Gli avventurieri dell’assoluto

Frequentare una qualunque libreria, durante dicembre, è di solito un’esperienza caotica e destabilizzante di sovra-eccitazione sensoriale: un labirinto di grosse strutture ad incastro in cartone e plastica, collocate in ogni angolo utile del locale, gridano verso il naufrago acquirente le più molteplici ed affascinanti novità editoriali atte a favorire la comune crescita intellettuale, etica, estetica, storica, politica e/o gastronomica del paese.
Tuttavia, come l’esperienza e il buon senso concordano nel ricordare, fidarsi dei cartonati antropomorfi raramente si rivela una buona idea: il malcapitato cliente medio, spesso, colto dal fuoco di fila degli instant books di argomento berlusconian-dietrologico e trovandosi da ogni lato il passo sbarrato dalla minacciosa triade Eco-Vespa-Parodi, nel migliore dei casi finisce per scavarsi una trincea nel settore dei vecchi classici e lì si rifugia per tutti i suoi acquisti, come tra vecchi amici sorridenti e un po’ stempiati. Così al sicuro, il poveretto non potrà tuttavia che prendere atto che, a causa della sua viltà, ancora una volta tutti quanti i suoi presenti natalizi saranno a rischio “doppione” (se non persino “triplone”, nel caso degli amici più sfortunati).

Sperando di fare cosa gradita, chi vi scrive ha deciso, qualche giorno fa, di compiere una rapida scorreria nel campo nemico alla ricerca di qualche alleato di nascita recente. Ne è uscito alleggerito di una quindicina di euro e con un’interessante sorpresa per le mani, La bellezza salverà il mondo di Tzvetan Todorov – recente traduzione italiana, presso Garzanti, di un’opera pubblicata nel 2006 con il titolo (chissà perché, inadatto al lettore italiano) Les aventuriers de l’absolu.
Todorov, di professione mostro sacro, in questo libro decide di proporre al lettore la vita di tre diversi scrittori da lui molto amati ed ammirati, cioè Oscar Wilde, Rainer M. Rilke e Marina Cvetaeva. Si tratta di un’opera inconsueta, cui probabilmente lo stesso autore non dà troppa importanza, ma che affascina molto nel suo coraggioso tentativo di leggere l’attività del letterato e del poeta come una ricerca dell’assoluto, dell’eterno ed infinito – parole negli ultimi tempi banditissime da ogni scuola di critica letteraria che si rispetti.
Nel suo ricorso allo schema di un terzetto di bibliografie unite da un filo comune, Todorov probabilmente si lascia ispirare dalla serie dei “Costruttori del mondo” di Stefan Zweig (Baumeister der Welt. Versuch einer Typopogie des Geistes, oggi a quanto pare sostanzialmente introvabili): e come Zweig coglie nel segno, sfruttando un genere tanto alto e tanto umile come la biografia. Raccontando la vita di protagonisti della Storia e della Letteratura, i libri di Zweig e quello di Todorov non si perdono ad indagare i lati sordidi e oscuri di pochi celebri, ma intendono comunicare con efficacia valori e riflessioni comuni a tutti noi uomini.

Umile e alta, la biografia, ma soprattutto difficile, se è vero – come spiega l’autore- che si tratta di una “scelta, tra i fatti e gli innumerevoli avvenimenti che hanno caratterizzato un’esistenza, di alcuni episodi per formare un racconto”: “un’operazione arrogante”, non tanto per la selezione e l’esclusione di alcuni fatti piuttosto che altri, ma perché alla malcapitata e indifesa vittima viene attribuito “un significato al suo vissuto”: “non un significato diverso da quello che poteva conferirgli lo stesso soggetto, semplicemente un significato, imponendo la chiusura a ciò che ciascuno aveva sempre vissuto come apertura, come cammino”. La sola presenza di un osservatore modifica irreparabilmente l’oggetto d’osservazione.
Tuttavia, Baudelaire, che immagino essere l’ispiratore del titolo francese (il titolo italiano è invece tratto da L’idiota di Dostoevskij) e che assieme a Zweig e, appunto, Dostoevskij fa parte del terzetto ‘nascosto’ di autori-cardine del libro (pendant implicito e pervasivo al terzetto “ufficiale” Wilde-Rilke-Cvetaeva), ha fortunatamente lasciato scritto che “la vera critica deve essere parziale, appassionata, politica, vale a dire condotta da un punto di vista esclusivo, ma tale da aprire il più ampio degli orizzonti”, e Todorov fin dalle prime pagine non fa mistero di leggere “a chiave” le vite dei tre autori descritti, cioè come termini di paragone esemplari del modo romantico di concepire l’arte (l’unica strada che apre verso l’infinito), al fine di isolarne e identificarne la potenza ed i limiti.
Infatti, più che per l’efficace descrizione delle vite e dei drammi dei tre letterati in questione, il libro di Todorov fa di costoro l’esempio concreto e carnale del fatto che ogni uomo tende verso l’infinito; e che tale tensione all’eterno negli ultimi secoli ha sostituito Dio con la “mera” Bellezza, generando tantissime opere d’arte commoventi, ma ancor più vite affannatissime e disperate. Wilde, Rilke e la Cvetaeva tentarono infatti, in modo simile, di ‘tagliare via’ dall’esistenza la parte impoetica e quotidiana e di isolarsi nella sola parte esteticamente significativa, o facendo della propria vita un capolavoro estetico (come Wilde), o rinunciandovi in toto, in favore della propria vena poetica (come Rilke), o ancora vivendo il quotidiano in modo meccanico e spento, dissociandosene quanto più spesso possibile per correre a rifugiarsi nel dorato mondo dell’Arte (come la Cvetaeva).

Gli esiti di tutti e tre questi tentativi sono drammatici, e non per caso: essi derivano da un modo di concepire la vita secondo l’estetismo, un’idea ottocentesca del Poeta come Santo Eremita che affonda le sue radici, a detta di Todorov, nell’ideologia càtara e manichea. L’immagine che l’autore dà dell’estetismo, nel corso delle biografie – e, più ancora, nell’ottimo saggio finale- è infatti quello di una sorta di deriva atea del manicheismo, in cui i due avversi campi sono sì ancora divisi in Etereo e Carnale, ma rubricati in Bello e Brutto (e non più in Bene e Male). Un simile concetto dissociato dell’esistenza ha reso l’anima di questi tre artisti sensibilissima e profonda, ma ultimamente incapace di vivere: avventurarsi verso l’Infinito, cercarlo nel fondo della propria anima rinunciando a tutto il resto del mondo, è stato per loro motivo di grandezza e, contemporaneamente, di rovina.

Todorov rimane sorpreso, in questi tre autori, dal loro comune grandissimo Amore inespresso, e contemporaneamente dalla loro superficialità e dall’incapacità di rapportarsi amorevolmente con l’altro. I tre vivono costantemente in un mondo straniato rispetto a quello dei loro amici ed amanti – i quali arrivano alla loro percezione solo se filtrati e trasfigurati in maschere: i due uomini si rivolgono ai propri amori quasi solamente per soprannome (Bosie, Benvenuta, Merline), e la Cvetaeva passa la vita vagheggiando questo o quell’altro poeta in modo assolutamente autoreferenziale, e fuggendo sistematicamente (come faceva del resto Rilke con la sua stessa moglie) l’incontro personale con loro. In effetti, il maggior punto in comune fra i tre, spiega l’autore, è proprio il modo in cui si rapportarono con i propri simili: nel proprio viaggio verso l’infinito, essi scelgono lo straniamento e l’isolamento dal resto degli uomini. Vivendo in questo mondo a metà fra terra e cielo, essi danno il meglio di sé, spiega il loro illustre biografo, nel loro epistolario: sulla pagina scritta sì, ma concreta e privata, (dove, cioè, arte e vita si fondono) sta infatti secondo lui la parte più bella e più commovente della vicenda umana di tutti e tre, e forse l’unico luogo in cui tutti e tre hanno potuto per qualche attimo trovare una momentanea quadratura del cerchio fra il Bello ed il Quotidiano.

Ma esiste davvero una forma di bellezza che possa radicarsi nel quotidiano, che possa farsi carne? Qui Todorov, concludendo la sua opera, “glissa”: nel tentativo di indicare le molte possibili soluzioni alternative, si incaglia menzionandone efficacemente solo un paio, il Cristianesimo (come nemico ‘storico’ del manicheismo) e lo Zen. In conclusione, spiega l’autore, l’opera di questi “avventurieri dell’Assoluto” può fornire a noi un’indicazione commovente della meta a cui tendere (spesso dimenticata, o sostituita da obiettivi più limitati), ma a patto di non smettere di cercare il senso della vita nella sua quotidianità: nel rapporto con l’altro, e non isolandosi dall’esistenza. Ma se questo Infinito-nel-Finito, pur essendo dentro di noi, non siamo in grado di darcelo da soli, come uscire dall’impasse? Se dev’essere un’Eterno che possa contemporaneamente venire da dentro e da fuori di noi, che sia contemporaneamente Bello e Carnale, in che modo è possibile sperare di incontrarlo e tenerlo stretto tutta la vita?
E anche Todorov, con le sue domande, tutto sommato finisce per ricordare uno dei suoi Avventurieri dell’Assoluto: alla ricerca, con le sue splendide parole, di una Bellezza eterna ma incarnata, e finalmente presente non solo tra le immense galassie o sul sorriso di una fanciulla, ma anche nel dolore e nel vuoto quotidiani.

L’autore, nel suo finale d’opera, eviterà poi di sbilanciarsi troppo sul fatto che la proposta cristiana parla esattamente di una tale bellezza, e non mi va di mettergli in bocca conclusioni che non sono certamente sue. Ma facendo affidamento alle sante parole di Baudelaire, invece di mantenermi mero recensore decido qui di farmi critico per due righe e dare il mio parzialissimo punto di vista sulla cosa, segnalando che la cosa più divertente del libro è che è tutto quasi inconsciamente pervaso dalla figura silenziosa e ombrata di Cristo. Tanto che, indice analitico alla mano, più ancora di Baudelaire, Zweig e Dostoevskij, ma anche più di Nietzsche, Pasternak, Goethe, H?lderlin, Kleist, Rodin, Renan e Flaubert (che, pure, giocano tutti un ruolo molto importante), la figura storica che più viene citata nel corso di tutto il libro è Lui, Gesù Cristo. Quasi per sbaglio, certo, ma è proprio così.

Ora, miei poveri compagni d’arme: oltre al fatto che la biografia rappresenta naturalmente una buona via di mezzo fra il classicone ed il nuovo, che difficilmente i vostri amici l’hanno già acquistato tutti, che il nome di Todorov fa sempre una gran bella figura sopra lo scaffale di chiunque, e che tutto sommato il volume in questione non costa neanche troppo, non vi sembra che un libro con un simile illustre e inconsapevole protagonista nascosto non sia una scelta perfetta, per un efficace regalo di Natale?

Print Friendly, PDF & Email
Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo.