Famiglia, festa e lavoro

di Renzo Gubert

Caro Direttore,

Domenica 15 aprile, pomeriggio, l’Arcidiocesi di Trento ha offerto alla cittadinanza, alla Sala della Cooperazione, un’occasione interessante di riflessione su tre temi centrali nell’attenzione del mondo economico, sociale e politico: Famiglia, festa e lavoro. Esperti e rappresentanti del mondo dell’economia rispondevano alle domande che scaturivano dai contributi di tanti “gruppi famiglia” presenti in Trentino. Un modo per partecipare da Trento al VII Incontro mondiale delle famiglie con Benedetto XVI, che si terrà prossimamente a Milano. In un passato non troppo lontano i luoghi e i tempi della famiglia e del lavoro e quelli della famiglia e della festa erano contigui per la gran parte della popolazione. La società moderna li pone, per quasi tutti, separati e in conflitto. Primato della famiglia o primato del lavoro? Il lavoro deve ridurre la festa a periodico riposo individuale o la festa deve rimanere la domenica per rispettare le sue valenze familiari, comunitarie, culturali e religiose?

Dalle riflessioni su tali problemi è emerso in modo chiaro come sia sbagliata la tendenza attuale ad asservire famiglia e festa al lavoro: lo ha messo in luce la sociologa Elena Macchioni di Bologna e i due rappresentanti del mondo dell’economia, il direttore di Confindustria trentina Roberto Busato e con taglio deciso e incisivo Carlo Dellasega, direttore della Federazione Trentina della Cooperazione. Le posizioni al riguardo della dottrina sociale della Chiesa trovavano rispondenza, per motivazioni laiche, in quelle di rappresentanti della scienza sociale e dell’economia moderna, oltre che in quello della Cooperazione, la quale esplicitamente si pone nel solco del pensiero sociale cristiano. Chi si è posto, invece, in una posizione difforme? L’esperta della Provincia Autonoma di Trento (Agenzia del lavoro), Antonella Chiusole. Tutta la sua preoccupazione nel presentare i dati sull’occupazione era quella tipica del vetero-femminismo: le statistiche dicono che le donne non fanno esattamente le stesse cose che fanno gli uomini o lo fanno in proporzione minore: lavorano meno, lavorano di più con contratti a part-time, sono meno rappresentate nelle posizioni dirigenziali. La minor partecipazione delle donne al mercato del lavoro, secondo lei, priva l’Italia e il Trentino di percentuali non trascurabili di Prodotto Interno Lordo. Non solo, ma il fatto che in Europa i paesi dove le donne lavorano di più fuori casa sono anche quelli con più alta natalità e più alto indice di felicità deve far riflettere! Qualcuno le ha obiettato, nel dibattito, che in quei paesi ci sono i tassi più alti di suicidio! Non si è chiesta, l’esperta provinciale, se il garantire ai figli piccoli o a chi, familiare, è nel bisogno la presenza della mamma o della figlia o della nuora, non produca benessere, anche se non conteggiato nel PIL? Tale presenza educativa e di cura può anche essere offerta dal papà, dal figlio o dal genero, ma vocazioni maschili al riguardo sono meno diffuse. Se, quindi, quando una donna ha dei figli o ha dei genitori bisognosi di cura, e cerca forme di lavoro part-time o ricorre a congedi lunghi o decide di lasciare il lavoro fuori casa, almeno per il tempo necessario, per meglio rispondere a tali bisogni, perché colpevolizzarla? Come dicevano la sociologa Macchioni o il direttore Dellasega, tale scelta contribuisce a creare benessere, a produrre quei beni sociali fondamentali, capitale sociale, che le statistiche cui si rifà l’Agenzia del lavoro non considerano. La stessa legge provinciale per la famiglia, come ricordava il dirigente provinciale Malfer, è orientata a sostenere la famiglia nel suo progetto di vita, così come esso è deciso dai coniugi. E se decidono di seguire più da vicino i figli piccoli, senza “piazzarli” al nido dalla mattina alla sera o se decidono di assistere il genitore non autosufficiente senza “piazzarlo” in un ricovero,, fare politica per la famiglia e per il bene sociale significa sostenerli in questo progetto. Ma l’Agenzia del lavoro, pur essa provinciale, pare muoversi in direzione opposta: bisogna incrementare la quota di donne che si pongono sul mercato del lavoro, per fare più PIL, dice la dirigente. O per fare più disoccupati, si può obiettare, dato che già oggi i posti di lavoro offerti sono insufficienti a dare un lavoro a chi lo chiede, e ciò proprio più per le donne, oltre che per i giovani? Eppure conosco bene il collega Michele Colasanto, Presidente dell’Agenzia del lavoro, professore un tempo a Trento e ora alla Cattolica, ispirato al pensiero sociale cristiano, impegnato nel movimento cattolico. Dove va la Provincia? Assorbe i pregiudizi fatti propri da agenzie e istituzioni in Italia e in Europa, senza una propria capacità critica? O la dottoressa Chiusole ha espresso solo sue posizioni personali? E da ultimo la domanda ai due uffici diocesani che hanno organizzato l’incontro: che cosa hanno tratto dagli interventi dell’esperta dell’Agenzia del Lavoro le famiglie presenti? La convinzione che la donna deve innanzitutto lavorare fuori casa, non importa cosa accada ai familiari? Che scoraggiare che una coppia scelga diversamente circa i ruoli di uomo e donna è dovere prioritario anche per chi si ispira ai valori cristiani? Il dibattito ha manifestato questo disorientamento, ma forse sarebbe meglio che la dottrina sociale della Chiesa al riguardo fosse resa manifesta anche in occasioni diverse dai corsi di dottrina sociale. E se un relatore rappresenta, per sviluppare il dialogo, una posizione diversa da quella della dottrina sociale cristiana, lo si presenti come tale, in modo che si abbia la consapevolezza che non rappresenta la posizione culturale di chi organizza il dibattito.

Cordiali saluti, Renzo Gubert

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Autore: Libertà e Persona

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Un commento su “Famiglia, festa e lavoro”

  1. Domande legittime, quelle poste da Gubert. Anche altre iniziative proposte da uffici diocesani lasciano degli interrogativi (probabilmente è anche questo il loro scopo). Tipo la Cattedra del confronto, o il ciclo di incontri proposti in settimana santa dall’Ufficio Cultura. Se tali proposte sono valide, allora tutta l’apologetica cattolica è spazzatura.

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