Tommaso d’Aquino spiegato alla luce dell’attuale cosmologia: l’universo non è l’Infinito

Cosa possono avere da dirsi un filosofo e teologo medievale, come Tommaso d’Aquino (1225-1274), ed un insigne fisico vivente del XXI secolo? Nell’immaginario comune, poco. In verità, moltissimo. Perchè innumerevoli volte accade che le conoscenze scientifiche neghino pregiudizi del passato, ma molto spesso succede anche che uomini di scienza arrivino, dopo innumerevoli studi, in cima a vette già conquistate, secoli prima, dai grandi pensatori.

Il fisico che vorrei far dialogare con il filosofo del Medioevo per eccellenza è Guido Tonelli, professore all’Università di Pisa, uno dei protagonisti della scoperta del bosone di Higgs al Cern di Ginevra.

Tonelli è autore, recentemente, di un libro dal titolo Cercare mondi. Esplorazioni avventurose ai confini dell’universo, nel quale in più occasioni sottolinea quella che gli sembra la più sconvolgente scoperta dell’astrofisica e della cosmologia contemporanee: la precarietà dell’Universo.

Nulla di ciò che ci circonda è eterno

Nel farlo, e qui sta certamente l’aspetto più interessante, Tonelli invoca l’ausilio dei filosofi, perchè conferiscano al dato un significato, un’ interpretazione.

Leggiamo qualche passo di Tonelli, nel quale si rivela, implicitamente, che la concezione dell’Universo come qualcosa di infinito ed immutabile, completo ed autosufficiente, propria di molta filosofia greca, delle filosofie panteiste (Giordano Bruno e Spinoza), del positivismo ottocentesco così come di tutti i materialismi di stampo marxista e comunista, non ha più alcuna cittadinanza nella scienza odierna (benchè spesso ciò non sia ancora capito):

Ora la ricerca scientifica più avanzata ci indica un quadro completamente diverso (rispetto all’idea di un “mondo materiale perfetto, eterno, immutabile”, ndr). Quelle enormi costruzioni che ci parevano immortali, sono esse stesse fragili e sottoposte a rischi; non c’è nulla di eterno e immutabile che ci circonda, nemmeno l’universo stesso. Quella che consideravamo una nostra specifica debolezza, una anomalia caratteristica dei viventi, dalla quale le grandi strutture cosmiche apparivano immuni, sembra essere condizione generale dell’esistente. Trovo meraviglioso che le nostre osservazioni possano stabilire una relazione tra la precarietà della condizione umana e quella dell’universo nel suo complesso”.

Ancora: “Ora siamo consapevoli che la meraviglia di mondo materiale che ci circonda, e che abbiamo sempre considerato eterna, sembra danzare, in equilibrio fragile e precario, sul baratro… Adesso che abbiamo imparato che l’intero universo si regge su un equilibrio precario che si potrebbe rompere in qualunque momento, vogliamo discuterne le implicazioni? Chi meglio dei filosofi, degli umanisti, degli artisti lo potrebbe fare?1.

Tommaso d’Aquino in aiuto dei cosmologi

Immaginiamo ora che Tommaso d’Aquino venga in aiuto alla richiesta del professor Tonelli, dopo aver appreso che gli scienziati, alla fine dell’Ottocento, hanno cominciato a discutere sulla possibile morte termica dell’Universo (vedi sopra), mentre un sacerdote cattolico tomista, Georges Edouard Lemaître (1894-1966), negli anni Trenta del Novecento, ha ipotizzato la nascita dell’Universo da un “atomo primitivo” (teoria del Big Bang).

“Vede, caro professor Tonelli – direbbe probabilmenteTommaso-, la precarietà di cui lei parla è all’origine della mia filosofia, circa 800 anni orsono. Da filosofo, infatti, mi sono posto il problema della mortalità di ogni realtà che ci circonda: muoiono gli animali, le piante, gli uomini… Ai miei tempi, sviato dalla cosmologia aristotelica e pagana, non sapevo che anche le stelle nascono e muoiono, come avete scoperto voi moderni, nel secolo appena trascorso. Mi era però chiara la precarietà, la fragilità, la vulnerabilità, come dice lei, di ogni cosa. E questo lo potevo desumere non soltanto dall’osservazione della natura, ma anche dalle Sacre Scritture, da un dogma assai importante e originale ivi presente, ma assente in tutte le altre religioni e filosofie: quello della creazione dell’universo dal nulla di materia. Si tratta di un concetto difficile: presente, nell’antichità, solo nel libro sacro agli Ebrei, nei tempi più vicini a Lei è stato deriso da molti filosofi celebri come Hegel, Feuerbach, Marx, Nietzsche… tutti più o meno concordi nel considerarlo, con Arthur Schopenhauer, un “dogma giudaico rozzo, crasso e riprovevole”. Per tutti coloro che ho nominato, infatti, la mortalità umana si annulla nell’immortalità dell’Universo, di modo che se è pur vero che tutto muore, rimane anche vero che esiste qualcosa di immutabile ed eterno, l’Universo appunto, che permette al mutevole di manifestarsi.

La Bibbia, come accennavo, afferma il contrario: inizia infatti con un Dio trascendente ed onnipotente, che crea “in principio cieli e terra”, i quali non sono dunque il Tutto della realtà esistente; prosegue con innumerevoli passi in cui l’universo è sempre presentato come qualcosa di limitato, finito, mortale. Ad esempio nel Salmo 89 si legge: “prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, Dio…”; oppure, nel Salmo 102, si apprende che cielo e terra “periranno, mentre Tu rimani; si logorano tutti come un vestito, come un abito Tu li muterai ed essi svaniranno. Ma Tu sei sempre lo stesso e i tuoi anni non hanno fine”. Così anche il Nuovo Testamento, laddove si dice che Il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno” (Lc, 21-33), oppure nella II lettera di Pietro: “… Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c’è in essa sarà distrutta. Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi...”.

Come potevo, caro professore, spiegare questi passi, nelle università e nelle chiese in cui insegnavo e predicavo, senza conoscere ciò che la fisica avrebbe dimostrato molti secoli più tardi?

Certamente mi appoggiai anche alla logica del grande sant’Agostino (354-430), quando scriveva: “Ma tu dici: perché le cose vengono meno? Perché sono mutabili. Perché sono mutabili? Perché non sono sommamente. Perché non sono sommamente? Perché sono inferiori a Colui dal quale sono state fatte. Chi le ha fatte? Colui che è sommamente. Chi è costui? Dio, la Trinità immutabile che le ha fatte per mezzo della somma sapienza e le conserva con somma benignità. Perché le ha fatte? Perché fossero. Infatti l’essere, per quanto minimo, è un bene, poiché il sommo essere è il sommo bene. Da che cosa le ha fatte? Dal nulla” (De vera religione,18, 35).

Soprattutto, ricordavo ai miei discepoli che deve necessariamente esistere un Essere assoluto, cioè una Realtà eterna, che non è mai nata e mai morirà, perchè se Essa non esistesse dovremmo ipotizzare, in qualche istante, l’esistenza del non essere.

Ma non vi è nulla di più assurdo che il dire che il non essere è.

Questa Realtà eterna, questo Essere assoluto, questo Tutto, allora, può essere forse l’universo? No, perchè ogni cosa che vediamo intorno a noi è precaria, fragile, “contingente”: cioè non ontologicamente autosufficiente; non necessaria, ma possibile; non eterna, ma finita; non incausata, ma causata.

Ne consegue che l’universo, proprio come me, deve poggiare su una Realtà più solida, l’Esse ipsum subsistens, l’Essere sussistente per sé stesso, l’Essere che non può che essere. In altre parole: Dio.

Questa mia argomentazione, nei manuali che spiegano il mio pensiero, è detta “argomento della contingenza”, e suona così: “tutti gli elementi e tutte le sostanze che compongono l’universo nascono e periscono, sono generate e si dissolvono. Nulla di quanto fa parte dell’universo e neppure l’universo stesso ha diritto all’esistenza; tutto è colpito da una terribile fragilità. Perciò, se esiste, esiste precisamente perchè ha ricevuto l’esistenza da altri. Ma per spiegare l’esistenza di una realtà contingente non si può ricorrere ad una catena infinita di esseri contingenti. Dunque alla fine occorre ammettere l’esistenza di un essere che sia di per sé necessario e non tragga da altri la propria esistenza, ma sia causa dell’esistenza degli altri”2.

In altre parole: oggi sappiamo che l’universo, che voi scienziati dite finito nel tempo e nello spazio, ha avuto un inizio, ma è anche logico dire che non può averlo avuto dal nulla, perchè dal nulla non nasce nulla. Ne desumerei che viene dunque da una Realtà più “stabile”, cioè da Dio, e da quel “nulla” di materia, di spazio e di tempo di cui parla la Bibbia, ma che è ormai entrato anche nel gergo di fisici e cosmologi nell’ultimo cinquantennio!

Se dunque l’universo è, ma non da sempre e per sempre, in quanto realtà precaria (nell’insieme e in ogni sua parte), esso non è l’Essere, ma ha l’essere, partecipa dell’Essere: un po’ come il suo libro, caro professore, che lei ha tratto, come un “creatore”, quasi dal nulla. Scrivo “creatore” tra virgolette e aggiungo quel “quasi”, perchè l’uomo non sa creare in senso pieno, non essendo Dio: lei ha avuto bisogno, infatti, della carta e dell’inchiostro, per poter dirci quello che le stava a cuore!

Vede, anche questo computer su cui ho battuto il presente articolo, è un ente possibile e non necessario, che esiste soltanto perchè vi è una realtà superiore che lo fonda: quella dell’uomo che lo ha progettato, voluto, ed assemblato.

Uso questo esempio perchè leggo che se un tempo, dal Basso Medioevo sino al Seicento, si paragonava l’universo ad un grande orologio (e Dio ad un Orologiaio), oggi si paragona spesso il Cosmo ad un immenso computer. Forse sarebbe il caso di chiedersi anche, però, da dove derivano i suoi componenti, donde origina l’intelligenza che lo fa funzionare, cosa ci sia stato “prima” di esso e cosa ci sarà “dopo”. La sua “precarietà”, infatti, così come la sua funzionalità, richiedono un a spiegazione esterna ad esso.

Per concludere, la rimando al mio discepolo Dante Alighieri (1265-1321), o al mio contemporaneo Francesco d’Assisi (1882-1226): entrambi, in accordo con me, ritenevano che ogni realtà precaria dell’universo è riflesso, più o meno lucente, dell’Essere assoluto di Dio, il quale dunque si vela e si svela nel fiore, nel cristallo di neve, nell’uomo, senza coincidere mai totalmente con nessuna di queste entità. Perchè Dio è invisibile, ma si vede in ogni cosa”.

Testo tratto da: https://www.ibs.it/dieci-brevi-lezioni-di-filosofia-libro-francesco-agnoli/e/9788898647538

1 Guido Tonelli, Cercare mondi. Esplorazioni avventurose ai confini dell’universo, Rizzoli, Milano, 2017, p. 161-164, 158.

2 Battista Mondin, Epistemologia e cosmologia, ESD, Bologna, 2017.

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Autore: Francesco Agnoli

Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come  Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023.

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