Sul ddl Cirinnà ci scrive Lorenzo Fontana

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Il disegno di legge sulle unioni civili non manca di suscitare polemiche ed alimentare discussioni. L’aspetto allarmante e da non sottovalutare sta nella direzione che il Governo vuole imprimere ad un percorso di riforme orientato al relativismo smodato, svincolato da valori ed etica, come, da ultimo, nel caso delle unioni civili definite dal disegno di legge Cirinnà.

Affermare la propria contrarietà a questa riforma solo sostenendone la discrepanza rispetto ad una scala di valori, non è sufficiente. E’ necessario

analizzare e capire in primo luogo le ragioni per le quali, l’opposizione a questo progetto legislativo è da ritenersi profondamente giusta.

In primis, l’eliminazione di una delle due figure genitoriali e la duplicazione dell’altra, contro ogni principio biologico oltre che logico, risponde ad un interesse esclusivo degli adulti, un interesse che non tiene conto del danno che sarà arrecato al bambino e che determina, nel migliore dei casi, una falsificazione che si ripercuoterà in tutto il percorso di crescita.

A questo proposito andrebbe ricordato che, in realtà in questa fattispecie, il primo diritto ed interesse da tutelare, in quanto più vulnerabile, è proprio ed esclusivamente, quello del bambino, titolare già dal concepimento di diritti essenziali, tra i quali appunto quello di crescere in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale, spirituale e sociale. Il diritto di non essere separato dai propri genitori e di conoscerne l’identità, cui si aggiunge il diritto di essere accudito dalla famiglia, il cui nucleo essenziale è composto da un padre e da una madre, senza i quali il lo stesso concepimento non potrebbe esistere.

Il secondo ambito riguarda la sovrapposizione tra regime matrimoniale ed unioni civili che attraverso il ddl Cirinná porterebbe all’estensione della definizione di matrimonio anche al legame tra persone dello stesso sesso, in netto contrasto con una serie di norme fondamentali (articoli 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis) che individuano marito e moglie quali attori e titolari di diritti e doveri del “matrimonio-atto”, ovvero il negozio giuridico con il quale un uomo e una donna, citando per l’appunto il diritto civile, dichiarano con le dovute formalità di volersi prendere reciprocamente per marito e moglie, formando così una famiglia.

Da ultimo, ma non meno importante, con l’approvazione della menzionata proposta legislativa, si andrebbe di fatto ad avallare l’esecrabile pratica dell’“utero in affitto”, pratica medica vietata in Italia. Questo l’aspetto più allarmante della proposta, che solleva gli interrogativi etici, medici e giuridici più inquietanti: si pensi ad esempio a quando la madre surrogata, al termine della gestazione, decida di tenere per sé il figlio portato in grembo. Può la legge permettere che una coppia acquisisca il diritto/potere di togliere ad una madre il proprio figlio, sulla base di un accordo precedente? Può tale accordo ritenersi eticamente, giuridicamente ed umanamente valido? Può un figlio essere oggetto di un tale accordo come una qualsiasi merce da consegnare al termine del processo di produzione? Certamente no, soprattutto in ordinamenti in cui convenzioni internazionali vietano anche il semplice commercio di organi, tessuti e cellule di origine umana.

Senza considerare l’effetto indiretto che tale “nuovo diritto” potrebbe generare, ovvero l’induzione alla mercificazione dell’utero, spesso esponendo giovani donne, in condizioni di disagio, ad affrontare oltre alle dolorose esperienze, pesanti stimolazioni ormonali, le cui conseguenze di lungo termine sono ancora tutte da provare.

Lorenzo Fontana

eurodeputato della Lega

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Autore: Libertà e Persona

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