Progressisti e tradizionalisti: due facce della stessa medaglia? Forse no.

Sembra che i titoli “progressista” e “tradizionalista” proprio non se la sentano di passare di moda.

Leggiamo quotidianamente di sacerdoti o teologi o semplici fedeli etichettati con questi due aggettivi. Chiariamoci subito, non tutto quello che viene scritto è falso. Che ci sia una tendenza “progressista” nella Chiesa o più “tradizionalista” è un fatto. Sicuramente è un dato che è maggiormente emerso durante la stagione del Concilio Vaticano II.

Quello che oggi affiora, invece, come analisi da parte di intellettuali e teologi vari è il considerare queste due posizioni come errate, ovvero considerarle alla stregua come due pericolose derive della Chiesa post moderna. Siamo sicuri che sia davvero così? Si tratta, a mio avviso, di un’analisi imprecisa nel tentativo di “normalizzare” Leggi tutto “Progressisti e tradizionalisti: due facce della stessa medaglia? Forse no.”

C’era una volta un monsignore galante

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C’era una volta un monsignore galante che tuonava contro una Chiesa troppo impegnata nelle battaglie etiche del rispetto della vita, legata troppo politicamente a governi di centro destra, decisa a sostenere a qualsiasi costo l’unica famiglia possibile, quella che nasce dal rapporto fra un uomo e una donna.

Questo monsignore non lesinava critiche ai suoi colleghi e predecessori arrivando ad affermare che: “In passato ci siamo concentrati esclusivamente sul no all’aborto e all’eutanasia. Non può essere così, in mezzo c’è l’esistenza che si sviluppa”. Non pago di ciò, Leggi tutto “C’era una volta un monsignore galante”

Ma quanti sono i bambini di omosessuali in Italia?

pro vita

L’ultimo numero di Pro Vita rivela quante sono le coppie omosessuali in Italia e quanti i loro “figli” (le virgolette sono d’obbligo, trattandosi di figli nati per lo più da precedenti rapporti naturali, e, quando così non è, da un uomo o da una donna cancellati). Ebbene, i “figli” sono 529 bambini!
Perchè sembra l’emergenza di ogni giorno? Se è vero che un solo bambino senza uno dei due genitori è già un dramma, perchè volerne “produrre” altri?

La crisi delle quote rosa

La retorica di chi vorrebbe più donne in politica e al governo è oggi un po’ in crisi, visto quel che accade in Italia e in Trentino. Qui, perché molte esponenti del gentil sesso sono diventate sindaco e assessore in vari comuni alle ultime amministrative, senza bisogno né di quote rosa né dei “voti di genere” obbligatori invocati dalle consigliere Cogo e Ferrari. In campo nazionale, invece, due signore non certo disimpegnate come Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, e Luisa Todini, imprenditrice e mamma, hanno rifiutato l’offerta di sostituire il ministro per lo sviluppo Claudio Scajola. Evidentemente perché avevano di meglio da fare – ha commentato Annalena Benini sull’ultimo numero di Panorama.

Condivido. Secondo un pregiudizio ideologico ancora radicato a sinistra, ma presente anche nel centrodestra, le donne devono infatti occupare, come e più degli uomini, posizioni di potere, perché attività meno “pubbliche” e visibili come prendersi cura della famiglia e dei figli, una professione o un impiego qualunque, non costituiscono un lavoro altrettanto dignitoso e utile per sé e alla società.

Motivo? Continua a circolare un’ammuffita mentalità collettivista, secondo cui la famiglia, la professione, l’impresa appartengono al “privato”, cioè ad una sfera di scarso valore generale, mentre a pesare di più “a livello sociale” e “in un’ottica complessiva” sarebbero i politici, chi siede ai vertici delle istituzioni e della pubblica amministrazione.

Ma questa è, appunto, “ideologia”. La realtà mostra esattamente l’opposto: sono soprattutto le donne (e gli uomini) del cosiddetto “privato”, la gente che si dedica alla famiglia, all’impresa, alla professione, la sorgente della ricchezza (non solo materiale) e la sostanza di quella “società” al cui servizio dovrebbero porsi la politica e il “pubblico”.

Nel disprezzo per la società – e quindi, paradossalmente, anche per le donne che ne sono il motore primario – sta oggi la debolezza di questo progressismo ormai stantio. Perché è la società, sono quanti si spendono nel “privato”, in famiglia e nel proprio umile lavoro, l’unica ragion d’essere della politica. Che altrimenti – come vediamo – si avvita su se stessa, infischiandosene del bene comune.

Governo dell’autonomia e deriva verso un’antropologia debole

Qualche anno fa, forse due o tre, un quotidiano locale – aveva deciso di pubblicare un mio intervento, nel quale argomentavo alcune mie convinzioni di fondo. In sintesi ciò che andavo sostenendo era quanto segue.

Di fronte agli attacchi più o meno sistematici all’autonomia dell’istituzione provinciale mi sembrava perlomeno ridicolo replicare, da parte dei suoi principali protagonisti politici e istituzionale – richiamandosi a prerogative storico culturali francamente prive di consistenza.

Gli è infatti che – se si ha un minimo di onestà intellettuale per riconoscerlo – il governo dell’autonomia da almeno un ventennio ha reiterato un modello assistenzialista della politica, talmente pervasivo da non escludere alcun ambito della vita pubblica, dalla scuola all’economia, dal welfare alla cultura.

Ciò aveva spinto l’ex parlamentare trentino Azzolini a parlare pubblicamente di "sovietizzazione" del Trentino E’ nei fatti che il presidio di tale orientamento annichilente della vitalità di ogni comunità (gli esempi li mostra la storia, nel nostro Paese ma anche all’estero) è stato "garantito" da tutti i governi che si sono succeduti: un ordine di pensiero in qualche modo "bipartisan".

Non devono infatti ingannare gli indicatori di vitalità e qualità della vita che di tanto in tanto vengono sbandierati dalle leadership politiche del momento: lo stesso atlante della competitività delle province e delle regioni (http://www.unioncamere.it/Atlante/) è al riguardo sufficientemente esplicito da non lasciare scampo a semplificazioni o assunti sul profilo del Trentino. Ciò che è vero è che potremmo essere effettivamente un paradigma a cui riferirsi e invece generiamo popolazioni antropologicamente deboli.

Che l’assiologia di riferimento delle formazioni politiche che hanno responsabilità di governo e, ancor più, le implicazioni sulla politica ordinaria, siano fortemente correlate non credo sia soggetto a dubbio.

Se le generazioni degli attuali trentenni, quarantenni, cinquantenni hanno avuto e hanno come ideale del proprio percorso umano anzitutto l’impiego nell’ente pubblico o nel sistema delle casse rurali, significa che il gene stesso dell’imprenditività è stato alterato.

E qui non si tratta di proporre un’inutile retorica sull’imprenditorialità che non c’è: occorre altresì prendere atto di una deriva ormai consolidata di appiattimento delle forze vitali della società locale sugli stereotipi di un edonismo che ha annichilito ogni capacità di reazione.

Ebbene: cosa c’è di nuovo in Trentino da vent’anni a questa parte? La stessa Università – che ha ingigantito la sua presenza sul territorio – quali reali ricadute ha avuto sui giovani, sulle imprese, sulle comunità?

Per non parlare dell’ingombrante immobilismo delle varie mostruosità istituzionali: le varie agenzie e società a partecipazione pubblica che occupano settori inverosimilmente ampi, dal turismo all’informatica, dalla cooperazione alla ricerca, dalla cultura all’agricoltura.

L’esito di questo modello, che procede anzitutto da una cultura e un’antropologia deboli, è un malessere sociale che reclama – quando ne mantiene la forza di farlo, risollevandosi da una situazione anestetica o di vero e proprio disempowerment – un’aria nuova, che dia impulso alla voglia di fare e costruire, smantellando un sistema che fa dell’autoreferenzialità il suo verbo, indulgendo tra l’altro nello specchiarsi nel (presunto) complesso di superiorità del Trentino.

Ben venga quindi la revoca delle prerogative dell’autonomia provinciale: forse, dovendo rimboccarsi le maniche, anche il Trentino comincerà a riconoscere che oltre Borghetto, c’è "un mondo intorno". Un’ultima notazione. Grave è la responsabilità della classe politica che sin qui ha avuto in mano il pallino.

Non è tanto l’eclatanza della tangentopoli provinciale di questa stagione a disarmare: è piuttosto l’endemica mediocrità della classe politica, che ha esibito l’intero spettro di un’incapacità di trainare una terra verso un modello di sviluppo sfidante e affascinante. Fanno veramente sorridere, anzi piangere, le schermaglie tra le fazioni che si stanno affrontando per la tornata elettorale del prossimo 26 ottobre: come se il problema fosse il rischio nazifascista da una parte, e la "magnadora" dall’altra.

Ma non scherziamo! Qui c’è di mezzo il futuro di generazioni che potrebbero essere considerate come risorse anziché come potenziali sudditi da controllare. Ma forse è proprio quello che cerca il potere.

Maurizio Pangrazzi – mauriziopangrazzi@yahoo.it

 

La politica dei rifiuti e i rifiuti della politica

A proposito delle tonnellate di rifiuti campani che il premier Romano Prodi ha chiesto alle altre regioni – compresa la nostra – di “condividere” per spirito di solidarietà nazionale, ho trovato particolarmente azzeccata la risposta data dal sindaco di Rovereto Guglielmo Valduga al presidente della Giunta provinciale Lorenzo Dellai, il quale aveva manifestato la disponibilità del Trentino ad accogliere l’invito del governo, salvo poi rimangiarsi l’offerta per la saturazione delle nostre discariche.

Scrive infatti Valduga nel telegramma inviato a Dellai: "non ci troviamo dinnanzi a una emergenza di tipo calamitoso per la quale la solidarietà è un atto doveroso, ma semmai siamo di fronte a un disgoverno che si è protratto negli anni. Una negligenza che non va solo a discapito dei propri censiti, ma sta creando un immenso danno d’immagine all’intero Paese. Non si vede come si possa solidarizzare con un’azione di governo così lacunosa e negligente".

L’aspetto vergognoso della vicenda non è quindi il presunto “egoismo” dimostrato della Provincia di Trento nel respingere l’appello a smaltire i rifiuti campani, ma il tentativo ipocrita di mettere sullo stesso piano le tragiche conseguenze di un (inevitabile) terremoto, e un’emergenza che è invece stata causata dall’inettitudine di politici e amministratori. Emergenza, quindi, che si risolve innanzitutto mandandoli a casa. Suggerire questa soluzione è l’unico modo serio con cui il Trentino testimonierebbe la propria solidarietà.

Gian Burrasca

Drodesera: un qualcosa (già ma cosa?)

Torno improvvisamente a scrivere per Libertà & Persona dopo un lungo periodo di assenza, spinto dalla voglia di rompere le uova nel paniere – lo pretende il mio ruolo di Gianburrasca – ad una certa “dittatura culturale” che con il totale sostegno finanziario (e non solo) della Giunta provinciale e la sfacciata complicità dei giornali locali (verrebbe quasi da dire “ufficiali” o “di Palazzo”), sponsorizza e promuove iniziative a dir poco discutibili e astruse come quella di seguito descritta.

Si tratta della presentazione della ventisettesima edizione della «rassegna artistica d’avanguardia» (così viene letteralmente definita) “Drodesera Fies”, che si aprirà venerdì 27 luglio alla Centrale idroelettrica, appunto, di Fies a Dro. Il programma è stato presentato nella sala stampa della Provincia autonoma di Trento dagli assessori alla cultura Margherita Cogo e all’innovazione e ricerca Gianluca Salvatori, dal direttore generale del Festival, Dino Sommadossi, e dal sindaco di Dro Vittorio Fravezzi.

Provate a contare se ci riuscite gli aggettivi e i sostantivi impiegati per tessere le lodi dell’iniziative, che mostrano fino a che punto il comunicato redatto e diffuso dall’ufficio stampa della Giunta Dellai e al quale – statene certi – i quotidiani e le tv daranno ampio spazio, si sbilanci a favore dell’organizzazione e della proposta, ideata si badi bene non dalla Provincia ma dalla famosissima cooperativa il Gaviale (e chi la conosce?).

«Un festival maturo con tanta voglia di crescere e di confermare la propria vocazione all’innovazione e sperimentazione, una rassegna artistica d’avanguardia che non si siede su se stessa e che continuamente riscopre la propria ragion d’essere nella ricerca di nuovi linguaggi e nuovi talenti. Drodesera Fies è questo e altro, rappresentazione delle metamorfosi del teatro, incontro ravvicinato tra pubblico e attori/artisti, contaminazione benefica e provocatoria delle culture e impresa economica. La ventisettesima edizione – venerdì 27 luglio l’apertura alla Centrale idroelettrica di Fies a Dro – è stata presentata stamane nella sala stampa della Provincia autonoma di Trento dagli assessori alla cultura Margherita Cogo e all’innovazione e ricerca Gianluca Salvatori, dal direttore generale del Festival, Dino Sommadossi, e dal sindaco di Dro Vittorio Fravezzi.

Dall’assessore Cogo il riconoscimento, non formale, del salto qualitativo che Drodesera Fies ha saputo costruire “mantenendo un budget limitato” e, parallelamente, della “grande responsabilità sociale” che Enel si è assunta ospitando il Festival nella centrale di Fies. Cogo ha ringraziato la Cooperativa Il Gaviale – organizzatrice della manifestazione in collaborazione con la Provincia e con il sostegno di Regione, Enel, Ministero per i Beni e le Attività culturali, il Comune di Dro, la Cassa Rurale Alto Garda e Ingarda e con il patrocinio dell’Ente Teatrale Italiano – e il Comune di Dro con il quale “c’è grande comunanza”.

Due gli auspici espressi dagli assessori Cogo e Salvatori: il primo, che Drodesera entri nel calendario della Biennale di Arte Contemporanea Manifesta 7, il secondo che sia compreso come questo festival debordi dalle pagine culturali e degli spettacoli dei giornali in quanto evento che è dentro i processi di innovazione territoriali del Trentino e che è esso stesso motore di ricerca, versante artistico dello stesso processo evolutivo che sta interessando il sistema trentino della ricerca.

Un Festival che è nell’orgoglio di una piccola comunità quale è Dro. “Il nostro obiettivo – ha spiegato il sindaco Fravezzi – è farlo crescere non solo sul piano dell’offerta e della fruizione culturale ma anche come centro di produzione artistica a livello internazionale”. Al direttore Dino Sommadossi il compito di illustrare questa ventisettesima edizione di Drodesera Fies, spiegando innanzitutto il sottotitolo: “Back to the forest” che accompagna l’immagine scelta, un maestoso cervo, per la “locandina”.

L’edizione di quest’anno, infatti, riprende il filo ideale tracciato lo scorso anno, quell’”arroganza della metamorfosi” che aveva portato danzatori e attori nella foresta per un rito iniziatico che li aveva trasformati. Ecco, “Back to the forest”, dunque, come “ritorno alle sensazioni provate nell’atto del cambiamento, come voglia di recuperare nuovamente qualcosa di ancora più legato al corpo, alla passione, al materiale. Un ritorno alle paure che aprono nuovi mondi, dentro e fuori, all’inquietudine che ci accompagna e che ci tiene all’erta, alle emozioni pure e pericolose.

HYBRIDS wamp Contemporary art/project V.M. 18 vuole presentare al suo pubblico la fusione esistente tra arte e pornografia. E’ un piccolo evento, e il risultato sarà quello della dinamica messa in moto dalle opere presenti, capaci di portare alla luce un qualcosa: le installazioni, le performance, gli incontri con critici e studiosi di arte contemporanea e le reazioni del pubblico alle azioni degli artisti, tutto questo “divenire” sarà Hybrids wamp, cosicché la sua reale essenza si rivelerà alla fine dei tre giorni e delle tre notti (2, 3, 4 agosto).

Il concept del progetto nasce dall’ascolto e dall’osservazione della nostra società, e prende la forma di Hybrids che, come evento pubblico, ritorna alla società stessa, ecco perché non nasce per scioccare, né per essere trasgressivo nei confronti della nostra cultura, perché già ne fa parte (entrate, aprite gli occhi e le orecchie, potete sopportarlo).

I ragazzi che lavoreranno a questo progetto speciale sono: Jürgen Brüning, Tatiana Bazzichelli , Gaia Novati “Porno Karaoke” prima nazionale il 2 agosto, Sergio Messina “Realcore la rivoluzione del porno digitale”; T.B.C “Il corpo del reato”, lavoro inedito site specific (3 agosto), Benedetta Panisson “Atto muto” installazione/lavoro inedito; Antonio Tagliarini love me love me (4 agosto), “Red District” riprese di Francesca Grilli, “festin rouge” del gruppo di architetti minove, “12 rooms> Playsex, she goes to Hollywood” di Rosario Fontanella “Josephine” di Letizia Renzini (dal 2 al 4 agosto).

Parte integrante e necessaria per l’intero progetto sono gli incontri nei giorni giovedì 2, venerdì 3 e sabato 4 agosto con artisti, critici e studiosi fra i quali Gianni Manzella saggista, giornalista, direttore della rivista Art’o, Andrea Lissoni critico, curatore, storico dell’arte e esperto di moving images, Tatiana Bazzichelli e Gaia Novati ideatrici del cum2cut festival, Jürgen Brüning direttore del Film Porn festival di Berlino, Gerardo Lamattina / T.B.C., Antonio Tagliarini performer, attore, danzatore, Benedetta Panisson performer e videoartista, Sergio Messina musicista, dj, performer, Pietro Gaglianò critico d’arte contemporanea con la conferenza “Guardami. L’artista come pornocrate. Dagli anni Sessanta a oggi”.»

Non so se siete riusciti ad arrivare in fondo cogliendo il “concept” .Se ce l’avete fatta converrete con me che si tratta di una prosa degna della migliore attualizzazione giornalistica del Ventennio.

Non avete forse provato anche voi scorrendo queste righe una qualche “Hybrids wamp”? E non vi siete sentiti percorrere da brividi di pura gioia apprendendo che il Trentino ospiterà questa “arroganza della metamorfosi”?

Tranquilli, perché “la dinamica dell’evento porterà alla luce un qualcosa” – ha spiegato Sommadossi – (ma cosa?) cosicché “la sua reale essenza si rivelerà alla fine dei tre giorni e delle tre notti”.

E poi quel che più conta è che l’iniziativa “nasce dall’ascolto e dall’osservazione della nostra società, e prende la forma di Hybrids che, come evento pubblico, ritorna alla società stessa, ecco perché non nasce per scioccare, né per essere trasgressivo nei confronti della nostra cultura, perché già ne fa parte (entrate, aprite gli occhi e le orecchie, potete sopportarlo).” Chiaro no?

Tutto ciò corrisponde naturalmente – come dubitarne? Si pensi anche soltanto all’”artista come pornocrate” – alla più genuina tradizione culturale e popolare degli abitanti di Dro e dintorni.

Si tratta, insomma, come diceva un mio amico sardo, di un’iniziativa “porno-sesso-ricreativa a fini didascalico-allegorici”, che gli assessori provinciali alla cultura e alla ricerca insieme all’orgoglioso sindaco di Dro hanno sentito l’irrefrenabile bisogno di benedire e raccomandare a tutti (tranne i minori di 18 anni).

Perdere o, peggio ancora, criticare a-priori questi spettacoli solo sulla base della loro presentazione alla stampa, equivale ad autorelegarsi nel più vieto oscurantismo cattolico e rimanere in balia di una cultura reazionaria.

Tuttavia, lo confesso: di fronte alla proposta di un “ritorno alle sensazioni provate nell’atto del cambiamento, come voglia di recuperare nuovamente qualcosa di ancora più legato al corpo, alla passione, al materiale. Un ritorno alle paure che aprono nuovi mondi, dentro e fuori, all’inquietudine che ci accompagna e che ci tiene all’erta, alle emozioni pure e pericolose”, io, l’estate, in ferie, preferisco i vecchi cari cori di montagna e le bande di paese. Buone vacanze a tutti.

Gianburrasca

I disobbedienti neo-bolscevichi

Domani marcerà su Trento un branco di scalmanati decisi a rivedicare il pieno diritto di un immobile di proprietà dell’opera universitaria da loro già indebitamente occupato. Si autodefiniscono disobbedienti perché non hanno rispetto di niente, specie delle cose degli altri e di tutti, come la democrazia, le istituzioni, le pompe di benzina, le strade, i muri delle case e dei palazzi più belli, le vetrine, ecc.. Dove passano imbrattano o distruggono perché così piace a loro.

Sono amatissimi dai giornali che riservano pagine piene di simpatia a questi paladini della pace e dei diritti (vale a dire qualunque cosa vogliano per se stessi) imposti con la forza.

Per rassicurare i commercianti della città circa il carattere pacifico della manifestazione, alcuni di loro hanno distribuito ieri fiori di camomilla a chi aveva espresso qualche timore per i danni che l’orda barbarica potrebbe causare ai negozi davanti ai quali transiterà.

Due sole osservazioni: 1. la camomilla dovrebbero bersela i disubbidienti e a dosi massicce perché gli unici esagitati sono loro; 2. se nè il comune nè le forze dell’ordine cacceranno subito a calci in culo questi fancazzisti dall’edificio pubblico illegalmente occupato, dovremo prepararci a difendere le nostre case da questi fanatici neo-bolscevichi, perché il loro prossimo passo sarà il sequestro delle proprietà private (solo quelle altrui, naturalmente).