L’appuntamento del 4 dicembre sempre più dirimente e decisivo/1
UN NO CHIARO, SENZA IATTANZA, PER UN Sì Più GRANDE
Siamo dentro a settimane di accentuato nervosismo politico in ragione dell’appuntamento referendario del 4 dicembre
prossimo. Una fase delicata che, tanto per non smentirci, stiamo vivendo «all’italiana», ossia tra eccessi disfattismi ribalderie. E con la pretesa di assorbire in tali adulterazioni anche le tragedie vere come il terremoto-che-non-finisce, i profughi che certo non rallentano e fatichiamo a ricevere, l’economia che non rimette in corsa i giovani. Anziché circoscrivere responsabilmente l’evento, lo stiamo dilatando a dismisura, quasi si trattasse di uno spartiacque totale. Mentre è solo un auto-imbottigliamento sadico e imbarazzante.
Per questo, nonostante il susseguirsi di provocazioni, dobbiamo − da cittadini − rivendicare la nostra autonomia interpretativa, respingendo le esagerazioni puerili e i catastrofismi di maniera. Altre sono le tragedie di un popolo. E anzi, proprio le prove che stiamo attraversando ci impongono sulla scadenza del 4 dicembre un linguaggio di realistica asciuttezza. Un linguaggio di verità, potremmo anche dire. Si tratta di restare al nocciolo della questione sottoposta a referendum, senza lasciarsi travolgere da altri potenziali significati, per quanto scivolosi e magari suggestivi.
Il referendum è per natura sua uno strumento «semplice» (nel senso latino della parola: senza pieghe), e dunque intollerante agli arzigogoli, alle implicazioni forzate, alle costruzioni palingenetiche. Caricare l’appuntamento di implicazioni eccentriche è una scelta che naturalmente si può fare, ma può essere anche contestata. E noi la contestiamo. Lo si è addirittura paragonato al referendum del due giugno 1946, in cui si doveva scegliere tra Monarchia o Repubblica. Ma anche a quello inglese più recente, riguardante la Brexit. Esagerazioni. Fumo negli occhi. Si intende sottoporre al corpo elettorale un quesito di riforma costituzionale? Ebbene si resti a quello. Non lo si trasformi in un plebiscito pro o contro il governo, pro o contro L’Europa. Addirittura pro o contro il futuro.
Drammatizzazione che temiamo nasconda una fatale debolezza. Quella di essersi accontentati di una riforma costituzionale votata solo da una parte del Parlamento. Non così avevano fatto i nostri Padri. La Costituzione è il tetto che copre tutti, e tutti devono concorrere a sostenerlo. Forse che non ci bastano le lezioni del 2001 e del 2006, quando si votarono appunto delle riforme a maggioranza, che si rivelarono subito fragili e inadeguate? E si pensa forse di rimediare agli squilibri di allora con un’altra riforma poco calibrata, e varata all’insegna del “Meglio che niente”?
Quando si metterà fine a questo andamento pendolare e si allestirà una riforma innovativa davvero ma anche equilibrata nei pesi e nei contrappesi, della quale poi non pentirci? Davvero non saremmo all’altezza di noi stessi, e ci dobbiamo umiliare ad un passo controverso e divisivo? Senza alcuna iattanza, è no dunque. No, per un sì più grande. No a questa riforma pasticciata e faziosa per una riforma da predisporre entro due anni, valorizzando il buono che c’è ma integrandolo con l’ottimo che serve. Stiamo parlando di sua maestà la Costituzione repubblicana.