
La situazione di fatto alla base della recentissima decisione delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione n. 24414 pubblicata il 9 settembre 2021, già oggetto di commenti da parte anche della stampa quotidiana, è abbastanza risalente nel tempo. E’ negli anni scolastici 2008 e 2009 che, a Terni, un docente di materie letterarie nell’Istituto Professionale per i Servizi Alessandro Casagrande quando tiene lezione nell’aula della III classe rimuove dalla parete, per ricollocarvelo poi al termine, il Crocifisso, che vi è stato affisso a seguito di una delibera dell’assemblea studentesca di classe, recepita da una circolare del dirigente scolastico, che richiama tutti i docenti all’obbligo di rispettare la decisione presa a maggioranza dagli studenti. Il professore non si adegua e il Consiglio di disciplina gli infligge, per questa inosservanza e per i termini sconvenienti usati nei confronti del dirigente, la sanzione di trenta giorni di sospensione.
La controversia giunge all’esame delle Sezioni Unite a seguito del ricorso proposto dall’interessato contro le decisioni (di conferma della sanzione) dei giudici di merito (Tribunale di Terni e Corte d’Appello di Perugia) e della richiesta della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione di devolvere alle Sezioni Unite la decisione sulla compatibilità tra l’ordine di esposizione del crocifisso impartito dal dirigente scolastico e l’ordinamento costituzionale. Sono, quindi, in gioco principi fondamentali quali la libertà religiosa, la laicità dello Stato, il pluralismo, il divieto di discriminazioni, la libertà di coscienza e d’insegnamento.
La sentenza in questione giunge al termine di un lungo percorso giurisprudenziale – di cui dà puntualmente atto in motivazione – e di un’assoluta indifferenza legislativa, tanto che a regolare la materia non è mai intervenuta una legge ad hoc, e risultano tuttora in vigore due quasi centenari regolamenti: il Regio Decreto n. 165 del 1924 (art. 118) e il R.D. n. 1297 del 1928 (art. 119), che includono il crocifisso (assieme alla bandiera nazionale e al ritratto del re) fra gli “arredi scolastici” rispettivamente delle scuole medie ed elementari.
Non è mia intenzione seguire la lunga e complessa motivazione delle Sezioni Unite (oltre 60 pagine), ma attenermi a quel tanto (del resto non pochissimo) che occorre per una riflessione finale. A cominciare dal richiamo alla sentenza del Consiglio di Stato n. 556 del 13/2/2006 (conclusiva della fase nazionale della controversia nota, dopo il suo accesso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come “Lautsi c. Italia”) citata, con notevole rilievo, fra i precedenti giurisprudenziali, assieme alle due sentenze (primo e secondo grado) della Corte europea dei diritti dell’uomo, che hanno chiuso la controversia stabilendo che l’obbligatoria presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane non viola le norme delle Convenzione Europea in materia di laicità e di libertà religiosa (Grande Camera, 18 marzo 2011). Anche il Consiglio di Stato era giunto alla analoga decisione di non violazione del principio costituzionale di laicità dello Stato in quanto il Crocifisso è simbolo ed espressione dell’origine, storicamente religiosa nella realtà italiana, dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione. Che “sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato” .
Al contrario la Cassazione attribuisce al crocifisso natura, esclusiva o comunque largamente prevalente, di simbolo della religione cristiana e, muovendo da questo dato, ritiene che la disposizione regolamentare sulla sua esposizione obbligatoria ed esclusiva nelle aule scolastiche sia espressiva di un contesto ordinamentale che, negli anni ‘20 del secolo scorso, considerava il cattolicesimo unica religione di Stato ed elemento costitutivo della compagine statale come fattore di unità della nazione.
Una norma di questo genere non ha più cittadinanza nell’ordinamento dopo l’avvento della Costituzione repubblicana (o, al più tardi, dopo le modificazioni apportate ai Patti lateranensi con la dichiarazione congiunta tra Repubblica italiana e Santa Sede, di considerare “non più in vigore il principio della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”). Difatti “la presenza obbligatoria del simbolo religioso si traduce in una sorta di identificazione della statualità con uno specifico credo” e non è compatibile con il principio supremo di laicità dello Stato, che non ne consente l’identificazione con una religione.
Tuttavia le Sezioni Unite (dopo avere ampiamente approfondito questo punto) ne ritengono possibile una lettura costituzionalmente corretta, che non si traduce “in un divieto di affissione del simbolo”, ma consente anzi di interpretarla ”nel senso che l’aula può accoglierne la presenza allorquando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, nel rispetto e nella salvaguardia delle convinzioni di tutti, affiancando al crocifisso, in caso di richiesta, gli altri simboli delle fedi religiose presenti all’interno della stessa comunità scolastica e ricercando un ragionevole accomodamento”. Difatti “là dove si leggeva imposizione autoritativa della presenza del crocifisso, è ora da intendere facoltatività della collocazione, riportata ad una richiesta che proviene dal basso, dagli studenti. Là dove la disposizione regolamentare era caratterizzata da esclusività (solo quel simbolo), c’è ora spazio per una interpretazione estensiva in direzione della pluralità dei simboli, ispirata ad un universalismo concreto, fondato empiricamente e democraticamente responsivo rispetto alla mutata composizione etnica e quindi anche religiosa della popolazione”.
Una soluzione definita “mite” perché “la parete dell’aula nasce bianca, può rimanere tale ma può anche non restare spoglia e accogliere la presenza
del crocifisso per soddisfare un bisogno degli studenti” e “si articola
in scelte da effettuare caso per caso, alla luce delle concrete esigenze, nei singoli istituti scolastici, con la partecipazione di tutti i soggetti
coinvolti e con il metodo della ricerca del più ampio consenso”.
Per questa via – proseguono le
Sezioni Unite – “Il simbolo del cristianesimo, espressione anche delle
radici culturali della nostra società” (vi è qui un recupero parziale della
citata decisione del Consiglio di Stato), “inserito in un contesto aperto
alla presenza di simboli di altre religioni o di altre culture propri dei
membri della comunità scolastica e quindi alla plurale ricchezza dei contributi
offerti, concorre a delineare uno spazio pubblico condiviso, caratterizzato da
una molteplicità di ragioni dialoganti e ispirato a una neutralità accogliente
delle identità. Anche altri simboli, nati come religiosi ed esterni alla
identità tradizionale del Paese, sono suscettibili di diventare, nella scuola
pubblica aperta a tutti, simboli culturali di integrazione. E’ una via che rifugge da identificazioni totalizzanti e
da opzioni di “schieramento”, e lascia aperta la porta della
tolleranza e della coesistenza, al plurale, di orientamenti e fedi diverse,
senza comportare una minorazione o una compromissione dello svolgimento di
funzioni istituzionali della scuola. Infatti, l’aggiunta di simboli delle varie
religioni non solo pone le varie religioni sullo stesso piano, ma insegna anche
agli studenti che è fondamentale il rispetto
reciproco delle varie fedi religiose”.
In conclusione più specificamente sulla materia del contendere: “la presenza o meno nelle scuole del crocifisso rientra, dunque, nell’ambito dell’autonomia delle singole istituzioni scolastiche”. Istituzioni che le Sezioni Unite individuano, invece che nei singoli complessi scolastici o nei singoli istituti, nelle singole classi in quanto “proprio la comunità che si raccoglie nella singola aula appare quella maggiormente in grado di scegliere e di decidere: di valutare se esporre il crocifisso, tenendo conto delle singole sensibilità e delle effettive richieste degli utenti del servizio scolastico; di costruire una consapevolezza del significato dell’esposizione del crocifisso; di eventualmente accompagnarne la presenza con l’affissione di simboli di altre fedi religiose o di altre convinzioni ideali o filosofiche presenti nella
classe; di ricercare un ragionevole accomodamento con il più ampio
consenso possibile”.
Un consenso da raggiungere attraverso la strada, suggerita anche dalle Corti di altri Paesi (Tribunale costituzionale federale tedesco, Corte Suprema canadese), dell’ “accomodamento ragionevole”, inteso come ricerca di una soluzione ”mite”. Cioè intermedia, che, non privilegiando solo il criterio della maggioranza (non utilizzabile senza correttivi nel campo dei diritti fondamentali, dominio delle garanzie per le minoranze e per i singoli), riesca a soddisfare le diverse posizioni nella misura concretamente possibile, in cui tutti concedono qualcosa, facendo ciascuno un passo in direzione dell’altro.
All’accomodamento ragionevole la sentenza dedica parecchie pagine e osservazioni meritevoli di essere lette, anche perché utilizzabili in altri campi, al limite anche al fine della elaborazione di un diverso concetto, se non della democrazia, della pratica democratica. Qui è sufficiente rilevare che le Sezioni Unite concludono per un sostanziale accoglimento del ricorso del docente proprio per l’assenza di questo “accomodamento ragionevole” nella contestata circolare del dirigente scolastico, quindi non conforme al modello e al metodo di una comunità dialogante nella comune ricerca di una soluzione di mediazione al fine della composizione di diritti uguali e contrari. Il dirigente si è limitato a prendere atto della decisione maggioritaria degli studenti senza tenere conto del parere dissenziente del docente, anch’egli componente della comunità scolastica, e senza adoperarsi per trovare una soluzione di compromesso da tutti sostenibile e rispettosa delle diverse
sensibilità.
Fra le questioni trattate anche l’eventualità che l’esposizione del Crocifisso nell’aula sia suscettibile di comportare una discriminazione indiretta (nella fattispecie del docente dissenziente) sul luogo di lavoro. Problematica risolta negativamente dalle Sezioni Unite, che dopo una lunga argomentazione hanno fatto proprie le valutazioni del pubblico ministero nel senso che nel caso “non vi sono, ragionevolmente, elementi per sostenere che l’esercizio della libertà e l’autonomia didattica del singolo docente siano pregiudicati o impediti dal simbolo“. Difatti l’esposizione del simbolo non determina alcun stretto collegamento tra la funzione esercitata (insegnamento) ed i valori fondanti il credo religioso richiamato, perché in un sistema educativo obiettivo, pluralista e orientato allo sviluppo del senso critico “l’affissione del crocifisso non ostacola il docente nell’esercizio di alcuna delle sue libertà, anche quella di criticare davanti alla classe, in forme legittime e rispettose della altrui coscienza morale, il significato e la stessa presenza del simbolo”.
In base a queste argomentazioni (qui molto riassuntivamente riportate) le Sezioni Unite hanno enunciato i seguenti principi di diritto: – “In base alla Costituzione repubblicana, ispirata al principio di laicità dello Stato e alla salvaguardia della libertà religiosa positiva e negativa, non è consentita, nelle aule delle scuole pubbliche, l’affissione obbligatoria, per determinazione dei pubblici poteri, del simbolo religioso del crocifisso.
– Il R.D. n. 965 del 1924, art. 118, che comprende il crocifisso tra gli arredi scolastici, deve essere interpretato in conformità alla Costituzione e alla legislazione che dei principi costituzionali costituisce svolgimento e attuazione, nel senso che la comunità scolastica può decidere di esporre il crocifisso in aula con valutazione che sia frutto del rispetto
delle convinzioni di tutti i componenti della medesima comunità ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi”.
Che dire? Forse anzitutto, pur apprezzando sia il grande impegno delle Sezioni Unite nell’affrontare problematiche oggi più che mai fondamentali per il vivere civile, sia la ricchezza e profondità delle argomentazioni svolte, che il nuovo significato attribuito all’art. 118 del R.D. n. 965/1924 è talmente nuovo da configurarsi più come creazione di una nuova norma che come interpretazione costituzionalmente orientata. Un dubbio sollevato anche dal Centro Studi Rosario Livatino quando commenta: “Allorché la Cassazione ipotizza la soluzione dell’eventuale affiancamento al Crocifisso di simboli di altre confessioni religiose, coerenti col credo degli alunni presenti nell’aula, si fa creatrice di una norma, più che interprete di quelle esistenti”.
L’appena citato Centro Studi si rallegra comunque, da un punto di vista cattolico, per una decisione che esclude l’esistenza di un divieto di affissione del Crocifisso nelle aule scolastiche e afferma che la sua presenza non comporta discriminazioni. Inevitabile tuttavia la constatazione che il principio di diritto affermato si risolve nell’attribuzione ad una non del tutto precisata comunità scolastica di classe (pare che debbano farne parte, oltre agli studenti, tutti i docenti che vi insegnano, ma perché no il preside e magari anche il personale non docente?) il potere di decidere se e cosa affiggere sulla parete: o i simboli di tutte le religioni (incluso l’ateismo), oppure di alcune, o di una soltanto, che in ipotesi, in una realtà scolastica contrassegnata in non pochi luoghi dalla presenza di una maggioranza islamica, potrebbe non essere il cristianesimo. Un potere da esercitare , appunto, nella forma, definita “mite”, dell’ accomodamento ragionevole. Il che, nel concreto della realtà scolastica, per l’evidente difficoltà di pervenire ad un risultato che attraverso reciproche concessioni accontenti tutti, comporterà in molti casi (i più?) o l’affissione di tutti i simboli religiosi e filosofici che trovino anche un unico sostenitore nella comunità, o il risultato, a questo punto forse auspicabile, di una parete lasciata bianca.
Perplessità che si riflettono anche sulla iniziale materia del contendere e sul principale protagonista di questa vicenda giudiziaria. Difatti il professore dissenziente e ricorrente ha avuto, dopo tredici anni di attesa, la soddisfazione di vedere dichiarare l’illegittimità della contestata circolare e l’invalidità della comminatagli sanzione per la parte riguardante la rimozione del Crocifisso (le Sezioni Unite lo hanno però rimandato davanti ala Sezione Lavoro della Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione, per la determinazione della parte di sanzione che resterà a suo carico in quanto da addebitare alle sue “esternazioni verbali, in particolare alle plurime espressioni sconvenienti e irriguardose rivolte al preside”), ma ignora se al suo rientro in classe potrà o no rimuovere il Crocifisso durante la sua ora di lezione almeno finché non sia stata svolta la tutt’altro che semplice procedura del ragionevole accomodamento da parte di una comunità scolastica nel frattempo totalmente cambiata.
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