiche. Lo scenario della vicenda è quello della Conquista e dell’Evangelizzazione delle Americhe, e in particolar modo di quel centro culturale e spirituale del Nuovo Mondo che fu, per secoli, il Messico.
– Un re divinizzato. Una profezia. Una data.
La Conquista del Messico da parte degli spagnoli è uno di quegli eventi che ancora oggi suscitano opinioni violentemente discordi: da una parte, infatti, a iniziare da quella “Leggenda Nera” anticattolica nata nell’Inghilterra protestante [1] e ripresa dall’Illuminismo, si afferma che l’impresa sarebbe stata, essenzialmente, un infame massacro; dall’altra, una certa apologetica cattolica di stampo tradizionalista presenta questo evento come un’avventura gloriosa, una liberazione degli stessi indigeni dal giogo dell’idolatria e dalla pratica terrificante dei sacrifici umani, praticati su larghissima scala soprattutto dagli Aztechi (sottovalutando, però, i metodi tutt’altro che cristiani e le brutalità indubbiamente commesse dai conquistatori, le cui conseguenze hanno pesato fino ad oggi sullo sviluppo delle società latino-americane). Queste posizioni così unilaterali, tuttavia, oltre a non rendere giustizia alla verità storica, non sembrano poter cogliere, nel loro polemico orizzontalismo, quell’aspetto realmente “misterioso” (inteso nel senso originario di verità divina che si manifesta nella realtà) che pure la vicenda sembra possedere. La Conquista di quello che è oggi il Messico ha inizio nell’anno 1519 –nello stesso periodo in cui, dall’altra parte dell’oceano, un oscuro monaco tedesco di nome Luther stava gettando le basi per la più drammatica divisione che il mondo cristiano abbia mai conosciuto. I conquistadores, qualche centinaio di avventurieri partiti dalla Spagna e dalla vicina Cuba, erano guidati da un hidalgo di nome Hernan Cortez: uomo animato da un profondo spirito cavalleresco e da un coraggio contagioso, ma anche, all’occorrenza, cinico e privo di scrupoli. All’incredibile successo di Cortez e dei suoi –che in tre anni conquistarono un impero azteco che contava più di 8 milioni di abitanti- contribuirono naturalmente vari fattori: oltre alla superiorità tecnologica data dalle armi d’acciaio e dai cannoni, è dimostrato che numerose popolazioni indie preferirono schierarsi con gli Spagnoli, piuttosto che rimanere sotto il potere degli Aztechi, che utilizzavano i popoli sottoposti come “terreno di caccia” per gli innumerevoli sacrifici umani richiesti dalle loro sanguinarie divinità [2]. Ma c’è dell’altro. I cronisti dell’epoca, infatti, testimoniano come il mondo messicano alla vigilia della Conquista fosse attraversato da un’attesa che potremmo definire “messianica”: un’attesa in buona parte collegata alla profezia del ritorno del re-dio Ce Acatl Quetzalcoatl.
Ma chi era Quetzalcoatl?
Nella mitologia azteca, Quetzalcoatl è una figura divina di importanza fondamentale: il suo nome, che può essere tradotto come Serpente Piumato[3], indica anche visivamente il concetto di unione fra cielo e terra, fra spirito e materia, fra umano e divino. Unica divinità del pantheon pre-ispanico a non richiedere sacrifici umani, era ricordato dagli indigeni per aver donato agli uomini il calendario e la coltivazione del mais. Una delle leggende sulla sua nascita, racconta di come la dea Coatlicue [4], personificazione della natura madre e dell’elemento femminile, abbia concepito verginalmente il dio, grazie ad un frammento di giada che l’avrebbe ingravidata. Il mito di Quetzalcoatl, peraltro, si confonde fino a sovrapporsi con quello di un personaggio semi-storico che porta lo stesso nome: il 10° re dei Toltechi [5], Ce Acatl Quetzalcoatl, che sarebbe vissuto verso il X secolo della nostra era (Ce Acatl, ossia “1 canna” era l’anno di nascita del re, secondo il calendario preispanico). L’antico sovrano era ricordato dagli Aztechi come il protagonista di una vera e propria età dell’oro: mecenate delle arti, benefattore del suo popolo, riformatore religioso (avrebbe abolito i sacrifici umani, sostituendoli con offerte di tortillas di mais), curiosamente descritto in alcune tradizioni come “chiaro di pelle”[6], Ce Acatl sarebbe caduto in disgrazia a causa della casta sacerdotale conservatrice (rappresentata nel mito dal dio infero Tezcatlipoca, Specchio Fumante), che lo avrebbe costretto ad abbandonare il trono. Accusato di aver sedotto una sacerdotessa, Quetzalcoatl sarebbe fuggito e, secondo alcune versioni della leggenda, si sarebbe imbarcato sulle sponde del Golfo del Messico vicino all’attuale Veracruz, promettendo però di tornare proprio nell’anno Ce Acatl corrispondente a quello della sua nascita. Ora, essendo il calendario azteco costituito da cicli di 52 anni, l’anno Ce Acatl finiva per ricadere ad ogni inizio ciclo: così, ad esempio, la fatidica data poteva cadere nell’anno 1414, nel 1467, ma …anche nel 1519! Proprio in quest’ultima data, su quella stessa costa del Golfo da cui il mitico re sarebbe partito, giunsero gli Spagnoli di Cortez: strani esseri dalla “pelle chiara” come il re-dio, portatori di una fede nuova, che gli Aztechi non poterono non scambiare, almeno inizialmente, per il loro sovrano ritornato dall’oceano orientale… D’altronde, furono gli stessi messicani, incerti sull’identità dei nuovi arrivati da loro chiamati teules[7], a riempiere di doni preziosi e a condurre i futuri dominatori fin dentro la loro capitale, la favolosa Tenochtitlan[8]. La coincidenza tra questa profezia e la data dell’arrivo di Cortez, d’altro canto, colpì profondamente non solo gli Aztechi, ma gli stessi conquistatori spagnoli, che la interpretarono da subito come un “segno provvidenziale”. Questa è però solo una delle enigmatiche coincidenze di questa “storia nascosta” eppure reale che stiamo raccontando.
– Una Madre Misericordiosa per i figli degli sconfitti.
Gli Aztechi non ci misero molto a capire che i nuovi arrivati non erano divinità venute a riportare l’età dell’oro: la Conquista, in effetti, fu contraddistinta da episodi di ferocia e di cinica brutalità, a cui fece seguito un periodo ancor più drammatico, in cui l’universo indigeno entrò in una crisi terribile, non solo a causa delle violenze dei nuovi padroni o delle malattie importate dall’Europa, ma soprattutto a causa del crollo di un’intera visione del mondo. Un intero popolo, infatti, aveva perso, con la sconfitta, anche il senso della sua esistenza in questo mondo, senza aver avuto il tempo e il modo di acquisire i modelli culturali dei dominatori; e le conseguenze, come testimoniano i documenti dell’epoca, furono drammatiche oltre l’immaginabile[9]. Le stesse conversioni al Cristianesimo, nei primi anni, furono pochissime, nonostante la presenza in Messico di uomini di grandissima carità e di nobile apertura mentale come il frate francescano Toribio de Benavente: uno dei primi europei a rivolgersi con inedito rispetto a ciò che c’era di valido nella cultura dei popoli indios; proponendo, tra l’altro, una (forse) ingenua ma significativa identificazione tra Ce Acatl Quetzalcoatl, il “re dalla pelle chiara” nemico dei sacrifici umani, e la figura dell’apostolo missionario San Tommaso. Gli sforzi umani dei missionari, tuttavia, non ebbero inizialmente grande successo, e per anni la fede di Cristo rimase essenzialmente la “religioni dei vincitori”, che poca attrazione esercitava sulle masse disperate dei figli degli sconfitti. Tutto questo fino all’anno 1531, quando ancora una volta la nostra storia si sposa col mistero. Protagonista dell’evento che porterà all’entusiastica adesione degli sconfitti alla fede cristiana fu un uomo di origine indigena -uno dei pochi convertiti- di nome Cuauhatlatoa (Aquila Parlante), battezzato con il nome di Juan (Giovanni) Diego per analogia tra il suo nome azteco e il simbolo dell’evangelista Giovanni, che è appunto un’aquila. Fu a quest’uomo che (un altro “segno”?[10]) aveva ricevuto in nome quello del Discepolo Prediletto –lo stesso a cui Gesù, dalla croce, aveva affidato la madre Maria- che fu donata la grazia straordinaria di essere strumento di un evento unico, di una vera e propria teofania, che avrebbe cambiato per sempre la storia di un intero emisfero. Il giorno del solstizio d’inverno del 1531, infatti, toccò a Juan Diego passare per la collina di Tepeyac –vicino Città del Messico- ed assistere all’apparizione di una “Signora” dolcissima che si presenterà contemporaneamente come la Vergine Maria e la Inninantzin huelneli (Madre dell’Antico Dio) o, come anche riportano le tradizioni più antiche, “Madre misericordiosa tua e di tutti coloro che abitano questa terra”[11]. Per volere della divina Signora, Juan Diego comunicò al vescovo Juan de Zumàrraga l’apparizione ma, al momento di aprire davanti all’ecclesiastico il suo rozzo mantello di fibra d’agave, apparve una figura di straordinaria bellezza rappresentante la Signora dell’apparizione. Questa figura, conosciuta come la Madonna di Guadalupe, è ancora oggi una delle reliquie più affascinanti ed inspiegabili della cristianità, seconda solo alla Sindone per importanza e per gli studi scientifici a cui è stata sottoposta. Quest’immagine, infatti, continua ancor oggi a sbalordire fedeli, scienziati e semplici curiosi per la sua straordinaria conservazione (si tratta di un fragile telo di agave rimasto intatto dopo aver attraversato 500 anni, un attentato dinamitardo[12] e un incidente causato da caduta di acido nitrico[13]); l’assenza di pigmenti rilevabili e, soprattutto, la presenza inspiegabile di un gruppo di figure (il Vescovo Zumàrraga e i suoi uomini?) nella pupilla della Signora (immagini rilevate solo in tempi recenti con l’ausilio di microscopi e computer).
– Il linguaggio misterioso del “Fiume Nascosto”.
Se grande è lo sbalordimento che il manto di Guadalupe sa ancor oggi trasmettere agli studiosi come ai semplici fedeli, ben più grande, tuttavia, fu la vera “rivoluzione” che questo miracoloso segno suscitò nell’animo morente del popolo indio. Altri messaggi, infatti, altri “segni” erano contenuti in quel povero tessuto d’agave: segni che nessun microscopio può aiutare a decifrare –e che anche gli Spagnoli dell’epoca ignorarono- ma che si impressero a fuoco nell’anima dei figli degli sconfitti, trasformando il loro destino. Sono segni, questi, che appartengono a l’altra storia, la storia nascosta e sotterranea che stiamo seguendo, ma che parlano un linguaggio fin troppo chiaro per chi, come gli Indios, era abituato a vivere in un universo di simboli. Innanzitutto il luogo dell’evento. La collina del Tepeyac, infatti, era sacra da tempo immemorabile alla dea Coatlicue, la madre terra generosa ma terribile che per i popoli del Mesoamerica rappresentava il femminino sacro in tutte le sue forme; la stessa dea da cui era nato verginalmente il dio Quetzalcoatl. Lo stesso nome “Madonna di Guadalupe”, che indicava un’immagine molto venerata nella Spagna medievale, fu forse scelto proprio per la sua assonanza con il nome indicante l’antica Madre Divina azteca. E’ sul mantello stesso, tuttavia, che il linguaggio simbolico assume un significato senza pari, precluso come abbiamo detto agli occupanti spagnoli, ma ben comprensibile da una civiltà geroglifica come quella degli Aztechi: un “linguaggio di segni” come quello che andiamo via via scoprendo dietro tutta questa vicenda. Sul manto della Signora, infatti, compare una complessa mappa di stelle che, secondo i più recenti studi, rappresenta proprio l’aspetto del cielo visibile dal Tepeyac durante il Solstizio d’inverno del 1531: ivi appare la costellazione della Vergine in primo piano proprio all’altezza delle mani della Vergine. Ma il concetto più alto e contemporaneamente più chiaro è espresso da un piccolo geroglifico, il Nahui Ollin, posto all’altezza del ventre: si tratta di un piccolo fiore a quattro petali, che nell’antica scrittura pittografica designava il Centro del Mondo o la Divinità più antica: il significato che un indio poteva dunque percepire era, inequivocabilmente, quello di una Madre che …sta per partorire la Divinità. Il Mantello di Guadalupe è dunque un perfetto esempio di profonda inculturazione spirituale, la foce di un lungo percorso sotterraneo che, leggendo i simboli, sembrerebbe attraversare come un fiume carsico il cuore di una cultura pur così diversa dalla nostra. Un’inculturazione non umana ma, se si crede all’evento del Tepeyac, direttamente divina, in un’epoca storica in cui era molto di là da venire la dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II, e troppo lontane nel passato le riflessioni patristiche sui “semi del Verbo”. Una storia nascosta eppure reale che forse, quale ultimo “segno”, anche il nome “Guadalupe” sembra voler suggellare: un nome di antica origine araba, come molti nella topografia della penisola iberica, ma dal significato molto evocativo …Fiume Nascosto. [
Note
1] E’ paradossale che questa “leggenda nera” sia nata proprio in quel mondo anglosassone che, contemporaneamente, sterminava gli irlandesi e ripuliva con puritana determinazione il Nord America dalle popolazioni native “pagane”.
[2] Il sacrifico umano era giustificato presso tutti i popoli mesoamericani come una “riparazione” o “penitenza” (nextlahualli ), in ricordo del “Sacrificio Primordiale” attraverso il quale gli dei avevano dato vita all’universo. Presso gli Aztechi, tuttavia, questa pratica raggiunse dimensioni realmente abnormi; si è calcolato che dalle 5.000 alle 20.000 vittime umane venissero sacrificate ogni anno e ogni divinità richiedeva un differente supplizio: estirpazione del cuore, scuoiamento, affogamento, ecc.
[3] Letteralmente il Serpente (coatl) Quetzal. Il Quetzal è un meraviglioso uccello della foresta le cui piume verdi veniva spesso utilizzate per confezionare splendidi abiti destinati prevalentemente ai Sovrani.
[4]La Dea Coatlicue, letteralmente Gonna di Serpenti (i serpenti simboleggiano qui le forze primordiali della natura), non mancava, come tutte le divinità azteche, di un aspetto terrificante: le immagini della dea la raffiguravano con una cintura di mani umane mozzate (qualcosa di analogo alla dea Kali degli indù).
[5] I Toltechi erano una popolazione che aveva preceduto gli Aztechi nella Valle del Messico: l’apogeo del loro regno dovrebbe cadere verso il X e XI sec. D.C.
[6] Questo particolare della “pelle chiara” attribuita al re Quetzalcoatl nelle leggende ha dato origine ad una ridda di interpretazioni –dalle più interessanti e plausibili, alle più fantastiche. C’è chi di volta in volta ha visto, in questo personaggio, un monaco irlandese giunto in Messico prima dell’anno 1000, un prete scandinavo, un cavaliere templare o persino, come immaginarono i primi missionari francescani, un apostolo di Gesù (in particolare San Tommaso). Il mistero rimane, anche perché la leggenda degli “dei bianchi venuti da lontano” è presente anche in altre culture pre-colombiane, come i Maya, gli Incas, ecc.
[7] Secondo Bernal Diaz del Castìllo, soldato di Cortèz e autore della più completa cronaca della Conquista, era questo il nome che i Mexica (cioè gli Aztechi) attribuivano agli Spagnoli (evidente correzione del termine nahuatl teotl, che vuol dire divinità). [
8] Sulle cui rovine è sorta Città del Messico.
[9] “Molti Indios si impiccarono, altri si lasciarono morire di fame, altri si avvelenarono con erbe, alcune madri uccisero i loro bambini” (cit. in V. Elizondo, Guadalupe, madre della nuova creazione, Assisi 2000, p. 55). [
10] A titolo di curiosità, ricordiamo che le più antiche fonti raccontano che la città di provenienza di Juàn Diego era Cuauhtitlàn, nota nel mondo azteco come sede dei guerrieri dell’Ordine dell’Aquila (cfr. A.F.Castanares, Vida del Beato Juan Diego, in Historica, n° 2, Giugno 1991). [11] Cit. in AA.VV., La Madonna di Guadalupe. Dono di Dio o dipinto d’uomo?, Cinisello Balsamo (Mi), 2000, p. 2 [12] Nel 1921, durante la feroce persecuzione massonica contro i Cattolici in Messico, l’immagine fu vittima di un attentato dinamitardo in cui rimase illesa perché un grosso crocefisso di metallo “assorbì” l’onda d’urto dell’esplosione.
[13] Nel 1836, durante una ripulitura della teca, alcuni operai versarono inavvertitamente acido nitrico sul tessuto: anche in questo caso, il secolare e fragilissimo mantello, invece di sfilacciarsi rimase illeso.