Il discorso di Paolo VI alle CEI (1964) in dieci punti

di Fabrizio Cannone

Durante il discorso fatto alla CEI il 19 maggio scorso, il Pontefice ha ricordato un analogo discorso tenuto da Papa Montini alla medesima Conferenza Episcopale 50 anni prima, definendolo “un gioiello”. E tale veramente fu. Bene ha fatto dunque l’ Osservatore Romano a ripubblicarlo integralmente accanto a quello di Papa Bergoglio (cf. OR, 21.5.14, pp. 5-6).

Vediamone qui i tratti e i passaggi salienti, i quali secondo noi coincidono con quelle espressioni e quei concetti che purtroppo appaiono come quasi svaniti nell’odierna predicazione ecclesiale.

1. Montini a proposito dei Vescovi usa espressioni forti e oggi inusitate come “Ceto episcopale della santa Chiesa di Dio”; asserendo che in questo Ceto episcopale mondiale, “il gruppo eletto e cospicuo dei Vescovi italiani occupa per Noi [ plurale majestatis], com’è naturale e doveroso, un posto di speciale ed affettuosa considerazione”. Dunque per Paolo VI le Conferenze episcopali non hanno tutte la stessa importanza, e anche sotto questo profilo, nella Chiesa universale l’uguaglianza non esiste.

2. Il primo problema che Papa Montini cita dopo il “numero eccessivo delle diocesi”, è quello “della preservazione della fede nel popolo italiano, minacciata dalla evoluzione stessa della vita moderna, e direttamente dal laicismo e dal comunismo”. Toh! Avevamo capito, leggendo gli scritti e i discorsi di autorevolissimi prelati progressisti, che la “vita moderna” era da benedire e non da contrastare, e che il comunismo, privato della sua componente ateistica, avesse portato un contributo positivo alla società e alla cultura… Papa Bergoglio parla spesso dei problemi dell’evangelizzazione, e sta bene. Così come Ratzinger parlava spesso del relativismo e del nichilismo. Ma ogni tanto giova usare espressioni più dirette come quando si parla di “preservazione della fede”, indicandone nemici non generici (come lo sono le correnti filosofiche sopra menzionate), ma specifici, come il Comunismo (si noti che mentre il Papa teneva questo discorso il Partito Comunista italiano spopolava nelle piazze, nella cultura e nelle fabbriche).

3. Un altro problema che Paolo VI menziona assieme a quello delle vocazioni (già allora!), e dell’istruzione religiosa, è quello “dell’assetto sociale cristiano”. Questo rimanda, indirettamente quanto si vuole, al tradizionale concetto della regalità sociale di Cristo, solennemente ribadita da Pio XI nella celebre enciclica Quas primas (1925). Faccio notare di passaggio che Paolo VI era contrario all’aborto, al divorzio (anche meramente civile), al concubinato o amore libero, agli anti-concezionali di ogni tipo ( Humanae vitae), alla libertà assoluta di stampa e di opinione, all’immoralità nel cinema e nella TV, etc.

4. “Noi pensiamo che tutti quanti qui siamo abbiamo la persuasione che questi ed altri problemi, interessanti la stabilità e l’efficienza della Chiesa in Italia, non possono essere risolti da quel vecchio medico, che in altre circostanze è il tempo; nella presente condizione di cose il tempo non corre a nostro vantaggio; da sé i problemi non di risolvono; né è da credere che la nostra fiducia nella Provvidenza, fiducia sempre doverosa e sempre immensa, esoneri noi Pastori, noi responsabili, dal compiere ogni possibile sforzo per offrire alla Provvidenza l’occasione di suoi misericordiosi interventi” (corsivi miei). Semplicemente splendido e da meditare! Se il tempo corre oggi a svantaggio della fede è perché la modernità contiene in sé il virus dell’ateismo e non certo improbabili soli dell’avvenire.

5. L’evento Concilio è giudicato da Montini non come un abbassamento della Chiesa alle ragioni del mondo moderno, ma come “un atto solenne e clamoroso, quant’altri mai, per dar onore a Dio, per attestare amore a Cristo, per offrire obbedienza allo Spirito Santo; cioè per ravvivare il rapporto religioso fra Dio e la Chiesa, e per riaffermare la necessità, la natura, la fortuna della nostra religione di fronte al mondo moderno. Esso [il Concilio] è un incomparabile momento in cui la Chiesa celebra se stessa […]. Esso è vertice di carità gerarchica e fraterna”. Insomma la Chiesa che onora pubblicamente Dio Uno e Trino e perfino che “celebra se stessa” non compie un arcaismo auto-referenziale, come insegnano frotte di sapienti e paludati teologi.

6. Secondo Paolo VI, “le condizioni spirituali e sociali di questo diletto Paese, mentre conservano un preziosissimo patrimonio di tradizioni cattoliche [implicito elogio del Medioevo cristiano], e dimostrano segni consolantissimi di cristiana vitalità […], non sono tranquille, non sono sicure”. Il Papa, come visto, temeva il laicismo, il comunismo, la società moderna: oggi, ad alcuni sembrano problemi superati, e perfino certe eminenze non vorrebbero che si denunci più l’aborto, il laicismo o il matrimonio gay! A fronte di ciò, il Papa vorrebbe “rieducare religiosamente il nostro popolo”, e non solo umanizzarlo e dargli speranza (secondo le abituali retoriche prelatizie…).

8. Il Papa poi segnala una priorità: quella di “dare massima cura alla santificazione dei giorni festivi”; parla del “soddisfacimento dei doveri religiosi nei giorni festivi”. Per Montini la messa domenicale era uno stretto dovere del cristiano, mentre oggi secondo la casta docente cattolica non si dovrebbe più parlare, a proposito della messa, di “dovere religioso”, ma di desiderio eucaristico!

9. Un altro problema di fondo per Paolo VI era quello della “moralità pubblica e privata”. E siamo nel ’64. Cosa direbbe oggi? Leggo ogni giorno, da molti anni, l’ Osservatore Romano e ogni due settimane La Civiltà Cattolica e credo di non avervi MAI letto nulla sul problema della “pubblica moralità”; ma assai spesso di ecologia, global warming, discriminazione, tutela delle specie in via di estinzione, battaglie contro la pena capitale, affollamento carcerario, etc. E poi dicono di stimare Montini! Il quale riteneva tale problema come “delicato e immenso”, il che doveva preludere ad “un’azione concorde per la moralizzazione”, a fronte del “preoccupante dilagare di ogni forma di licenza ed immoralità”. Chissà se certi Vescovi non giudicano anche il futuro beato, magari sottovoce,  come un passatista, un tradizionalista e un moralista (le uniche accuse oggi infamanti…)

10. Riguardo alla dignità del sacerdozio, Montini ripete ai Vescovi le loro responsabilità. Essi devono non solo stare vicini al loro clero e assumerne l’odore, ma altresì ricordare che i sacerdoti “devono essere ornati di tutte le virtù ed offrire agli altri un esempio di vita santa”, sviluppando “la vita soprannaturale, lo spirito di preghiera, l’abitudine al raccoglimento, l’amore allo studio”. Il Papa sottolinea quindi ( tiens, tiens…) “l’obbligo del celibato ecclesiastico, del quale sarà, anzi, opportuno mettere frequentemente in evidenza la bellezza per il suo significato e per la necessità d’una esclusiva e completa dedizione del Clero all’amore di Cristo ed ai molteplici impegni dell’apostolato”.

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Autore: Libertà e Persona

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