Un calciatore e la sua città. Recensione di “Schiavio, il segreto dell’Angelo” di C.F.Chiesa

SchiavioQuasi ogni campione sportivo ha un libro scritto su di lui. O addirittura, scritto da lui. La letteratura sportiva “tira”. Sono scritti semplici, giornalistici, anedottici. La lettura scorre agile. Sono merchandising di se stessi buoni per i fans, per i tifosi o tutt’al più per i cultori di quello sport.

Il libro di C.F. Chiesa, “Schiavio, il segreto dell’Angelo” (ed. Minerva, pp. 288, € 15,00) non appartiene a questo genere di letteratura, sebbene Schiavio, su cui evidentemente girano le pagine, sia stato il più grande calciatore della storia del Football bolognese ed uno dei più titolati giocatori italiani.

Senza nulla togliere alla pletora di autobiografie sportive, quella di Chiesa, storico del calcio, è una narrazione che confina con la biografia dei grandi personaggi del passato oppure ad una letteratura sulla storia della città di Bologna.

Certo, Angelo Schiavio è il protagonista assoluto dell’inchiostro che ti porta a correre con lui i suoi primi calci allo Stadio dello Sterlino, fuori porta S. Stefano o sotto i portici lungo il serpente che conduce a S. Luca. E’ sempre lui che incontri dietro il bancone della Schiavio – Stoppani, rinomata azienda di tessuti e abbigliamento nel centro della città, e che qualche pagina più in avanti trovi vestito con la maglia azzurra a segnare il punto decisivo nella vittoria della prima Coppa del Mondo. Le pagine sono così intrise d’inchiostro e di sudore e non si può negare che chi è appassionato di calcio gode nel conoscere la storia di un centravanti che, tra le tante imprese, pur avendo appeso le scarpe al chiodo, viene richiamato l’anno successivo per disputare la partita che consegna al Bologna il torneo dell’Expo del 1937 a Parigi e dove anche in quell’occasione segna la rete decisiva. Se poi ti capita l’avventura di essere tifoso del Bologna non puoi non tirare un sospiro di sollievo per come sfumò il passaggio alla Juventus e fregiarti di poter contare il suo nome nel pallottoliere delle marcature realizzate nella massima divisione del calcio nazionale per 242 volte e tutte con la stessa maglia a strisce verticali rosso e blu. Il quarto di sempre, un gol sotto Totti, quasi 40 sopra Baggio.

Eppure, il libro di Chiesa non si legge come seduti dentro ad uno stadio o ai bordi del campo di allenamento, e nemmeno curiosando dentro lo spogliatoio. Schiavio è come un punto di fuga attraverso cui l’autore vede la città di Bologna, le sue trasformazioni urbane, le grandi scelte architettoniche, come ad esempio la realizzazione del polo sportivo più imponente d’Europa, le dolorose vicende storiche che segnano drammaticamente gli anni dell’avvento del fascismo e quelle dei bombardamenti sulla città al termine del conflitto mondiale, come anche la crescita economica a cui l’azienda di Schiavio partecipa e beneficia.

Attorno a questo insolito calciatore e imprenditore (caso unico di giocatore della nazionale che fornisce le divise della stessa) si danno appuntamento nomi che chi conosce la toponomastica saprebbe bene dire dove si trovano le strade ad essi dedicate, ma che ignora di fatto chi siano: Nigrisoli, Zanardi, Dagnini, Zamboni, Mariotti. E tanti altri personaggi politici e non, atleti e dirigenti di un calcio ricco già di denaro, ma anche di umanità come Arpinati, Mussolini, Meazza, Pozzo, Nervi, Goldoni, Sindelar, Felsner, Biavati, Dall’Ara Wiesz.

Senza alcuna retorica, si può ben dire che Angelo Schiavio è stato una di quelle figure che hanno lasciato un solco profondo nella memoria che Bologna ha di sé e che fuori dai confini provinciali hanno reso nota e cara la città felsinea. Se può apparire un eccesso di enfasi, basti pensare a quell’espressione leggendaria ancora oggi così comune nel linguaggio popolare del “Bologna che tremare il mondo fa”. Gli anni di Schiavio coincidono con quel Bologna, ossia con l’epopea calcistica più entusiasmante e se oggi, come mi riferisce un addetto ai lavori, Joe Saputo magnate canadese, ha acquisito il Bologna calcio, forse è per l’eco di quegli anni e di quello straordinario attaccante.

Il merito di Chiesa è, dunque, duplice. Il primo è quello di aver restituito brillantezza alla memoria di un uomo così riccamente dotato e non solo nell’arte pedatoria. Il secondo è di aver realizzato un lavoro acribioso, frutto di ricerche accuratissime, ma di averlo compiuto sottraendo questa storia ai soli appassionati. La scrittura elegante (come d’altra parte anche la confezione del libro, la carta e la copertina) conferisce al libro un prestigio che chiunque può accostare e apprezzare. La lettura risulta così gustosa che pare di essere davanti ad una tipica tavola bolognese. Non vorresti mai alzarti tanto sono piacevoli e seducenti i suoi piatti.

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