Veganismo, l’alba di un movimento intrinsecamente intollerante

Non si tratta di una scelta alimentare, diciamolo subito, è una scelta contro la “crudeltà” di chi la pensa diversamente da loro. I vegani si pongono su un piano di superiorità etica, sentono di incarnare il progresso, sappiamo già che queste premesse hanno come punto d’arrivo l’intolleranza.

Sono i ‘buoni’ per eccellenza, certamente più buoni di te che sei così insensibile da mangiare non dico una fettina panata ma anche di bere un bicchiere di latte ottenuto sulla sofferenza di povere mucche o di miele usurpato alle operose api. Da un po’ di tempo hanno anche un privilegio riservato a pochi, quello di avere una loro rubrica sul Corriere della Sera intitolata “Veggo anch’io“, un titolo che non nasconde l’idea di attirare nuovi simpatizzanti.

Ma se il vegano è uno che non si nutre di carni né di qualsiasi derivato animale, l’essenza del veganismo non è quella di fare una scelta alimentare, cosa che in ogni epoca nessuno ha imposto, ma quella di avere un’alimentazione “creuelty free“, cioè senza crudeltà. Da ciò consegue che chi non fa la loro stessa scelta è secondo la più stringente logica un “crudele”. Se andiamo a leggere la definizione di “crudele” sul dizionario Treccani troviamo quanto segue:

 crudèle agg. [dal lat. crudelis, der. di crudus: v. crudo]. – 

1. Di persona, che non sente pietà nel veder soffrire altri, o che procura essa stessa ad altri, coscientemente e spesso con compiacimento, sofferenze materiali o spirituali…

 

Ecco che dunque tutti coloro che si nutrono in modo non vegano sono considerati dai vegani persone “crudeli”, individui cioè che non sentono pietà nel veder soffrire gli altri e che anzi, spesso nascondono del compiacimento nel vedere le sofferenze altrui. Inutile girarci intorno, dietro l’ostentato buonismo vegano c’è un profondo disprezzo per chi non la pensa come loro, un disprezzo le cui conseguenze al momento non si fanno sentire per via della bassa percentuale di popolazione che si riconosce nel veganismo, ma che non mancherà di farsi sentire come si deve se la percentuale (adesso dichiarata al 7%) dovesse raggiungere valori più significativi.

L’ultima iniziativa reclamizzata sul Corriere è una serie TV intitolata “Vegan chronicles” che verrà diffusa sul web (ma chi la paga?) nella quale emerge tutta la presunta bontà del vegano e tutta l’arretratezza oscurantista e un po’ cafona del non vegano, elementi riscontrabili nel promo:

 

Insomma il protagonista vegano è un tenerone simpatico che deve sopportare un’arretrata famiglia meridionale decisamente terrona dove un padre cafone si pulisce i denti a tavola con uno stecchino e poi guarda compiaciuto il resto alimentare (vuoi vedere che è carne?), una madre che prova ad educare con uno scappellotto un fratello che mentre è a tavola gioca con uno smart phone e infine, cosa davvero arretrata, una nonna presumibilmente rimbambita che fa il rosario.

La scelta vegana presentata dalla fiction è dunque moderna, è la scelta del futuro civile contro un passato tradizionalista becero e maleodorante.

Per ora si presenta il volto tenerone del protagonista, basterà aspettare un po’ e arriverà quello intollerante di chi, legittimato dalla difesa dei ‘più deboli’, si sentirà autorizzato a prendere iniziative più decise e infine coercitive verso i barbari non vegani. 

Questa analisi potrà sollevare critiche, sorrisi di sufficienza, o anche smentite rassicuranti, col tempo, quando le percentuali di vegani (vere, ma anche semplicemente dichiarate alte) supereranno un determinato valore ritenuto sufficiente, il giudizio di condanna etica verso i non vegani non potrà che fare il suo corso.

 

Critica Scientifica

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