Il Ministro Fioroni e la sussidiarietà capovolta

Tre considerazioni dopo la giornata fitta di incontri trascorsa dal ministro della pubblica istruzione Giuseppe Fioroni a Trento, in concomitanza con l’inizio dell’anno scolastico nel nostro territorio.

l. Consapevole di poter agevolmente compiacere la giunta provinciale di centrosinistra in casa della quale giocava, il ministro ha dato un forte taglio politico alla sua visita, sparando ad alzo zero contro il governo Berlusconi. L’esatto contrario dell’atteggiamento tenuto da Letizia Moratti quando in Trentino, due anni fa, aveva dedicato i suoi interventi alle cose da fare.

Fioroni ha ribadito a più riprese, specie davanti ai giornalisti, la sua volontà di rimuovere le storture e i mali di cui soffre la scuola e ripetutamente imputati al precedente esecutivo.

Si è così accattivato soprattutto la simpatia degli esponenti della sinistra più intransigente (al suo fianco la diessina Margherita Cogo non riusciva a nascondere la soddisfazione) e, non a caso, anche il plauso di Agostino Catalano di Rifondazione comunista, che in Consiglio provinciale è all’opposizione.

Ma, tutto preso com’era dalla pars destruens, il Ministro non ha preannunciato alcun intervento innovativo per cambiare la situazione.

Certo, ha detto di aver fiducia nell’autonomia degli istituti, promettendo di sfuggire alla “riformite acuta” di cui la scuola soffre da anni senza trarne beneficio. Ma abbiamo tutti sotto gli occhi gli enormi problemi dell’istruzione e della formazione in Italia – dal costo esorbitante e ormai insostenibile dei suoi dipendenti (un esercito di oltre un milione e 200mila unità), all’insufficiente raccordo con il mondo del lavoro, per non parlare della frustrazione dei docenti la cui preparazione professionale non ha alcun valore – e sappiamo benissimo che non si risolveranno da soli.

Il fatto poi che il ministro si trovi ancora nella fase di avvio del suo mandato non giustifica l’assenza di un serio programma orientato a sciogliere questi e altri nodi.

2. Fioroni a Trento si è indubbiamente dimostrato un abile oratore, capace di intrecciare senza pause ragionamenti anche arditi, dando all’uditorio l’impressione di tenere la situazione totalmente sotto controllo nonostante la complessità delle questioni sul tappeto.

Tra i termini più ricorrenti nei suoi discorsi, quello di sussidiarietà ha avuto un ruolo importante per spiegare il rapporto fra scuola pubblica e istituti non statali.

Stravolgendo, però, il significato di questo principio.

Nella sua risposta alla domanda rivoltagli da un giornalista in merito alla parità, il ministro ha infatti evocato il ruolo “sussidiario” della scuola materna non statale, il cui merito sarebbe quello di coprire il 40 per cento del servizio educativo nel nostro Paese.

Per Fioroni, cioè, la sussidiarietà non vuol dire che l’ente pubblico è tenuto a favorire l’iniziativa e l’organizzazione dei cittadini per rispondere ai loro bisogni, e ad intervenire quindi solo laddove questa non sia sufficiente.

Al contrario per il ministro la “sussidiarietà” coincide con il compito strumentale, di pura integrazione e supplenza del servizio erogato dall’ente pubblico assegnato ai soggetti del privato-sociale, se lo Stato non riesca ad occupare tutti gli spazi.

Come dire che quando l’intervento pubblico arriverà ovunque, delle scuole “paritarie” si potrà fare tranquillamente a meno. In questa visione statocentrica, alle scuole non statali, nel nostro caso provinciali, è lasciato un ruolo residuale ed è tutt’al più concesso di fornire eccezionalmente un servizio di pubblica utilità dato che per il momento non sarebbe possibile rinunciarvi.

Se quindi il governo Berlusconi non ha favorito la parità, pur politicamente condivisa, avendo drasticamente ridotto nella legge finanziaria le risorse riservate alle scuole non statali, Fioroni capovolge l’idea stessa di sussidiarietà, affermando che l’ente pubblico non deve affatto incoraggiare l’impegno dei privati in campo educativo, ma può al massimo tollerarne utilitaristicamente la sopravvivenza – specie nella fascia considerata più indolore delle scuole materne – in attesa che lo Stato o la Provincia si assumano in prima persona anche la responsabilità di questo come di ogni altro ambito.

3. E’ interessante registrare la delusione espressa, comprendendo questa posizione di Fioroni, da don Umberto Giacometti, dirigente della maggiore scuola paritaria del Trentino, che su questi temi è solito mostrarsi pienamente in sintonia con gli esponenti, ministri e assessori, del centrosinistra, specie se dichiarano la propria ispirazione cristiana. Forse don Umberto ha capito che questa linea, oggi, non paga più.

Di mezzo c’è il clamoroso flop del liceo internazionale da lui fortemente voluto a Rovereto, aperto proprio quest’anno dall’Arcivescovile con l’indispensabile e cospicuo apporto finanziario della Provincia.

L’insuccesso, che ha di molto inasprito il clima delle relazioni fra Giacometti, il presidente della Giunta Dellai e soprattutto l’assessore Salvaterra, potrebbe e dovrebbe essere l’occasione per ripensare a fondo il rapporto fra Provincia e scuole paritarie.

Magari ripartendo dall’esigenza di mettere gli alunni e le famiglie nelle condizioni di scegliere liberamente l’offerta educativa più adeguata alla loro domanda.

All’insegna, questa volta, di una vera sussidiarietà.

Gian Burrasca

pressmail.a@libero.it

Scuola: no all’educazione fisica sui libri

Nella pila di nuovi libri (sempre di più per la verità) che ci siamo dovuti procurare per i figli all’inizio dell’anno scolastico, ho notato, stupito, anche un voluminoso testo di educazione fisica. Premetto che non considero affatto questa disciplina – una volta la chiamavamo semplicemente “ginnastica” – meno importante delle altre.

Anzi.

Credo che mai quanto oggi i nostri bambini e i ragazzi, troppo spesso alle prese con telefonini, pc, tivù e videogames, vadano stimolati all’utilizzo consapevole della dimensione fisica con attività motorie e sportive di vario tipo, non necessariamente finalizzate all’agonismo ma indispensabili come altre materie alla loro crescita.

Per questo condivido pienamente l’esigenza di migliorare il rapporto fra la scuola e lo sport, dando a quest’ultimo più spazio e dignità nel sistema dell’istruzione e della formazione, evidenziata qualche giorno fa sul Corriere del Trentino da un giornalista ed ex atleta come Carlo Giordani.

Peccato che la riforma della scuola trentina approvata in luglio dal Consiglio provinciale, abbia trascurato il problema.

Quello che più temo è la tendenza a trasformare anche l’educazione fisica in materia “libresca” – il cui oggetto sarebbe poi il corpo umano (ma non dovrebbe occuparsene “scienze”?) – da studiare sui banchi di scuola, alla quale dedicare lezioni in classe e compiti a casa, vanificando così ancor più le già pochissime ore di esercizi e giochi in palestra o all’aria aperta concesse dalla programmazione.

Ripeto, certamente anche questa materia ha una sua dignità teorica, ma il vero problema è un altro: solo la scuola può proporre l’attività motoria anche sotto forma di pratica sportiva, e al tempo stesso abituare gli studenti a riflettere su quello che stanno facendo per acquisire la consapevolezza del valore e delle regole di una disciplina.

Per questo però non servono centinaia di pagine da leggere, interrogazioni, prove scritte e compiti a casa. Bastano docenti che insegnino a combinare il fare (in questo caso “ginnastica”, ma il discorso vale anche per tutte le altre materie) e il pensare, l’esercizio fisico e quello mentale.

Non è un caso che i campioni dello sport – quelli veri – siano sempre persone preparate e intelligenti.

Separare pensiero ed azione distrugge la possibilità dell’educazione come “esperienza” che introduce tutta la persona, e non solo la testa, nel rapporto con la realtà.

Mi appello quindi alla professionalità (e al buon senso) degli insegnanti, perché non privino i loro alunni di un’attività motoria – certo “ragionata” ma pur sempre motoria – di cui hanno estremo bisogno e nemmeno delle prove di atletica, delle gare e delle partite di pallavolo, basket o altro che, se guidate con sensibilità e attenzione da un adulto (e non solo arbitrate), possono davvero educare ad un miglior rapporto con se stessi, con gli altri e con il mondo.

Gian Burrasca

pressmail.a@libero.it

Magdi Allam a Trento. Quel che i giornalisti non hanno ascoltato

C’erano quasi 600 persone ad ascoltare Madgi Allam ieri sera a Trento. Pressochè impossibile per i ritardatari entrare nell’auditorium dell’Arcivescovile.

Molte le domande alle quali lo scrittore e giornalista egiziano naturalizzato nel nostro Paese e vicedirettore “personale” del Corriere della Sera, si è sottoposto e attraverso le quali ha chiarito il senso del suo ultimo libro, andato a ruba nel banchetto all’ingresso, che dava il titolo alla serata: “Io amo l’Italia. Ma gli italiani la amano?”.

Peccato che quasi tutti i cronisti se ne siano andati dopo pochi minuti perdendosi alcune considerazioni importanti. Per questo è il caso di riportare almeno alcuni dei “botta e risposta” tra il pubblico e il relatore.

Eccoli.

La frase di Prodi sul papa che durante il viaggio in Turchia potrà essere protetto dalle guardie svizzere?

“Vergognoso”.

Cosa ne pensa dell’imam trentino Braigheche, vicepresidente nazionale dell’Ucoii, l’organizzazione musulmana che il mese scorso aveva acquistato una pagina dei quotidiani nazionali in cui Israele veniva paragonata alla Germania nazista?

“E’ stato un grave errore inserire e mantenere nella consulta nazionale delle comunità islamiche in Italia un’associazione come questa, che auspica la scomparsa di Israele, perché così si legittima chi predica un’ideologia dell’odio”.

La minaccia del terrorismo?

“Nel nostro Paese le leggi vengono interpretate arbitrariamente a seconda dell’orientamento ideologico dei magistrati. Una recente sentenza della Corte di cassazione ha stabilito che fino a quando non colgo con le mani nel sacco chi si sta facendo esplodere non lo posso arrestare. Come se non fosse già da considerare reato fare l’apologia del terrorismo e predicare la violenza. Il terrorismo nasce nel momento in cui si assume l’ideologia che lo alimenta”.

Gli immigrati?

“L’Italia è rimasto l’unico Paese europeo che continua a spalancare loro le porte in nome di un buonismo deleterio, i cui effetti devastanti si sono visti in Inghilterra, Olanda e Francia. Non si possono dare agli immigrati tutti i diritti senza chiedere loro anche il rispetto dei doveri. Nessuno aveva detto al padre di Hina che per le nostre leggi la donna e l’uomo sono uguali. Se non vogliamo che si creino ghetti e alimentare il razzismo, dobbiamo subordinare l’accoglienza degli immigrati alla conoscenza della nostra lingua e all’accettazione dei nostri valori. Occorre che questi requisiti siano accertati in partenza, con un test da sostenere nei loro Paesi d’origine, altrimenti non avverrà alcuna assimilazione e gli islamici continueranno a chiedere di essere riconosciuti come una sorta di Stato nello Stato”.

Gian Burrasca

pressmail.a@libero.it