Napolitano e il Risorgimento

Giorgio Napolitano in questi giorni ha ricordato più volte l’unificazione d’Italia, cercando di far passare, con la forza della litania ripetuta stancamente, la solita vulgata storica. Nei prossimi mesi, ha spiegato il capo dello Stato, «confido che ci ritroveremo, senza distinzioni di parti, nelle celebrazioni del 150esimo dell’unità d’Italia"

Italianissimo come mi sento, criticissimo di come il cosiddetto Risorgimento fu condotto, vorrei ricordare a Napolitano, comunista per una vita, alcune cosette:

1) La visione del Risorgimento di un suo nume, Antonio Gramsci, fondatore de l’Unità:

"Da ciò è derivato, secondo l’interpretazione gramsciana del processo di unificazione dell’Italia, che il Risorgimento non è stato affatto un movimento nazionale; l’unificazione è stato piuttosto il risultato di una complessa serie di accadimenti casuali ed imprevedibili per lo più estranei agli italiani, perché gli italiani erano divisi e per nulla ansiosi di raggiungere l’unità nazionale. L’unità, infatti, non costituiva l’obiettivo di molti tra i principali protagonisti del Risorgimento.

Né l’unità era gradita a molti di questi quando finalmente è stata raggiunta. In breve, dall’interpretazione gramsciana del Risorgimento si può dedurre che il processo di unificazione dell’Italia inteso come rivoluzione nazionale è del tutto infondato. Ciò perché le forze che hanno “spinto” verso l’unità sono venute prevalentemente dall’esterno; per questo motivo, è più realistico parlare di Risorgimento come “movimento europeo”, anche se poche minoranze patriottiche hanno svolto un ruolo essenziale nella lotta per l’indipendenza nazionale.

In queste condizioni, il ruolo del Piemonte nel Risorgimento italiano è stato, perciò, quello di aver contribuito alla costruzione di un’unità territoriale-istituzionale più vasta al servizio di un nucleo sociale dominante, unicamente proteso alla tutela dei propri interessi. Per Gramsci, l’Italia non è stata, quindi, socialmente unificata.

E’ questa la ragione per cui i governanti italiani, dopo il 1861, hanno goduto di scarso consenso e per decenni hanno potuto governare l’Italia ricorrendo alla forza e non al consenso della società civile nazionale. In altre parole, i leader del Risorgimento non sono riusciti nell’intento di creare una nazione italiana.

 Pertanto, la conclusione ultima che si può trarre dall’interpretazione gramsciana del processo risorgimentale è che l’identità dell’Italia come nazione, all’indomani del 1861, è risultata incompleta (http://www.democraziaoggi.it/?p=1420)

 

2) Il Partito di cui lui è sempre stato esponente, nacque nel 1921 a Livorno, col nome di PCd’I, cioè Partito comunista d’Italia. Non si definì italiano perchè i comunisti di allora non si ritenevano, appunto, italiani, bensì negavano la loro appartenza nazionale, per affermarne una di classe.

3) Pur diventando, col tempo, PCI, il partito di Napolitano ha per tantissimi anni, anche nel secondo dopo guerra, fatto professione di fede comunista e cioè di fede sovietica. La patria per i veri compagni è sempre stata più Mosca di Roma, più l’Urss dell’Italia. La bandiera, non certo il tricolore, ma la bandiera rossa…

 

 

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Autore: Francesco Agnoli

Laureato in Lettere classiche, insegna Filosofia e Storia presso i Licei di Trento, Storia della stampa e dell’editoria alla Trentino Art Academy. Collabora con UPRA, ateneo pontificio romano, sui temi della scienza. Scrive su Avvenire, Il Foglio, La Verità, l’Adige, Il Timone, La Nuova Bussola Quotidiano. Autore di numerosi saggi su storia, scienza e Fede, ha ricevuto nel 2013 il premio Una penna per la vita dalla facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione tra gli altri con la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) e l’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana). Annovera interviste a scienziati come  Federico Faggin, Enrico Bombieri, Piero Benvenuti. Segnaliamo l’ultima pubblicazione: L’anima c’è e si vede. 18 prove che l’uomo non è solo materia, ED. Il Timone, 2023.