Quello che si è capito sulla Libia

di F. Mario Agnoli

 Rimane l’incertezza sul come finirà. Ma molte domande, soprattutto quella sul come sia cominciata, iniziano ad avere risposta. Anzitutto la cosiddetta insurrezione del popolo libico è completamente diversa dalle rivolte popolari degli altri paesi arabi del bacino del mediterraneo e oltre.

 Vi è collegata, ma solo perché queste ultime hanno offerto l’occasione ad un’operazione di vecchio stampo commercial-coloniale. Gli insorti della Tunisia, dell’Egitto, dello Yemen, della Siria sono pieni di rabbia, nata soprattutto dalla fame, forse di libertà, certamente di pane, e di speranza, ma non hanno armi.

Protestano con le grida delle bocche e i gesti, ora imploranti ora violenti, delle mani. Gli insorti libici (meglio si direbbe cirenaici) sono apparsi sulla scena armati, fin dal principio, fino ai denti. I servizi segreti francesi e inglesi hanno informato i loro governi delle tensioni presenti in tutto il mondo arabo e dell’esplosione che sarebbe stata innescata dalla scarsità dei generi alimentari di base (un argomento del quale si è parlato molto nei primi giorni delle rivolte tunisine ed egiziane, ma ora accantonato, perché controproducente).

Parigi e Londra hanno colto l’occasione, forse da lungo attesa, e, probabilmente col consenso del governo egiziano (allora ancora in sella), hanno inviato i loro consiglieri militari ad armare e addestrare qualche centinaio o migliaio di uomini delle tribù cirenaiche, da sempre ostili a quelle della Sirte (patria di Gheddafi) e della Tripolitania e nostalgiche della monarchia senussita.

 Il premier britannico Cameron ha riconosciuto che reparti di incursori inglesi si trovano da qualche mese in Cirenaica per organizzare la rivolta. e i feroci ed intempestivi bombardamenti francesi sono la migliore confessione della complicità (o addirittura dell’iniziativa) francese, anche se Sarkozy ha preferito tenersi trincerato dietro la patacca dell’operazione umanitaria.

Già l’operazione umanitaria. Com’è stato scritto da un acuto analista, quarantaquattro miliardi di barili di ottimo petrolio libico, meno solforoso e quindi meno bisognoso di raffinazione, sono l’essenza di ciò che s’intende per "intervento umanitario", e l’obiettivo delle smanie di Sarkozy e Cameron. Si tratta di rimescolare le carte, utilizzando l’imperitura gratitudine delle vittoriose ( ci si conta) tribù cirenaiche, per garantire alle multinazionali inglesi e francesi (e magari americane) una posizione di privilegio nelle concessioni.

Ovviamente a tutto discapito dell’Eni. Facile immaginare le risate che si sono fatte a Parigi e a Londra nel vedere l’Italia costretta a fornire le sue basi e i suoi “tornados” per un’operazione destinata a castrarla, privandola, in tutto o in parte, di una fonte preziosa di risorse energetiche. Non per nulla la Francia, consapevole di quanto stava per accadere, aveva messo le mani avanti avvertendoci che i flussi immigratori sarebbero stati “cosa nostra”.

 Insomma a voi (cioè noi) gli immigrati, a noi (cioè loro) il petrolio. Esattamente come ha detto a “Radio Londra” il fruttivendolo di Giuliano Ferrara. Una volta di più la nostra diplomazia e i nostri “servizi” hanno toppato, lasciando il governo all’oscuro di quanto si preparava.

A differenza dei suoi incompetenti collaboratori Berlusconi, che, qualunque cosa se ne pensi, non manca di pronti riflessi, si è subito reso conto della situazione e (purtroppo era tardi) si è affrettato a dichiarare che i tornados italiani non hanno bombardato e non bombarderanno e ha cercato di togliere dalle mani della Francia la bandierina del comando. A non capire nulla sono le opposizioni, che, rintronate dal loro cieco “occidentalismo” e, soprattutto, dal mantra ”Berlusconi” se ne deve andare”, starnazzano gran voce e s’indignano perché il governo non profonde abbastanza impegno nell’opera di castrazione energetica del nostro paese. La Voce della Romagna

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Autore: Libertà e Persona

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