Da sant’Alberto Magno a padre Andrea Bina: sismologi e meteorologi in tonaca

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Molti forse ignorano il ruolo fondamentale di alcuni ecclesiastici nello sviluppo di due rami del sapere molto importanti per la vita concreta della gente: la meteorologia e la sismologia.
I monasteri sono stati per tanto tempo, e sono talora anche oggi, i luoghi dove si raccolgono da molti anni, con pazienza e costanza, i dati sulle precipitazioni e sulla temperatura. Questo perché sin dal tempo dei monaci benedettini, l’ora et labora ha significato anche ora et ara: cioè prega e lavora la terra.

Mentre i popoli pagani veneravano divinità della fertilità ed offrivano loro sacrifici, anche umani, già i primi cristiani sapevano che l’acqua e la pioggia sono un dono di Dio, e che l’uomo, come giardiniere

del creato, deve abbandonare scongiuri, formule, danze della pioggia e superstizioni varie, e “darsi da fare”. E’ per questo che per secoli i grandi esperti di tempo e di acqua sono stati uomini di Chiesa. Già Sant’Alberto Magno, San Tommaso d’Aquino, Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone, Raimondo Lullo e Ristoro d’Arezzo, tutti uomini di Chiesa del XIII secolo, furono impegnati nel liberare la meteorologia dagli antichi miti della personalizzazione dei fenomeni atmosferici. “Parimenti opera di un religioso –spiega Luigi Iafrate, storico della meteorologia-, il reverendo inglese William Merle (XIV secolo), per la precisione, sono anche, a quanto ci risulta, le prime registrazioni meteorologiche giornaliere che la storia ricordi. Dal gennaio 1337 al gennaio 1344, infatti, padre Merle, ogni giorno, dal villaggio inglese di Driby (Lincolnshire), osservava e annotava in un apposito registro il tempo che faceva”.

 

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Il nome che spicca su tutti è però quello del monaco benedettino Benedetto Castelli, che fu forse il più grande amico e discepolo di Galilei: a lui dobbiamo, per universale riconoscimento, la fondazione dell’idraulica moderna e l’invenzione del pluviometro (utilizzato anche come evaporimetro) per misurare le precipitazioni atmosferiche.
E chi inventò il primo igroscopio? La paternità di questo strumento per misurare l’umidità dell’aria è contesa tra il cardinale Niccolò Cusano ed il noto ecclesiastico, e grande artista, Leon Battista Alberti (che fu inventore, nel 1450, anche del primo strumento per misurare la velocità del vento: l’anemometro). Il primo anemoscopio moderno, per indicare la direzione di provenienza del vento, fu invece invenzione di un geniale domenicano fiorentino, Egnazio Danti (1536-1586). Si possono poi citare i contributi del sacerdote Edme Mariotte, uno dei padri della fisica francese, che indagò la relazione tra pressione barometrica e piovosità, e ripeté, introducendovi nuove osservazioni, gli esperimenti di idrostatica e di idraulica di E. Torricelli. Quanto alla prima rete meteorologica al mondo, essa fu promossa dal Granduca di Toscana, Ferdinando II, tra il 1654 e il 1667. Egli si appoggiò al monaco Vallombrosano Luigi Antinori, chiamato a coordinare una rete meteorologica comprendente stazioni di rilevamento italiane e straniere. A chi dobbiamo, invece, “il primo nucleo di servizi meteorologici di Stato” al mondo e il “primo servizio moderno per le previsioni del tempo”? All’astronomo gesuita padre Angelo Secchi, a partire dal 1855. Senza contare che il grande apostolo della meteorologia italiana, fu il padre Barnabita Francesco Denza (1834-1894), fondatore di una rete di osservatori meteorologici prima sulle montagne italiane, poi sul tutta la penisola, ed infine, con l’aiuto di missionari, anche in America Latina. A Denza, inventore del cosiddetto “anemopluviografo Denza”, dobbiamo la fondazione, nel 1881, della Società meteorologica italiana .

 

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Passiamo alla sismologia. Nel mondo antico il terremoto è manifestazione diretta di una delle tante divinità dei pantheon politeisti. Già in età medievale i teologi da una parte affermano che se un terremoto avviene, è perché in ultima analisi Dio lo permette (come castigo benefico, per “richiamare” gli uomini), e lo ricollegano, come ogni manifestazione di violenza naturale, al peccato originale, origine di ogni squilibrio spirituale e fisico; dall’altra propongono delle interpretazioni naturalistiche, delle cause secundae, dei fenomeni sismici. Così per esempio sant’Isidoro vescovo di Siviglia (De natura rerum), il venerabile Beda, Dante Alighieri, sant’Alberto Magno nel suo De mineralibus et rebus metallicis e il frate Ristoro d’Arezzo nella sua Composizione del mondo (1282).
Nel XIV secolo il canonico del Duomo di Regensburg, Konrad di Megenberg (1309-1374) respinge la spiegazione popolare di origine pagana secondo cui il terremoto era causato da un enorme pesce di nome Celebrant che di tanto in tanto si muove mordendosi la pinna caudale, e, dopo aver identificato in Dio la causa prima, propone una spiegazione naturalista del fenomeno. Nel Seicento il padre della geologia, il beato Niccolò Stenone (1638 – 1687) studia gli strati geologici del terreno, concludendo che la formazione delle montagne è dovuta a terribili terremoti che hanno devastato la regolare stratificazione per sedimenti.
In questo percorso di graduale comprensione dei fenomeni sismici, occupa un posto di rilievo anche un religioso anglicano, l’inglese John Michell (1724-1793), parroco di Thomhill Curch nello Yorkshire, secondo alcuni “il primo sismologo dell’età moderna”, per il quale il terremoto ha il carattere di un’onda che si propaga nella Terra grazie all’elasticità delle rocce.
Un ruolo fondamentale lo hanno però soprattutto alcuni religiosi cattolici, inventori di una grande varietà di strumenti di misurazione. Tra i primi sismometri troviamo quello ideato nel 1703 dall’abate francese Jean De Haute-Feuille. Costui costruì “una vaschetta con fori presso l’orlo, orientati secondo i punti cardinali; la vaschetta era riempita di mercurio fin presso i fori. Ad ogni scossa il mercurio, oscillando, traboccava da uno o più fori, e cadeva in apposite scodellette, indicando così non solo la direzione della scossa, ma anche la sua intensità, dalla quantità di mercurio traboccato. L’abate Atanasio Cavalli, nel 1784, vi aggiunse un orologio orizzontale con quadrante girevole e con fori corrispondenti alle diverse ore; il mercurio, cadendo nei fori che indicavano le ore, rivelava così anche l’ora della scossa” .
Ma il primo sismografo moderno, a pendolo (1751), fu invenzione del monaco benedettino padre Andrea Bina (“egli fece sì che una massa di piombo, sospesa ad un filo e munita di una punta nella parte inferiore, solcasse in uno strato di sabbia le tracce del movimento tellurico”).
All’opera di costoro, e di alcuni altri, si affianca quella di un altro padre scolopio, Filippo Cecchi, a cui dobbiamo il primo strumento sismografico che registri con continuità “i movimenti del suolo in funzione del tempo”. “Nello strumento del Cecchi, l’inizio del terremoto mette in moto un orologio e aziona lo scorrimento di un nastro di carta sul quale vengono registrate le oscillazioni del suolo”. Il Sismografo elettrico a carte affumicate scorrevoli e il Sismografo a carte affumicate non scorrevoli del Cecchi si diffusero molto rapidamente negli osservatori italiani e stranieri e gli meritarono la medaglia d’oro all’Esposizione nazionale di Torino del 1884. Oltre a questi strumenti il Cecchi inventò un nefoscopio, un avvisatore sismico e un sismografo a registrazione continua, presentato al Congresso meteorologico di Napoli nel 1882.
Tra i religiosi italiani che si distinsero a livello mondiale nello studio e negli apporti alla sismologia ricordo anche don Giuseppe Mercalli (1850-1914), inventore della famosa scala sismica che da lui prende il nome e della prima carta sismica d’Italia; il padre scolopio Guido Alfani (1876-1940), che “impiantò una stazione radiotelegrafica per il servizio orario degli apparecchi sismici, la prima in Italia”; e soprattutto il padre barnabita Timoteo Bertelli (1826-1905), che può essere definito il padre della microsismica.

da: SCIENZIATI IN TONACA

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Autore: Francesco Agnoli

Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come  Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023.

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