Mengoni, Lazza, Mr. Rain … e la cinquantina degli altri
Se è vero, come comunemente si afferma, che le canzoni della ormai storica rassegna documentano musicalmente il “sentire” del paese, a bocce ormai ferme è possibile tracciare qualche considerazione. Innanzitutto sulla canzone vincitrice: ” Due vite”, di Marco Mengoni, un testo molto psicologico, dove si
racconta la fatica di fare i conti con la parte meno solare , più problematica e ” notturna” del proprio io.
Mengoni è uno dei personaggi vocalmente più significativi, usciti dal mondo dei talent show. In 14 anni di carriera è sicuramente cresciuto, anche se, per usare un linguaggio tipicamente professorale, potrebbe
fare di piu in termini di contenuto dei esti. Ma è persona che non censura la sua fragilità- nemmeno sul palco glamour di Sanremo- e questo è molto interessante, in un contesto dove spesso l’invincibilità
rabbiosa “contro tutto e tutti” è come una medaglia al valore da esibire davanti al pubblico.
Il secondo posto del podio è stato occupato dal giovane rapper Lazza, con il testo “Cenere”- nel quale è forte la tensione a voler rinascere, insieme alla donna amata, da una crisi amorosa.
Il terzo posto vede, sorprendentemente, un altro giovane rapper e beniamino del pubblico del web, Mr. Rain, con una canzone tutta improntata ai buoni sentimenti e di stima per i supereroi della vita ordinaria,
quelli che, per camminare sui sentieri, spesso accidentati della vita, si stringono in un abbraccio solidale, mantenendo lo sguardo pulito dei bambini, che non a caso accompagnano, come coro, il cantante
sul palco.
La cinquina dei vincitori è poi completata, al quarto posto, da “Alba”, di Ultimo. Nel testo il giovane cantautore romano si scopre intensamente desideroso di un rapporto amoroso che non abbia paura dei limiti personali e dell’amata, con una tensione commovente affinché questo abbraccio della fragilità possa investire tutti, uomini e donne, portatori di ferite e fatiche nella vita di tutti i giorni.
Al quinto posto – in un’ideale “chiusura” del podio- “Tango”, una dolente ballata del giovane Tananai. Il ragazzo tenta, a suo modo, di smarcarsi dall’immagine superficiale ed estiva nella quale rischiava di essere relegato, raccontando la tragedia della guerra in Ucraina attraverso la storia d’amore di due giovani, realmente esistenti e separati dal conflitto in corso.
Nel gruppo di ” tutti gli altri”
cioè dei cantanti dal sesto al ventottesimo posto della classifica, segnalo due canzoni: la prima, “Splash”, del surreale duo siciliano Colapesce e di Martino. L’ironia graffiante degli autori tratteggia la fatica, tutta moderna, di vivere il quotidiano, in particolare le relazioni sentimentali, con quel ritornello martellante e amarissimo dove il lavoro è il pretesto per evitare “il peso delle aspettative” dell’amata e di tutti gli altri “intorno”. Interessante, come sottolineato da Annalisa Teggi nel suo articolo, anche ” L’addio”, del duo dei Comacose, dove viene raccontata una crisi sentimentale; un rapporto ormai prossimo alla rottura, ma nel quale è forte il desiderio di tenere vivo il ricordo di quanto di bello si è vissuto, nella speranza che “l’addio non sia una possibilità”.
Nella serata dei duetti
forse la più interessante, musicalmente parlando, dell’intera settimana -chi se l’è persa, vada a recuperare l’esibizione da brividi di Giorgia ed Elisa- le due voci femminili sicuramente più significative dell’intero nostro panorama nazionale.
Tra le cover, a mio parere, più interessanti, trovo anche quella che ha visto salire sul palco Manuel Agnelli con il giovanissimo Gianmaria, in una rielaborazione a due, come di un padre e di un figlio, di un testo realmente drammatico degli Afterhours, in “Quello che non c’è” , nel quale il dolore di veder crollare ciò in cui si è creduto nella vita si accompagna al grido, potentissimo, che quanto è apparentemente morto possa in qualche modo tornare a “essere”.
Il resto… fascinazione e aggregazione nazionale
Il resto è solo geniale teatrino nel quale è previsto per tutti- sia estimatori che detrattori accaniti- prima, durante e pure dopo lo spettacolo- un posto in commedia nel quale recitare diligentemente la propria parte, nell’illusione di essere attori di prima grandezza, anziché utili comparse a beneficio di un martellante- e molto remunerativo- traffico mediatico.
È fenomeno di irresistibile fascinazione e aggregazione nazionale, parentesi di fugace sollievo emotivo, in uno scenario sociale e storico mai così cupo; ben oltre l’interesse per le canzoni, pausa glamour e
occasione di gossip, di Fantasanremo condivisi tra chiacchiere e risate con amici e parenti nei gruppi whatsapp e sui social, dove le generazioni si ritrovano per qualche sera incredibilmente unite nel
commentare quello che succede in diretta sul palco.
È tentativo- a tratti, lodevole- di proporre un discorso civilmente “impegnato” che tuttavia non incide per nulla sull’enorme disaffezione degli italiani al bene comune e alla politica. La recente tornata
elettorale lo ha dimostrato con estrema chiarezza.
È esibizione, da parte di un’elite di ricchi e famosi, di una vicinanza alla gente comune e ai suoi problemi, espressa però con il “sentire” e le parole del più trito borghesismo, quindi artificiosa nei
suoi proclami ” in difesa di” davanti alle telecamere.
È trasgressione che sa innegabilmente di polvere e di stantio, in un paese nel quale i giovani sono ben più avanti, nella trasgressione, dei patetici soggetti che si ergono a martiri di una presunta, negata,
libertà di esercizio della propria sessualità, in realtà pupazzi funzionali a beghe politiche di basso profilo.
È – da parte del sistema mediatico tutto- cannibalizzazione ossessiva dell’evento, prima che la polvere vi si depositi sopra; culto furbissimo della polemica, -con la complicità , si spera, inconsapevole, di chi ha
fatto le ore piccole davanti alla tv pur di professarsi pubblicamente “scandalizzato” e dire “ci sono” grazie allo scandalo.
In attesa che arrivi l’estate, stagione nella quale del festival di Sanremo si ricorderà a malapena il nome del vincitore e sulla scena musicale italiana ci saranno altri protagonisti ad attirare l’attenzione del pubblico e a garantire introiti alle case discografiche ….
Paura della realtà ed uno sguardo cattivo
Spiace tutto questo rumore oltre le canzoni, perché impedisce l’ascolto e il confronto con l’umanità, realmente esistente, di chi va sul palco – con un cantante come Marco Mengoni, che non si vergogna di
piangere in pubblico, sarebbe interessante confrontarsi.
Spiace, tutto questo rumore, anche perché non aiuta a vedere un bene che esiste, magari piccolo, ma esiste, pure dentro a uno spettacolo di puro intrattenimento musicale. Spiace anche perché, furbamente, a scopo di lucro, tutto questo rumore incrementa uno sguardo cattivo e diffidente sul reale, rafforzando in molti la convinzione che dal reale ci si debba sistematicamente difendere, magari chiudendosi in un fortino asettico, “a prova di mondo”. E se tra tutte le petizioni, in corso in questi giorni per moralizzare l’evento Sanremo e colpire presunti reprobi, ce ne fosse una che chiedesse al Festival di dare spazio solo ed esclusivamente alle canzoni e, soprattutto, all’io reale, spesso sconosciuto, dei suoi autori?