La dottrina sociale della Chiesa tra degrado e restaurazione

di Guido Vignelli.

Tra rigorismo morale e permissivismo politico

Per rendersi conto dell’attuale situazione della dottrina sociale della Chiesa, può essere utile fare il seguente paragone.

Supponiamo che un teologo moralista insegni la seguente teoria: Dio come Creatore e Legislatore e Gesù Cristo come Redentore e Santificatore non possano reclamare diritti né imporre doveri sulla persona umana; la Grazia divina, le virtù soprannaturali e l’azione santificante della Chiesa non sono necessari alla salvezza degl’individui e delle famiglie; la missione ecclesiale consiste semplicemente nel far sì che le persone conducano una vita “più umana”.

Un insegnamento così formulato verrebbe giustamente accusato di naturalismo, ossia di ridurre la teologia morale alla filosofia morale, il Cristianesimo a vago umanesimo senza fondamento trascendente e la Chiesa a organizzazione filantropica, privando i fedeli delle verità, delle leggi e dei mezzi soprannaturali necessari per santificarsi.

Supponiamo però che un docente di dottrina sociale della Chiesa insegni la seguente teoria: Dio Creatore e Gesù Cristo Redentore non possono reclamare diritti né imporre obblighi sulle umane società; la Grazia divina, le virtù soprannaturali e l’azione santificante della Chiesa non sono necessarie alla salvezza dei popoli; la missione ecclesiale consiste semplicemente nel contribuire alla costruzione di una “società più umana” assicurando i “diritti dell’Uomo”, la “solidarietà sociale”, il progresso civile (e – oggi si aggiunge – la “salvaguardia del creato”).

Essendo parallelo al precedente, anche questo insegnamento dovrebbe essere accusato di naturalismo, ossia di ridurre la dottrina sociale della Chiesa a mera filosofia sociale, a vago umanesimo senza fondamento trascendente, negando la regalità sociale di Gesù Cristo e privando le nazioni delle verità, delle leggi e dei mezzi soprannaturali necessari per vivere cristianamente e facilitare la salvezza dei popoli.

Eppure, oggi formulare quest’accusa sarebbe problematico, perché l’accusato potrebbe discolparsene appellandosi al recente insegnamento ecclesiastico, il quale ha da tempo “aggiornato” la propria dottrina sociale in base al nuovo paradigma umanistico, filantropico e laicista. Infatti, oggi si pretende che le “realtà terrene” possano godere di piena autonomia rispetto al divino ordinamento, per cui le società hanno diritto di varare leggi umane in contrasto con quelle divine, basta che siano “democraticamente” approvate dai Parlamenti e accettate dalla maggioranza della popolazione. Mentre la scristianizzazione degl’individui resta un errore da condannare e un peccato da punire, quella delle società invece sono un fatto storico compiuto da accettare.

Come si vede, l’attuale problema non sta in una prassi permissiva incoerente con la teoria rigorosa, ma in una discrepanza interna alla teoria stessa: ai doveri religiosi degl’individui e delle famiglie non corrispondono più analoghi doveri religiosi delle società e delle istituzioni. Un noto esempio pratico è quello per cui la Gerarchia ecclesiastica giustamente condanna gl’individui (madri e medici) che praticano l’aborto, ma poi assolve i parlamentari che lo legalizzano, i ministri che l’organizzano istituzionalmente e i teologi che lo giustificano.

Questa discrepanza dottrinale viene ormai applicata in scelte pastorali che stanno rendendo inefficace l’azione ecclesiale in settori cruciali della vita civile e stanno contribuendo al degrado dell’impegno sociale della Chiesa. Non c’è da meravigliarsene: la storia dimostra che la scristianizzazione della vita individuale e familiare viene preparata e favorita dalla scristianizzazione della vita sociale e politica; se Dio non è più signore delle società, ben presto non lo sarà nemmeno dei singoli componenti di quelle società.

La secolarizzazione della Dottrina sociale

La contraddizione segnalata è solo una di quelle che manifestano come la dottrina cristiana tende a secolarizzarsi mediante un riduzionismo che, ad esempio, declassa la dottrina sociale della Chiesa da teologia politica a sindacalismo sociale, e, in radice, declassa la Chiesa stessa da Maestra in rebus divinis a “esperta in umanità”. Questo ripiegamento dal divino all’umano, dal trascendente all’immanente, dall’eterno al temporale e dal sacro al profano appare evidente da alcuni gravi sintomi che manifestano la secolarizzazione della dottrina sociale della Chiesa.

I sintomi generali sono i seguenti: riduzione del fondante Diritto divino a un “diritto umano” secolarizzato e laicizzato; conseguente subordinazione del passato Diritto cristiano al “diritto moderno”, ossia laicista e positivista; conseguente subordinazione dello Jus gentium al diritto internazionale globalista; conseguente subordinazione del Diritto ecclesiastico al “diritto comune”, ossia egualitario e aconfessionale.

In tal modo, quando vengono timidamente menzionati, i diritti di Dio sono subordinati al fine di promuovere la “dignità umana”, come se fossero una sorta di condizione trascendentale funzionale a garantire i “diritti dell’Uomo”. Non sono più i doveri verso Dio a fondare i diritti umani, ma sono questi a giustificare quelli, per cui i diritti politici e sociali della Chiesa vengono ridotti a quelli oggi concessi paritariamente a tutte le religioni da Costituzioni nazionali, Trattati internazionali e programmi globalisti come quelli dell’O.N.U. e dell’Unione Europea.

Questa prospettiva presuppone un cambiamento dottrinale: il rifiuto dell’ideale della Cristianità, la condanna della confessionalità statale e la scelta della separazione tra Stato e Chiesa, un divorzio che viene presentato non come male momentaneamente inevitabile ma come definitiva “conquista di libertà”, emancipazione della politica dalla Rivelazione e riconoscimento di radicale autonomia del naturale dal soprannaturale.

Un sintomo specifico è la rinuncia al primato del bene comune – e particolarmente di quel sommo Bene comune che è Dio – come fine e norma della società. Le “realtà temporali” e i “soggetti sociali” (anche se rivoluzionari e anticristiani!) oggi vengono elevati a fine in sé e quindi resi meritevoli di ottenere un’autonomia assoluta, liberandosi dagli obblighi verso l’autorità e particolarmente verso quella suprema Autorità che è Dio. Di conseguenza, la pastorale ecclesiale non subordina più gerarchicamente le realtà naturali al Fine soprannaturale, ma le promuove nella loro profanità allo scopo di realizzare il “regno dell’Uomo” sulla Terra. Parimenti, la politica non subordina più gerarchicamente gl’interessi privati e pubblici al bene comune della società, ma si limita a bilanciare o comporre le pretese degl’individui o delle fazioni per ottenere un “minor male comune” che assicurerebbe solidarietà, pace e benessere collettivi.

Di conseguenza, la politica smette di essere la scienza etica che persegue il bene comune temporale, allo scopo di facilitare la conquista di quel sommo Bene comune trascendente che è Dio, e viene ridotta a mera tecnica capace di coagulare un consenso maggioritario – anzi inclusivo, come oggi si dice – su una ideologia minimale, allo scopo di spingere la “volontà generale” a realizzare il benessere individuale o collettivo. Ciò comporta la morte non solo della politica cristiana ma anche della politica in sé, ormai ridotta a prassi secolare finalizzata ad assicurare “pace, solidarietà e salvaguardia del creato”, come dice lo slogan.

La “svolta antropocentrica” della Dottrina sociale

Il famoso aggiornamento della dottrina sociale della Chiesa è stato un adeguamento non tanto pastorale quanto dottrinale, non tanto di linguaggio quanto di significato, il quale ha causato non tanto una evoluzione omogenea quanto una mutazione princìpi e di valori, riassumibile nella famosa “svolta antropologica” (ossia antropocentrica) degli anni 1960-1970, che segna il passaggio dall’insegnamento di una verità teologica salvifica alla proposta di una opinione sociologica avanzata per fini pratici.

Nell’ansia di adeguarsi alla modernità, sottomettendosi alle esigenze di una “pastorale” modernistica, l’insegnamento sociale ecclesiale si è gradualmente storicizzato, secolarizzato e laicizzato. In questo modo, esso ha perso il fondamento divino (ossia trascendente, sacro e soprannaturale) e si è ridotto all’aspetto meramente umano (ossia immanente, profano e naturalistico).

Di conseguenza, la pastorale ecclesiale ha rinunciato alla missione d’instaurare una società cristiana, ossia di santificare popoli e nazioni, limitandosi a contribuire a renderli filantropici, democratici ed “ecumenici”. Ciò presuppone che la Cristianità storicamente esistita – e tuttora sopravvivente in alcune leggi e usanze sociali – sia da condannare come peccato storico commesso dalla “Chiesa costantiniana” e da quella controriformistica; un peccato che la Chiesa moderna sta tentando di espiare contribuendo alla costruzione della nuova società “laica, inclusiva ed ecumenica”, ossia “multiculturale e multireligiosa”, aperta a tutte le umane opinioni ed esigenze.

Si presuppone quindi che il ruolo temporale della Divina Provvidenza sia ridotto a fornire all’umanità un “supplemento spirituale” per costruire una “società compassionevole e accogliente” fondata su un “umanesimo laico” (oppure – si aggiunge oggi – su una “ecologia integrale”). Si presuppone pure che la Regalità di Cristo, ridotta a modello per realizzare la “Regalità dell’Uomo”, venga espulsa dalla storia e rinviata alla fine dei tempi, come peraltro è accaduto quando la sua festa rituale è stata spostata alla fine dell’anno liturgico; un Cristo Re esiliato alla fine del mondo non disturba l’impegno storico nel costruire un Regno dell’Uomo senza Dio.

I gravi fatti storici di quest’ultimo mezzo secolo hanno dimostrato che le ottimistiche speranze religiose e politiche del Concilio Ecumenico Vaticano II erano illusorie. Il tentativo di conquistare la fiducia dell’uomo contemporaneo (“adulto, emancipato e responsabile”), adeguando la dottrina sociale ecclesiale al linguaggio, alla mentalità e alle esigenze del progresso, è completamente fallito. Il tentativo di evangelizzare l’umanità limitandosi ad “annunciare” la verità e la virtù senza condannare e reprimere l’errore, è completamente fallito. Il tentativo di costruire una società non cristiana né anticristiana ma solamente “più umana”, fondandola non sul Decalogo e sul Vangelo ma sul primato della libera coscienza e della buona volontà, è completamente fallito. Più in generale, il tentativo di conciliare Tradizione e Rivoluzione, diritti di Dio e “diritti dell’Uomo”, Chiesa e Modernità, è completamente fallito.

Gli avvenimenti degli ultimi decenni dimostrano che quei vani tentativi hanno provocato l’attuale grave crisi della Chiesa, compromettendone unità, prestigio e influenza sociale, fino a renderla succube della secolarizzazione e subordinata alle potenze laiciste. Inoltre, quei tentativi hanno indebolito le forze spirituali del mondo cattolico, permettendo alle potenze delle tenebre di approfittarsi della situazione per scatenare una crescente persecuzione anticristiana che oggi non può più essere trattenuta da quelle autorità politiche cattoliche che un tempo soccorrevano la Chiesa nei momenti di pericolo.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Erroneamente, oggi i cristiani sono convinti di essere una comunità che non ha alcun diritto né dovere di plasmare la società futura sui princìpi del Vangelo, anzi nemmeno del Decalogo, anzi nemmeno del Diritto naturale. Sono convinti di essere una minoranza debole e poco influente, sottoposta alla falsa alternativa tra l’assimilazione e l’estinzione. Sono convinti che alla Chiesa resti solo la facoltà di elemosinare dai poteri laicisti dominanti quella misera e precaria libertà di culto, di coscienza e d’insegnamento ormai concessa paritariamente a tutte le sette religiose e antireligiose. Ma proprio questo minimalismo rinunciatario incoraggia le forze dominanti a negare alla Chiesa perfino il misero privilegio di sopravvivere nei templi senza dar troppo fastidio alle potenze secolari e laiciste.

Condizioni della restaurazione politica e sociale

Per quanto riguarda una possibile terapia risanatrice, possiamo proporre alcune scelte fondamentali che renderanno possibile una svolta capace di restaurare la teologia politica e quindi anche la società cristiana.

La scelta principale consiste nel ristabilire il teocentrismo politico, ossia la sovranità divina sulla società, che nella prospettiva cattolica si concretizza nella Regalità sociale di Cristo. Bisogna tornare a riconoscere Dio come Autore, Legislatore e Redentore della società, dunque come suprema Autorità, Fine ultimo, sommo Bene comune e modello esemplare del bene politico, subordinando la politica alla Fede e riducendo le “realtà temporali” al loro ruolo di strumento al servizio della gloria di Dio e della santificazione delle anime: “Dieu premier servi” (“Dio servito per primo”), si diceva un tempo. Ne consegue che i poteri temporali debbono subordinarsi in spiritualibus all’autorità ecclesiastica, subordinazione istituzionalmente espressa dalla confessionalità cristiana dello Stato.

Un’altra scelta consiste nel ricuperare il vero concetto di bene comune, il quale non risulta dall’equilibrio (liberale) né dalla fusione (socialista) tra beni privati settoriali, ma costituisce uno specifico bene pubblico, al quale bisogna subordinare desideri, esigenze e pretese sia individuali che collettive. Ne deriva che la società va intesa come sistema non di diritti e di scelte ma di doveri e di responsabilità (sia politici che religiosi), i quali soli possono giustificare il godimento di libertà, facoltà e autonomie.

Ciò presuppone anche di ricuperare il vero concetto di autorità, intesa non come potere arbitrario né come mero “servizio sociale”, ma come funzione che assicura l’unione politica allo scopo di raggiungere il fine comune, ossia quell’ordine sociale che permette di mantenere la pace, realizzare il progresso e soprattutto facilitare la santificazione delle anime promossa dalla Chiesa.

Un’altra scelta consiste nel ricuperare il vero concetto di Stato inteso come organismo politico gerarchico, ossia come “famiglia di famiglie”, “comunità di comunità”, “società di società”. Pertanto famiglie, comunità e società devono subordinarsi al governo statale in quanto garante del bene comune politico; tuttavia, lo Stato deve assicurare a famiglie, comunità e società le legittime libertà, facoltà e autonomie (settoriali e locali) richieste dalla loro natura, storia e funzione sociale. Il che comporta restaurare il ruolo dei laici cristiani nella vita politica, non come agenti di un vago solidarismo né come rappresentanti d’interessi ecclesiastici, ma come fautori del bene comune integrale (quindi anche religioso) della società.

Ciò vale anche nel campo della politica internazionale. La pace universale potrà realizzarsi solo quando gli uomini si renderanno conto di essere fratelli non in quanto figli della Umanità o di “Madre Terra”, ma in quanto figli di un solo Padre celeste e destinati a un Fine comune da raggiungere collaborando al bene della umanità, per cui essi si sottometteranno a un arbitro supremo che subordinerà le loro esigenze personali, etniche o nazionali allo jus gentium.

Insomma, bisogna rovesciare il processo di degrado avviato 50 anni fa e tuttora in corso. Finora l’istituzione ecclesiastica si è lasciata lentamente assimilare alla società moderna, riducendosi a garante di una precaria pace sociale nella illusione di salvare una minima “libertà religiosa” ripiegando nella “testimonianza profetica”. Ma oggi quella illusione è fallita, quella pace è compromessa e quella libertà sta per essere perduta. Pertanto, la Chiesa deve tornare a esigere il rispetto dei diritti di Dio Creatore e di Cristo Redentore, rivendicando di essere non solo Mater ma anche Domina et Magistra gentium e riaffermando la propria sovranità spirituale su popoli, autorità e istituzioni.

A chi sostiene che tutto questo è impossibile, si risponda che la riscossa cristiana sarebbe garantita, se sapessimo approfittarci seriamente delle occasioni oggi offerteci dalla divina Provvidenza. Ormai la moderna Babele non può più mantenere quella promessa di sicurezza, ricchezza e piaceri terreni che avrebbe dovuto sostituire la promessa cristiana di salvezza eterna; le delusioni già diffuse e le crisi che presto ne deriveranno favoriranno la riscossa del mondo cattolico e la vittoria della Chiesa sulle “potenze avverse”.

Fonte: Osservatorio Internazionale Card. Van Thuân

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